Dalle polemiche sulle croci in montagna alle vette e altezze della Parola di Dio
DALLE POLEMICHE SULLE CROCI IN MONTAGNA ALLE VETTE E ALTEZZE DELLA PAROLA DI DIO
«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero»
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Come una tempesta in un bicchier d’acqua la settimana scorsa è scoppiata la polemica sulle croci di vetta [vedere, QUI], fra l’altro scaturita da affermazioni mai pronunciate, che ha tenuto banco per qualche giorno sui quotidiani nazionali. Ancora una volta, alla fine dei discorsi, si è rischiato di banalizzare e far passare come un’imposizione quello che è il simbolo per eccellenza del Cristianesimo, la croce di Gesù rappresentazione visiva dell’amore fino alla fine [cfr. Gv 1, 3] offertoci dal Signore.
Per questo, proprio come quell’acqua fresca che a volte trovi in montagna dopo un’erta salita, ben venga la sequenza di letture di questa XIV Domenica del tempo per annum. Non sempre accade di trovare in un’unica Liturgia della Parola una serie di scritti dove ogni singola frase è bella di per sé tanto che andrebbero conservate e rimeditate nel corso della settimana. Al culmine di essa leggiamo la pericope evangelica [Mt 11, 25-30] che è tanto preziosa, quanto rara, perché ci offre uno spaccato di quella che fu la coscienza profonda di Gesù, la sua coscienza filiale. Non a caso questo brano di Matteo è stato definito come il più giovanneo di tutti i Vangeli sinottici. Solitamente, infatti, è nel quarto Vangelo che troviamo simili altezze e profondità, spesso, come qui in Matteo, in un contesto di preghiera nel quale Gesù si rivolge al Padre, come nella nota pericope, quella cosiddetta della sua ora: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te» [Gv 17, 1]. Ecco il brano del Vangelo della prossima domenica:
«In quel tempo Gesù disse: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero”».
Il rigo iniziale del brano nel testo greco precisa: «In quel tempo, rispondendo[1], Gesù disse». A cosa Gesù sta rispondendo e perché in questo momento cruciale [2]? Agli eventi precedenti che non sono stati felici. Dapprima la domanda di Giovanni Battista tramite i discepoli, poiché lui era imprigionato: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» [11,3] e poi la mancata risposta alla predicazione e all’azione di Gesù delle tre cittadine di Corazin, Betsaida e Cafarnao, dove egli ha sperimentato il fallimento o perlomeno uno scarso successo [11, 21-24].
Chi può dire di non aver provato scoramento a fronte di una situazione di empasse, di mancata riuscita o non comprensione da parte di altri di chi siamo veramente? Gesù integra queste situazioni spiacevoli nella preghiera. Mette tutto, anche l’insuccesso, davanti al Padre e rinnova il suo “Sì” [v. 26] poiché comprende che tutto è parte del suo progetto di benevolenza. Il “no” che ha ricevuto diviene un “Sì” svincolato dal successo in vista di una adesione più radicale.
Con la preghiera che si apre al ringraziamento ― «ti rendo lode» ― anche il fallimento, o ciò che noi giudichiamo tale, come il fallimento pastorale, l’assenza di frutti del ministero, la sterilità della predicazione, il rifiuto o il disinteresse degli altri, diviene non causa di scoraggiamento o di abbandono, ma momento di paradossale conferma della sequela del Signore.
È a questo punto che Gesù ci porta nella profondità del suo rapporto col Padre, in quanto Figlio suo. San Giovanni direbbe che è qui che si dovrebbe “rimanere” in quanto discepoli amati. Ma questo discorso, però, ci porterebbe troppo lontano. Matteo, invece, da par suo[3] presenta Gesù come colui che rivela[4] l’intenzione profonda del Padre che solo lui conosce perché solo a lui tutto è stato consegnato.
«Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».
A Gesù è stato dato tutto perché è il Figlio del Padre, colui che il Padre solo conosce, fino a poter dire di lui: «Tu sei il mio Figlio, l’amato» [Mt 3,17; 17,5]. Ma anche Gesù solo conosce pienamente il Padre, Dio, perché da lui è venuto nel mondo, e solo Gesù può far conoscere Dio al suo discepolo, perché nessuno va al Padre se non attraverso di lui [Gv 14,6]. Ecco la rivelazione dell’identità di Gesù, del suo rapporto con Dio e della conoscenza di Dio da parte del discepolo. Siamo al vertice della rivelazione divina di Gesù secondo il primo Vangelo. Questo mistero ora è consegnato al discepolo: mistero da adorare, da accogliere in silenzio, da viversi quotidianamente nella fedele sequela di Gesù che ci porta al Padre.
