Vi narro una triste storia: se l’Arcivescovo Luigi Negri è un difensore battagliero della Chiesa allo sbando, io sono un difensore battagliero più di quanto lo fu il Santo Pontefice Pio V durante la battaglia di Lepanto contro gli ottomani musulmani

VI NARRO UNA TRISTE STORIA: SE L’ARCIVESCOVO LUIGI NEGRI È UN DIFENSORE BATTAGLIERO DELLA CHIESA ALLO SBANDO, IO SONO UN DIFENSORE BATTAGLIERO PIÙ DI QUANTO LO FU IL SANTO PONTEFICE PIO V DURANTE LA BATTAGLIA DI LEPANTO CONTRO GLI OTTOMANI MUSULMANI

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Un figlio deve onorare, ed all’occorrenza difendere il proprio padre; e lo deve fare a prescindere, fosse anche un pessimo padre. Se però il padre maltratta la madre, danneggia la famiglia e reca danno anche ad altri, il figlio è tenuto a dire che il suo è un padre degenere, pur seguitando a onorarlo come il padre che gli ha data la vita. L’Arcivescovo Luigi Negri è un paradigma del padre degenere, seppur oggi elevato a vessillo della pura e vera traditio da circoli di cattolici che in verità sono solo dei politicanti attaccabrighe allo sbando.

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Cosa c’è di più doloroso per un figlio, del narrare la storia del proprio padre degenere? Premesso che io non ho nulla da “sfogare”, molto invece da ridere amaramente, per un imperativo di coscienza mirato al mio dovere pastorale di tutela del corpo dei Christi fideles oggi sempre più smarriti, ho deciso di narrare la storia di questo padre degenere, l’Arcivescovo Luigi Negri, affinché nessuno lo muti in un idolo di cartone.

Ariel S. Levi di Gualdo

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nella foto: Ariel S. Levi di Gualdo che accoglie a Roma S.E. Mons. Luigi Negri davanti alla Chiesa di Santa Prisca all’Aventino il giorno della sua consacrazione sacerdotale

Mosso da imperativo di coscienza basato sulla conoscenza della persona, dei fatti e delle situazioni ― non certo per regolare conti che non ho da regolare, o per una vendetta a freddo che costituirebbe una profanazione del mio sacerdozio ―, mi sento tenuto a ribattere in modo deciso a quanti eroizzano certe figure d’impronta più politica che pastorale. Figure di cui ho potuto sperimentare direttamente tutte le carenze pastorali, la mancanza di coerenza ed il trasformismo politico, offrendo di ciò testimonianza — forse del tutto inutile — a coloro che queste figure le strumentalizzano, usando a pretesto questioni dottrinali per inscenare battaglie prettamente politiche sulla controversa Amoris Laetitia e la infuocata discussione che ne è poi seguita sui divorziati risposati e la loro ammissione ai Sacramenti.

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Una delle principali figure eretta oggi a eroica difesa del «poco che resta» — a dir di taluni — della «sana e autentica dottrina cattolica» è S.E. Mons. Luigi Negri, Arcivescovo emerito di Ferrara [2013-2017] e già in precedenza Vescovo della Diocesi di San Marino-Montefeltro [2005-2012].

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Cominciamo allora dal cosiddetto Nome del Padre, per chiarire anzitutto l’idea morale alquanto confusa di questo Arcivescovo, che non molti anni fa, dinanzi ai tristi festini a luci rosse organizzati dal pluri-divorziato Silvio Berlusconi nella sua villa di Arcore ― noti anche come bunga-bunga ―, dinanzi ai quali siffatto baluardo della difesa della dottrina cattolica affermò che «un Primo Ministro si giudica dalle sue azioni di governo mirate alla tutela del bene comune e non dalla sua vita privata» [cf. QUI]. Posto che l’assertore di ciò è stato per lunghi anni docente di filosofia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove per un periodo di tempo tenne anche i corsi di filosofia del diritto, viene da domandarsi se abbia mai sfogliato l’etica nicomachea di Aristotele, per seguire con le dissertazioni sull’etica e la morale di San Tommaso d’Aquino. Perché simile asserzione e altre che adesso seguiranno, non si possono neppure ricavare dall’opera Il Principe di Niccolò Machiavelli.

