Enzo Bianchi e il “violino tzigano”: i falsi profeti e le loro sviolinate al Sommo Pontefice

difendere il Santo Padre dai falsi amici

ENZO BIANCHI E IL VIOLINO TZIGANO : I FALSI PROFETI E LE LORO SVIOLINATE AL SOMMO PONTEFICE

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Quanto poi il Papa sia personalmente misericordioso e liberatore, questo è un discorso diverso. Certamente, ha compiuto molti gesti significativi verso i poveri, gli sfruttati, i piccoli, gli emarginati, le famiglie ferite, gli anziani, i malati, gli immigrati; ma ci si può chiedere quanta misericordia usi verso i fedeli turbati e scandalizzati dagli eretici, dai modernisti e da falsi profeti, o se non scambi per misericordia l’eccessiva benevolenza nei confronti dei nemici della Chiesa, o quanta misericordia  ― o se ci sia misericordia ― in certi suoi interventi verso persone, prelati, teologi o istituti tutto sommato benemeriti e fedeli alla Chiesa, magari da lunga data.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli, OP

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Guardatevi dai falsi profeti

Mt 7,15

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BIanchi Papa

Pietro, guardati dai falsi profeti …

In questa giornaliera gara al chi le spara più grosse da parte di non pochi e autorevoli membri dell’Episcopato e della Curia Romana, i Padri de L’Isola di Patmos hanno avviata la rubrica «Difendere il Santo Padre dai cattivi amici», dedicata a smentire una serie di noti modernisti, che, da qualche tempo, si stanno succedendo, con ritmo serrato, sulla passerella loro offerta dai grandi mass-media, per lavorare alla demolizione della Chiesa. Questa volta è di turno Enzo Bianchi, intervistato da Bruno Quaranta ne La Stampa del 14 febbraio scorso [vedere testo intervista QUI]. Questi personaggi sembrano aver concordato tra di loro un piano per adulare e strumentalizzare il Papa in un modo subdolo per gli inesperti, ma smaccato per gli esperti, per cui il cattolico fedele al Papa, che apre gli occhi davanti a queste manovre, prova sdegno e ripugnanza per simili piaggerie, che non fanno altro che il danno della Venerabile Persona del Santo Padre, da loro esaltata in modo così smodato, come facevano i cortigiani degli antichi imperi orientali.

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Punto centrale dell’intervista è il confronto che Bianchi fa tra l’attuale Pontefice e San Giovanni Paolo II. L’elemento di confronto è il tema delicatissimo e importantissimo della libertà. Sappiamo noi cattolici quanto per noi è preziosa la libertà. È la vocazione stessa del cristiano: «Fratelli, siete stati chiamati a libertà» [Gal 5,13]. Ma ecco subito la precisazione: « […] purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate al servizio gli uni degli altri» [v.13]. Si comprende allora quanto sia arduo e delicato, quale saldezza ed oculatezza di criteri di giudizio, quanta finezza di giudizio, quante informazioni, quante verifiche, quanta prudenza, quale discernimento, quante precisazioni siano necessarie, per giudicare un Papa in relazione alla grande, vitale questione della libertà, così strettamente legata al destino dell’uomo, alla storia della Chiesa e all’essenza stessa del cristianesimo.

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Enzo bianchi con Giovanni Paolo II

Enzo Bianchi in visita al Sommo Pontefice  Giovanni Paolo II

Enzo Bianchi, invece, non trova nessuna difficoltà a catalogare in modo categorico, tranchant, con la massima disinvoltura e il più incredibile semplicismo, in tema di libertà, l’intera figura e vicenda di due Pontefici, San Giovanni Paolo II e l’attuale, con l’opporli l’uno all’altro in maniera plateale e radicale; il primo, incastrato nella totale negatività: «la chiusura nella Chiesa, impermeabile qual era alla libertà», dunque un dittatore della risma di Stalin, di Hitler o di Ivan il Terribile; il secondo, innalzato alle stelle: «con lui la libertà si è riconciliata con la Chiesa», come se prima di Papa Francesco la libertà nella Chiesa non esistesse. Chissà se Papa Francesco ha telefonato a Bianchi scongiurandolo di non dire simili sciocchezze.

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Queste due uscite sulla relazione dei due Papi con la libertà denotano in Bianchi la totale assenza di discrezione nel giudicare due grandi personalità, quali sono due Sommi Pontefici, dei quali uno è un Santo canonizzato, che viene offeso con un insulto di estrema gravità, quale non potrebbe lanciargli il peggiore dei massoni o dei comunisti, mentre l’altro, ancora in vita, non può, nella sua umiltà e nel suo buon senso, non sentirsi in imbarazzo nel sentirsi messo, ancora in vita, al di sopra di un Santo Pontefice, e non può non aver trovato estremamente sgradevole, fuori luogo ed offensiva una lode così sperticata, che dimentica che la libertà non ha nessun bisogno di «riconciliarsi con la Chiesa», essendo questa, sotto la guida del Papa e di ogni Papa, libera da sé, per conto proprio e maestra di libertà per tutta l’umanità, fino alla fine del mondo.

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Enzo Bianchi con Benedetto XVI

Enzo Bianchi in visita al Sommo Pontefice Benedetto XVI

Se Bianchi crede che la libertà sia mai stata separata dalla Chiesa o in contrasto con la Chiesa, sì che possa essere stato necessario «riconciliarla» con la Chiesa, vuol dire ch’egli non sa che cosa è la libertà o ne ha un concetto massonico o liberale e crede che la Chiesa debba imparare la libertà dalla massoneria o dal liberalismo, pertanto il suo è un concetto sbagliato della libertà. Perché al contrario, la vera libertà è solo quella insegnata e praticata dalla Chiesa. Se può esistere una libertà che si riconcilia con la Chiesa, sarà la falsa libertà che diventa vera ascoltando l’insegnamento cristiano sulla libertà e imitando la prassi cristiana della libertà. Una Chiesa senza libertà non esiste, anche se in essa possono esistere cristiani che non vivono la libertà dei figli di Dio.

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Enzo Bianchi si contraddice, quando nega che San Giovanni Paolo II sia stato promotore di libertà, mentre gli riconosce il merito della sua ostilità al comunismo e la sua apertura al dialogo ecumenico. Riguardo al primo punto, Bianchi ignora completamente quale lottatore sia stato Giovanni Paolo II da Papa e prima di diventare Papa, contro la tirannide comunista per la libertà della Chiesa, della sua patria e della stessa umanità. Riguardo al secondo punto, è evidente che il dialogo ecumenico è somma espressione di libertà religiosa.

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La libertà promossa da Giovanni Paolo II nella Chiesa è stata vera libertà, fondata sullo zelo per la sana dottrina, giacché è la verità che rende liberi [cf Gv 8,32]. Così, se da una parte, con l’aiuto del valoroso Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede il Cardinale Joseph Ratzinger, il Papa ha difeso validamente la dottrina della fede contro diversi errori insorgenti, dall’altra egli ci ha lasciato la poderosa enciclica Veritatis Splendor, nella quale il grande Pontefice ci propone, tra l’altro, un ampio insegnamento sulla libertà cristiana nel suo rapporto con l’atto morale, la coscienza, la legge morale, la virtù e il vizio, la grazia, la Parola di Dio e il fine ultimo dell’uomo.

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Enzo Bianchi in Piazza San Pietro rende omaggio al Sommo Pontefice Benedetto XVI

Viene da chiedersi in base a quale concetto di libertà Bianchi osi parlare, a proposito di San Giovanni Paolo II, di «chiusura nella Chiesa, impermeabile qual era alla libertà». Evidentemente egli non si riferisce a quella libertà che il Papa ha descritto nella Veritatis splendor, fondandosi sulla quale ha governato la Chiesa, ed ha quindi respinto la libertà di Bianchi, che Paolo avrebbe definito «secondo la carne» [Gal 5,13]. E come è scriteriato per un verso ― oltre che empio, trattandosi di un Santo ― il giudizio di Bianchi su San Giovanni Paolo II, altrettanto è scriteriato nel senso opposto e smaccatamente adulatorio lo è il giudizio sull’attuale Pontefice, che indubbiamente è contrario alla chiusura e al conformismo intellettuale, al legalismo farisaico e ad un rigido tradizionalismo, è attento alla libertà religiosa e della coscienza, alla liberazione dei poveri e degli oppressi, alla libertà dei figli di Dio, aperto alla novità dello Spirito, sensibile al pluralismo culturale e religioso, all’ecumenismo, al dialogo, all’elasticità e duttilità delle scelte, attento ai casi concreti, allo spazio di libertà nei confronti della legge.

