Con la verità e il nostro apostolato proteggeremo sempre dai cecchini il Popolo dei fedeli che Gesù Cristo ci ha affidato

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Venezuela, guerra civile, un sacerdote protegge un giovane soldato dagli spari dei cecchini

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dall’Isola di Patmos, 21 settembre 2020

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il coronavirus, il virus dell’ignoranza e il fallimento della democrazia dementocratica: voteremo a un referendum popolare basato sulla demagogia e sulla invidia sociale?

— Le lectiones magistrales de L’Isola di Patmos —

IL CORONAVIRUS, IL VIRUS DELL’IGNORANZA E IL FALLIMENTO DELLA DEMOCRAZIA DEMENTOCRATICA: VOTEREMO A UN REFERENDUM POPOLARE BASATO SULLA DEMAGOGIA E SULL’INVIDIA SOCIALE?

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A chi non fosse chiaro fornisco un esempio: nel 1497 il giovane Michelangelo Buonarroti scolpì ad appena 22 anni “La Pietà”, che tutt’oggi rappresenta i capolavori dell’arte italiana nel mondo. Cinque secoli dopo, nel 2019, ad appena 33 anni il giovane Luigi Di Maio è nominato ministro degli esteri. Nessuno faccia strane congetture, tipo: dal Buonarroti della Pietà a Di Maio che fa pietà. Anzi chiariamo: sono io, che essendo stupido e limitato, non sono in grado di cogliere il genio pentastellato di questo giovane ministro che oggi rappresenta la storia e la dignità del nostro Paese nelle relazioni internazionali con gli altri Stati.

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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AUDIO LETTURA DELL’ARTICOLO

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Luigi Di Maio e “l’abbronzatura cafonal”

Che cosa significa “democrazia”? Come spesso ho spiegato, è necessario chiarire il significato delle parole per evitare il rischio della incomunicabilità, come accade quando si usano le parole per ciò che significano rivolgendosi però a chi le usa per ciò che non significano.

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Questo lemma di derivazione greca è composto da δῆμος (dèmos), che significa “popolo” e κρατία (krazìa) derivante da κράτος (krátos) che significa «potere». Democrazia significa alla lettera “potere del popolo” e indica una forma di governo nella quale il popolo esercita la sua sovranità attraverso rappresentanze elettive.

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I primi cenni alla nozione di democrazia li troviamo nella filosofia di Platone [Atene 348 circa – Atene 428 circa a.C.] che illustra in ordine discendente i quattro regimi di governo: aristocrazia, timocrazia, monarchia, democrazia.

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I sapienti greci, della democrazia, avevano la grande stima che narrano oggi molti autori di testi giuridici? No, a partire da Platone che mette in guardia come la democrazia possa portare alla tirannia per opera dei demagoghi.

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È lo stesso Platone che definisce nelle sue opere [Πολιτεία (Politico), redatta tra il 360-390 a.C. Νόμοι (Leggi), opera rimasta incompiuta e terminata da discepolo Filippo di Opunte] il termine demagogia, che deriva dai termini δῆμος (dèmos) “popolo” e ἄγω (ago), “trascino”. Il demagogo è quindi il politico che facendo leva sugli umori più o meno irrazionali del popolo, cerca di conquistarne il favore per instaurare e per mantenere il proprio potere.

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Non meno critico Aristotele [Stagira 384 – Calcide 322 a.C.] che indica le tre forme di governo molto soggette a corruzione: il governo del singolo, ossia la monarchia; il governo delle élites, ossia la aristocrazia; il governo dei ceti degli aventi diritto, ossia la timocrazia. Tutte forme che potevano degenerare in dispotismo oligarchico. Anche in questo caso chiariamo: oligarchia, che deriva da ὀλίγοι, (olígoi) pochi, ed ἀρχή (arché) comando, indica una forma di governo gestita da pochi. Tra le varie forme di governo Aristotele giudicava la democrazia una delle peggiori, perché strumento privilegiato di coloro che per avere il favore delle masse giocavano sulla emotività del popolo attraverso la demagogia per conquistarne i favori.

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Affinché gli ignoranti non si sentano offesi nel corso di questa esposizione, chiarisco che il lemma “ignorante” deriva dal latino ignoransantis, participio presente di ignorare «ignorare», che significa: colui che non conosce una determinata materia. Per esempio io sono ignorante in materie come la matematica, la fisica, l’astronomia e molte altre, in quanto le ignoro, ossia non le conosco. Non essendo però un ignorante arrogante come l’esercito di coloro che popolano i social media, non oserei mai ribattere a un fisico, a un matematico a un astronomo, proprio perché sono totalmente ignorante. In tutta questa esposizione il termine “ignorante” sarà usato per ciò che realmente significa, non per ciò che non significa.

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Coloro che nell’antica Grecia miravano a costituire un sistema improntato su criteri che oggi definiremo di libertà, non usavano il termine “democrazia”, facevano uso di altre parole, per esempio “isonomìa”, che indica il concetto di eguaglianza delle leggi per tutti i cittadini; oppure “isegorìa”, che indica il concetto di uguaglianza con annesso diritto dei cittadini di prender parola nell’assemblea, il tutto sulla base del principio di eleutherìa e di parresìa, che indicano, rispettivamente, il concetto di libertà in generale e il concetto di libertà di parola.

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I grandi pensatori di quella stagione, non hanno mai concepita la possibilità che degli ignoranti arroganti potessero prendere parola nell’assemblea. Le fonti storiche offrono come esempio il discorso tenuto dal Beato Apostolo Paolo all’areopàgo di Atene [Atti degli Apostoli: 17, 22-34], perché questo era il livello di coloro ai quali era concesso parlare. Allo stesso modo, nella antica Grecia, sempre quella reale, non sarebbe stato pensabile che gli ignoranti potessero beneficiare di quello che oggi si chiama “diritto di voto”. In tal caso si sarebbe caduti nella democrazia, ossia nella dittatura del popolo pilotato da piccoli gruppi di politicanti che avevano bisogno di necessità degli ignoranti per instaurare il proprio personale potere.

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Gli antichi sapienti greci avevano capito tutto, siamo noi che non abbiamo capito, sino a far pensare ai greci ciò che mai hanno pensato e facendogli dire ciò che mai hanno detto.

