Signora Capalbio, negro non è sinonimo di buono e di vittima senza macchia e peccato, ma semplicemente sinonimo di essere umano

SIGNORA CAPALBIO, NEGRO NON È SINONIMO DI BUONO E DI VITTIMA SENZA MACCHIA E PECCATO, MA SEMPLICEMENTE SINONIMO DI ESSERE UMANO 

La vicenda dell’Onorevole Aboubakar Soumahoro, che oggi si trova coinvolto in vicende legate a cooperative in cui sono implicate sua moglie e sua suocera, non è legata al negro, ma a qualche cosa strettamente connessa a l’homo, a prescindere dal niger o dall’albus.

— Attualità ecclesiale —

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L’Onorevole Aboubakar Soumahoro, deputato eletto nelle liste del Partito Democratico

In estate o primavera, quando soggiorno nella Ortigia di Siracusa, dove prima di diventare prete comprai una casa nel cuore dell’antica Città Greca, vado a fare la spesa al mercato e con l’occasione dispenso i miei show, ovviamente gratis, intrisi di invereconde prese di giro sulle quali le persone del luogo ridono divertite, perché sfottere i siciliani è un dovere civico. Poi ci sono le mie “teorie scientifiche” sulle possessive e protettive mamme dei maschi, a cui riguardo sostengo che se una madre siciliana partorisce una femmina, non c’è problema. Però, se partorisce un maschio, in quel caso va soppressa appena terminato l’allattamento, evitando in tal modo che rovini il figlio per tutta la vita seguitando a trattarlo da tenera creatura anche da cinquantenne. E quando dopo qualche mese o settimana ritorno in loco mi dicono persino che gli sono mancati i miei sfottò.

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Una volta un tale aveva sulla bancarella una cesta piena di lumache che cominciai a guardare con ostentata attenzione, finché giunse la domanda che attendevo: «Padre, le piacciono?». Risposi: «Mai mangiate in vita mia. Però sono certo che queste lumache saranno di grande consolazione per i siciliani, perché finalmente avete trovato qualcuno che sulla testa ha più corna di voi». Mi fu poi raccontato che aveva fatto il giro di tutto il mercato a ridere e raccontare la sparata del prete a tutti i venditori delle altre bancarelle. Un’altra volta stavo camminando in mezzo al mercato col sole di mezzogiorno sparato sul viso, a poco servono in quel caso anche gli occhiali scuri. Non vidi una cassetta della frutta e ci inciampai cadendo a terra, tra l’altro avevo la talare bianca addosso, che grazie a Dio non danneggiai. A due metri da me un pescivendolo saltò in avanti facendo il gentile gesto di aiutarmi a rialzarmi dicendo: «Padre, si tiri su che distesi a terra si sta male». Ribatto: «Ha ragione, distesi su sua moglie si starebbe molto meglio». E appena rientrò a casa la prima persona alla quale narrò il fatto fu sua moglie.

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Infine il mio negro di fiducia dove compro le verdure: «Padre, è tornato da Roma?». Lo saluto: «Sono tanto contento di rivedere il mio negro splendido». E splendido lo è per davvero, ha una risata così acuta e divertente che se fossi uno psichiatra lo prescriverei come terapia al posto degli anti-depressivi. Disgrazia vuole che si trovava alla bancarella la classica fighetta ― come ormai si dice nel nostro gergo italico parlato ― stile Signora Capalbio targata sinistra radical chic, col capello bianco corto in gran voga negli attici dei Parioli e nelle ville dell’Olgiata. Fa una smorfia e sbotta: «Mi stupisco di lei che dovrebbe essere una persona colta, si dice … uomo di colore». La ignoro totalmente e mi rivolgo al mio negretto: «Senti un po’, Ousman, spiegami una cosa: tu sei negro o di colore? Perché a me nei paesi africani i tuoi connazionali mi chiamavano “bianco”, non “uomo senza colore”». E lui, con una risata assordante con i suoi acuti risponde: «Io sono negrissimo!».

