«Volete andarvene anche voi?». Tra eutanasia e influencer, pensieri sparsi intorno alla charis, alla teologia della povertà e all’obbedienza della fede che edifica la Chiesa

— meditazioni sull’attualità ecclesiale —

«VOLETE ANDARVENE ANCHE VOI?». TRA EUTANASIA E INFLUENCER, PENSIERI SPARSI INTORNO ALLA CHARIS, ALLA TEOLOGIA DELLA POVERTÀ E ALL’OBBEDIENZA DELLA FEDE CHE EDIFICA LA CHIESA

È evidente che se io distribuisco solo il cibo terreno, forse riuscirò a riempire lo stomaco del povero, ma lascerò vuoto il suo cuore e la sua anima. Se penso alla sola dimensione orizzontale trascurando quella verticale, rischio di creare pericolosi paradisi artificiali che trovano in alcune idee sociali ― pensiamo al reddito di cittadinanza ― la pretesa demagogica di risolvere bene tutti i problemi e di accontentare tutti.  

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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… i moderni uomini di scienza preposti a indirizzare le altrui coscienze

Nella domenica appena trascorsa commentavo nell’omelia un bellissimo brano del Santo Vangelo [cfr. Gv 6, 60-69]. Come normalmente faccio ad ogni celebrazione domenicale, inquadro la pericope evangelica non solo da un punto di vista esegetico ma soprattutto ecclesiologico e pastorale, lasciando che la lettura cursiva del Vangelo domenicale parli ai fedeli con la forza e l’incisività della spada [Cfr. Eb 4, 12], evitando al contempo una lettura troppo tecnicistica del testo che solo in pochissimi sarebbero in grado di recepire.

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Il Vangelo di Giovanni della domenica appena trascorsa appare come la conclusione del lungo discorso sul Pane di Vita in cui Cristo mostra con chiarezza e in modo definitivo la verità su sé stesso. È di fatto una grande teofania in chiave eucaristica, in cui a partire dal segno del pane condiviso Gesù si presenta come la vera manna celeste che dal cielo si incarna nell’umana esistenza. Egli nato a Betlemme, in quel luogo che significa Casa del Pane, sfama l’uomo mortale nel suo cammino di ricerca del Dio absconditus, facendosi egli stesso pane.

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Un momento rivelativo dell’identità di Cristo, che, come ho detto, è preceduto dal necessario segno della moltiplicazione (condivisione) dei pani [Cfr. Gv 6, 1-15]. Tale segno è fondamentale per comprendere che Gesù è realmente il vero Signore che nutre il suo popolo nel pellegrinaggio terreno e non uno dei tanti potenti della terra che cerca un tornaconto personale di gloria [Cfr. Gv 6, 15]. Egli guida il nuovo popolo dell’Alleanza non più dall’Egitto alla Terra Promessa ma dal peccato alla nuova alleanza nel suo sangue che si realizza attraverso gli avvenimenti pasquali.

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Ecco perché il segno eucaristico del pane condiviso diventa essenziale per intendere la pedagogia divina e il modo con cui Dio opera la salvezza. Gesù, sebbene sia il Signore e il Maestro [Cfr. Gv 13, 14], mai si priva della collaborazione dell’uomo interpellandolo costantemente all’interno di un dialogo salvifico in cui la creatura offre al Creatore la propria pochezza frutto del suo lavoro affinché questa in Dio si moltiplichi e divenga segno pasquale di salvezza per altri fratelli dentro una logica di servizio caritatevole.

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Motivo per cui la diaconia della Charis nella Chiesa è principalmente mistero trinitario che ci permette di contemplare l’Amante, colui che è Amato e l’Amore per usare le parole di S. Agostino riferite al mistero di Dio Trinità. Ma nello stesso tempo è mistero soteriologico, in quanto la Charis è il disegno divino che ha assunto la sua forma in Gesù Cristo Salvatore e che trova la sua genesi nella Trinità come storia eterna d’amore per l’uomo (Cfr. M. Rinaldi, Dal welfare state alla welfare society. Teologia sociale e azione pastorale di Caritas italiana, Effatà, 2006, p.70].

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Da queste necessarie prerogative teologiche, capiamo come l’esercizio della Charis, non può assolutamente configurarsi come servizio umanitario o sentimentale filantropismo. Anche quando è l’uomo a operare la Charis verso un suo simile possiamo ugualmente scorgere la relazione agostiniana tripartita di Amante, Amato e Amore. L’amante è colui che agisce spinto dal Padre verso l’amato in cui si identifica il Figlio, dentro la dinamica amorosa dello Spirito Santo.