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I POLITICI SONO CORROTTI PERCHÉ È CORROTTO IL POPOLO. L’EMERGENZA DA CORONAVIRUS HA PORTATO ALLO SCOPERTO LA FRAGILITÀ DEL NOSTRO SISTEMA FONDATO ANCHE SU MALAFFARE E CORRUZIONE

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La democrazia, intesa nell’accezione moderna, è la forma più fragile di governo e per reggersi richiede grande maturità da parte delle popolazioni. In caso contrario si corre il rischio di dare vita alla forma più degenerata di democrazia: la democrazia senza libertà, come vedremo di seguito.

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Per comprendere questo rischio, bisogna partire analizzando tre elementi: democrazia, demagogia e ignoranza. L’elemento più fragile e rischioso sul quale si reggono le democrazie è il diritto di voto esteso a tutti. Le varie costituzioni democratiche erette su criteri di democrazia diretta, enunciano il princìpio della sovranità del popolo: tutti i cittadini partecipano alle decisioni di governo mediante il voto col quale concedono o revocano il mandato ai politici scelti come rappresentanti e amministratori. 

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Come capite si tratta di una forma di governo molto elevata, dinanzi alla quale dovremmo domandarci: cosa può accadere, in un sistema democratico, se un esercito di ignoranti arroganti cede alle manipolazioni dei demagoghi? Cercherò di spiegarlo prendendo come esempio il nostro Paese nel quale si è cristallizzata questa dissociazione: un popolo corre periodicamente alle urne a dare il voto anche ai peggiori corrotti, per poi lucrare da essi “diritti” alla illegalità, salvo lamentare poi la corruzione della politica e dei politici, che non nasce però da sé stessa, ma è generata dal popolo. Ovvio che il popolo è formato anche da ottime persone, considerando però che le elezioni le vince chi ottiene più voti, è presto detto: se come rappresentante al parlamento o amministratore locale è eletto un soggetto noto a tutti per essere vicino alla ‘ndrangheta, è evidente che la maggioranza dei calabresi aventi diritto di voto ha espresso ciò che pensa, ciò che vuole e ciò che il popolo è nella sua maggioranza. Non lo dico io, lo dicono i voti dati sulle schede elettorali.

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È noto che parte del nostro Paese è in mano a tre associazioni mafiose: la Camorra, la ‘ndrangheta e Cosa Nostra. E se qualcuno lo negasse, credo che dovrebbe renderne conto anzitutto ai familiari dei morti ammazzati sotto i colpi di queste mafie, a partire da numerosi servitori dello Stato.

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Su che cosa si reggano queste mafie lo sappiamo da sempre: sul voto di scambio. Se infatti queste mafie sono degli squali, la democrazia è l’acqua dell’oceano in cui prosperano. E in certe zone nessuno ottiene la maggioranza senza i voti pilotati dalle mafie. Sicché è presto detto, il politico corrotto non è un fungo che nasce in modo autonomo, è il frutto generato dalla corruzione del popolo che in cambio del voto ottiene poi molte cose: occhi chiusi sulla evasione fiscale, sul lavoro nero, sugli abusi edilizi, concessioni di appalti, danaro pubblico sperperato a fiumi, pensioni di invalidità fasulle, sovvenzioni per i progetti più improbabili erogate attraverso truffe ai danni dello Stato e via dicendo …

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È possibile mettere in ginocchio e sconfiggere certe potenti mafie? Si, da sempre conosciamo il modo: sospendere per dieci anni le elezioni politiche e amministrative in circa metà del nostro Paese, affidando la gestione delle amministrazioni a commissari governativi. Cosa però impossibile a farsi, perché il sistema democratico mutato in regime dementocratico non lo consentirebbe mai, anche se le mafie si servono di una democrazia collassata per imporre il proprio controllo su interi territori del Paese.

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Oggi che a causa della emergenza da Coronavirus ci ritroviamo in grave crisi economica, pretendiamo forse che l’Europa ci faccia piovere addosso piogge di danaro a fiumi? Siamo seri: se noi conosciamo i giochi di interessi e gli egoismi dei vari Paesi dell’Unione Europea, che non sono angeli, in testa a tutti Germania, Francia e Olanda, loro conoscono altrettanto bene noi e sanno quale ingegno siamo capaci a mettere in campo quando c’è da sperperare soldi. Casomai non fossi stato chiaro allora lo sarò di più: nel corso degli anni, la Calabria e la Sicilia hanno restituito all’Europa decine di milioni di euro che non sono stati usati per valorizzare i territori, il turismo, l’artigianato e le piccole imprese locali. Come mai? Ma perché l’Europa vuole progetti concreti, resoconti e opere eseguite, non intende finanziare né la ‘ndrangheta né Cosa Nostra. A quel punto, non potendo fare raggiri, i fondi non sono stati usati, quindi restituiti. Perché questa è la logica mafiosa: se non posso rubare i soldi, allora non li voglio.

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IL PIÙ GRANDE ACQUISTO DI VOTI EFFETTUATO CON I SOLDI DEI PUBBLICI CONTRIBUENTI: IL REDDITO DI CITTADINANZA. È POSSIBILE SCONFIGGERE LE MAFIE? SI, SAPPIAMO DA SEMPRE COME POTERLO FARE

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Uno dei più grandi acquisti di voti realizzato con i soldi pubblici nella storia del nostro Paese è stato il reddito di cittadinanza, col quale sono stati mietuti voti in tutto il Meridione d’Italia, con i conseguenti intrallazzi che di tanto in tanto saltano agli onori delle cronache. Il tutto per l’opera di un manipolo di giovani politici improvvisati emersi dalle proteste demagogiche di un comico schizofrenico che ha aizzato il popolo giocando sugli umori delle masse. Il tutto a riprova della sapienza del teatro greco, nel quale è noto in che modo, dopo la tragedia, si passasse alla farsa grottesca e poi alla satira.