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… fin quando la Santa Sede si trovò costretta a rimuoverlo nel 2012 dalla piccola Diocesi di San Marino-Montefeltro, dopo che la Sua Eccellenza Reverendissima e soprattutto Prudentissima aveva creato l’ennesimo incidente diplomatico con la Repubblica di San Marino, legata storicamente da ottime relazioni con la Santa Sede, malgrado l’impronta laica e in parte massonica del piccolo e antico Stato. Ma vediamo che cosa accadde: il Presule non trovò di meglio da fare che paragonare i due Capi di Stato a due «pupazzi agghindati a festa», il tutto durante una colazione ufficiale. Malauguratamente, a pochi metri dalla Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima si trovava la Ministro degli affari esteri, S.E. Antonella Mularoni, che il giorno dopo rispedì tutte le onorificenze pontificie alla Santa Sede con una vibrante nota di protesta contro il Vescovo di San Marino-Montefeltro che aveva pubblicamente insolentito i Capi di Stato, vale a dire la onorabilità della più piccola, ma anche la più antica Repubblica del mondo. A spegnere l’incendio acceso dalla Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima furono quell’uomo di fede e di esperienza diplomatica di S.E. Mons. Adriano Bernardini, uno dei migliori Nunzi Apostolici in Italia e nella Repubblica di San Marino dal 1929 a oggi, seguito da un altro gran diplomatico, il Cardinale Jean-Louis Tauran, che appresso si intrattenne a colazione con la Ministro degli esteri e che tempo dopo, in modo molto delicato, ebbe a parlare di questo fatto col sottoscritto durante un nostro incontro privato presso il Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani. A quel punto la Santa Sede, sbagliando gravemente adottò il fallimentare principio del promoveatur ut amoveatur, nominandolo a 71 anni compiuti Arcivescovo di Ferrara; una sede vescovile che ha sì titolo di arcidiocesi, ma che non è una metropolìa, bensì una diocesi suffraganea della sede metropolitana di Bologna. Inutilmente, da parte mia, appena ufficializzata la promozione di S.E. Mons. Luigi Negri alla sede di Ferrara ― una città che conoscevo bene, avendoci vissuto svariati anni al tempo dei miei studi universitari svolti tra Ferrara e Bologna ―, in modo deciso e amabile lo informai: «Anzitutto lei manifesti ai ferraresi amore per la loro città e attenzione per loro, ma soprattutto, come Vescovo, si tenga sempre lontano dalle faccende strettamente politico-amministrative che non tocchino in alcun modo e ad alcun titolo la coscienza dei cattolici, perché così facendo lei sarà amato dai cattolici e profondamente rispettato dai non credenti». Volete sapere quale fu la testuale risposta della Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima, con tanto di aggancio finale del telefono? Esattamente questa: «Ascolta, testa di cazzo, non ho certo da imparare a fare il vescovo da te!». E giunto a Ferrara accompagnato da un segretarietto inetto, dopo essersi circondato come suo uso di persone deboli e limitate capaci solo a dirgli di si, ed a compiacerlo e pomparlo ancor più di fronte alle sue scelte del tutto sbagliate, non lasciò trascorrere neppure cento giorni per creare un vero e proprio problema di ordine pubblico. Ma vediamo che cosa accadde: incurante del grande amore che i ferraresi nutrono per la loro bella Città e di quanto di essa vadano fieri, l’Arcivescovo non trovò di meglio da fare che paragonare il centro cittadino ad un postribolo [cf QUI, QUI, ecc..], reso a suo dire tale dalla movida notturna di universitari e giovani che rumoreggiavano nei pub e nei bar del centro. Sia chiaro, in questione non sono le eventuali ragioni del Presule, ma il modo poco pastorale e provocatorio da lui adottato, insomma: roba da imperioso podestà fascista della Città. Il tutto senza tener conto che Ferrara è stata fino al 1860 territorio dello Stato Pontificio, che a livello storico-sociale equivale a dire “sino ad appena ieri”. E in questa Città, a volte, l’anticlericalismo si presenta anche in forme radicate e decise. E così, alla Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima fu anzitutto ricordato che la gran parte dei fondi commerciali che ospitavano i recriminati pub e bar del centro fungenti da fabbrichette di sbronze, erano di proprietà della curia arcivescovile, alla quale i gestori pagavano lauti affitti mensili. E poco dopo, gruppi di giovani, a supremo sfottò dell’Arcivescovo, organizzavano dinanzi alla cattedrale il Postribolo Night [cf. QUI]. E così, tra i corridoi della Santa Sede, non si tardò ad affermare: «Abbiamo mandato in una città sensibile e pastoralmente delicata come Ferrara un Vescovo che in breve si è rivelato un autentico pericolo pubblico». Insomma, quasi come se non lo sapessero, o come se non avessero già fatta ampia esperienza di che cosa costui è capace quando decide di ficcare il naso in faccende che non riguardano ad alcun titolo un Vescovo: le faccende strettamente politico-amministrative.

