L’ultima del Senatore Dario Franceschini: «Il cognome paterno è una tradizione patriarcale» …
L’ULTIMA DEL SENATORE DARIO FRANCESCHINI: «IL COGNOME PATERNO È UNA TRADIZIONE PATRIARCALE»
Se vogliamo un pensiero per così dire “di sinistra”, bisogna tornare indietro al finire degli anni Sessanta del Novecento, aprire una enciclica scritta da Paolo VI nel 1967 intitolata Populorum Progressio, leggerla con attenzione e imparare quel che dovrebbe essere realmente il progresso dei popoli basato sul buon senso umano e cristiano, non sulla cieca ideologia.
— Attualità —

Autore:
Jorge Facio Lince
Presidente delle Edizioni L’Isola di Patmos
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La proposta di legge del Senatore Dario Franceschini che prevede la possibilità di attribuire automaticamente il cognome materno ai neonati ha generato un acceso dibattito pubblico, con voci e commenti contrastanti. Proposta da lui definita come
«un risarcimento per una ingiustizia secolare che ha avuto non solo un valore simbolico, ma è stata una delle fonti culturali e sociali delle disuguaglianze di genere» (cfr. QUI)
I Sostenitori della proposta la vedono come un adattamento legislativo e sociale necessario che segue i cambiamenti costitutivi delle famiglie, affinché vi sia maggiore parità di genere e sia eliminata l’usanza del cognome paterno, considerata “tradizione patriarcale”. A questo modo sarebbe dato un ruolo maggiore alle madri a livello sociale, con maggiore libertà di scelta del cognome da trasmettere ai figli da parte dei genitori, promuovendo una visione più equilibrata e reale del concetto più ampio di famiglia rispetto a quello considerato troppo restrittivo della cosiddetta “famiglia non tradizionale”. La proposta non esclude la possibilità per i genitori di scegliere congiuntamente il cognome, inclusa l’opzione del doppio cognome.
I critici della proposta sostengono che essa rischia di creare confusione sull’identità familiare, influenzare la percezione del rapporto coi genitori e relativa figliolanza, producendo divisioni all’interno delle famiglie in caso di disaccordo tra i genitori per la scelta del cognome.
Per i giuristi e gli esperti esistono innegabili problematiche sulla proposta riguardo la complessità burocratica che potrebbe derivare dall’applicazione della legge, come ad esempio le difficoltà nella gestione dei documenti e delle pratiche amministrative. A tal proposito la Suprema Corte Costituzionale ha già dato delle indicazioni per il superamento del cognome prettamente paterno, in cui possono rientrare le fattispecie e le casistiche a cui è mirata la proposta.
È difficile prevedere con precisione quanti neonati riceverebbero il cognome materno in seguito all’approvazione della legge, senza dati specifici sulle preferenze dei genitori, qualsiasi calcolo sarebbe approssimativo ma comunque indicativo. Analizzando alcuni dati dell’ente nazionale di statistica (cfr. QUI), si evince che:
– La natalità in Italia è in costante calo, nel 2023, i nati residenti in Italia sono stati 379.000, segnando un nuovo minimo storico con un calo di 14.000 unità rispetto al 2022 (-3,6%);
– Le madri sole, o le cosiddette famiglie “monogenitoriali”, hanno statistiche ancora molto approssimative per il campione così ridotto, tuttavia, i nuclei famigliari in cui la madre è il genitore unico è aumentato come conseguenza dei divorzi, separazioni e scelte singolari di maternità;
– I “monogenitori”, ossia padri e madri soli, tra il 2011 e il 2021 hanno registrato un aumento del 44%: le madri sole sono aumentate del 35,5%, mentre i padri soli si sono incrementati attestandosi all’85%.
Questa proposta di legge sarebbe interessante per i nuclei “monogenitoriali” che secondo i dati ISTAT sarebbero in crescita e che comprendono le famiglie sensibile alle questioni di parità di genere, le famiglie con genitori non sposati in cui la scelta del cognome può essere più complessa, in questo e altri casi la proposta semplificherebbe il processo di assegnazione del cognome. È estremamente difficile calcolare con precisione quante famiglie sceglierebbero effettivamente di utilizzare il cognome materno, ma potrebbe arrivare anche al 10-20% delle famiglie, ciò rappresenterebbe un numero significativo di individui che non devono essere esclusi.