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La legge prevede che questo “reddito elettorale”, sia ritirato se il beneficiario rifiuta una congrua offerta di lavoro per due volte. Domando: quanti sono i lavori per i quali imprese e artigiani italiani del Meridione sono obbligati ad avvalersi di manodopera straniera? E se torno a richiamarmi al Meridione, non è per anti-meridionalismo, ma perché esso detiene il numero più alto di disoccupati e di persone che lavorano in nero e che prendono poi assegni di disoccupazione e sussidi vari. Qualcuno, a questi beneficiati da “reddito elettorale”, ha mai offerto lavori nel settore agricolo, mentre frutta e verdura marcivano nei campi per mancanza di manodopera straniera, impedita a giungere in Italia per l’emergenza da Coronavirus che aveva chiuso le frontiere? Qualcuno ha offerto posti di impiego presso cantieri edili, ristoranti o alberghi, dove sui ponteggi di lavoro, dentro le cucine e come addetti alle pulizie delle camere, provvedono quasi esclusivamente lavoratori africani, o lavoratori provenienti dal Bangladesh e dallo Sri Lanka? Posso testimoniarvi che nel corso di questa estate mi sono recato in diverse località costiere, non per vacanza, ma per fare incontrare varie persone. Queste le scene che si sono presentate ai miei occhi in una zona litoranea, in uno di quegli angoli del nostro Paese dove il rituale pianto sulla disoccupazione ha ormai quasi il sapore di un rito: dentro ristoranti, bar, alberghi, il personale di servizio era per la quasi totalità composto da nordafricani, orientali e latinoamericani, mentre sul lungomare passeggiavano per la meritata movida i beneficiati da reddito di cittadinanza. Se ai beneficiati da questo “reddito elettorale” fossero proposti i lavori svolti da volenterosi cittadini stranieri, previo ritiro del reddito dopo il secondo rifiuto, alle prossime elezioni, darebbero di nuovo il voto ai figli onirici del comico schizofrenico, che ripeto: si sono comprati i voti a spese dei pubblici contribuenti della Repubblica Italiana attraverso il reddito di cittadinanza?

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LO STATO INTESO COME ENTITÀ ASTRATTA CHE “DEVE”. IL CITTADINO INVECE, ALLO STATO NON DEVE NIENTE? CHI EVADE IL FISCO DERUBA LA COLLETTIVITÀ NAZIONALE INTERA

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Come abbiamo visto in occasione dell’emergenza da Coronavirus, dalle bocche delle “vittime senza macchia” che costituiscono il corpo del popolo sovrano, si è levato il grido: “Lo Stato deve!”. Sì, perché a oltre 150 anni dall’Unità d’Italia, ancora non si è compreso che lo Stato non è un’entità astratta, lo Stato siamo tutti noi. A maggior ragione, all’esercito di evasori fiscali, di lavoratori in nero e traffichini vari, si sarebbe dovuto rispondere … sì, “lo Stato deve”, ma tu, allo Stato, che ripeto siamo tutti noi, in doveri, non devi niente? Insomma: non è che per molti, questa entità astratta dello Stato, rischia di essere una vacca da mungere, ma al tempo stesso da frodare quando si deve adempiere al dovere di pagare le tasse? Ovviamente, il ladro o il truffatore non ammetterà mai di essere tale, anzi cercherà plausibili giustificazioni, per esempio affermando che non paga le tasse perché inorridisce all’idea che con i suoi soldi siano pagati stipendi e rimborsi alla classe parassitaria di quei politici che tra l’altro, l’evasore, ha votato ed eletto. Ladri e truffatori tentano sempre di giustificarsi, ignorando che nel bilancio dello Stato, le spese per il pagamento di stipendi e rimborsi dei politici, sono del tutto irrisorie. Molto è invece il danaro necessario per garantire gratuitamente a tutti l’istruzione, l’assistenza sanitaria, l’assistenza per anziani e disabili, il sistema di pubblica sicurezza a tutela della collettività e dei singoli cittadini, per i centri di ricerca scientifica e via dicendo … E chi evade il fisco non truffa una non meglio precisata entità astratta chiamata Stato, ma deruba la collettività nazionale intera.

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A tutto questo si aggiunga che gli evasori fiscali sono i principali responsabili dell’aumento della pressione fiscale. Chiariamo in cifre l’entità del tutto: nel 2019, il ministero delle finanze, ha calcolato che nel nostro Paese l’evasione fiscale si aggira attorno ai cento miliardi di euro all’anno [Rapporto stilato nel 2019 dal Ministero dell’Economia e delle Finanze]. Posso confidarvi che, essendo io ignorante in matematica e non solo, non sono capace a scrivere questa cifra, perché non so neppure da quanti zeri deve essere composta?

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Per evitare inutili polemiche ometto il nome della città, limitandomi a dire che nelle statistiche ufficializzate nel 2019 dal ministero delle finanze, questa provincia del nostro Meridione risultava agli ultimi posti come reddito pro capite e gettito fiscale, con una disoccupazione giovanile stimata al 32%. Però, allo stesso tempo, questa provincia risultava ai primi posti a livello nazionale per la immatricolazione di auto di grossa cilindrata e i consumi di beni di lusso. A questo si aggiungeva un altro dato: le seconde case di proprietà erano superiori in numero a quelle delle province più ricche della Lombardia.

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Come mai dinanzi a simile evidenza non si è proceduto a sanzionare l’esercito di evasori fiscali affatto difficili da individuare? Semplice: certi politici, correrebbero mai il rischio di compromettere un loro prezioso serbatoio elettorale? E con questo è ribadito che la mala politica e i politici corrotti non sono funghi che nascono spontaneamente, ma il prodotto della corruzione del popolo che vive nel malaffare e che si dichiara immacolato dando poi le colpe all’entità astratta dello Stato e ai politici che loro stessi hanno eletto.

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L’epidemia da Coronavirus è stato un imprevisto che ha messo in luce quanto pericolosa sia la nostra economia retta anche sulla evasione fiscale e il lavoro nero. Alcuni anni fa, in periodi di crisi economica, migliaia di piccole imprese si cancellarono dai registri, mentre i politici di opposizione vagavano per le televisioni a lamentare questa situazione. Vi risulta abbiano però lamentato che numerose ditte, dopo essersi cancellate dagli albi, avevano seguitato a lavorare in nero senza pagare le tasse, favorendo così il sommerso e il lavoro nero? No, che non lo hanno lamentato, perché anche quest’altro gran serbatoio elettorale, non lo poteva toccare nessuno.