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Sarebbe ridicolo considerare Papa Francesco tout court come il «riconciliatore della libertà con la Chiesa», come se la Chiesa di Giovanni Paolo II sia stata in conflitto con la libertà, affermazione falsa, ingiusta e blasfema nei confronti della Chiesa e dei precedenti Pontefici, falsità comprensibile sulle labbra di  un massone o di un liberale o di un mazziniano o di un comunista, ma non certo di un monaco cattolico, e tanto meno di un profeta, quale Bianchi passa per essere presso molti.

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Il fatto di accorgerci dei limiti nei quali il Papa si fa promotore di libertà nella Chiesa, lo sentiamo come motivo in più per esprimere la nostra devozione filiale e volontà di essergli vicino nelle prove e di aiutarlo, difenderlo e sostenerlo, per quanto sta in noi, nel suo servizio alla Chiesa universale ed all’umanità. Nascondere al fratello i suoi difetti, veri o apparenti, fosse anche il Papa, per lanciarsi imprudentemente in iperboliche e ridicole adulazioni, come fa Bianchi, non è vero rispetto, non è franchezza, non è obbedienza, non è sincerità, non è carità, non è confidenza, non è fiducia, non è misericordia, non è collaborazione, non è fedeltà, soprattutto quando gli stessi criteri di giudizio, come nel caso di Bianchi, non sono desunti dal Vangelo, ma dallo spirito mondano. Ebbene, se il Papa ovviamente, in quanto Papa, in forza dell’assistenza dello Spirito Santo, non può non avere idee corrette, sulla libertà, invece, in quanto pastore e uomo di governo, non è al riparo dai difetti a causa della sua fragilità umana. Egli infatti si mostra troppo indulgente e quasi timido verso i modernisti, e viceversa repressivo, troppo severo, verso i tradizionalisti. I primi li lascia troppo liberi, cosicché ne approfittano per causare grande danno alla Chiesa; degli altri coarta la libertà, tenendo inutilizzate o addirittura reprimendo forze sane, che potrebbero invece essere fruttuosamente impiegate per il bene della Chiesa. È interessante come in un recente incontro ecumenico, il Papa, richiesto di un parere su Lutero, ha rimandato al Cardinale Walter Kasper, confessando candidamente di «aver paura» di lui, come potrebbe fare uno scolaretto davanti al maestro.

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Enzo bianchi con Francesco

Enzo Bianchi rende omaggio al Sommo Pontefice Francesco I poco dopo la sua elezione al sacro soglio

Giustamente il Papa si è proposto di portare avanti le riforme del Concilio Vaticano II; ma accentua troppo la tendenza buonista del Concilio, quando invece, dopo cinquant’anni nei quali abbiamo sperimentato il danno che la tendenza buonista arreca alla Chiesa, si sente sempre più la necessità, senza per questo rinunciare alla maggiore comprensione della misericordia apportata dal Concilio, di  ripristinare o ritrovare o riscoprire, senza vane nostalgie di un passato che è passato, la funzione educatrice, liberatrice e correttiva della disciplina umana e divina, nonché della chiarezza, saldezza e fermezza dei princìpi della ragione e delle fede, del dogma e della morale. Il Papa, invece, purtroppo, paradossalmente, sembra voler imporre il buonismo con la forza. Per cui ci sono adesso dei Superiori, pedestri seguaci del Papa, che castigano coloro che sostengono l’esistenza dei divini castighi.

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La libertà va certamente disciplinata e regolata dalla legge, per evitare l’anarchia e il buonismo individualista, relativista e liberale dell’homo homini lupus. Infatti il buonismo è il peggior nemico della bontà e quindi della libertà. La libertà va edificata nella libertà e se, in casi gravi, bisogna ricorrere alla coercizione, ciò va  sempre fatto per difendere e per promuovere la libertà.

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Enzo Bianchi e il Cardinale Carlo Maria Martini

Si vede che il Papa ha ricevuto una formazione progressista, forse rahneriana; per cui, se non ha difficoltà ad apprezzare la libertà, il concreto, il divenire, il moderno, il nuovo, il progresso e la storicità, fa fatica ad apprezzare, ovviamente senza respingerli, i valori astratti, immutabili, universali, assoluti e tradizionali. Inoltre, il Papa stesso, da molti segni e fatti, non pare pienamente libero di estrinsecare in pienezza le sue facoltà apostoliche; ma si ha l’impressione che sia attorniato da invadenti e intriganti collaboratori, i quali, per la loro falsa obbedienza al Papa ed incongruenza con i doveri del Papa, sembrano, più che essere oggetto di una libera scelta del Pontefice, essere essi stessi, con arti diaboliche e chissà quali false promesse, ad imporglisi, o forse sono a lui imposti da astute e potenti forze estranee, nocive alla Chiesa e al Papa stesso, probabilmente la massoneria, la quale si mostra benevola verso il Papa per acquistare credito e ingannarlo meglio, in attesa di colpirlo quando lo avrà reso più debole. Egli, peraltro, che parla spesso del demonio, deve aver sentore di ciò, ma probabilmente non sa come liberarsi.

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Difficile sapere con quanta libertà il Papa si muova e quanto egli invece è frenato da oscure o palesi forze dannose, esteriormente ossequienti, ma nascostamente nemiche. Ma questa situazione anomala di un Papato impotente, ostaggio di finti amici, si trascina ormai sin dai tempi del Beato Paolo VI, le cui stasi, omissioni, inavvertenze, ingenuità, eccessivi riguardi, tergiversazioni, tentennamenti, incapacità e debolezze, non furono dovuti a vere colpe, perché fu un Santo, ma ai suoi umani limiti oggettivi, dei quali hanno perfidamente saputo approfittare tenebrosi cospiratori, diabolici personaggi e astuti collaboratori, facendo leva su di una massa di fedeli indebolita nella fede e disorientata, preda di quei lupi travestiti da agnelli.

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Enzo Bianchi e Nunzio Galantino

Enzo Bianchi durante una conferenza, alla sua sinistra il Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana S.E. Mons. Nunzio Galantino

È rimasta storica, per esempio, la cocente delusione di Paolo VI per il tradimento del Cardinale Léon-Joseph Suenens, prima  da lui molto apprezzato; e, per fare un altro esempio, si accorse troppo tardi dei guai combinati nella liturgia da Mons. Annibale Bugnini. Così pure, ingannato dai rahneriani, non pensò mai a condannare Karl Rahner, mentre quello sarebbe stato il momento giusto. Ebbe sentore soltanto minimo delle eresie di Edward Schillebeeckx, che trattò con troppi riguardi. Solo San Giovanni Paolo II cercò di rimediare, ma ci riuscì solo in parte, perché non ebbe l’appoggio dell’Ordine Domenicano.

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Per questo, nel regolare l’esercizio della libertà nella Chiesa, Papa Francesco stenta ad attuare la giustizia, e per conseguenza compromette anche l’esercizio della misericordia, che pure gli sta tanto a cuore, per il fatto che la misericordia suppone che riconosciamo con giustizia i meriti altrui, soprattutto se siamo costituiti in autorità, sostenendo e premiando i buoni e reprimendo i malvagi. Solo a questo punto il misericordioso interviene sollevando i deboli e perdonando ai pentiti. Ma i ribelli impenitenti, che magari vorrebbero i favori divini, senza mutare la loro volontà perversa, costoro è bene che continuino ad essere puniti. In questi casi non è Dio che è “perverso”, come vorrebbe Bianchi: sono loro che sono perversi.