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Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima, essendo milanese ad hoc e come tale proveniente da una cultura di grandi comici ― perché come risaputo tutti i più celebri comici d’Italia sono milanesi, per esempio Roberto Benigni, Giorgio Panariello, Enrico Brignano, Maurizio Crozza e via dicendo a seguire ―, non mancò neppure di dar prova della sua innata vena comica. E così, trovandosi dinanzi al grave caso di un giovane ferrarese di trentatré anni, nato da una madre che era stata seviziata appena adolescente da un prete, il quale chiedeva conto e giustizia di quel doloroso fatto, ma soprattutto domandando perché questo sacerdote non fosse mai stato punito e sospeso dall’esercizio del sacro ministero, rispondendo con un comunicato ufficiale della curia estense ― non si tratta quindi di una frase estrapolata e manipolata dai soliti e recriminati giornalisti di tendenze comuniste o massoniche ―, il poveretto si sentì rispondere dall’Arcivescovo nei tipici toni della cultura satirica ambrosiana con queste esatte parole:

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«[…] Visto che comunque pare che sia una questione di cronologia e di tempi, e che è accusato di essere responsabile di cose accadute oltre trent’anni fa, l’Arcivescovo ci tiene a precisare, al fine di evitare spiacevoli equivoci in futuro, che non ha avuto nessuna parte nella dichiarazione della prima guerra mondiale e neppure della seconda e certamente non si è inteso con il presidente americano per lo sgancio della bomba atomica sul Giappone. Su queste cose è meglio riferirsi ad altri» [cf. QUI].

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Dinanzi a questo testo indecente, si voglia notare che a ironizzare sulla sofferenza e sul dolore umano ― nel caso particolare su quello di un figlio ferito, che è un dolore sempre molto delicato e difficile da accogliere, trattare e curare ―,  fu un Vescovo che ha girata l’Italia in lungo e largo a parlare della Dottrina sociale della Chiesa e dei valori politici non negoziabili della famiglia, pronto a spaccare il capello in quattro se c’era da discutere su un preservativo politico, ma pronto a rispondere però con la beffarda ironia a un giovane che lamentava d’esser nato da una ragazza appena adolescente ingravidata da un prete. Potrebbe essere però che il prete ingravidatore, in ottemperanza alla morale cattolica, s’era ben guardato dal macchiarsi di turpe peccato usando un preservativo, rendendo così tutto quanto a posto sul piano morale e su quello canonico, o no?

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Detto questo l’affermazione sorge spontanea: credo che un Vescovo di tal fatta possa essere portato come modello di eroico coraggio e vessillo di difesa della sana dottrina cattolica solo dai democristiani redivivi de La Nuova Bussola Quotidiana [cf. QUI]. E se la difesa delle gesta del vecchio donnaiolo pluri-divorziato Silvio Berlusconi non era in sé sufficiente, a ciò si aggiunga che il Presule mosse pure rimproveri a chi si dichiarava scandalizzato dalle condotte del Primo Ministro, replicando che «l’indignazione non è un sentimento cristiano» [cf. QUI, QUI]. E infatti, Giovanni il Battista che rimproverò pubblicamente in toni indignati Erode per le sue condotte morali di vita, non era sicuramente cristiano, né poteva come tale nutrire sentimenti cristiani. Pertanto fecero bene a tagliargli la testa per la sua indignazione del tutto fuori luogo, perché il buon Erode doveva essere giudicato sulla base della sua difesa dei valori comuni, non certo per il fatto che in privato andasse a letto con la moglie di suo fratello, o che avesse un’attrazione malsana per la nipote Salomè ― una sorta di Ruby o di olgettina dell’epoca [cf. QUI] ―, come si evince oltre le righe dalle storiche narrazioni evangeliche.

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Se dovessimo prendere come modello la morale cattolica di questi generi di figure, allora dovremmo affermare che certe violazioni legate al VI° comandamento, da parte di quelli che oggi taluni indicano con toni di fuoco come concubini e adulteri, sono commesse dagli stessi dentro le loro camere da letto o in zone riservate affini. In sostanza: costoro commettono peccato in privato, non in pubblico. Insomma: non vanno mica a consumare amplessi ― questi “sporchi adulteri” ― sul pubblico sagrato della Chiesa! Anzi può essere che in pubblico questi cosiddetti concubini e adulteri siano pure dei difensori dei cosiddetti valori non negoziabili. Proprio come all’epoca, per carpire il voto dei cattolici, li difendeva il pluri-divorziato Silvio Berlusconi, gioioso organizzatore di festini privati a luci rosse con ragazze delle quali avrebbe potuto essere nonno, ma che meritava in ogni caso di essere giudicato non per la sua vita privata ma per le sue azioni di governo e per la difesa dei valori comuni, parola di Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima Luigi Negri.