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POLITICI E GIORNALISTI CHE PRIVI DI COMUNE SENSO DEL RIDICOLO PARAGONANO IL SISTEMA ITALIANO E I SUOI CITTADINI A QUELLO DELLA GERMANIA E DELLA SVIZZERA E AI SUOI CITTADINI. GLI ITALIANI, SONO DAVVERO UN GRANDE POPOLO?

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In seguito alla emergenza da Coronavirus che ha avuto gravi ripercussioni sui consumi, sull’economia e il mercato del lavoro, molti di coloro che danno vita a questo sommerso si sono ritrovati in enormi difficoltà. E spesso, proprio costoro, hanno lamentata la “assenza dello Stato” che a loro dire “deve … deve e solo deve”.

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E ai discorsi demagogici di certi politici si sono uniti quelli di diversi giornalisti cimentatisi in paragoni assurdi, sino ad affermare che: … in Italia hanno promesso sussidi per persone e imprese in difficoltà che non sono ancora arrivati alla gran parte, mentre in Germania e in Svizzera, in pochi giorni hanno depositato i soldi sui conti dei cittadini.

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Rimango con un dubbio: i politici che usano lo strumento della demagogia e i giornalisti che li assecondano, sono scusabili per mancanza d’intelletto, o sono invece in malafede? Perché paragonare la Germania o la Svizzera all’Italia è degno della comicità più esilarante. Basterebbe solo domandarsi: quanti in Germania pagano le tasse e quanti, le stesse tasse, le pagano in Italia? Per quanto riguarda la Svizzera vorrei ricordare che quando fu indetto un referendum per abolire il canone televisivo, gli svizzeri votarono a maggioranza contraria, perché ritennero giusto pagare questo pubblico servizio svolto dalla televisione di Stato. Detto questo ricordo agli smemorati: in Italia, per riuscire a far pagare il canone televisivo, hanno dovuto inserirlo nelle bollette dell’energia elettrica, perché in certe regioni del nostro Paese i pagamenti evasi giungevano a una percentuale del 70% circa degli utenti.

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Sempre in quei momenti di grande emergenza da Coronavirus, giorno dietro giorno si susseguivano politici e opinionisti che ribadivano quanto noi siamo un grande popolo … Mi dispiace, ma non è vero: noi siamo un popolo con un basso senso della dignità nazionale e collettiva che non può paragonarsi a un popolo dotato di senso di appartenenza, di nazione e di responsabilità civica come lo sono i francesi. Noi siamo un popolo che possiede ricchezze storiche, artistiche e ambientali uniche al mondo, ma non le sappiamo sfruttare, valorizzare e mutare in ricca economia. Da Napoli in giù, fino alla punta estrema della Sicilia, abbiamo una industria a cielo aperto che non produce fumi tossici e inquinamento e che si chiama clima, mare e straordinarie bellezze paesaggistiche. E malgrado i più spaventosi orrori edilizi praticati, i centri storici devastati e le coste scempiate con colate di cemento perlopiù abusivo, la bellezza riesce a predominare sulle bruttezze create dalla nostra inciviltà. Purtroppo, questa fetta del nostro Paese che poi è la più bella e ricca di risorse in assoluto, non è gestita dallo Stato, ma da tre potenti associazioni mafiose che fanno comodo a grandi sacche di politica e che per questo non vengono decapitate, rendendo quindi pura retorica ogni discorso sul rilancio dello splendido e potenzialmente ricchissimo Meridione d’Italia.

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Vorrei anche smantellare un altro falso mito: non siamo neppure un popolo di persone geniali, perché esserci abituati a vivere di intrallazzi, non fa di noi dei geni, ma degli abili trafficoni. E non siamo neppure il popolo di intellettuali che ci suoniamo e cantiamo addosso da noi stessi, tutt’altro: siamo un popolo di gretti ignoranti. La prova riguardo certe parole così dure? Basta prendere uno studente italiano di scuola media superiore o di università e metterlo a confronto con uno studente tedesco o francese. Più tragico sarà il risultato se confronteremo gli insegnanti italiani con quelli francesi e tedeschi, perché nessuno come noi, a partire dal post Sessantotto, è riuscito a dare vita a una classe di docenti dotati di una ignoranza imbarazzante.

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Siamo veramente un popolo ricco di eccellenze nei vari campi delle scienze e del sapere? Figurarsi! Di eccellenze ne abbiamo, ma tutte sono il prodotto delle loro doti naturali, del loro intelletto e del dolore spesso immane col quale sono riusciti ad andare avanti e infine emergere dopo lotte condotte per lunghi anni contro sistemi accademici, scientifici e professionali corrotti e corruttori in mano alla politica, ai grandi baronati accademici e alle logge massoniche che intrallazzano con la politica e con i baronati.

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Noi non siamo un grande popolo, né un popolo di geni, né un popolo di eccellenze, siamo degli scaltri egoisti individualisti specializzati nell’arte del fregare il prossimo. E se di genio vogliamo parlare, esso consiste nel fatto che tra espedienti e intrallazzi siamo riusciti sempre a rimanere a galla nel grande oceano del nostro malaffare. È in questo, che siamo un popolo geniale.

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Inutile fare il pianto del coccodrillo sulla fuga delle più belle teste dall’Italia, perché il vero problema è che le peggiori teste di rapa rimangono nel nostro Paese e diverse, dopo le ultime elezioni, ce le siamo ritrovate nel parlamento.

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A chi non fosse chiaro fornisco un esempio: nel 1497 il giovane Michelangelo Buonarroti scolpì ad appena 22 anni “La Pietà”, che tutt’oggi rappresenta i capolavori dell’arte italiana nel mondo. Cinque secoli dopo, nel 2019, ad appena 33 anni il giovane Luigi Di Maio è nominato ministro degli esteri. Nessuno faccia strane congetture, tipo: dal Buonarroti della Pietà a Di Maio che fa pietà. Anzi chiariamo: sono io, che essendo stupido e limitato, non sono in grado di cogliere il genio pentastellato di questo giovane ministro che oggi rappresenta la storia e la dignità del nostro Paese nelle relazioni internazionali con gli altri Stati.