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Enzo Bianchi e Paolo Romeo

Enzo Bianchi nella chiesa cattedrale con l’allora Arcivescovo Metropolita di Palermo Cardinale Paolo Romeo

Nel proprio falso giudizio sul Papa, Bianchi sembra voler presentare il Santo Padre come un liberalone permissivo sulla linea di Marco Pannella o di Emma Bonino. Ma, se meditiamo con attenzione sul suo grossolano peana al Papa: «con lui la libertà si è riconciliata con la Chiesa», che ho già commentato, e sulle parole che immediatamente seguono, allora scopriamo il suo gioco. Fermiamoci infatti su queste parole e valutiamone il peso. Bianchi qui la spara grossa, come se quello che ha già detto non bastasse. Ma adesso capiamo cosa egli vuol dire. Dice infatti che Papa Francesco sarebbe «artefice di gesti fino a ieri inconcepibili». Ecco, dunque, il mito escatologico e fantapolitico del Papa rivoluzionario che piace a Eugenio Scalfari, che in realtà, del Papa, non ha capito niente. O del Papa che, secondo i comunisti, sta coagulando nel mondo tutte le forze di sinistra, speranza dei castristi cubani e dei rivoluzionari argentini, terrore dei capitalisti americani.

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A me settantacinquenne, che ho vissuto il famoso Sessantotto quand’ero studente all’Università di Bologna, dove studiai prima di intraprendere la via vocazionale verso la vita religiosa ed il sacerdozio ministeriale, sembra di essere tornato a quei tempi, come se da allora la storia non fosse andata avanti, e come se la calamitosa messa in pratica, nei decenni successivi delle idee di quei fanatici esaltati, non fosse sotto gli occhi di tutti. Ma la cosa esilarante è che questi pericolosi attardati si considerano progressisti e riformatori della Chiesa, prendendo magari Lutero a modello e interprete del Concilio Vaticano II! Ecco allora le grida di giubilo delle povere masse manovrate dai vari Bianchi: «Un Papa così non si è mai visto!», «finalmente il Papa che ci piace!», «il Papa di tutti!» e balle di questo genere, solo che queste balle fanno presa su molti ingenui, ingannati dai modernisti, che vorrebbero presentare un Papa camaleontico e modernista, e molti abboccano o per piangere o per ballare.

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Enzo Bianchi con arcivescovo di Palermo

Enzo Bianchi di nuovo nella cattedrale di Palermo con il nuovo Arcivescovo S.E. Mons. Corrado Lorefice, che lo ha invitato a parlare poco dopo la sua elezione alla sede vescovile

Ma in che consisterebbero questi «gesti fino a ieri inconcepibili»? Non credo che Bianchi pensi qui a quando il Papa è andato da solo dall’ottico in città a farsi riparare gli occhiali o ha confessato un ragazzo in Piazza San Pietro, o quando lo si è visto senza le scarpe rosse. Dev’essere qualcosa di ben più serio e importante per Bianchi, ossia «gesti» che fino a Papa Bergoglio apparivano inconcepibili e che invece il Papa ha messo in opera. Ora, ciò che diventa «concepibile» con il Papa attuale e che prima, sembra ab immemorabili, “inconcepibile”, Bianchi non lo specifica, ma, guardando al contesto e in particolare alle sue idee sulla libertà e a ciò che dice sul tema per ciascuno dei due Papi, lo si può ben immaginare.

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Quali sono questi gesti che resteranno alla storia dei secoli futuri? La risposta non sembra difficile e si ricava facendo riferimento al confronto che Bianchi fa tra i due Papi in tema di libertà e alle sue idee sulla libertà: ne risulta che per Bianchi Bergoglio ha rovesciato l’idea wojtyliana tradizionale della libertà, sostituendo quella vera a quella propria di una Chiesa illiberale, autoritaria e dispotica nei secoli e forse millenni precedenti. Ma posto che San Giovanni Paolo II, santo come è stato, è invece un grande maestro ed eroico testimone di libertà, che conseguenza ne viene? Che il buon Bianchi, profeta dilettante, opponendo stoltamente in tema di libertà San Giovanni Paolo II al Papa attuale, viene logicamente ad attribuire a questi un falso concetto della libertà, credendo con ciò di osannare nel Papa il sensazionale scopritore o riscopritore della libertà cristiana.

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Con questa gigantesca spacconata, Bianchi rende in ciò al Papa un buon servizio? O tutto si risolve in una penosa buffonata, umiliante ed offensiva per lo stesso Papa Francesco, che vi avrà fatto su una grande risata, ma non senza amarezza, nel constatare fino a che punto può abbassarsi un suo figlio, peraltro non privo di doti spirituali?

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Enzo bianchi predica ai sacerdoti di siena

Enzo Bianchi tiene un ritiro spirituale al clero dell’Arcidiocesi di Siena nel seminario arcivescovile, attualmente chiuso per mancanza di vocazioni

Ma qui allora casca l’asino; comprendiamo il perchè dei giudizi di Bianchi sui due Papi, sicché egli scopre il suo gioco. Bianchi, nel momento in cui respinge il tradizionale concetto cattolico di libertà fino a Papa Bergoglio, non può che cadere proprio in quella concezione carnale ― oggi diremmo liberale ― della libertà, che San Paolo esclude e condanna [Gal 5,13], finendo col far dire al Papa quello che è assolutamente estraneo al suo pensiero di Maestro della Fede. E detto questo ricordo che La condanna della concezione liberale della libertà è ormai di vecchia data: la troviamo negli insegnamenti del Beato Pio IX e nell’enciclica di Leone XIII Libertas praestantissinmum del 1888. Tale concezione, originata dal soggettivismo luterano e dall’antropocentrismo rinascimentale, giunge al culmine o alle estreme conseguenze nell’idealismo di Hegel, che pareggia la libertà umana addirittura a quella divina: «la volontà vuole se stessa». Tale concezione panteistica è ripresa da Rahner, duramente criticato dal Ratzinger nel suo libro Les principes de la Théologie catholique [Cf. Téqui, Paris 1982, pp.187-188]. È quella libertà, a proposito della quale Emanuel Mounier, onesto cattolico di sinistra degli anni Trenta e amico del Maritain, proclamò, in un programma di filosofia politica rimasto famoso: «Bisogna liberare la libertà dai liberali». Questa  libertà nulla ha a che vedere con la vera libertà cristiana, nell’obbedienza al Magistero della Chiesa, libertà che si basa sulla verità cf. Gv 8,32] e consiste nel rispetto della legge, quella libertà che non dà alcuno spazio ai “conflitti”, ma che è il clima della loro soluzione, libertà che sa evitarli nella carità e accettazione reciproca, dando spazio invece a un legittimo pluralismo e ad un sereno confronto di opinioni, nell’unità liberamente condivisa dell’unica e comune verità di fede, nella piena comunione con la Chiesa ed obbedienza ai legittimi pastori.

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L’opposizione che Bianchi vorrebbe trovare tra San Giovanni Paolo II ed il Santo Padre Francesco in tema e pratica della libertà, è del tutto falsa. In entrambi la libertà è congiuntamente libertà di scelta responsabile ed operosa, oltre che dono di Dio, che fa grazia e misericordia. San Giovanni Paolo II accentuava maggiormente le basi metafisiche, razionali e dogmatiche della libertà, che è espressione somma della comunione ecclesiale, creata dallo Spirito Santo. A Papa Francesco stanno invece più a cuore il dinamismo e l’inventiva della libertà, come espressione privilegiata della persona creata ad immagine di Dio e mossa dallo Spirito Santo, al servizio dei fratelli, soprattutto dei più poveri e sofferenti.