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Non sarebbe forse giusto che i poveri adulteri verso i quali insorgono veementi i veri cattolici difensori della vera e autentica dottrina, fossero anch’essi giudicati per la loro vita pubblica e per la loro difesa dei valori comuni, proprio come Silvio Berlusconi, non invece per la loro vita e la loro condotta morale privata? Anche perché in caso contrario potremmo giungere persino a presumere che la Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima, alla comprovata scarsa formazione filosofica, unisca altrettanta scarsa preparazione in teologia fondamentale e in morale cattolica. E per inciso sia chiaro: io che scrivo queste righe non mi sono nutrito e formato, per quanto riguarda l’ambito della morale cattolica, alla scuola dei peggiori lassisti nati nella stagione del post-concilio, ma alla scuola del compianto Cardinale Carlo Caffarra, col quale ho avuto lunghi e proficui rapporti che oggi tanto mi mancano. E se c’è una cosa che di questo santo vescovo ricordo, è anzitutto la paternità, la pastoralità e la profonda dedizione da lui sempre riversata sui suoi sacerdoti e sui sacerdoti in generale, da lui mai lasciati in stato di sbando e di abbandono per dedicarsi a beghe e brighe tutte politiche e per nulla pastorali.

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Per quanto riguarda l’eroismo della Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima, ciò che sfugge in buona o mala fede ai suoi laudatori e strumentalizzatori politici è un fatto non passibile di alcuna smentita: il suo spirito di paternità è equiparabile a quello di un carciofo sott’olio. E qui è opportuno far notare, sempre a chi lo presenta come uno dei pochi eroici e coraggiosi paladini della Chiesa oggi allo sbando, che quando costui era ordinario diocesano della piccola Diocesi di San Marino-Montefeltro, mentre girava come una trottola per l’Italia tra un giornalista e l’altro, mentre aveva tempo di andare e venire da Roma per recarsi a parlare nel Palazzo di Montecitorio con Gianni Letta o con Angelino Alfano e via dicendo a seguire, nel giro di un solo anno e mezzo, in una piccola Chiesa particolare che contava all’epoca 51 sacerdoti secolari, perse tre giovani presbìteri, uno dei quali fece persino atto d’apostasia dalla fede cattolica passando ad una sètta protestante. A un altro dei tre, responsabile diocesano ― udite, udite! ― della pastorale giovanile, il quale esigeva invece che fosse riconosciuta la nullità della sua sacra ordinazione, perché a suo dire, all’epoca che fu ordinato non si sentiva affatto pronto, quindi, sempre a suo dire, sosteneva di avere subìto pressioni psicologiche mentre si trovava gravato da riserve interiori, per tutta risposta la Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima disse di continuare a rimanere in parrocchia per un altro mese e mezzo ― quindi ad amministrare tranquillamente i Sacramenti (!?) ―, dando così al Vescovo il tempo necessario per poter sistemare la cosa. Ora, io domando: un Vescovo che conosca anche e solo i rudimenti basilari del diritto canonico, a un suo prete che punta i piedi affermando in modo sicuro e deciso di non essere stato validamente ordinato sacerdote e che quindi dichiara non valida la sua ordinazione, risponde forse a questo modo, anziché intimargli immediatamente: a partire da questo istante tu non celebri più la Santa Messa e non amministri più i Sacramenti finché la cosa non è stata chiarita? E con questo è presto detto che il difensore del no politico alla Santa Comunione ai divorziati risposati, oltre a mostrarsi a volte carente di preparazione filosofica e teologica, alla prova dei fatti pare essere lacunoso anche sulla conoscenza della dogmatica sacramentaria e nella relativa applicazione delle Leggi Canoniche sulla disciplina dei Sacramenti.