Il Vangelo ci dice anche a chi è rivolta questa rivelazione e chi può comprenderla. Sono i piccoli (νηπίοις), che in quanto tali sono senza voce. Sono coloro che testimoniano a Giovanni Battista che il regno è qui e non c’è bisogno d’aspettare altro: «i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo» [11, 5]. E il piccolo secondo Gesù è beato perché «non trova in me motivo di scandalo!» [11, 6].
Invece la rivelazione è chiusa per i sapienti ― «Perirà la sapienza dei sapienti e si eclisserà l’intelligenza degli intellettuali» [Is 29,14] ― perché, pur avendo visto e udito, non sono stati capaci di aprirsi alla buona notizia del Vangelo e di accoglierla.
Per tornare all’esempio iniziale, non so se avete fatto l’esperienza di salire in montagna. Quando si arriva sulla vetta, insieme alla soddisfazione di essere arrivati fin lì e godere la splendida visuale su ciò che circonda, la cosa più bella è potersi riposare, lasciare a terra lo zaino e i bastoncini, mangiare e bere, riprendere le forze.
Ugualmente Gesù dopo averci condotto sulla cima del suo intimo e profondo rapporto col Padre ora ci invita a riposare:
«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero» [vv 28-30].
Solo lui conosceva il sentiero, anzi lui stesso si è fatto via [Gv 14, 6], che poteva portarci fin lassù. Ora qui riposiamo e ci ritempriamo, nell’intimità con lui che incarna la beatitudine di coloro ai quali è stata data la terra, che sono figli di Dio, figli nel Figlio[5]. Una terra presa non con la violenza e la guerra perché suo tratto distintivo è la pace, la giustizia e la misericordia[6].
Così Zaccaria prefigurava il Messia nella odierna prima lettura: «Farà sparire il carro da guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni” [Zac 9, 10]. E il salmo gli risponde: «Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature» [Sal 144].
E per finire il giogo. Che cosa avrà voluto dire Gesù? Permettetemi ancora di far riferimento alla montagna. Se c’è una cosa fra le più sconsigliate da fare quando si percorre i sentieri è quella di uscirne fuori, di far di testa propria a sprezzo del pericolo e contro le indicazioni della guida. Soprattutto su certi terreni, non seguire la traccia, vuol dire mettere a rischio sé stessi e il gruppo. In positivo: è consigliabile rimanere in gruppo per non perdere nessuno, procedere sulla via segnata, ascoltare ciò che suggerisce la guida.
Ugualmente nella vita cristiana. Un giogo rimane tale e sembra un peso ed un’imposizione. Ma seguendo la linea che il Vangelo ha tracciato fin qui, nelle parole di Gesù esso appare più come un legame che ci tiene uniti senza assoggettarci. Non siamo per lui buoi muti. Egli la strada la fa con noi e se capita «sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto» (salmo di oggi).
Buona domenica a tutti!
dall’Eremo, 9 luglio 2023
NOTE
[1] ἀποκριθεὶς: rispondendo
[2] Ἐν ἐκείνῳ τῷ καιρῷ: in quel tempo
[3] Qualche commentatore ha colto nella struttura tripartita del brano matteano una somiglianza col testo sapienziale di Sir 51. Un inno di ringraziamento (vv. 25-26), un monologo sul rapporto tra Gesù e il Padre (v. 27) e l’invito a mettersi alla scuola di Gesù e ad assumere il suo giogo (vv. 28-30). in Sir 51 abbiamo un inno di ringraziamento (vv. 1-12), un monologo sulla ricerca della sapienza (vv. 13-22), un invito a mettersi alla scuola della sapienza e a prendere su di sé il suo giogo (vv. 23-30). Non è un caso che in Mt 11,19 si parli delle opere della Sapienza riferendosi alle opere del Messia (cfr. Mt 11,2-6): Cristo è la Sapienza di Dio.
[4] “nulla vi è di nascosto che non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto” (10, 26)
[5] “Beati i miti, perché avranno in eredità la terra… Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5, 5-9)
[6] “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia… Beati i misericordiosi… Beati gli operatori di pace” (Mt 5, 6-9)
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San Giovanni all’Orfento. Abruzzo, Monte della Maiella, fu un eremo abitato da Pietro da Morrone, chiamato nel 1294 alla Cattedra di Pietro sulla quale salì col nome di Celestino V (29 agosto – 13 dicembre 1294).
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