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Enzo Bianchi in cattedrale ad arezzo

Enzo Bianchi tiene una conferenza nella cattedrale di Arezzo, alla sua destra il Vescovo della Città S.E. Mons. Riccardo Fontana

Non c’è dubbio che l’insistenza con la quale Papa Francesco ha presentato il cristiano come uomo della misericordia, ha uno stretto rapporto con l’ideale della libertà. Effettivamente, il misericordioso è un liberatore: liberatore dalle miserie del corpo e dello spirito, liberatore dal potere di Satana. Il giusto, invece, ricompensa i meriti, fino a togliere la libertà ai malfattori. Quanto poi il Papa sia personalmente misericordioso e liberatore, questo è un discorso diverso. Certamente, ha compiuto molti gesti significativi verso i poveri, gli sfruttati, i piccoli, gli emarginati, le famiglie ferite, gli anziani, i malati, gli immigrati; ma ci si può chiedere quanta misericordia usi verso i fedeli turbati e scandalizzati dagli eretici, dai modernisti e da falsi profeti, o se non scambi per misericordia l’eccessiva benevolenza nei confronti dei nemici della Chiesa, o quanta misericordia  ― o se ci sia misericordia ― in certi suoi interventi verso persone, prelati, teologi o istituti tutto sommato benemeriti e fedeli alla Chiesa, magari da lunga data.

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L’intervistatore tenta poi di scavare più a fondo nell’anima di Bianchi e qui veniamo a scoprire la radice teologica del suo liberalismo: un “cambiamento nell’idea di Dio”, in pratica … dal Dio cattivo al Dio buono (!?). Dice infatti Bianchi: «Negli anni della mia formazione Dio risaltava come un giudice, severo. Un volto che mano a mano mi apparirà perverso. Gesù Cristo è l’unica narrazione di Dio. Non riuscirei a credere in Dio senza Cristo». E da queste parole vediamo come Bianchi abbia abbracciato il misericordismo fideista di origine luterana. Il suo percorso spirituale è simile a quello di Lutero: partito da un Dio che lo rimproverava dei suoi peccati, il Dio “severo” e “punitore” dell’Antico Testamento, ha cominciato a provarne insofferenza, e ad apparirgli “perverso”; e allora, per essere “libero”, senza troppe preoccupazioni o sensi colpa, si è immaginato e foggiato un Dio buono e tenero, che sarebbe il Dio del Nuovo Testamento, dolce e “misericordioso”, perdonante, Gesù Cristo, che scusa tutto, non punisce e gli ha già promesso il Paradiso. Si tratta, in sostanza, dell’antica eresia di Marcione. Non risulta che Lutero ne fosse consapevole. Ma il fatto resta.

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enzo bianchi duomo di padova

Enzo Bianchi tiene una conferenza dall’ambone della cattedrale di Padova

Così come è forzata l’immagine bianchiana del Dio dell’Antico Testamento,  altrettanto lo è quella della bontà di Gesù Cristo, tutto e solo svenevole tenerezza, completamente rammollito, come quei piumini, che, se vengono colpiti da un pugno, il pugno sprofonda senza incontrare resistenza. Col Dio dell’Antico Testamento non si scherza. Invece col Dio “buono” del Nuovo, per chi lo offende, non ci sono conseguenze spiacevoli: si è sempre perdonati. Ecco allora che il Cristo che si immagina Bianchi non è quello reale, ma, volendo dare un parere psicanalitico, è il sogno puerile del bambino che vuol poter fare le sue marachelle senza essere punito dal papà. Ricordo che già quando ero alle scuole elementari, c’erano dei miei compagnucci birichini o «compagnacci», per usare il linguaggio savonaroliano, per i quali le maestre “buone” erano quelle che non punivano, mentre le altre erano le “cattive”.

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La cristologia buonista di oggi è l’espressione accademicamente paludata, con citazioni da Bultmann, Rahner e Lutero, di una psiche rimasta ferma a quel livello dello sviluppo mentale ed emotivo. A questa cristologia svampita e gelatinosa corrisponde una mariologia pacioccona e dolciastra, nella quale la Madonna “misericordiosa” è una di quelle mamme “moderne”, che accontentano il figlio unico in tutti i suoi capricci, non gli fanno mai il minimo richiamo o la minima correzione, perché possano crescere “liberi” e “fare le loro scelte”. E invece vengono fuori dei frustrati intolleranti, come certi teologi e vescovi dei nostri giorni.

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Enzo Bianchi ad un convegno sulla liturgia a Gubbio, alla sua destra il Vescovo S.E. Mons. Claudio Maniago, all’epoca Ausiliare dell’Arcidiocesi di Firenze

In realtà il Dio del Vangelo è più severo del Dio di Mosè, e ciò è del tutto logico, appunto perchè il Dio di Cristo è più misericordioso del Dio di Mosè. Mentre infatti il Dio dell’Antico Testamento si limita ad inviare semplici profeti, il Dio Padre del Nuovo Testamento ci manda il Suo stesso Figlio a renderci figli di Dio e a morire sulla croce per noi. Di conseguenza, l’etica cristiana è più esigente [cf. Mt 5, 20-43], appunto perché, come etica dei figli di Dio, ad immagine di Cristo, è l’etica di coloro che, essendo oggetto di una maggiore misericordia, ossia vivificati e fortificati da una grazia maggiore, e maggiormente illuminati dalla verità, sono tenuti ad una «maggiore giustizia» [cf. Mt 5,20], a una maggiore virtù ― la carità ― ed a migliori opere buone ― le opere della misericordia ― , anche se è vero che il cristianesimo, facendo meglio conoscere la debolezza umana, insegna una maggiore misericordia, tolleranza e comprensione  verso il prossimo. Ma nel contempo, il Vangelo, mostrandoci meglio i segreti del cuore umano, ci fa meglio conoscere la malizia del peccato, per cui è più severo nei confronti del peccatore. Da qui il severo, ma salutare avvertimento della Lettera agli Ebrei: «fratelli, se pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità», cioè del Vangelo, «non rimane alcun sacrificio per i peccati», ossia il culto divino diventa inutile ipocrisia, «ma soltanto una terribile attesa del giudizio e la vampa di un fuoco che dovrà divorare i ribelli», altro che misericordia! «Quando qualcuno ha violato la legge di Mosè, viene messo a morte senza pietà sulla parola di due o tre testimoni. Di quanto maggior castigo allora pensate che sarà ritenuto degno chi avrà calpestato il Figlio di Dio e ritenuto profano quel sangue dell’Alleanza, dal quale è stato un giorno santificato e avrà disprezzato lo Spirito della grazia?» [Eb 10, 26-29]. E ciò accade anche nei rapporti umani. Infatti, se io mi mostro verso una persona più benevolo e misericordioso che con altre, non avrò forse motivo di attendermi da quella persona una maggiore riconoscenza e, per conseguenza, di sentirmi più offeso, se tale riconoscenza non giunge o addirittura quella persona mi ripaga con l’ingratitudine e il disprezzo?

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il … “Padre” Enzo Bianchi

In queste teologie del Dio “cattivo”, c’è la confusione tra il concetto del castigo e quello della crudeltà. Manca il vero concetto del castigo, per cui non si riesce a distinguere un castigo giusto da un castigo ingiusto. Il castigo come tale è sempre ingiustizia, crudeltà, e violenza o rivalsa rancorosa. Non c’è l’idea del castigo come ristabilimento della giustizia violata, ma come rappresaglia della persona offesa, tale da scatenare una sequela di odî e di vendette senza fine. Non ci si interroga su chi dei due contendenti ha ragione, perché non si crede in una verità oggettiva, assoluta ed universale. Il vero è ciò che penso io. Il giudice stesso in tribunale non è visto come un arbitro, rappresentante di una legge comune ed uguale per tutti, ma come il nemico che ci perseguita. E lo stesso giudizio divino viene visto così, come confessa candidamente Bianchi. L’importante è rispondere pan per focaccia in base alla “propria” verità. E questa dialettica senza fine, maledetta ed infernale, viene applicata persino nel rapporto tra l’uomo e Dio. L’uomo si sente un Prometeo, vittima innocente di un Dio invidioso e vendicativo, che, con i suoi castighi e i terremoti, vorrebbe fargli paura, schiacciare la sua libertà e renderlo suo schiavo. E queste concezioni sono quelle che, col protesto della volontà di pace, della mitezza cristiana e del “perdono”, non ammettono alcuna distinzione tra guerra giusta e guerra ingiusta, tra ira giusta e ira ingiusta, tra l’assalto del delinquente e quello del carabiniere, e riducono a violenza, odio o ingiustizia qualunque forma virtù bellica, di valor militare, di coercizione o di uso della forza.