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Passando per il politicamente corretto siamo giunti così al negro, tale in quanto negro e non certo perché “uomo di colore”. Almeno per me che sono un cultore della mia madre lingua di derivazione latina: homo niger vuol dire uomo nero. Mentre homo albus vuol dire uomo bianco, ossia il sottoscritto. Il termine “negro” deriva dal latino nigrum, che vuol dire nero. Noi preti, a eccezione del bianco usato alle alte temperature, ordinariamente vestiamo in nigris, di nero, non vestiamo … “di colore”. Da sempre ai confratelli africani coi quali ho vissuto a Roma sin dalla formazione al sacerdozio, poi da presbitero, li ho sempre indicati e chiamati negri. Esempio: «Siamo in ritardo, date una voce ai nostri confratelli negri che si sbrighino, altrimenti arriviamo tardi a San Paolo Fuori le Mura». Mi sarei sentito quantomeno ridicolo a esordire: « … i nostri confratelli di colore». Loro ci chiamano bianchi, non ci chiamano “uomini scoloriti” o “senza colore”. E tutt’oggi in molti Paesi di quel Continente ricordano con gratitudine la meritoria opera di evangelizzazione portata avanti dai cosiddetti Padri Bianchi, non certo dai Padri senza colore.

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Il politicamente corretto non è solo linguistico, ma è sociale e ormai ideologico. Tanto che molti nutrono verso il negro non solo sensi di colpa, ma peggio: si sono formati la convinzione che negro equivale a buono, a candida vittima, a perseguitato. Perlomeno finché non si ritrovano ad avere a che fare con qualche banda di nigeriani, la violenza dei quali farebbe impallidire gli esecutori al soldo della ‘ndrangheta, che tra le mafie presenti nel nostro Paese è la più violenta. Nonostante ciò, dinanzi alla crudeltà di un nigeriano, i killers della ‘ndrangheta farebbero la figura della pietosa dama di carità della San Vincenzo de’ Paoli. Altrettanto i camerunensi, Paese dove la criminalità è diffusa a livelli incontrollabili e dove per uno straniero essere sequestrato da una delle loro bande non è come essere rapiti da quelli che furono i rapitori dell’Anonima Sarda Sequestri, perché questi secondi, se proprio non sono dei cherubini, a loro confronto possono figurare come dei cuori teneri.  

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Partiamo quindi da un principio basilare che sfugge alle “candide anime belle”: si tratti di un homo niger o di un homo albus, ciò che connota l’uno e l’altro, a prescindere dalla colorazione, è l’essere homo. E questo homo non è buono o cattivo, vittima o carnefice sulla base della sua particolarità di niger o albus, ma in quanto uomo.

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Il caso dell’Onorevole Aboubakar Soumahoro, che oggi si trova coinvolto in vicende legate a cooperative in cui sono implicate sua moglie e sua suocera, non è legata al negro, ma a qualche cosa strettamente connessa a l’homo, a prescindere dal niger o dall’albus. Vicenda nel merito della quale non entro. Ciò non solo perché non voglio, ma proprio perché non posso. La competenza è della magistratura italiana alla quale spetta indagare, giudicare e se necessario infine condannare, mentre alla politica compete valutare e decidere nel merito della questione, trattandosi di un parlamentare della Repubblica Italiana.

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Alle “candide anime belle” vorrei ribadire che negro è lungi dall’essere sinonimo di buono in quanto negro e solo perché negro, tutt’altra è la realtà: la corruzione che vige nei vari Paesi del Continente Africano è tanta e tale, ma soprattutto a livelli talmente gravi e incancreniti, che a confronto quei Paesi europei solitamente indicati come particolarmente corrotti sono abitati da una schiera di San Luigi Gonzaga e di Santa Maria Goretti. Tra i Paesi indicati come particolarmente corrotti c’è l’Italia, ossia noi italiani, detti anche “maestri della truffa”. Cosa che può essere espressa e sostenuta senza problemi di sorta, in particolare dalle caste e candide bocche di francesi e tedeschi, capaci però ad auto-censurare il loro senso critico e a calarsi le brache col buco del culo al vento solo quando si trovano dinanzi al negro, i francesi in modo del tutto particolare, visti i servizi che hanno fatto nel corso degli ultimi due secoli a vari Paesi del Continente Nero. Gli italiani sono invece bianchi, quindi possono essere accusati come tali di essere dei corrotti e dei notori truffatori sulle prime pagine dei loro giornali.

