Lungo la strada risuona la supplica: «Resta con noi Signore, perché si fa sera»

L’angolo dell’omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

LUNGO LA STRADA RISUONA LA SUPPLICA: «RESTA CON NOI SIGNORE PERCHÉ SI FA SERA» 

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Attualmente siamo tutti stanchi, ingannati nelle nostre aspettative, delusi dai nostri propositi, sfibrati e stufi da una fede che è sempre più immagine umana, distanziandosi anni luce da quella rivelazione autentica che troviamo nella Sacra Scrittura e che la predicazione apostolica ha portato dentro le nostre comunità di fede. Questi due mesi di esilio sanitario ci fanno desiderare – così come lo è stato per i discepoli di Emmaus – di riascoltare nuovamente delle Scritture vive, in cui poter ardere per la presenza di Gesù Risorto, all’interno di una comunità domenicale che si riunisce senza più paure e divieti. 

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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In questa III Domenica di Pasqua, dal Vangelo risuona: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto» [Lc 24, 29], credo di interpretare correttamente la voce di tanti fedeli in questo momento storico particolare, a partire da questa bella richiesta di misericordia del Vangelo di Luca.

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Abbiamo bisogno, che Gesù resti con noi oggi; abbiamo un disperato bisogno di restare noi con Lui, senza più condizioni, il tempo ormai si è fatto breve e non possiamo più permetterci di sprecarlo.

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Attualmente siamo tutti stanchi, ingannati nelle nostre aspettative, delusi dai nostri propositi, sfibrati e stufi da una fede che è sempre più immagine umana, distanziandosi anni luce da quella rivelazione autentica che troviamo nella Sacra Scrittura e che la predicazione apostolica ha portato dentro le nostre comunità di fede. Questi due mesi di esilio sanitario ci fanno desiderare – così come lo è stato per i discepoli di Emmaus – di riascoltare nuovamente delle Scritture vive, in cui poter ardere per la presenza di Gesù Risorto, all’interno di una comunità domenicale che si riunisce senza più paure e divieti.

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Prima di tutto però, è necessario sanare una ferita che è quella che risiede nel nostro cuore indurito, nella sclerocardia che ci impedisce di credere a tutto ciò che hanno detto i profeti, immagine ampia per esprimere tutti coloro che nella storia dell’umanità sono stati incaricati dalla Chiesa dell’annuncio della Parola e dell’autentica interpretazione della stessa.

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Quanta Parola sprecata, quanti profeti inascoltati: da quelli del Vecchio Testamento, passando per Giovanni Battista fino ad arrivare a tanti bravi vescovi e all’ultimo parroco. Non possiamo dire che Gesù è risorto senza aderire all’annuncio delle Scritture e senza prestare ascolto alle parole di coloro che sono stati costituiti da Dio profeti di questo annuncio.

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Con tristezza dobbiamo riconoscere che la nostra ignoranza di Gesù Cristo, così come diceva San Girolamo, deriva dalla non conoscenza della Parola delle Scritture annunciata e proclamata. Che tristezza che la parola di tanti maestri della fede oggi sia ridicolizzata, banalizzata e ridimensionata davanti al pensiero unico e al politicamente corretto. Proprio in questa quarantena abbiamo più bisogno che mai dell’autentica Parola delle Scritture. Parola che sta scarseggiando anche in noi preti, per lasciare il posto a una presenza palliativa, umana che – all’annuncio sacramentale – preferisce le coccole della vicinanza. Perché vedete, cari fratelli, possiamo desiderare nell’intimo di compiere tante belle esperienze di Gesù ma se non ascoltiamo e aderiamo alla Parola, c’è il serio rischio di restare increduli e atei, pur bazzicando sacrestie, sagrati o partecipando a feste patronali e pellegrinaggi.

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La bellezza del brano di Luca di questa domenica consiste proprio in questo disvelamento che rivela il nostro paradosso di credenti increduli. Questi due uomini li possiamo considerare di famiglia, sono discepoli, sono vicini a Gesù eppure hanno un cuore distante da Lui, incredulo, tanto che gli eventi della Passione a cui hanno assistito non sono per nulla eloquenti per la loro vita ma anzi diventano un’occasione propizia di scandalo e di fuga timorosa da Gerusalemme.

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Infatti, non basta vedere per credere, così come Tommaso ci ha ricordato domenica scorsa, occorre qualcosa di più. E questo di più consiste nell’ascoltare la Parola della Scrittura e applicarla a Gesù, partecipando a quello stupore che ciò che è stato scritto si è realmente realizzato. In modo semplice dobbiamo constatare come Dio rimane fedele a ciò che ha detto e operato. Ecco allora che Gesù si affianca in mezzo a questi due discepoli e riannuncia loro la Parola, li educa a una nuova fedeltà. Lui Verbo del Padre si rende Parola per questi increduli muti, accendendo nel loro cuore il desiderio del Dio vicino che proprio nel Risorto trova la sua piena realizzazione.

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La Parola fa ardere il loro cuore tanto che il segno sacramentale della frazione del pane, in quella casa dove avevano trovato rifugio, diventa momento opportuno affinché i loro occhi si aprano alla verità pasquale. Interessante notare come nell’attimo in cui riconoscono il Risorto esso scompare, così come accadrà altre volte nei racconti pasquali.

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Non è possibile per l’uomo dominare il Risorto, non è possibile bloccarlo, non è possibile addomesticarlo per i propri scopi. Quando il Signore ci apre gli occhi con la sua Parola lo fa per renderci annunciatori e profeti liberi e fedeli.

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Nella Pasqua i nostri occhi sono stati aperti per vedere il Signore come il vivente, il vincitore sulla morte e sul peccato, non per fare l’esperienza avvilente di Adamo ed Eva i cui occhi aperti dal frutto dell’Albero hanno scorto solo la nudità del peccato.

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I discepoli di Emmaus, con gli occhi bene aperti sulla salvezza pasquale, sono stati eletti come annunciatori della Parola che essi stessi proclameranno agli Undici radunati a Gerusalemme.

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Cari fratelli, per fare Pasqua dobbiamo aprire bene gli occhi e, con gli occhi aperti, dire anche ciò che il mondo non vuole sentire e che rifiuta, siamo chiamati a liberare i nostri fratelli attraverso la fedeltà della Parola di verità annunciata e proclamata, resa sacramento di salvezza nel segno del pane eucaristico domenicale che presto ritorneremo a spezzare insieme ai nostri pastori.

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Laconi, 26 aprile 2020

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