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Se poi questo non bastasse, l’amabile vescovo difensore dei valori politici non negoziabili, persi tre giovani preti in un sol botto, non trovò di meglio da fare, andando poco dopo in udienza dall’allora Pontefice regnante Benedetto XVI, di uscire fuori dall’incontro annunciando in toni trionfali a tutti i suoi numerosi accompagnatori: «È stato un colloquio franco ed aperto tra vescovo e vescovo, ed ho potuto anche cogliere l’occasione per dire al Santo Padre in che situazione disastrosa si trova la Diocesi di Milano che versa ormai allo sbando totale [N.d.A. governata all’epoca da Dionigi Tettamanzi]». In pratica aveva osato auto-candidarsi alla sede di Milano direttamente col Romano Pontefice, incurante di non essere riuscito a governare una piccola Diocesi, sino a perdere tre preti in breve tempo mentre egli era impegnato a vagare tra un Marcello Pera, un Gianni Letta ed un Angelino Alfano, oltre a dettare ai giornalisti interviste nelle quali egli si faceva le domande e si dava le risposte, come quando mise in bocca questo titolo a effetto al suo amico Camillo Langone affinché diffondesse la sua ennesima auto-promozione a ben più grande e prestigiosa sede vescovile:

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«Il più cattolico dei pochi vescovi italiani cattolici si trova all’estero, a San Marino. «Lei vive in una cartolina!» esclamò Benedetto XVI l’estate scorsa, durante la visita nella diocesi. «Sì, ma è una cartolina che non viene spedita mai» rispose monsignor Luigi Negri» [cf. QUI].

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Ovviamente, per «il più cattolico dei pochi Vescovi italiani cattolici», si doveva pensare quanto prima a una sede arcivescovile metropolitana che fosse anche e di rigore sede cardinalizia. O si può forse essere a tal punto incoscienti da lasciare un vescovo come sposo a una sposa così modesta come la piccola Diocesi di San Marino-Montefeltro? Giammai, bisogna dargli come seconda moglie una gran dama, perché in certi casi, il desiderare la donna d’altri, l’abbandonare i propri figli e la propria famiglia, non solo è cosa auspicabile, ma è cosa del tutto dovuta, sino al punto che l’abbandono del tetto coniugale e il divorzio divengono talora del tutto legittimi e sacrosanti, salvo poi andare in giro a criticare il pericoloso casuismo dei Gesuiti. 

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E non parliamo dei giochi fatti coi giornalisti dalla Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima, che ricalcano in tutto e per tutto lo stile del «sono stato frainteso» al quale ebbe ad abituarci l’allora Primo Ministro Silvio Berlusconi, per inciso sempre quello da giudicare per le sue azioni di governo e per la difesa dei valori comuni, non certo per le sue orge private. Purtroppo, l’ultimo a farne spesa è stato pochi giorni fa il celebre vaticanista Andrea Tornielli, al quale Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima ha rilasciata un’intervista per Vatican Insider [cf. QUI], salvo poi dichiarare un paio di giorni dopo a La Nuova Bussola Quotidiana di non avere espresso quei concetti. Facile l’interpretazione cronologica del fatto: dopo avere espresso quei concetti — che Andrea Tornielli ha riportato in modo onesto, leale e veritiero —, il circolino del tamburini laudatori ha forse mostrato in qualche modo sconcerto, sicché, la Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima, avrà risposto loro di starsene tranquilli, perché «Sui divorziati risposati non ho cambiato opinione» [cf. QUI]. Per quanto mi riguarda, a chiunque dovesse chiedermi se credo più ad Andrea Tornielli o a Luigi Negri, senza esitare risponderei: ad Andrea Tornielli. Ciò non solo perché Andrea Tornielli lo conosco bene, ma perché lo stesso Luigi Negri, questo giornalista serio e onesto, oggi ultra cinquantenne, di cui molti possono anche non condividere alcune o più posizioni, lo conosce da quando aveva appena quindici anni, sapendo come me e forse ancor più di me quanto sia onesto. Ma purtroppo, la tecnica politico-berlusconiana della Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima è questa, provata e consolidata nel tempo: quando l’audience cala, spara qualche botto, lascia passare qualche giorno affinché la notizia circoli e la polemica si monti, poi smentisce dicendo di essere stato frainteso, semmai paventando pure minacce di querele e giocosità varie. A proposito: la paventata mega-querela a carico del giornale che riportò notizia del colloquio di Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima sull’Eurostar, quando pare abbia augurato al Pontefice regnante di volare presto al Creatore [cf. QUI], che fine ha fatto? Quanti milioni di euro in risarcimento danni gli sono stati accordati nella sentenza di condanna del giornale da parte del tribunale giudicante per la grave lesione recata alla sua immagine pubblica attraverso questa diffamazione a mezzo stampa? Ci piacerebbe saperlo, semmai attraverso un articolo di informazione firmato da Riccardo Cascioli, direttore de La Nuova Bussola Quotidiana.

