Aldo Moro al mare in giacca e cravatta, vescovi e preti in mutande, noi “preti rigidi” chiamati “farisei” e “formalisti” se osiamo fare richiamo alla dignità sacerdotale

ALDO MORO AL MARE IN GIACCA E CRAVATTA, VESCOVI E PRETI IN MUTANDE, NOI “PRETI RIGIDI” CHIAMATI “FARISEI” E “FORMALISTI” SE OSIAMO FARE RICHIAMI ALLA DIGNITÀ SACERDOTALE

«Quando andavamo in spiaggia, papà indossava sempre la giacca e quando gli chiedevo una spiegazione lui mi rispondeva che essendo un rappresentante del popolo italiano doveva essere sempre dignitoso e presentabile».

 

 

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In questi giorni di calura estiva mi è capitata tra le mani la foto di un nostro statista italiano del Novecento, Aldo Moro, ritratto assieme alla figlia mentre passeggiava sulla spiaggia in giacca e cravatta. La figlia Agnese ricorda:

«Quando andavamo in spiaggia, papà indossava sempre la giacca e quando gli chiedevo una spiegazione lui mi rispondeva che essendo un rappresentante del popolo italiano doveva essere sempre dignitoso e presentabile» (cfr. QUI, QUI).

Foto 1963: Aldo Moro (1916-1978) con la figlia Agnese (1952) a passeggio sulla spiaggia in piena estate

A quei confratelli che non trovando di meglio si rivolgono a me come direttore spirituale o come confessore, sovente ripeto:

«Ciascuno di noi, forse senza neppure rendersene conto, ha come propri modelli quei sacerdoti conosciuti nei delicati anni della fanciullezza».

Ci sono fatti e situazioni in cui si ha la chiara percezione che non tanto siamo invecchiati, ma che siamo considerati vecchi da coloro che hanno trasformato la Chiesa visibile in un teatrino del burlesque.

Quando ero fanciullo andavo per due settimane a una colonia estiva organizzata dalla parrocchia e gestita dalle suore. Non avrei avuto bisogno di andare alla colonia per recarmi al mare, dove i miei familiari avevano delle residenze estive. Più volte mi recai anche con mia nonna materna sulle coste francesi in soggiorno estivo presso sua sorella. I miei genitori mi mandavano a quelle colonie marine, poi in seguito a quelle montane sopra l’Aquila, affinché trascorressi dei periodi di tempo con i miei coetanei.

Nel mese di agosto, all’inizio della colonia marina, tra le 10 e le 11 del mattino giungeva in visita inaugurale il vescovo della diocesi accompagnato dal parroco e dal suo segretario. Bambino di dieci anni che ero ― parliamo quindi di cinquant’anni fa ― tutt’oggi ricordo il vescovo con la sua talare filettata di rosso violaceo e gli altri due presbiteri con quella nera. All’epoca in Italia, l’uso delle talari bianche, era consentito solamente da Napoli in giù. Dopo il saluto rivolto a noi bambini ― come usava all’epoca e come per molti di noi seguita a usare tutt’oggi ―, a uno a uno andammo a baciare la mano destra al vescovo. Quando fu il turno mio, dopo avere baciata la mano al vescovo guardai lui e gli altri due preti e gli domandai se non avessero caldo. Il vescovo sorrise assieme agli altri due e mi rispose:  

«Sì abbiamo caldo, molto! Se però un giorno ti capiterà di vedere un pastore in mezzo al gregge delle sue pecore, noterai che è sempre vestito da pastore, in estate e in inverno. Le pecore il proprio pastore lo riconoscono anche per com’è vestito. Pure il lupo che cerca di aggredire le pecore, se riconosce il pastore sta lontano e non si avvicina».

Da allora è trascorso mezzo secolo esatto, eppure ricordo sempre, non solo le parole, ma persino il tono di voce di quel vescovo, morto ormai da trentacinque anni all’età di novant’anni. Oggi invece, taluni vescovi e preti new generation, dinanzi a racconti di questo genere sorridono, ti lanciano uno sguardo misto a tenerezza e pena, poi, come si dice ai poveri nostalgici, rispondono: «Ma cosa vai a pensare e rinvangare, erano altri tempi!». Siamo sicuri che la dignità e il decoro sacerdotale siano roba di altri tempi?

Nei giorni addietro a Roma si moriva di caldo, tra Borgo Santo Spirito, Borgo Pio e Via della Conciliazione era perlopiù un andirivieni di preti con le camicie a mezze maniche scollacciate, per non parlare delle suorine con le t-shirt bianche che lasciano intravedere i lacci del reggiseno in trasparenza, ed alle quali verrebbe da domandare perché portino il velo in testa, in quelle tenute sarebbe meglio andare senza. Volendo, con il caldo, potrebbero fare a meno anche del reggiseno, se le tette non gli arrivassero all’ombelico. Poi ci sono gli immancabili vescovi con la camicia scollacciata a mezze maniche e la croce pettorale dentro il taschino, affinché il pezzo di catenella lasciata in vista dia l’immagine del “potere” tramite quella che una volta si chiamava “croce pettorale”, oggi si chiama invece “croce panzorale”, perché non sta più sul petto ma pendente sulla panza, oppure “croce tascorale”, perché riposta dentro il taschino della camicia.