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La Charis cristiana è necessaria perché è la ratio con cui dal corpo dell’uomo si giunge alla sua anima affinché anima e corpo insieme si salvino in quell’armoniosa unità antropologica che vediamo professare ogni domenica nel Credo quando diciamo: «aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà». Cioè, aspetto la risurrezione dell’uomo nella sua totalità non solo di una sua parte. Cosa che già vediamo realizzata in Maria Santissima assunta in cielo in anima e corpo.

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Per questo motivo, se è vero che il povero ha l’esigenza di essere sfamato sulla terra, tale esigenza non può far cadere il credente nella pretestuosa utopia che pretende di sconfiggere una volta per tutte le povertà; pareggiare le scandalose disparità sociali; debellare le implacabili malattie; pacificare i popoli con una accoglienza indiscriminata; scongiurare l’ignoranza dei piccoli con verità parziali. piccoli con verità parziali.

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Anche se oggi siamo abituati a slogan populisti del tipo «nessuno resterà indietro» che abbondantemente ritroviamo sulla bocca dei politici così come dei prelati. Dobbiamo avere il coraggio di affermare che tutto questo è solo un miraggio di salvezza auto-costruita le cui conseguenze culturali e sociali sono ben note ed evidenti a tutti, specie in un periodo come quello che stiamo attraversando gravato dalla pandemia.  

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A questo proposito basterebbe richiamare alla mente le parole di Gesù che ci ammonisce: «I poveri li avete sempre con voi, ma non sempre avete me» [Mt 26, 11] espressione che orienta certamente verso un’opzione preferenziale per i poveri ma, molto di più, definisce una ben chiara gerarchia valoriale che ci porta a capire che senza di Lui, vero Dio e vero uomo, siamo troppo poveri per aiutare i poveri e incapaci di offrire una salvezza definitiva. E questa verità oggi appare piuttosto fastidiosa e mal digerita dal narcisismo umano che vuole operare senza Dio, anche quando ha la pretesa di compiere il bene.

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Questo discorso ci permette di formulare una corretta impostazione teologica della povertà che non ha nulla a che fare con il pauperismo rivoluzionario tanto caro a un certo pensiero di sinistra o accostabile alle rivendicazioni social popolari dei regimi di liberazione sudamericani, né a quel pauperismo pretestuoso di cui parlava lo stesso Giuda Iscariota, a proposito del quale rimandiamo alla nostra video lezione: L’oro dei Magi e il falso amore per i poveri di Giuda Iscariota.

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Tanto meno lo possiamo accostare agli spropositi social dei vari influencer che arringano il popolo dei followers mantenendo un tenore di vita che è lontano anni luce dalla sobrietà evangelica e che non si avvicina minimamente a quella dignitosa povertà del lavoratore o del pensionato medio italiano.

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Se vogliamo dirla tutta, questa impostazione teologica non ha nulla a che fare neanche con i vari modelli che si impongono all’opinione pubblica e che vedono, nei vari salvatori del popolo, messi bene in primo piano dal mainstream, l’inizio di un nuovo rinascimento e umanesimo laico. Perché resta evidente, in tutto questo ragionamento teologico, l’innesto con la Cristologia più pura in cui la kenosis del Verbo costituisce la spogliazione visibile e più eloquente attraverso la quale possiamo trovare «quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci mediante la sua povertà» [Cfr. 2Cor 8, 9; Benedetto XVI, Discorso alla Sessione inaugurale della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, 13 maggio 2007, 3: AAS 99 (2007), 450]. Se Cristo si spoglia della sua uguaglianza con Dio per salvarmi, io per accettare questa salvezza non posso che fare altrettanto, così come ebbe modo di fare Francesco d’Assisi davanti al vescovo [Cfr. Fonti Francescane n° 1043].

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A qualunque povero e davanti a qualsivoglia povertà, più che ancora del cibo che perisce, deve essere garantito il cibo che non perisce ma che dura per la vita eterna [Cfr. Gv 6, 22-29]. Questo non significa prestare il fianco al facile proselitismo integralista, tutt’altro, è annuncio missionario di salvezza che chiama all’azione ogni uomo di buona volontà, sia esso laico o consacrato, per annunciare tutto quello che Cristo ci ha detto e comandato [Cfr. Mt 28, 20]. Predicare Cristo non è un vanto, nemmeno un dovere ma una necessità improrogabile [Cfr. 1Cor 9, 16].