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Se pertanto oggi ci troviamo nella situazione drammatica in cui ci troviamo, non è colpa del Pontefice regnante, alle cui scelte pastorali e di governo io non ho mai risparmiato dure critiche a viso aperto, pur precisando però, come già ho scritto, che Francesco I è entrato per ultimo in un ristorante dove prima ancora che si sedesse è stato aggredito dai gestori che gli hanno presentato il conto da pagare per tutti quelli che avevano lautamente pranzato e cenato prima di lui [cf. QUI], dopo avere donato alla Chiesa per lunghi anni dei vescovi più impegnati nelle campagne elettorali anziché nelle visite pastorali alle parrocchie e nella cura del loro clero. La colpa dello stato attuale della Chiesa è infatti di quei cattivi vescovi politiconi che oggi sono presentati, da altrettanti laici politicanti, come difensori della vera fede cattolica. Sono loro, i responsabili della meritata elezione di un uomo come Jorge Mario Bergoglio, dopo che nel 2013 eravamo giunti a una situazione di insostenibilità legata a monte alla debolezza di governo del Beato Pontefice Paolo VI, che va comunque studiata alla luce dei più terribili anni del post-concilio, seguita dalla mancanza del senso d’autorità che s’era completamente sgretolata sotto il pontificato del Santo Pontefice Giovanni Paolo II, che pure era un uomo di grande autorevolezza, ed infine alla pressoché totale mancanza di governo del Venerabile Pontefice Benedetto XVI. Insomma: se la storia è costituita da dati di fatto e non da umori soggettivi, andiamoci cauti nel trattare gli effettivi e oggettivi difetti dell’uomo Jorge Mario Bergoglio, molti dei quali frutto e conseguenza di grossolani errori compiuti a monte da Beati e da Santi Pontefici. E, detto questo, come già più volte ho precisato, ribadisco che ai Beati ed ai Santi non è richiesta la perfezione, ma la eroicità delle virtù, che non sono pregiudicate né dalla mancanza di difetti umani né da errori commessi, compresi anche a volte errori grossolani o gravi di valutazione commessi in totale buonafede, od a volte commessi poiché traditi e ingannati.

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Sarebbe quindi opportuno che i cattolici smarriti e confusi dalla odierna situazione ecclesiale ed ecclesiastica, puntassero a dei modelli più solidi sia di esempio sia di cristiana virtù, perché la morale, tanto decantata e tanto pretesa da certuni sempre e di rigore sulla pelle altrui, non alberga in quei circoli politico-ideologici che dietro pretesti di fede s’inebriano di latinorum e di ferreo rigore morale. Semmai, dinanzi a certe figure tutt’altro che eroiche, i fedeli dovrebbero rammentare quel santo monito che ci avverte:

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«[…] non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito» [Mt 23, 3-4].

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Che tradotto in altri termini vuol dire questo: gli antichi farisei affermavano a loro modo che «l’indignazione non è un sentimento cristiano» e che Berlusconi non si giudica dai circolini a luci rosse della sua vita privata, ma dalle sue pubbliche azioni di governo e «dalla difesa dei valori comuni».

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Elevare a modelli di umana virtù certi personaggi è aberrante, perché sono coloro che tutt’oggi taglierebbero ancòra la testa a Giovanni il Battista, ma quel che è peggio è che lo farebbero sentendosi con la coscienza perfettamente a posto. A questo si aggiunga un altro fatto: se il Pontefice regnante prospettasse a questo Arcivescovo emerito una berretta cardinalizia, questi, a partire dal giorno seguente, lungi dall’augurargli di andarsene presto al Creatore ― come si narra che la Sua Eccellenza Revendissima e Prudentissima ebbe a fare parlando scherzosamente su un Eurostar [cf. QUI, QUI] ―, direbbe che un grande Pontefice come Francesco I non si era più avuto dai tempi del Santo Pontefice Gregorio Magno, definirebbe la Amoris Laetitia il più chiaro e straordinario documento del Magistero pontificio dell’intera storia della Chiesa, ma soprattutto proporrebbe alla Santa Sede di richiedere in uso al Comune di Roma lo stabile di Castel Sant’Angelo per rinchiudervi dentro tutti gli ecclesiastici e i teologi che mostrassero anche e solo vaga perplessità verso certe ambiguità di questo documento.