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IGNORANZA ED EGOISMO RENDONO LA DEMOCRAZIA DEMENTOCRATICA, MENTRE CIÒ CHE SOLO CONTA PARE ESSERE LA PAURA DI DITTATURE CHE NON TORNERANNO MAI PIÙ 

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Veniamo adesso al rapporto tra democrazia, ignoranza ed egoismo, perché ignoranza ed egoismo rendono la democrazia dementocratica. Domanda: è giusto che tutti possano beneficiare del diritto di voto? Mi spiego con due esempi: a certe condizioni dettate dalla legge, è possibile avere il porto d’armi e un’arma da fuoco in dotazione. Domandiamoci: come mai, il certificato elettorale, è concesso a tutti, compresi disagiati mentali e idioti conclamati, mentre il porto d’armi no? Può nuocere di più uno squilibrato con un’arma da fuoco in mano, oppure 10.000 squilibrati che si recano alle urne a votare?

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Per prendere la patente di guida, è necessario superare dei test. domando: perché, ad analogo esame di idoneità, non sono sottoposte le persone prima di ricevere il certificato elettorale? Può recare più danni alla collettività nazionale un folle spericolato alla guida di un’autovettura, oppure 10.000 folli squilibrati che si recano alle urne a votare?

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Hanno il diritto di voto persone prive della elementare consapevolezza di che cosa sia il sistema repubblicano italiano, da che cosa è nata la Costituzione, quali siano le funzioni del Parlamento e le prerogative e i poteri del Presidente della Repubblica. Hanno il certificato elettorale persone che affermano che per sistemare il nostro Paese bisogna abolire il parlamento e mandare a casa deputati e senatori; e non lo dicono come battuta, ma con convinzione.

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Un popolo corrotto e immaturo che ha in mano la sovranità che concede in delega ai governanti, può solo generare un sistema corrotto e dei politici corrotti. Mancando poi in questi soggetti il senso di responsabilità e il basilare senso civico, a quel punto reagiranno dichiarandosi vittime di una politica corrotta, proprio loro, il popolo che della corruzione è artefice e sostenitore!

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Veniamo adesso alla parola tabù: “dittatura”. È giusto affermare in modo categorico che la dittatura è sempre il male assoluto e la democrazia sempre il bene assoluto, pure se la storia dimostra che alcune dittature hanno evitato in parte dittature peggiori, in parte guerre civili che avrebbero potuto mettere a rischio la sicurezza del mondo? Ecco due diversi esempi, presi uno da destra e uno da sinistra: se dopo la guerra civile del 1937, in Spagna non si fosse instaurato il regime de el Generalissimo Francisco Franco, quale regime si sarebbe instaurato? Quali sarebbero stati gli assetti dell’Europa oggi, se la penisola iberica fosse divenuta un regime satellite dell’Unione Sovietica di Stalin? Posso porre questo quesito, senza correre il rischio che mi si accusi di essere un filo-fascista?

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Vista invece da sinistra: se il regime comunista della Repubblica Popolare Cinese crollasse come nel 1991 cadde in modo repentino la ex Unione Sovietica, che disastro ne deriverebbe per la Cina e il mondo intero? La Cina non è quel paese unitario che molti credono, a tenerlo unito è una dittatura comunista. All’interno della Cina vivono centinaia di etnie diverse che tra di loro si odiano da epoche remote. Se questo regime crollasse, la possibilità di una guerra civile interna costituirebbe un enorme rischio, considerata la potenza della Cina a livello numerico di abitanti, a livello economico, a livello di potenziale bellico. Posso porre questo quesito, senza correre il rischio che mi si accusi di essere un filo-comunista?

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Altro elemento che meriterebbe di essere analizzato sono le sorti riservate a tutti quei Paesi che dalla sera alla mattina si sono svegliati democratici, dopo essere stati assoggettati per secoli, prima a monarchie assolute, poi a dittature messe in piedi da regimi comunisti. Vogliamo valutare a quali inquietanti livelli, in questi Paesi, si sono sviluppate potenti mafie, elevati numeri di poveri, forme di capitalismo selvaggio privo di ogni barlume etico? Eppure, in quegli stessi Paesi retti in precedenza da dittature comuniste, due famiglie vivevano in tre stanze con un bagno in comune per gli appartamenti di tutto il piano, ma tutti avevano un tetto sulla testa e di che mangiare. Istruzione e assistenza sanitaria erano garantite a tutti. Oggi, negli stessi Paesi, capita di vedere anziani che vivono in baracche sotto i ponti, persone che non possono permettersi cure sanitarie, giovani che non possono mantenersi agli studi. Allo stesso tempo vi sono fasce di persone che vivono nella ricchezza opulenta. Cosa dire: hanno avuto la democrazia. Sì, ma di fronte a questa realtà, qualche sostenitore della democrazia a tutti i costi, se la sente di affermare “… anche la democrazia ha i propri tributi da pagare!”?

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Per paura di dittature che non torneranno più, siamo precipitati nella dittatura peggiore: da una parte politici che in campagna elettorale promettono sogni, dall’altra elettori ignoranti che gli pongono tra le mani un assegno in bianco.

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Sia chiaro, non sono mai stato un cultore delle dittature, non altro per storia familiare: il mio bisnonno finì in esilio in Francia nel 1927 e mio nonno lasciò Roma sul finire degli anni Trenta perché anch’esso non gradito al regime.