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È chiaro che se attuassimo rigorosamente le esigenze di questo pacifismo ipocrita e imbelle, occorrerebbe sciogliere le forze armate, l’Arma dei Carabinieri, la Guardia di Finanza e il Corpo degli Alpini, abolire le carceri, distruggere il codice di diritto canonico, come fece Lutero, e tante altre forze e istituzioni del genere, mentre l’ordine giudiziario apparirebbe come il sistema della malvagità e gli stessi àrbitri delle partite di calcio sarebbero aboliti. Lo stesso dicasi dei castighi e della giustizia divini. Ma ― così ragiona Bianchi insieme con tutti i buonisti ―, siccome Dio è buono, Dio non castiga, ma approva o perdona tutto quello che faccio e che mi piace. E invece dobbiamo dire che Dio ci promette sì misericordia, ma a patto che scontiamo le nostre colpe. I profeti ci annunciano un Dio giusto e misericordioso. Arrabbiarsi o sentirsi offesi davanti agli avvertimenti dei profeti, è da stolti e, ben lungi dall’attirare la misericordia divina, aumenta l’ira. Saggia cosa invece è quella di far penitenza come fecero gli abitanti di Ninive alla predicazione di Giona. È infatti solo sforzandosi di evitare il peccato col santo timor di Dio, accettando da Dio, umilmente, serenamente e fiduciosamente, prove e castighi come fattori di  riparazione e purificazione, che ci si prepara a ricevere la divina misericordia e ad entrare in intimità con Dio, come dice Sant’Agostino: «Per essere riempiti, bisogna prima svuotarsi. Tu devi essere riempito del bene e quindi devi liberarti dal male. Supponi che Dio voglia riempirti di miele” (ecco la misericordia). “Se sei pieno di aceto, dove metterai il miele? Bisogna liberare il vaso da quello che conteneva, anzi occorre pulirlo. Bisogna pulirlo magari con fatica e impegno, se occorre, perché sia idoneo a ricevere qualche cosa» [cf.Trattati sulla Iª Lettera di San Giovanni, Tratt. 4,6; PL 2008-2009]. Ecco la funzione dell’ascetica, ecco la funzione purificatrice delle sventure e dei castighi, quelle che San Giovanni della Croce chiamava «purificazioni passive» e delle quali il “profeta” Bianchi, come Lutero, pare non sapere nulla o averne orrore, perchè vorrebbe godere subito e a basso prezzo della mistica, senza la dovuta preparazione consistente nell’accettazione fiduciosa della divina giustizia.

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l’accoppiata vincente: Enzo Bianchi e Luigi Ciotti …

Nei buonisti come Bianchi manca invece il concetto stesso del castigo o della sanzione penale come espressione della giustizia umana e divina. Sembrano non capire che è bene e giusto che chi fa il male subisca per contrappeso o anche, come si dice, per “contrappasso”, quel male stesso che ha fatto ― “chi la fa, l’aspetti” ―, in modo tale che il peccatore stesso, anche se contro voglia, venga riportato nell’ordine, nel che consiste la pena o punizione. Il delinquente contrae un debito con la giustizia, che deve pagare. Infatti, la giustizia deve compensare, restituire, rimettere ordine, riportare al suo posto ciò che è fuori posto e rendere diritto [Recht in tedesco, right in inglese] o raddrizzare ciò che è storto. In tal modo la giustizia ricompensa il merito, ripara il torto fatto, dà soddisfazione all’offeso, toglie il male del disordine, ma può restare la giusta pena. La misericordia, oltre a togliere il disordine, toglie la colpa e la pena. E quindi la giustizia è un pareggiare, un rendere uguale, un bilanciare, non pendere né da una parte né dall’altra, senza parzialità, senza accezione di persone, senza fare favoritismi, ma riconoscendo a ciascuno il proprio diritto e i propri meriti (unicuique suum), con equilibrio ed equità. Questo significa il simbolo della bilancia, che vediamo nella statua della Giustizia nei nostri tribunali.

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Il fatto innegabile che in questa vita spesso gli innocenti sono colpiti dalle sventure, mentre i malfattori la fanno franca, crea dubbi sulla divina giustizia. Ma bisogna considerare tre cose: prima, che lo stesso disordine nella distribuzione delle pene è conseguenza del peccato originale. Seconda, che la giustizia divina comanda bensì alla giustizia umana, civile ed ecclesiastica di amministrare bene la giustizia, ma purtroppo, a causa delle conseguenze del peccato originale o di errori o di peccati dei giudici, la giustizia umana è difettosa. Terza, Dio non sempre punisce subito i malfattori, perchè vuole dar loro tempo per pentirsi [cf. Is 30,18; Sap 12,19; II Pt 3,9]. Ma se essi perseverano nella colpa, giunge prima o poi, in un modo o nell’altro, la resa dei conti, che può comportare anche la pena dell’inferno. Dio dimentica, quando perdona; ma ricorda, quando deve punire.

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«Danzare all’inferno», diceva Nietzsche. È così anche per Bianchi? E qui è bene fare un breve discorso su questo argomento. Bianchi, commosso dalla divina misericordia, ci assicura: «Canterò la tua misericordia anche stando all’inferno». Io credo che nell’Inferno ci sia poco da cantare. E se posso immaginare  qualche canto, certamente non si tratterà dei cori degli angeli rappresentati negli affreschi del Beato Angelico, e mi ripugna assolutamente che il canto di Bianchi possa essere un inno alla divina misericordia, atteso che uno si danna proprio perchè odia la divina misericordia e ritiene di non averne alcun bisogno, dato che, a suo giudizio, non aveva fatto niente di male e non ha bisogno di niente, come rispose Adolf Eichmann, il boia di Auschwitz, interrogato, il giorno prima dell’esecuzione, se era pentito di quello che aveva fatto. O semmai posso pensare a qualche inno blasfemo, come l’Inno a Satana del Carducci, o come quelli che si trovano nelle sètte sataniche o sono intonati nei riti magici, come per esempio in Proclo, Giamblico o Giordano Bruno, o in quelli pagani o woodoo, o quelli prodotti o dalla musica rock o dal comunismo o dal nazismo o dalla massoneria esoterica.

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Enzo Bianchi parla della propria idea soggettiva di misericordia

Queste parole assurde di Bianchi  fanno venire in mente l’altrettanto assurda e blasfema espressione di Lutero, il quale, convinto dell’esistenza di una predestinazione divina alla dannazione, giunse ad affermare che egli sarebbe andato volentieri all’inferno, se quella doveva essere la volontà di Dio. Resta sempre e comunque impossibile percepire il Dio misericordioso senza prima accettare il Dio giusto. È dal Dio dell’Antico Testamento che si giunge a comprendere Gesù, Dio del Nuovo Testamento. È perché conosciamo Dio in base alla ragione, che possiamo giungere, nella fede, a credere in Cristo. Il Vangelo è annuncio della possibilità di ottenere la vita eterna, offerta a tutti, ma esso pone delle condizioni per ottenerla: «Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti» [Mt 19,17]. C’è la possibilità di ottenere misericordia; ma occorre fare penitenza. Cristo promette la possibilità di entrare nel regno di Dio, ma avverte che chi non crede, sarà condannato [Mc 16,16].

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Il Vangelo suppone che è nelle possibilità dell’uomo scegliere o per Dio o contro Dio. Il regno di Dio è dono della grazia; eppure occorre conquistarlo [Mt 11,12]; è un “premio”, per il quale occorre gareggiare [I Cor 9,24]; è una “perla preziosa”, che dev’essere comprata [Mt 13,45]; è la paga del buon operaio [Mt 20,1]. Ma anche il merito è dono della grazia. Tutto l’agire buono del giusto, in fin dei conti, è dono di grazia e di misericordia. Ma se la scelta è contro Dio, ecco entrare in funzione la giustizia punitrice, fino alla pena infernale. Il Vangelo, quindi, arreca gioia agli umili, agli afflitti, a coloro che cercano Dio, che sono pentiti dei loro peccati, che hanno rispetto per la giustizia divina e credono nella sua misericordia; ma ai superbi, agli impenitenti, ai malvagi, la promessa del perdono divino della vita eterna non interessa, perché sono già pieni di se stessi, a loro basta la vita presente e non ritengono di aver bisogno di perdono, mentre la minaccia dei castighi divini li irrita e li fa bestemmiare.