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un goliardico comunicato stampa di S.E. mons. Luigi Negri, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio, firmato col Vicario Generale sempiterno della Diocesi di San Marino-Montefeltro [per aprire il testo cliccare sopra questa immagine]

Non volevo citare un penoso fatto che mi ha visto passato protagonista e che per me non è motivo di sofferenza ma di divertimento, per quanto amaro, perché in fondo è questo che alla fine producono le figure ridicole: il divertimento. Sicché lo faccio solo alla fine, a titolo di puro esempio, casomai non fosse ancòra chiaro il soggetto di cui stiamo a narrare la triste storia. Prima di proseguire è però necessario chiarire il mio status canonico, premettendo che ho ricevuto a Roma il sacro ordine del diaconato, poi la consacrazione sacerdotale nella Chiesa di Santa Prisca all’Aventino per la Diocesi di San Marino-Montefeltro dalle mani di S.E. Mons. Luigi Negri. La mia formazione al sacerdozio s’è svolta interamente a Roma, dove poi ho sempre vissuto e dove tutt’oggi opero. Sono quindi un presbìtero regolarmente “residente fuori diocesi” col nulla osta del Vescovo, ho il mio ufficio di postulatore per le cause dei Santi a Roma, vivo a Roma, quando posso mi reco in Sicilia, spostandomi poi per motivi pastorali legati perlopiù al mio ministero di predicatore e confessore in varie parti d’Italia …

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… accadde dunque che nell’ormai lontano 25 maggio 2013 scrissi un articolo molto severo in cui criticavo duramente l’allora Presidente della Conferenza Episcopale Italiana Cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo Metropolita di Genova, che volle celebrare personalmente il funerale porcino del prete eretico Andrea Gallo, pur avendolo potuto evitare con tutte le migliori giustificazioni, trovandosi in quei giorni a Roma per l’assemblea plenaria dei Vescovi d’Italia, quindi delegando qualche altro per quelle esequie che si sarebbero comunque risolte in bagarre. Durante quel funerale il Cardinale Angelo Bagnasco si trovò ad amministrare la Santa Comunione a Vladimiro Guadagno, in arte Luxuria, che prima si presentò vestito da donna alla mensa eucaristica, poi fece persino un sacrilego elogio funebre sul presbiterio durante l’azione liturgica, parlando dall’ambone dal quale si amministra ai Christi fideles la Parola di Dio. Dinanzi a quella mia dura critica, la Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima, oggi impegnata a dimenarsi politicamente circa la Santa Comunione ai divorziati risposati, pur non avendo più su di me alcuna giurisdizione canonica, in quanto ormai eletto Arcivescovo di Ferrara, attraverso un grossolano abuso canonico e facendo uso di toni di fuoco, paventò a mio carico «decisioni disciplinari, e addirittura canoniche» [vedere testo QUI], firmando come Arcivescovo di Ferrara-Comacchio un documento insensato contro un presbìtero non appartenente alla Diocesi di Ferrara, ma incardinato in quella di San Marino-Montefeltro e come tale dipendente unicamente dalla giurisdizione canonica del suo Ordinario Diocesano, che grazie a Dio oggi è quell’uomo amabile e mite di S.E. Mons. Andrea Turazzi.

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Faccio poi notare agli odierni sostenitori di questo eroico Vescovo elevato a vessillo di difesa della vera traditio catholica, che in questo comunicato, per smentire le mie accuse rivolte ad Andrea Gallo, il firmatario afferma: «è nostra ferma convinzione che nella Chiesa possono convivere opinioni anche molto diverse». Leggete il testo, perché ha scritto e firmato proprio questo, che equivale a dire: Andrea Gallo, che alla fine della Santa Messa sventolava la bandiera rossa comunista cantando Bella Ciao [cf. QUI] e che aveva più volte accompagnato delle donne al consultorio per abortire [cf. QUI], non era affatto una vergogna del sacerdozio cattolico come io avevo osato definirlo, giammai! Perché quando il buon Luigi Negri decide di tremare come un coniglietto dinanzi ai potenti dai quali anela a un qualche contentino, è persino capace ad affermare e firmare che un soggetto come Andrea Gallo è solo una semplice «opinione diversa», dichiarandosi mosso in simile affermazione anche da «ferma convinzione». E si noti: su quel testo ufficiale da lui firmato e diramato agli organi di stampa è scritto proprio così, o forse sono io che non sono in grado di leggere e di capire? No, io leggo e capisco bene, a non voler capire sono i tamburini laudatori de La Nuova Bussola Quotidiana, per seguire con tutta la giungla di blog e di siti che al Regnante Pontefice non rivolgono critiche rispettose per le sue ambiguità o per le sue scelte pastorali infelici, come faccio io, ma lo odiano in modo a volte davvero feroce, invitando anche gli altri all’odio. E così, i tamburini laudatori, pur dinanzi all’evidenza dei fatti, per loro ideologico tornaconto personale, per il gusto della ricerca della rissa politica e per aggredire il Pontefice regnante, preferiscono proprio non capire, tanto hanno bisogno di crearsi e poi di presentare degli idoli di cartone. 