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L’IGNORANTE DEMENTOCRATICO NON SA CHE LO STIPENDIO DEI PARLAMENTARI NASCE PER TUTELARE LA PIENA RAPPRESENTANZA DEMOCRATICA

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Nell’Ottocento, con la nascita dello Stato liberale, abbiamo avuta una mezza democrazia retta su uno Statuto promulgato dal Re Carlo Alberto nel 1848. Con questo Statuto rimasto vigente fin quanto entrò in vigore la Costituzione Repubblicana il 1° gennaio 1948, a dirigere il Paese erano i membri dell’aristocrazia, i grandi latifondisti e la nuova borghesia industriale. Solo certi ceti sociali potevano assurgere alle cariche politiche ed essere eletti al Regio Senato e alla Camera dei Deputati, facendo gli interessi dei loro ceti sociali e gruppi di potere. È presto detto: l’odierno ignorante pentastellato che sbraita sui social media sullo stipendio dei parlamentari invocandone l’abolizione, non conosce la storia del proprio Paese. All’epoca che certe cariche politiche non erano remunerate e i parlamentari non beneficiavano neppure del rimborso delle spese di viaggio per recarsi a Roma alle sedute della camera o del senato, chi poteva sostenere le spese che comportava assurgere a certe cariche? Se fu stabilito prima un rimborso-spese, poi un adeguato stipendio per i parlamentari, ciò avvenne per garantire la rappresentanza democratica, perché avendone i mezzi di sostentamento, anche un contadino o un operaio avrebbero potuto candidarsi, essere votato e finire al parlamento per tutelare gli interessi dei contadini e degli operai, cosa che non avrebbero potuto fare i parlamentari esponenti delle grandi famiglie di industriali e latifondisti.

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Gli ignoranti dementocratici ― quelli che il comico schizofrenico chiamava a raccolta come “il grande popolo della rete” ― che affermavano sui social media che i parlamentari avrebbero dovuto andare a lavorare e mantenersi per poi svolgere gratuitamente il proprio ufficio, dicevano in sostanza che un chirurgo, se vuole svolgere la sua professione, deve andare a lavorare, mantenersi e poi fare il chirurgo, perché quello del medico ― sostiene sempre l’ignorante dementocratico ― non deve essere un mestiere ma una missione. Ripeto: soggetti così ignoranti nei basilari rudimenti del nostro sistema repubblicano, è giusto abbiano un certificato elettorale, mentre per avere un porto d’armi o una patente di guida bisogna avere dei requisiti di idoneità?

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Dopo il ventennio fascista e la tragedia della Seconda Guerra Mondiale, siamo divenuti una Repubblica democratica, senza esserci premurati, nello spazio di centocinquanta anni, dall’unità d’Italia a seguire, di creare un popolo. E oggi, come ieri, l’italiano è colui che sgomita, che cerca di passare avanti all’altro nella fila, che ti molla la spazzatura per strada perché convinto che quello spazio non è di nessuno, mentre in realtà è lo spazio più prezioso, ossia lo spazio di tutti. L’italiano è colui che se la cava sempre, tra un espediente e l’altro. L’italiano è colui che verso il soggetto che riesce a mettere a segno una colossale truffa prova simpatia, non di rado persino invidia, purché il truffatore non colpisca lui nei suoi interessi personali, perché in tal caso sarebbe capace a invocare la pena dell’ergastolo, se il truffatore gli ha sottratto solo cinquanta euro dal suo prezioso portafoglio.

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COME PRETE NON FACCIO POLITICA MA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA, RICORDANDO CHE IL VERO CRISTIANO DEVE DARE A CESARE QUEL CHE È DI CESARE E A DIO QUEL CHE. È DI DIO

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Noi siamo un popolo al sole incapace a sfruttare la ricchezza del sole. Crediamo di vivere in una democrazia, invece viviamo in uno stato di anarchia controllata, senza renderci conto che da tempo lavora sopra di noi un occulto Grande Fratello che vive sulla nostra stupidità e sul nostro egoismo che egli foraggia in modo scientifico. E dopo crisi o emergenze inaspettate, scopriamo che i ricchi sono divenuti più ricchi e i poveri più poveri.

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Per vivere una vera democrazia occorre spirito di profondo rispetto verso l’altro, trattando la res publica, la cosa pubblica, meglio di come tratteremmo la nostra proprietà privata. In caso contrario si finisce per vivere in una democrazia senza libertà, appagati dallo spirito di anarchia a noi concesso dal Grande Fratello, ma non per beneficio nostro, ma solo suo e di chi gli sta dietro.

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nel settembre 1870 fu presa Roma, ultimo territorio mancante. Da allora l’Italia fu unita nel suo assetto geografico, ma nessuno si è preoccupato di formare come popolo gli italiani, passati attraverso i secoli da un dominatore all’altro. Oggi che pensano di essere liberi, gli italiani sono in mano al tiranno peggiore, altro che lo spettro delle vecchie dittature che non torneranno mai più! Se infatti in passato, per tenere sedate le masse, all’epoca che eravamo un grande impero, gli Imperatori di Roma davano al popolo pane e circo, oggi, un padrone tanto peggiore quanto occulto, ha sedato il popolo con pane e anarchia. E si badi bene: un’anarchia egoistica strettamente sotto controllo, gestita da una democrazia senza libertà, nella quale il grande burattinaio ci concede di essere degli anarcoidi, ma non ci permette però di essere liberi.

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Nel VI secolo a.C. Pittàco, considerato uno dei sette grandi sapienti greci, insegnava: «Non fare al tuo vicino quello che ti offenderebbe se fosse fatto da lui a te» [Pittàco, Frammento: 10.3]. La antica sapienza biblica così ci esorta: «Desidera per il prossimo ciò che desideri per te stesso» [Libro del Levitico: 19, 18]. Diversi decenni prima della incarnazione de Verbo di Dio, il Grande Rabbino Hillel ammaestrava così i discepoli: «Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te: questa è tutta la Torah. Il resto è commento» [Talmud Babilonese, Shabbath 31.a]. Nella sapienza cristiana, il concetto di “desiderio” e “rispetto” si traduce nel cristologico imperativo: «… amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati» [Vangelo di San Giovanni: 15, 12]. E quando a Cristo Dio fu chiesto dai farisei se era giusto pagare le tasse a Cesare, egli si fece dare una moneta, indicò la effige di Cesare su di essa e rispose: «Date all’Imperatore quello che è dell’Imperatore e a Dio quello che è di Dio» [Vangelo di San Matteo: 22, 17-21]. Cristo stesso pagò agli esattori la tassa prevista per il Tempio, comandando a Pietro di consegnare a loro una moneta d’argento «per te e per me» [Vangelo di San Matteo: 17,27].

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Cedere a forme di pericolosa demagogia e votare per la diminuzione del numero dei parlamentari della Repubblica Italiana, spinti non ultimo da intima invidia sociale, a mio libero e modesto parere potrebbe equivale a impoverire e limitare ulteriormente una fragile democrazia che sotto molti aspetti è già fallita e collassata.   