La scelta politica della sinistra, negli ultimi anni potrebbe essere considerata progressista, ma volendo anche una forma di lotta radicale per il riconoscimento civile e l’adeguamento giuridico e sociale verso i gruppi minoritari. Secondo quello che dicono gli attuali esponenti politici nei loro discorsi ideologici fatti sulle televisioni e nei comizi sulle piazze, questi gruppi, ostracizzati o condannati nel corso della storia, oggi devono ricevere il proprio pieno riconoscimento all’interno della società, se la società stessa vuole essere veramente civile. Questo abbandono della sinistra verso l’ideale della lotta di classe o contro certi sistemi economici in cui l’operario o il membro della classe proletaria era strumentalizzato come elemento di propaganda, non è più così importante e rilevante, come lo è la lotta per questi gruppi minoritari, o per dirla in altri termini: dalle lotte operaie di piazza con le sfilate dei metalmeccanici in tuta, siamo passati al gay pride con gli uomini arcobalenati vestiti come grottesche fatine in tacchi e calze a rete.
È una scelta ideologica, quella dei post-comunisti, che appare oggi più in contradizione con un mondo nel quale la difesa dei deboli, all’interno di poteri economici-cannibali, è favorita nelle sue tragiche diseguaglianze tra le classi proprio dalle Sinistre internazionali, quelle che ieri urlavano “peace and love” e che oggi urlano al riarmo dell’Europa, con in testa la Germania, che a suo tempo non fu disarmata propriamente per caso.
Il transfert freudiano su certe minoranze privilegiate come i cisgender e chi non vuole accettare e adeguarsi a ruoli e schemi “tradizionali” sociali, sembra una sorta di “aggiornamento della lotta di classe” o, meglio una sua parodia, affinché si possa rivoluzionare i concetti basilari della cultura che a poco a poco riescono a “educare” le nuove generazioni, oltre al popolo obbligato a sua volta a cambiare la società alla propria radice. La scelta comunque ideologica, anche se rivendica una maggiore inclusione e tolleranza, troppo spesso mette in risalto la esclusività di questi gruppi minoritari a discapito della maggioranza della popolazione. Sono segmenti statisticamente inferiori che vengono salvati e protetti dalla “massa” quasi come una nuova sorta di “fascio” superiore diverso e accogliente. Tema complesso, questo, sul quale ha scritto un saggio lungimirante un nostro autore, Francesco Mangiacapra, nella sua opera Il golpe del politicamente corretto – Quando le minoranze divengono dittatura.
La nuova lotta degli esponenti di sinistra non solo dimentica il popolo, come provano i fatti, ma con inconsapevole vena comica usa quella dialettica in cui sono presentate le politiche degli avversari come “retorica di pancia”, o come “bieco populismo”, fomentati da talk show che alimentano il vittimismo, le pose da perseguitati e il bisogno di un riscatto vendicativo, anziché la ricerca della giustizia retributiva e dei beni di ogni individuo al di sopra di loro personali piaceri egoistici o egocentrici.
Se vogliamo un pensiero per così dire “di sinistra”, bisogna tornare indietro al finire degli anni Sessanta del Novecento, aprire una enciclica scritta da Paolo VI nel 1967 intitolata Populorum Progressio, leggerla con attenzione e imparare quel che dovrebbe essere realmente il progresso dei popoli basato sul buon senso umano e cristiano, non sulla cieca ideologia.
dall’Isola di Patmos, 9 aprile 2025
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Una idiozia incomprensibile! Le donne hanno lottato per secoli per dare il nome del padre ai figli non riconosciuti anche con azioni legali! E adesso si vuole fare cosa? Io sono orgogliosa che i miei figli abbiano il cognome del padre! Mica sono nati per gemmazione! 😊 Questa sinistra si sta distinguendo davvero, ma per assurde cretinate!