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Enzo Bianchi ospite sulla rivista del Clero Italiano, nella quale mai sarebbero ospitati scritti e articoli di molti illustri presbìteri anziani con una vita trascorsa a servire la Chiesa e il Popolo di Dio

Bianchi capovolge il cammino dello spirito: occorre dire con tutta fermezza e chiarezza che noi non potremmo accettare Cristo, se non credessimo in Dio. Come infatti potremmo giungere a sapere che Cristo è Dio, se non sapessimo che Dio esiste? Cristo non ci fa sapere che Dio esiste, ma questo lo sappiamo già da soli in base alla ragione, già prima di essere informati su Cristo dalla predicazione ecclesiale. Pertanto l’ordine è: da Dio a Cristo, non da Cristo a Dio. Cristo ci dà quella conoscenza di Dio e della sua volontà per noi ― la Santissima Trinità, il battesimo, la fede, la Redenzione, la grazia, la vita eterna, la Chiesa ―, che con la nostra semplice ragione, fosse stata quella di Aristotele o di Platone, non avremmo mai potuto raggiungere o immaginare, se il Padre stesso, per sua misericordia, senza che ne fosse obbligato, per mezzo del suo Figlio, non ce l’avesse donata nello Spirito Santo. Cristo ci fa conoscere i misteri del Padre, che solo Lui e il Padre conoscono, ma sulla base di una conoscenza che già possediamo dalla ragione e dall’Antico Testamento. Gli Ebrei e i Musulmani conoscono già il vero Dio, anche se non sono illuminati dal mistero di Cristo. Per mezzo di Cristo non si giunge a credere in Dio sic et simpliciter, ma si giunge ad una conoscenza di Dio soprannaturale, rivelata, infinitamente superiore a quella della semplice ragione. La nostra intelligenza non passa direttamente dalla conoscenza del mondo a Cristo, ma giunge a Cristo, oggetto della fede, noto dalla predicazione ecclesiale, passando per la mediazione della conoscenza razionale di Dio, causa e fine dell’universo, creatore del cielo e della terra.

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Tutti gli uomini sanno che Dio esiste in base alla ragione, che tutti posseggono come uomini. Solo alcuni tra di essi, partendo dalla conoscenza naturale di Dio, e informati dalla catechesi ecclesiale, giungono, se giungono, illuminati dalla grazia, a credere in Cristo. Gli altri possono essere illuminati da Dio senza saperlo. Il discorso capovolto di Bianchi è quindi  quello di uno che non sa né chi è Dio né chi è Cristo. Per partire da Cristo e giungere a Dio, bisognerebbe essere Cristo stesso, il che è l’inganno del panteismo cristologico di Hegel. Oppure, occorrerebbe possedere una fede intuitiva o esperienziale, precedente alla ragione, come avviene nel fideismo luterano. Invece è dalla ragione che si passa alla fede e non viceversa.

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Bianchi, molte fedi

… troppe confusioni “sotto lo stesso cielo”

La fede è un sapere divino. Ora, è solo il sapere divino che parte da se stesso e passa all’umano, perché lo crea. Mentre per noi è partendo dall’umano che possiamo elevarci al divino. Credere di poter percorrere il cammino opposto, vuol credere che il nostro sapere possa aver inizio da Dio e non dall’uomo, il che è idealismo hegeliano e scellinghiano.

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Concludendo, il profetismo di Bianchi si guarda bene dallo scontentare i gaudenti, che chiedono ai profeti: «diteci cose piacevoli» [Is 30,10]. È questo il messaggio che  Bianchi, giovane “profeta”, ha lasciato all’umanità, scrivendolo a 30 anni di età, in un libro che ha avuto un successo mondiale, tanto da essere stato tradotto in 35 lingue, mentre preziose opere di teologi e mistici domenicani medioevali o rinascimentali aspettano ancora di essere tradotte. Già San Tommaso osserva infatti argutamente che il numero degli stolti è immensamente maggiore a quello dei sapienti. Ebbene, mai come oggi si rivela valida questa osservazione dell’Aquinate. Ma quello che maggiormente oggi meraviglia è come un personaggio di tal fatta e con simili idee sia riuscito ad ottenere credito addirittura presso la Santa Sede, come è successo a partire dal Beato Paolo VI, con San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, fino al Regnante Pontefice. Bisogna proprio dire che il demonio è abile nel mascherarsi da angelo della luce, se riesce a circuire e circonvenire persino i Papi [cf. II Cor 11,14]. Naturalmente, anche Bianchi ha le sue buone qualità, lo studio e il culto della Parola di Dio, la sensibilità per lo Spirito Santo, l’ecumenismo, la venerazione per i Santi Padri della Chiesa, l’amore per la preghiera e la contemplazione. Consiglio ad ogni modo, per chiarire le idee su di lui, gli studi critici fatti da Mons. Antonio Livi, oltre al testo di prossima uscita curato dal giovane filosofo e teologo Dott. Jorge A. Facio Lince.

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Varazze, 12 marzo 2017

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https://www.youtube.com/watch?v=icfURlKplZY

 

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10 commenti
  1. adamico dice:

    In altri articoli il padre Ariel, commentando alcune “sparate”, ha ironicamente accennato a transitorie mancanze di ossigeno al cervello del papa, pronosticando anche possibili future contestazioni di piazza o addirittura parlando di “scarpette rosse” in vista.
    Qui invece lei accenna ad una prudente decisione di Bergoglio, adombrando una strategia di temporanea tolleranza dei modernisti.
    Avete due giudizi differenti di questo pontificato? Oppure padre Ariel ha occasionalmente commentato le parole poco calibrate che possono sfuggire al papa, ma nel contesto di una strategia tutto sommato lucida?
    La mia puo’ sembrare una domanda provocatoria ma veramente io stesso non riesco a capire. La sua ipotesi mi sembra ancor piu’ agghiacciante, perche’ se si tratta di “tener duro ancora un poco” si adombrano implicitamente prospettive apocalittiche a breve termine – non vedo verso quale altro porto potrebbe tentare di navigare il Santo Padre, accettando la decomposizione della Chiesa dall’interno “per evitare mali maggiori”. L’unico male maggiore sarebbe l’aperto regno dell’anticristo.

  2. piertoussaint dice:

    Caro Padre Giovanni,

    “difendere il Santo Padre dai cattivi amici”, dice l’Isola di Patmos. Questa frase mi è tornata in mente quando ho letto il seguente articolo del sito web di Sandro Magister

    http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/03/20/larcivescovo-forte-il-professor-melloni-e-le-quattro-ciliegie-indigeste/

    nel quale l’autore riferisce di un recente incontro pubblico nel quale mons. Bruno Forte, nella circostanza in compagnia di un battagliero (avverso i cardinali dei “Dubia”) Alberto Melloni, ha confermato quanto di rilevante aveva già detto a suo tempo circa le intenzioni di papa Francesco circa lo scopo dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia. E’ bene che io citi:

    “Se parliamo esplicitamente di comunione ai divorziati risposati, questi [gli oppositori – ndr] non sai che casino ci combinano. Allora non parliamone in modo diretto, tu fai in modo che ci siano le premesse, poi le conclusioni le trarrò io”.

    Detto questo, in materia di amici, “dimmi con chi vai, e ti dirò chi sei”, recita un vecchio adagio. E poiché i parenti non si possono scegliere, ma gli amici sì, questa mi pare l’ennesima conferma del fatto che il magistero di papa Francesco, nel metodo e nel merito, NON è influenzato dai suoi collaboratori, ma è anzi una sua scelta precisa e puntuale, per attuare la quale egli si è giustamente avvalso dell’opera di persone adeguate, da lui appositamente scelte.
    D’altronde, credo che sia anche una forma di rispetto nei suoi confronti, il ritenere che egli, da persona adulta e responsabile dei suoi atti, eserciti il suo ministero senza farsi condizionare da ingerenze esterne.