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Spero che nessuno osi accusarmi di avere fatta politica, primo perché sono un cittadino della Repubblica Italiana e  anche nel qual caso l’avessi fatta ne ho tutti i diritti riconosciuti. Secondo, perché non ho fatta politica, ho fatto solo dottrina sociale della Chiesa.

Dio benedica l’Italia e il suo Popolo.

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dall’Isola di Patmos, 17 settembre 2020

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dall’Isola di Patmos, 17 settembre 2020

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Fede e tatuaggi: connubio possibile? È lecito per un credente tatuarsi il corpo? Ma soprattutto: è proprio il caso di urlare “al satanismo!” dinanzi a un tatuaggio sul corpo?

— attualità ecclesiale —

FEDE E TATUAGGI: CONNUBIO POSSIBILE? È LECITO PER UN CREDENTE TATUARSI IL CORPO? MA SOPRATTUTTO: È PROPRIO IL CASO DI URLARE “AL SATANISMO!” PER UN TATUAGGIO SUL CORPO?

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Il cristianesimo cattolico conosce ben chiara teologia della corporeità che non trova parallelismi nelle altre religioni o fedi. Segnato dal sigillo battesimale, il corpo fisico è immerso nel mistero della passione, morte e risurrezione di Gesù che è il vero signum sacrum che la grazia imprime nell’anima. Voler però ravvisare elementi satanici nel tatuaggio, non solo rischia di essere una esagerazione, ma un ridurre la questione ai minimi termini, o forse peggio a termini di chiusa banalità, sino a vedere il male ovunque, salvo non vederlo dove veramente è.

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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PDF  articolo formato stampa

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Jorge Facio Lince
Presidente delle Edizioni L’Isola di Patmos

Da tempo ai Padri de L’Isola di Patmos sono giunti sia da parte di giovani sia da parte di genitori, quesiti sui tatuaggi impressi nel corpo. Si è preso cura di rispondere il nostro editorialista cappuccino, Padre Ivano Liguori, che sta lavorando a un saggio breve su questo tema che sarà pubblicato e distribuito prossimamente dalle nostre Edizioni L’Isola di Patmos. Intanto vi offriamo alcune anticipazioni.

 

 

 

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«Non vi spaventate dei tatuaggi. Gli eritrei, già molti anni fa, si facevano la croce sulla fronte».

Francesco I

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immagine del Sommo Pontefice Francesco tatuata su un braccio

Queste le parole del Santo Padre [1] in risposta alla domanda di un giovane seminarista di Leopoli, Yulian Vendzilovych, che si poneva il problema delle attuali sfide pastorali della Chiesa all’interno dell’universo e del mondo giovanile.

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Uno dei temi affrontati, in quella intervista è proprio il tatuaggio, ormai diventato lo status symbol più comune dei giovani Post-Millennials [2] che emulano così i loro beniamini del mondo dello sport e della musica, molto più di quanto si verificò per la generazione dei loro padri.

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tatuaggio su braccio: crocifissione sul Calvario sormontata da due mani che stringono una corona del rosario

Non è certamente un interrogativo banale quello sottoposto dal seminarista al Papa, tanto meno l’argomento appare superficiale come lo si potrebbe considerare a prima vista. Anzi, una tale provocazione può certamente favorire un dialogo sincero e illuminante sullo status quaestionis dello sconfinato mondo del tatuaggio e del tatuarsi.

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Non è solo il mondo giovanile che desidera tatuarsi, secondo una certa stima sarebbero circa 20 milioni le persone nel mondo a voler avere un tatuaggio [3]. Tra gli italiani — secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità [ISS [4]] aggiornati al 17 ottobre 2019 e diffusi dal sito Epicentro — il 12,8% della popolazione ha almeno un tatuaggio, percentuale che sale al 13,2% se si considerano anche gli ex-tatuati.

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Il popolo dei tatuati comprende tutte le fasce d’età: adolescenti, giovani e adulti di ambo i sessi e appartenenti ai contesti sociali e religiosi più disparati.

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San Pio da Pietrelcina tatuato su una spalla

Sebbene tale argomento sembri per certi versi di nicchia — tanto da non interessare i tabloid di moda o di costume più in voga — relegando l’intero ambito alle riviste specializzate, la vicenda non resta priva di fascino, controversie e pregiudizi, insieme a quelle frettolose analisi che risentono di generalizzazioni semplicistiche e spesso fuori luogo. Tutte cose che da un punto di vista della fede cristiana, esigono una spiegazione chiara, adeguata e soddisfacente per evitare il rischio di collocarsi come impedimento a una fede libera e liberante.

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La questione tatuaggio, posta in tali termini, può consentirci di riformulare la domanda del seminarista al Papa tanto da rievocarne una eco in quella domanda etica che il giovane ricco rivolse a Gesù [cf. Mc 10,17]: “Forse a noi futuri sacerdoti i tatuaggi possono anche non interessare. Ma visto che i nostri coetanei che frequentano la Chiesa, che sono battezzati come noi ne fanno sfoggio è d’obbligo un chiarimento: per un cristiano è buono averli?”.

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Santa Rosalia patrona di Palermo tatuata su un polpaccio

La domanda, come mi sono permesso di riformulare, è di carattere evidentemente morale e la risposta va cercata in quel bene eterno che si cela anche dentro le zone d’ombra e di fragilità umana. Luoghi intimi e arditi in cui solo Dio può operare e dove un bravo direttore spirituale può mettervi mano. Sgombriamo il campo da qualsiasi fraintendimento: non è il tatuaggio come ente in sé ad essere oggetto di contestazione ma l’opzione fondamentale che spinge a farsi queste decorazioni corporee all’interno di un discorso di fisicità umana già perfettamente armonica perché riflesso dell’opera di Dio creatore.  

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Infatti, se Isaia può parlare a nome del Signore testimoniando come Jahvè conosce così intimamente l’uomo da usare l’immagine «Sulle palme delle mie mani ti ho disegnato» [Is 49,16], sembra realizzarsi quel traguardo che individua nel corpo un luogo di scrittura in cui «la pelle è una superficie sulla quale è possibile scrivere la propria storia» [5], anche quella con Dio e che altri possono leggere.