Percorrendo Borgo Pio, in direzione di una traversa che si trova poco prima della fine, ben tre gruppi di persone hanno fermato me, il “prete rigido” con la talare addosso, malgrado il caldo; e mi hanno chiesto la benedizione alcuni latinoamericani, altri due gruppetti di persone se potevo benedirgli degli oggetti religiosi appena acquistati. Come di prassi ho benedetto le persone e gli oggetti. Tra questi un giovane mi ha chiesto se non avessi caldo. Gli ho risposto che da sempre soffro molto il caldo e che stavo andando proprio alla lavanderia a ritirare le mie due talari bianche di lino leggero che avevo portato a lavare e che avrei indossato se quel caldo fosse continuato o peggio aumentato. Detto questo ho chiarito:

«Il decoro e la dignità sacerdotale si può manifestare sia vestiti sia mezzi nudi con due stracci sporchi addosso. I nostri vescovi e sacerdoti martiri, morti nei campi di concentramento nazisti o nei gulag comunisti, non erano forse rivestiti anch’essi di grande dignità? Ma siccome noi non siamo né dentro i campi di concentramento né dentro i gulag, è bene stare vestiti dal collo alle caviglie, anche quando fa caldo».

Ho usato altre parole, rispetto a quelle che usò quel vescovo con me mezzo secolo fa, ma la sostanza era quella e l’effetto prodotto penso sia stato lo stesso. Da buon prete “rigido” nessuno mi ha mai visto girare in pantaloncini corti, figurarsi entrare dentro le chiese per celebrare la Santa Messa in quelle condizioni. Nessuno mi ha mai visto al mare in costume da bagno in mezzo alla gente, le pochissime volte che durante l’estate ci vado, all’incirca tre o quattro volte, mi reco in posti isolati e spopolati dove non conosco nessuno e dove nessuno conosce me. Questioni di … rigidità.

O come dicono alcuni cari detrattori ai quali sto particolarmente simpatico e che vagano tranquillamente in braghe di tela dopo avere fatto sei o sette anni di fantastica formazione nel santissimo seminario:

«Non prestategli attenzione, lui non fa testo, non ha fatto nemmeno il seminario, è un rigido!».

Alla prova dei fatti è il caso di dire: «Grazie a Dio!», semmai ricordando a questi lacunosi in storia della Chiesa, oltre che in dottrina cattolica, che il seminario non lo fecero neppure Giovanni Paolo II, Paolo VI e prima di loro neanche Pio XII, quest’ultimo spacciato per allievo dell’Almo Collegio Capranica, dove però stette solo due o tre mesi, giusto per poter dire che era passato per il corridoio di un seminario romano prima di essere ordinato presbitero e catapultato il giorno dopo alla Pontificia Accademia Ecclesiastica. Il privilegio di non avere fatto il seminario non mi concederà certo di diventare Sommo Pontefice, spero però possa concedermi di santificarmi.

Sicuramente, il santissimo seminario, lo ha fatto il Vescovo di Vallo della Lucania, fotografato sorridente in mutande e messo sulla pagina social della sua Diocesi con tanto di goliardica maglietta indosso dell’8X1000 (cfr. QUI), a riguardo del quale qualcuno si domanda pure: come mai da anni, questo gettito a noi destinato dai contribuenti italiani, non è più neppure in calo, ma in caduta libera? Può essere che dipenda da mancanza di rigidità e dalle formazioni eccelse date nei nostri santissimi seminari ai nostri vescovi e preti new generation?

Siccome secondo il meglio del peggio del clericalese ― proprio quello che si impara nei santissimi seminari ―, la tecnica consolidata è quella di rovesciare i fatti e dare poi addosso a chi ha rivolto critiche del tutto legittime, conoscendo certe psicologie pretesche faccio presente che la pronta replica circa il fatto che la foto sarebbe stata rubata da qualcuno e poi pubblicata, non regge; soprattutto perché è stata pubblicata in un primo tempo sulla pagina social della Diocesi con tanto di messaggio ufficiale e poco dopo rimossa. La domanda è infatti a monte e va ben oltre la foto in sé: un vescovo di sessant’anni in condizioni fisiche tutt’altro che toniche e sportive, con abbondanza di pancia e grasso superfluo addosso, è opportuno che faccia il giovincello scendendo nel campo di calcio? A questa domanda pertinente ne segue poi una seconda: i giovani e meno giovani di oggi, sempre più poveri di Cristo e analfabeti in materia di dottrina e di fede, il Vescovo, lo preferiscono in cattedra a insegnare e trasmettere quelle verità di fede ormai perdute, oppure a fare le partite di calcio in una sorta di patetica riedizione delle vecchie e divertenti partite tra scapoli e ammogliati?

 

Dall’Isola di Patmos, 28 giugno 2024

 

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