Giuseppe Betori, un uomo di cultura e un Vescovo che è riuscito nella difficile impresa di farsi benvolere dal presbiterio fiorentino

GIUSEPPE BETORI, UN UOMO DI CULTURA E UN VESCOVO CHE È RIUSCITO NELLA DIFFICILE IMPRESA DI FARSI BENVOLERE DAL PRESBITERIO FIORENTINO

Mentre un misero spacciatore di veleno afferma: «Senza dimenticare che il clero di Firenze è stufo di Betori che ha combinato più danni che altro», in tutti noi risuona invece una domanda che volendo suscita inquietudine nei nostri animi: e dopo?

— Attualità ecclesiale —

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Autore
Simone Pifizzi

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A partire dall’ultima settimana di Avvento e a seguire con le solennità del Santo Natale, i Padri de L’Isola di Patmos ― che prima di essere studiosi e pubblicisti sono anzitutto dei sacerdoti ― sono stati impegnati nelle attività pastorali. Certe solennità, in particolare il Santo Natale e la Santa Pasqua, sono sempre preceduti da predicazioni, confessioni e direzioni spirituali, oggi più che mai tutt’altro che facili, considerati i tempi di smarrimento che stanno vivendo i fedeli cattolici per un verso, noi preti per altro verso. Riprendiamo quindi le attività pubblicistiche su questa nostra rivista con la presentazione di un video molto interessante di cui vi raccomandiamo la visione.

Alla fine del prossimo mese di febbraio il Cardinale Giuseppe Betori, Arcivescovo Metropolita di Firenze, festeggerà il suo 77° genetliaco. Di questi suoi anni di vita ne ha trascorsi 16 alla guida della Chiesa Fiorentina, che si appresta tra un po’ a lasciare nelle mani del suo successore.

Nonostante i giudizi malevoli diffusi recentemente da qualche oscuro personaggio penoso erettosi a giudice intransigente dell’intera gerarchia ecclesiastica (cfr. QUI) e che suole affermare «noi in Vaticano … qua in Vaticano …», salvo non potersi neppure avvicinare ai varchi d’ingresso di quel piccolo Stato Sovrano, nella gran parte del clero fiorentino c’è la consapevolezza che questo vescovo umbro ― pur con i limiti di ogni essere umano ― abbia dato veramente un grande contributo alla sua Chiesa particolare e all’intera Chiesa italiana. Per questo sarà senz’altro rimpianto per l’equilibrio, la lucidità e la profondità teologica e culturale che ha dimostrato nel suo servizio apostolico.

Facendo una analisi realistica dell’ultimo ventennio emergerà che abbiamo avuto modo di sperimentare due tipologie del tutto diverse di vescovi. In passato, tra la fine del pontificato del Santo Pontefice Giovanni Paolo II e il pontificato del Venerabile Benedetto XVI abbiamo avuto la stagione dei “vescovi professori”. Cosa comprensibile, la crisi della dottrina aveva generato situazioni che bene illustrò 14 anni fa il nostro Padre Ariel S. Levi di Gualdo in un suo libro sull’analisi della Chiesa:

«La crisi della dottrina ha generato una profonda crisi della fede che a sua volta ha dato vita a una crisi morale all’interno del nostro clero» (cfr. E Satana si fece trino, Edizioni L’Isola di Patmos, 2010).

Su questo tema è tornato anche di recente il nostro Padre Ivano Liguori con un suo articolo preciso e drammatico:

«Dal disorientamento dottrinale della Chiesa al peccato dei preti e al riciclo dei laici. Prospetto di una cultura intransigente che mentre condanna santifica e santificando condanna» (cfr. QUI).

I cosiddetti “vescovi professori”, alla luce di queste problematiche, di per sé non furono una cattiva idea, ma i risultati non sempre felici, quando incominciammo ad avere alla guida delle diocesi personaggi catapultati da una cattedra universitaria a una cattedra episcopale, perché si tratta di due cattedre sostanzialmente diverse. Vescovi spesso privi di esperienza pastorale che tendevano a rapportarsi ai propri preti come dei docenti con gli studenti o che trasformavano assemblee e incontri del clero in lezioni accademiche, ignorando, spesso non comprendendo proprio, i problemi che tutti i giorni vivevano e dovevano affrontare i loro presbiteri.

Al successivo cambio di vento si incominciò a invocare la necessità di «pastori con l’odore delle pecore», che di per sé non sarebbe un’idea affatto sbagliata, come di fondo non lo era quella dei “vescovi professori”. Purtroppo, quando dietro le apparenti buone intenzioni si insidia però l’ideologia, o se vogliamo la vera e propria prevenzione verso il «principesco» (!?) episcopato italiano, i risultati non possono essere che infelici. E oggi ci ritroviamo con un consistente numero di vescovi tirati fuori dai centri delle Caritas o da non meglio precisate «periferie», capaci solo a parlare di poveri, migranti e «Chiesa in uscita».

Anziché andare avanti siamo stati catapultati all’indietro, a inizi anni Settanta, quando i sessantottini parlavano di «vietato vietare» e di «immaginazione al potere». Sulla preparazione dottrinale e teologica di questi vescovi tutti proiettati in un sociale che abbiamo già visto abbondantemente fallire nei vari ambiti socio-assistenziali e politici, stendiamo per cristiana carità un velo pietoso. Quando infatti il Presidente dei Vescovi d’Italia risponde affermando che «il Vangelo non è un distillato di verità» (cfr. QUI), non c’è molto altro da aggiungere, sia riguardo i «preti di frontiera» o di «strada», sia riguardo la «Chiesa in uscita» che ci appare, più che in «uscita», sull’orlo del fallimento, prova n’è il fatto che si tenta da alcuni anni di risolvere i problemi commissariando tutto il commissariabile possibile e immaginabile, con una unica eccezione: la Compagnia di Gesù.

Il Cardinale Giuseppe Betori, forse uno degli ultimi di una generazione ormai in estinzione, ha saputo mettere la propria scienza e cultura a completo servizio della pastorale. Carattere al primo approccio introverso e timido, nei rapporti con il proprio clero ha mostrato grandi capacità di ascolto e accoglienza, è stato un maestro e un custode della fede, non un professore in cattedra. Ha amato la sua Chiesa e ha saputo farsi amare, persino da coloro che al suo arrivo lo accolsero con quell’aria di sufficienza, sospetto e diffidenza tipica di noi fiorentini, che siamo storicamente soggetti non propriamente facili da reggere, trattare e governare. Le sue omelie, sempre profonde ma al tempo stesso chiare e comprensibili, hanno suscitato stima e rispetto da parte dei fedeli cattolici.

E mentre un misero spacciatore di veleno afferma: «Senza dimenticare che il clero di Firenze è stufo di Betori che ha combinato più danni che altro» (cfr. QUI), in tutti noi risuona invece una domanda che volendo suscita inquietudine nei nostri animi: e dopo?

Firenze, 12 gennaio 2024

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