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tatuaggio della Croce di San Benedetto da Norcia con la colomba raffigurante lo Spirito Santo

Così come è avvenuto nella vicenda di malattia della giovane Ségolène affetta da sclerosi principiata al braccio sinistro:

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«L’uomo ha bisogno di simboli, io avevo bisogno di un simbolo, di un segno fisico, visibile, di Cristo vicino a me. Quando il mio braccio non funziona correttamente, questa croce mi dà la speranza e la forza di andare avanti nella vita, malgrado tutto» [6].

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Sfido chiunque a giudicare una giovane malata per la sua scelta carica di speranza che, condivisibile o meno, ci interpella proprio in quel campo che è la testimonianza e il martirio in cui si trovano a vivere tanti uomini e donne, cristiani del nostro tempo.

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Ecco perché gli interrogativi sul tatuaggio fatto su un cristiano interrogano la scelta battesimale che è totalizzante anche di una fisicità umana già redenta. Sicché i dubbi inespressi alla domanda posta dal seminarista al Papa sono questi: il tatuaggio mi avvicina o mi allontana da Cristo? Mi avvicina o mi allontana dalla comunità ecclesiale? Questi gli interrogativi da risolvere, senza aver paura di andarne a cercare le risposte.

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immagine della passione di Cristo coronato di spine tatuato su una schiena

Sappiamo già dalla storia che i cristiani ortodossi, armeni, copti [7], eritrei praticavano il tatuaggio come segno di testimonianza di fede, di partecipazione alle sofferenze di Cristo e come certificazione di un pellegrinaggio [8] avvenuto nei luoghi santi.

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Chi sostiene che il tema del tatuaggio sia solo un retaggio di stereotipi di civiltà del passato, di ambienti criminali al limite della legalità o di un mondo religioso le cui direttrici sono rappresentate dal semplice dualismo permesso/vietato o innocenza/peccato, compirebbe una appropriazione indebita in ambito di onestà intellettuale. Il tatuaggio può essere anche tutto questo, ma certo è molto altro ancora. Questo mondo è molto vasto, tanto da non poter pretendere una lettura immediatamente univoca del problema. È necessario delimitarne gli ambiti di approfondimento, creare collegamenti, inseguire connessioni temporali, capire i simboli, gli archetipi e quella sottocultura del mondo antico che ha determinato la culla in cui è nato il tatuaggio e la sua pratica.

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Su di una cosa però conviene dare ragione a Papa Francesco: il cristiano non deve temere nulla, tanto meno il tatuaggio. Perché è Cristo che ha comandato ai suoi discepoli di non temere [cf. Mt 10,31; 10,28; 14,27; Mc 4, 40 Gv 6, 20 Att 18, 9] e la Chiesa non genera mai dal suo grembo figli pavidi e timorosi.

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tatuaggio di San Michele Arcangelo su un braccio

Il seguente studio vuole soffermarsi sulla storia e la cultura del tatuaggio così come necessaria argomentazione introduttiva, andando poi ad analizzare alcuni aspetti che riguardano la liceità morale e religiosa del segno pittorico sulla pelle alla luce del Magistero della Chiesa. Alcune tematiche particolari concluderanno lo studio, come il rapporto che esiste tra fede e tatuaggi e il dibattito, ancora aperto, tra i sacerdoti esorcisti su una certa influenza demoniaca del tatuaggio e dei suoi effetti spirituali. Le conclusioni dello studio cercheranno di unire le prospettive teologiche alle linee guida pastorali. In tal senso tendo a chiarire fin da subito qualche perplessità eventuale. Queste pagine non possono e non devono essere prese come una sorta di apologia cristiana del tatuaggio. Chi, dopo averle lette, volesse sostenere una tesi del genere sarebbe manifestamente in malafede e fuori strada.

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Da sacerdote cattolico e teologo, però, ho il dovere di indagare sul piano teologico anche su quelle questioni che si trovano oltre la linea, in quelle terre di nessuno dov’è facile perdersi o inseguire miraggi che, per quanto allettanti, restano solo e soltanto evidenze inconsistenti.

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tatuaggio sul petto con Gesù Cristo e la Beata Vergine Maria

Il cristianesimo cattolico conosce una ben chiara teologia della corporeità che non trova parallelismi nelle altre religioni o fedi. Segnato dal sigillo battesimale, il corpo fisico, è immerso nel mistero della passione, morte e risurrezione di Gesù che è il vero signum sacrum che la grazia imprime nell’anima. Un sigillo identitario indelebile – sfraghis – che come appartenenza a Dio ci identifica nello Spirito Santo come figli beneamati (cf. Mc 1,11). Capire questo, già dai suoi primi sviluppi e implicazioni, aiuta il discernimento della persona che arriva anche a rinunciare al fascino di avere un segno tatuato che, per quanto bello e artisticamente valido, resta sempre transitorio e opera delle mani dell’uomo. Voler però ravvisare elementi satanici nel tatuaggio, non solo rischia di essere una esagerazione, ma un ridurre la questione ai minimi termini, o forse peggio a termini di chiusa banalità, sino a vedere il male ovunque, salvo non vederlo dove veramente è.

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Laconi, 15 settembre 2020

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NOTE

[1] Cf. https://www.agensir.it/quotidiano/2018/3/19/papa-francesco-ai-giovani-non-spaventarsi-dei-tatuaggi/

[2] Con tale etichetta ci si riferisce a quella generazione di giovani nati successivamente a quella dei Millennials (1980-1995), quindi dal 1996 in poi.

[3] Cf. Francesco Bungaro, Piercing e tatuaggi: il corpo riadattato. In Studia Bioethica – vol. 3 (2010) n°3 pp. 39-49.

[4] Cf. https://www.epicentro.iss.it/tatuaggi/aggiornamenti

[5] Cf. B. Andrieu – C. Bimbi, “Il corpo Decorato” in Mente e Cervello, 37 (gennaio 2008).

[6] https://it.aleteia.org/2019/02/28/tatuaggi-copti-wassim-razzouk/

[7] Cf. https://it.aleteia.org/2019/02/28/tatuaggi-copti-wassim-razzouk/

[8] Cf. https://www.tatuaggistyle.it/razzouk/8752

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