    Tutto ciò premesso, per sintetizzare la suddetta materia in un motto, invece di affermare
    “difendere il Santo Padre dai cattivi amici”, direi meglio “difendere il Santo Padre da sé stesso, e noi da lui”.

    • Giovanni Cavalcoli, OP
      Giovanni Cavalcoli, OP dice:

      Caro Piertoussaint,

      il Santo Padre, nell’assumere il suo ufficio, si è trovato a dover fare i conti con quel potentissimo entourage modernista, che aveva già messo Benedetto XVI nelle condizioni di dover rinunciare al ministero petrino, essendosi comprensibilmente rifiutato di cedere alle loro pressioni. Jorge Mario Bergoglio ha dovuto far buon viso a cattivo gioco. Non poteva evidentemente seguire l’esempio del suo Predecessore, ma nel contempo doveva trovare il modo, se non di impedire, almeno di frenare le pretese ereticali dei modernisti.
      D’altra parte, non poteva neppure allontanarli, per la rivoluzione che avrebbero scatenato nella Chiesa, atteggiandosi a vittime del potere papale, come avevano fatto con precedenti Papi. Da qui la decisione di Papa Francesco, sofferta ma prudente, di tenerseli accanto.

      Quanto alla libertà di questa decisione, è ovvio che il Papa ha deciso liberamente, ma in seguito a un delicato calcolo. Egli ha dovuto adattarsi a una situazione disagevole per evitare mali maggiori. Il Papa sa benissimo di essere il Successore di Pietro, e quindi Maestro della Fede. Tuttavia, probabilmente egli si tiene vicino queste persone sperando che almeno così non facciano peggio, possano ravvedersi, utilizzandole nei loro lati buoni.

      Credo, quindi, che, al riguardo, possiamo ricordare quell’opera di misericordia, che è citata nel Catechismo di San Pio X: «sopportare pazientemente le persone moleste». Oggi sono talmente tanti gli eretici, che siamo tutti obbligati a convivere con loro. E il Papa ci dà l’esempio.

  3. orenzo
    orenzo dice:

    Scrive padre Giovanni che in Enzo Bianchi “Non c’è l’idea del castigo come ristabilimento della giustizia violata, ma come rappresaglia della persona offesa, tale da scatenare una sequela di odî e di vendette senza fine.”
    Rifiuto anch’io il concetto di una giustizia “come rappresaglia della persona offesa”, tuttavia anche “l’idea del castigo come ristabilimento della giustizia violata”, suscita in me qualche perplessità in quanto ritengo che il castigo non sia altro che la violazione stessa della Giustizia: Dio non castiga nessuno, chi viola la giustizia si castiga da solo perché rifiuta di essere amato.

    Prosegue l’articolo: “Tutto l’agire buono del giusto, in fin dei conti, è dono di grazia e di misericordia.”
    Concordando con questa affermazione, ritengo però che:
    – l’agire buono del giusto è accettazione del dono di grazia e di misericordia.
    – l’agire cattivo dell’ingiusto è rifiuto del dono di grazia e di misericordia.

    • Giovanni Cavalcoli, OP
      Giovanni Cavalcoli, OP dice:

      Caro Lorenzo,

      certamente il castigo è la conseguenza penale del peccato, è il frutto necessario del peccato, così come la morte è la conseguenza logica in chi ingerisce un veleno.

      Vediamo anzitutto che cosa è in generale il castigo. Esso è l’irrogazione di una pena al castigato per il suo bene. Il castigo, quindi, non è un far del male al castigato, benchè comporti sofferenza, non è peccato, ma è un’opera buona, è un atto di giustizia.

      L’importante è che non sia eccessivo e mosso dall’odio, se no, sconfina con crudeltà. Per questo, il castigare non conviene solo alla

      C’è però questa differenza tra il castigo umano e quello divino, che, mentre il primo causa sofferenza nel punito (per esempio la verberazione, l’incarcerazione o l’impiccagione), Dio, nel castigare, non causa sofferenza, ma utilizza quella sofferenza che lo stesso peccatore si è procurato col suo peccato.

      La pena del peccato ha cinque scopi:

      1. funzioine purificatrice e penitenziale. Fare penitenza del peccato;

      2. funzione deterrente. Intimorire chi pensasse di imitare il peccatore, al fine di dissuaderlo da tale rischio;

      3. funzione espiativa, riparatrice, redentrice e salvifica in chi unisce la propria pena alla Passione di Cristo;

      4. funzione correttiva o educativa. Stimola il peccatore ad emendarsi;

      5. funzione meramente afflittiva. E’ la pena infernale, non in quanto Dio trovi gusto nel far soffrire, che sarebbe bestemmia il solo pensarlo, ma in quanto in questo caso il peccatore è per sempre ostinato nella sua colpa e nella sua ribellione a Dio, per cui è giusto che ad un’opposizione eterna contro un Bene eterno corrisponda una pena eterna.

      Il punto che fa più difficoltà per capire in che senso il castigo sia un bene per il castigato, è il quinto. Fermiamoci pertanto a spiegare il perchè …

      … il perchè è dato dal fatto che è bene, è giusto che il dannato sia dannato. Certo egli non vede la sua pena come un bene e quindi o si sente ingiustamente punito o considera Dio malvagio. Ma in fondo anche i dannati sanno benchè malvontieri e messio alle strette, che Dio con lui è stato giusto.

      Eppure, in sè e per sè, è bene che il dannato sia castigato; e tanto basta per dire che anche l’inferno è un bene per il dannato, anche perchè egli non è sottratto alla provvidenza divina, che continua a governarlo.

      Dunque non è vero che Dio non castiga. Numerosissime sono le testimonianze bibliche in contrario. Dio retribuisce con perfetta giustizia a tempo opportuno da Lui stabilito a seconda dei meriti di ciascuno: a chi il premio, a chi il castigo. Sono verità elementari di ogni religione.

      I castighi divini riguardano due generi di peccati: radicalmente, il peccato originale. Questo castigo – sostanzialmente la sofferenza e la morte – colpisce tutti. E poi Dio castiga i peccati personali di ciascuno.

      Occorre tener presente che il peccato a volte non danneggia solo il peccatore, ma anche altre persone: per esempio il furto. Giustizia vuole che il ladro restituisca il mal tolto al legittimo proprietario. Oppure la diffamazione: il colpevole deve restituire all’offeso la buona fama. Se uno per incuria ha lasciato deperire un bene preso a prestito, è tenuto a consegnare al proprietario un bene equivalente in buone condizioni. La violazione della giustizia resta una parola vuota, se il peccatore non ripara all’ingiustizia commessa.

      Esistono peraltro certi peccati, che non sono immeditamente castigati nè da Dio nè dagli uomini, o che certe volte, nel corso della vita presente, non lo sono mai. Il peccatore resta impunito. Ma prima o poi, se il peccatore non si pente, arriva le resa dei conti.

      Un problema difficile è suscitato da quell’espressione biblica, per la quale Dio “indurisce il cuore” [Es 4,21], permettendo che il peccatore cada di peccato in peccato, come osserva San Tommaso [Sum.Theol., II-II,q.162, a.7,ad 3m]. E’ questo, dice l’Aquinate, un castigo divino, benchè il peccatore, finchè vive, possa sempre pentrsi.

      Cristo è Giudice dei vivi e dei morti. E’ vero che Egli non è venuto per condannare, ma per salvare. Tuttavia, chi non crede in Lui, è condannato [Mc 16,16].

      Dio castiga chi lo merita in questa vita e nell’oltretomba con l’inferno. “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno!” [Mt 25,41].

      Una partecipazione del giudizio divino è concessa da Dio al Sacerdote. Il Confessore è giudice, che ha il potere di “rimettere e di ritenere i peccati” [Gv 20,23].

      Se il peccatore è pentito, gli viene assegnata una penitenza. Se invece non è pentito, non può essere assolto, per cui il castigo del peccato non si trasforma in penitenza, ma lascia il peccatore in contrasto con Dio.