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È evidente che se io distribuisco solo il cibo terreno, forse riuscirò a riempire lo stomaco del povero, ma lascerò vuoto il suo cuore e la sua anima. Se penso alla sola dimensione orizzontale trascurando quella verticale, rischio di creare pericolosi paradisi artificiali che trovano in alcune idee sociali ― pensiamo al reddito di cittadinanza ― la pretesa demagogica di risolvere bene tutti i problemi e di accontentare tutti.   

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«Datevi da fare» [cfr. Gv 6, 27] dice Gesù, ma per farlo è necessario uscire in missione con la sua autorevolezza, sull’esempio di quei settantadue discepoli che, investiti di ogni potere, tornarono a casa pieni di gioia [cfr. Lc 10, 17] avendo constatato con mano che quando la rivelazione di Cristo raggiunge i più poveri e i più piccoli [cfr. Lc 10, 21] si instaura con potenza il Regno dei cieli.  «Datevi da fare» dice ancora Gesù, ma solo dopo aver operato una scelta decisiva e privilegiata che dia a Cristo il primato sulla nostra vita.  Gesù è il punto di rottura tra la Verità di Dio e l’illusione della verità del mondo e chi non conosce e riconosce questa Verità è destinato allo scandalo, alla confusione, alla fuga anche all’interno dalle comunità dei credenti in cui si può stare solo e soltanto seguendo le esigenze che Cristo detta.

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Ecco perché appare urgente e necessario riflettere come Chiesa su quella domanda che Cristo pone ai suoi discepoli e operare un sereno discernimento. «Volete andarvene anche voi?» [Cfr. Gv 6, 67], domanda che suona come un monito all’obbedienza della fede che non può trovare sostituti o surrogati in altre persone o ideali.

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Quanti cristiani battezzati oggi hanno il pensiero di Cristo e della Chiesa e professano un’obbedienza filiale? Pochi, anzi pochissimi. Vanno di moda i preti sindacalisti, psicologi e assistenti sociali. I cardinali elettricisti e LGBT friendly, i laici intenti nelle rivendicazioni sociali, i gruppi ecclesiali con la tessera di partito, quelli che fanno le battaglie sui social per l’amore libero e tollerante, per l’umanissima e liberante eutanasia. Quelli che ancora, dopo la caduta del Muro di Berlino, orfani del Sol dell’avvenire, sono rientrati in casa cattolica dalla finestra e ora sono additati come cristiani adulti e docenti. Infine, ci sono quelli che in nome della tradizione, forti della Messa di sempre e del latinorum, agghindati con veli di trina, pizzi e merletti sarebbero pronti anche a destituire un Papa in nome della loro fedeltà alla Chiesa. Insomma, una situazione difficilmente gestibile che molti parroci conoscono ma che non riescono a contrastare e bonificare perché il Vaffa-day non è solo prerogativa delle piazze grilline ma anche di quelle cattoliche che alla prima occasione mandano a quel paese il sacerdote, reo di avere tentato di annunciare la dura parola di Cristo che rifiuta i compromessi e impone una scelta.

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È triste dirlo ma questo genere di cattolici mai lascerà il passo a Cristo e alla sua Chiesa perché impossibilitati a professare le parole del beato apostolo Pietro «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» [Cfr. Gv 6, 68-69]. Molto meglio sarebbe per loro riconoscere i palpiti del cuore e dirigersi là, dove questo li conduce, lasciando in buon ordine la Chiesa e il Vangelo a favore di coloro che desiderano realmente conoscere e credere in Gesù ma che ne sono impediti da questi tristi figuri.

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Infatti, se da cristiani il principio per fare discernimento non è Cristo ma il principio parlamentare della maggioranza mai si instaurerà il Regno dei cieli. Se le istanze del mondo sono più appetibili di quelle del Vangelo mai si comprenderà il valore dell’obbedienza e della fede. E ancora, se la parola del Magistero è decisamente meno influente di quella dei vari Ferragnez, Saviano, Fazio, Zan e dei vari guru che giornalmente ci compaiono davanti vana è la speranza di aspettarsi un laicato serio che sappia entrare nelle pieghe del mondo annunciando la novità della Parola.

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Laconi, 28 agosto 2021

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