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A Roma, sul finire della formazione sacerdotale e a seguire per un po’ come presbitero, ho abitato in una casa internazionale per sacerdoti che si trova all’Aventino. A poca distanza sul Viale Aventino, all’angolo con il Viale delle Terme di Caracalla c’è la grande sede della FAO, che ricordiamo è la Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura. Per mesi, transitando in quelle zone, mi è capitato di vedere negri e negre provenienti dai vari Paesi del Continente Africano, semmai dai più poveri e disastrati in assoluto, salire su Mercedes che fanno servizio di noleggio con conducente per essere portati a fare shopping in Via Condotti e in Via Vittorio Veneto. È cosa altresì nota e risaputa, nonché confermabile dai titolari dei negozi extra lusso, che a spendere di più, senza misura e ritegno, erano i negri e le negre, noti per la ricerca dei beni superflui più costosi in assoluto e per il loro bivaccare negli hotel più lussuosi della Capitale. I funzionari africani della FAO.

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Lascio quindi la Signora Capalbio inorridire dinanzi alla parola “negro” e con lei tutte le altre “candide anime belle” che si gongolano in surreali fantasie sul povero negro buono e vittima del bianco variamente sporco e spregiudicato colonizzatore. Per me esiste invece l’uomo nato con la corruzione del peccato originale, che non ha risparmiato né i bianchi né i negri. E contrariamente alle anime belle so, come lo sanno politici, storici, sociologi e anche ecclesiastici che, uno dei peggiori mali endemici dell’Africa è una corruzione senza eguali al mondo, per non parlare della delinquenza senza scrupoli e limiti che imperversa in certe loro città. Anche per questo la nostra Congregazione de Propaganda Fide si guarda bene dal mandare soldi a occhi chiusi, persino alle nostre stesse istituzioni ecclesiastiche locali gestite dai negri. Preferiscono gestire con attenzione certi flussi di danaro affinché finiscano realmente in opere religiose, caritative e sanitarie. Evitando in tal modo, come più volte accaduto in passato, che dei soldi partiti per la costruzione di un ospedale finissero incamerati da politici corrotti e investiti nel mercato delle armi per le peggiori guerre tribali, dove le persone sono capaci a scannare senza pietà donne e bambini a colpi di machete fabbricati in Cina.

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Però, per la Signora Capalbio, negro equivale a buono e vittima. Soprattutto non si deve dire negro, ma uomo di colore. Ebbene sappia la Signora Capalbio che il mio illuminato venditore di verdura, negro ghanese scuro come un tizzone di carbone, non la pensa come lei, sa perfettamente di essere negro, ne è contento e all’occorrenza se ne vanta, togliendo persino la depressione con una risata a tutte le depresse Signore Capalbio della sinistra radical chic, oggi più che mai depresse dopo avere favorito in ogni modo, con tutti i loro snobismi alto borghesi, un Primo Ministro donna della destra, che è figlia del popolo e che proviene dai quartieri ultra popolari di Roma. Quelli dove una volta, il vecchio e anche glorioso Partito Comunista Italiano, raggiungeva maggioranze elettorali da fare invidia alle elezioni della Bulgaria. Forse per questo, ritrovandosi nei ristoranti gourmet di Capalbio, il gotha della sinistra radical chic cerca di annegare la depressione politica dentro costosi calici di Sassicaia e di Brunello di Montalcino d’annata.

 

Dall’Isola di Patmos, 27 novembre 2022

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