      Chi si salva, si salva per grazia, perchè pentito, in forza della divina misercordia; chi si danna, si danna per colpa sua, perchè impenitente, e ciò è conforme alla divina giustizia, la qualeresta del tutto innocente della colpa del dannato.

      Dio predestina alla salvezza gli eletti [Mt 22,14;24,22; Lc 18,7; Rm 8, 29-30. 33; II Tm 2,10; Ap 17,14], ma non predestina nessuno alla dannazione, come credeva Lutero, perchè, di per Sè, Dio offre a tutti la salvezza. Ma non tutti, per colpa loro, l’accolgono.

      Dio premia la virtù già in questa vita con la gioia interiore ed esteriore e dopo questa vita col paradiso.

      Invece castiga non solo con l’interiore rimorso per la colpa commessa, ma anche per il tramte della giustizia umana, per quanto imperfetta, nonchè con gli sconvolgimenti della natura e permettendo guerre e violenze.

      La persona offesa ha il diritto di chiedere all’autorità che le sia resa giustizia contro chi l’ha offesa. Per questo, esistono i tribunali civili ed ecclesiastici e l’ordinamento giudiziario e carcerario. Per questo esistono l’inferno e il purgatorio.

      Se al giusto offeso o perseguitato non vien resa giustizia in questa vita, Dio provvede a compensarlo in paradiso (vedi il povero Lazzaro) e a punire Lui i malfattori.

      Dio manda sventure collettive che colpiscono peccatori ed innocenti. Gli innocenti possono trarre da ciò occasione per offrire sacrifici per i peccatori, sull’esemio di Cristo. Se poi chi ha peccato non è subito castigato da Dio o dagli uomini, può prendere l’iniziatira e fare lui penitenza dei suoi peccati.

      Dio, nella sua bontà, non sempre castiga (vedi per esempio l’adultera), quando vede il sincero pentimento. Tuttavia occorre che il peccatore, pur pentito, senta ii bisogno di scontare (vedi il figliol prodigo). Il pentito, cioè, deve’esser pronto a subire la pena, perchè, diversamente, non sarebbe sincero.

      Quando Dio mi manda una sventura, non devo pensare necessariamente che essa sia per i miei peccati [Lc 13,2; Gv 9,3], ma – sull’esempio di Cristo – io posso trarre da essa occasione per scontare la pena meritata da peccatori che per adesso restano impuniti, nella speranza della loro conversione.

      Il castigo ha una funzione di ristabilimento, di risarcimento di restituzione o di restaurazione. Il peccatore toglie un valore dal suo giusto posto, per cui giustizia vuole che quel valore sia rimesso al suo posto.

      Il peccatore, peccando, si scosta dal dal suo giusto posto e pertanto la giustizia chiede che a torni al suo posto.

      Peccando, egli ha contratto un debito. Giustizia vuole che egli paghi il debito. Il castigo è il pagamento del debito.

      E’ giusto che il male che fa, ricada su di lui: “chi la fa, l’aspetti”. E’ il cosiddetto “contrappasso”.

      Il castigo è il boomerang che colpisce chi ha colpito. “L’empio cade nella fossa che ha scavato” [Sal 17,16]. Si può sfuggire alla giustizia umana, ma non a quella divina.

      • Achille dice:

        @Padre Cavalcoli

        “Dio predestina alla salvezza gli eletti [Mt 22,14;24,22; Lc 18,7; Rm 8, 29-30. 33; II Tm 2,10; Ap 17,14], ma non predestina nessuno alla dannazione, come credeva Lutero, perchè, di per Sè, Dio offre a tutti la salvezza. Ma non tutti, per colpa loro, l’accolgono.”

        Esatto, Padre.

        E, come ha detto anche lei, “Chi si salva, si salva per grazia, perchè pentito, in forza della divina misercordia; chi si danna, si danna per colpa sua, perchè impenitente, e ciò è conforme alla divina giustizia, la qualeresta del tutto innocente della colpa del dannato”.

        Infatti i salvati, gli eletti che lei ha menzionato, sono tali non per proprio merito intrinseco, ma perché la Misericordia divina, tramite la Grazia efficace, ha fatto si che essi infallibilmente (ma sempre liberamente, perché la libertà del rifiuto la mantengono, solo che pur potendo rifiutarla non lo faranno) accettino la Grazia, pentendosi se hanno commesso peccati mortali è morendo in Grazia di Dio.

        Quindi il merito della loro salvezza è di Dio in quanto causa prima e dell’uomo solo in quanto causa seconda.

      • Achille dice:

        Ho scritto

        “Quindi il merito della loro salvezza è di Dio in quanto causa prima e dell’uomo solo in quanto causa seconda.”

        E aggiungo che questo (rifiutare per propria esclusiva colpa la Grazia sufficiente) è ciò che fanno i reprobi, che si dannano per propria colpa.

        Invece la tesi di Lorenzo, così come è formulata, e cioè

        “– l’agire buono del giusto è accettazione del dono di grazia e di misericordia.
        – l’agire cattivo dell’ingiusto è rifiuto del dono di grazia e di misericordia.”

        Come dicevo così formulata, senza ulteriori specificazioni, e cioè che si, è vero che l’agire buono del giusto è accettazione del dono di Grazia e Misericordia ma senza la pre-mozione divina (Grazia efficace) che fa si che la volontà dell’uomo accetti infallibilmente la Grazia (pur mantenendo la libertà di poterla rifiutare), tale Grazia rimarrebbe sterile per colpa dell’uomo (come accade coi reprobi), come dicevo senza tale giustificazione si scade nel pseudo-pelagianesimo così comune tra i cattolici oggi.

        Già il fatto che lei abbia parlato di eletti, Padre, la prepari a molte critiche, perché è argomento tabù, pare. 🙂

      • Paolo dice:

        Padre, ascoltare le omelie, anche di bravi sacerdoti, oggigiorno è sempre più desolante.
        Per esempio in questa domenica, nel commentare il lungo Vangelo di oggi, proprio il capitolo 9 di San Giovanni, è stato ribadito che Dio non castiga.
        Deo gratias un po’ di ossigeno arriva anche solo leggendo le risposte ai commenti dei vostri articoli sull’Isola.
        Grazie.

  4. Padre Ariel
    Fabio Pizzimenti dice:

    Salve Padre Giovanni,

    leggendo l’ultimo articolo su Enzo Bianchi che viene definito eretico, domando: ma perchè la congregazione della dottrina della fede non lo definisce tale e non lo manda via? Ed è vero che finchè essa non interviene, un semplice laico non può definirlo eretico, questo priore ?

    • Giovanni Cavalcoli, OP
      Giovanni Cavalcoli, OP dice:

      Caro Fabio,

      la Congregazione per la Dottrina della Fede non riesce a tener dietro a tutti i casi di eresia, oggi più numerosi che mai. Non è possibile dunque attendere la sentenza della Congregazione per la Dottrina della Fede. Ed anche i Vescovi, ai quali spetterebbe questo importante e delicato ufficio di avvertire i fedeli, purtroppo spesso non si fanno sentire.

      Bisogna, pertanto, che ogni fedele adulto e prudente, anche se laico, si dia premura, per il bene della sua anima, di acquisire metodicamente buoni criteri di discernimento e di giudizio, che sono forniti sostanzialmente dal Catechismo della Chiesa Cattolica e dal Magistero, attingendo a sussidi o fonti di informazione specializzati, come lo sono gli istituti educativi o i siti cattolici o le pubblicazioni cattoliche, come per esempio la rivista Il Timone, che di recente ha pubblicato un prontuario o repertorio delle eresie più correnti, il Dizionario del pensiero pericoloso.

      Indispensabile è il possesso della Sacra Scrittura.

      Per quanto riguarda il Magistero della Chiesa, un’utile collezione di documenti, soprattutto dei Concili è l’Enchridion Symbolorum del Denzinger. Punto di riferimento importante sono i documenti del Concilio Vaticano II.

      I Padri de L’Isola di Patmos svolgono questo servizio, in piena comunione col Magistero della Chiesa e rifacendosi sempre ai buoni teologi, soprattutto tomisti.

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