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Ma soprattutto io domando: se non è lecita la Comunione ai divorziati risposati, non pochi dei quali animati spesso da autentici e profondi sentimenti cristiani, a qual titolo il difensore della vera fede e dei valori non negoziabili, oggi eletto paladino laudato da tutta la ultra destra cattolica, ha pubblicamente minacciato ― e ripeto: senza averne alcun titolo canonico ―, un presbìtero che invece si è dichiarato sconvolto per la Comunione sacrilega data al trans Vladimiro Guadagno, non in quanto trans, ma in quanto promotore dell’omosessualismo, dell’aborto, dell’eutanasia e d’ogni altra perversa aberrazione?

Il libro dell’eretico Andrea Gallo esposto e venduto nel 2013 presso la libreria della Pontificia Università Lateranense e presentato con prefazione dell’eretico Vito Mancuso

Per inciso, in quel comunicato mi si accusa falsamente affermando: «S.E. Mons. Negri tiene a chiarire di essere intervenuto più di una volta negli ultimi mesi, in “camera caritatis” su don Ariel, perché modificasse il linguaggio dei suoi interventi. Anzi, negli ultimi tempi ha ricevuto risposte dettate da atteggiamenti di arroganza». Purtroppo le cose stanno in tutt’altro modo. Premesso infatti che dal 2011, sfumato anche il Patriarcato di Venezia, il buon Luigi Negri si guardava attorno facendo il conto delle varie diocesi italiane di spicco in procinto di essere liberate, ogni volta che io, in qualche mio articolo, trattavo argomenti tutt’altro che insultanti, ma destinati a infastidire certe clericali “code di paglia”, queste andavano a toccare il Vescovo nel suo punto più sensibile, facendogli dire o capire che erano in corso le provviste [le selezioni dei candidati], per quella o quell’altra arcidiocesi e che, questo prete molesto, rischiava di creargli qualche “danno d’immagine”. Sicché, la prima volta ch’egli mi chiamò intimandomi che non dovevo più pubblicare articoli ― il tutto mentre i libri dell’eretico Andrea Gallo e dell’eretico Vito Mancuso erano esposti e venduti nella libreria della Pontificia Università Lateranense, nella incuranza totale di quel bertoniano minus habens di S.E. Mons. Enrico Dal Covolo, suo Magnifico Rettore ―, in tono tutt’altro che arrogante risposi: «Per cortesia, Vostra Eccellenza mi indichi dove ho mentito non dicendo la verità e dove ho difettato a livello dottrinale e teologico». Testuale fu la risposta: «Non importa dire la verità, ma saper valutare quando è opportuno non dirla e tacere. Sono in corso le provviste per le nuove Diocesi e io non posso sentirmi chiedere di te in modo sibillino proprio mentre si parla di assegnarmi ad altra diocesi». Replicai: «Vostra Eccellenza concorda che se il Verbo di Dio fatto uomo avesse taciuto, non sarebbe mai morto in croce?». Replica lui: «Tu devi buttarla sempre sul teologico». Rispondo: «Eccellenza, ma su che cosa devo buttarla, forse sul gastronomico? Io sono un prete e un teologo, mica un cuoco!» E questa, a parere di qualcuno, sarebbe arroganza? In ogni caso rimango confortato anche da un altro fatto: nessuno di quanti all’interno del mondo ecclesiastico mi conoscono — incluse le massime autorità della Santa Sede —, sarebbe pronto mai a credere che io ho mancato di rispetto, non solo al Vescovo, ma addirittura al Vescovo ordinante, per di più in modo arrogante. Non lo crederebbe proprio nessuno, sapendo che per il Vescovo io nutro sacro rispetto e che da sempre sono operoso a infondere questo filiale sentimento anche in tutti i sacerdoti che si avvalgono di me come confessore e come direttore spirituale. Invece purtroppo, la Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima, non ha tributato il sacro rispetto dovuto al proprio episcopato, per non parlare della sua Chiesa particolare e dei suoi figli. Proprio come se il Verbo di Dio non ci avesse mai messi in guardia ammonendo: «A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più» [Lc 12, 48].

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Nella Diocesi di San Marino-Montefeltro, sia l’allora Vescovo Luigi Negri che il Vicario Generale sempiterno co-firmatario di quel testo delirante ― e dicasi sempiterno perché Vicario Generale da ben tre vescovi! ―, si sono nel tempo ben guardati dal paventare «quelle decisioni disciplinari, e addirittura canoniche» nei confronti di un prete che è divenuto papà di una deliziosa bambina e che non fu mai sanzionato, tutt’altro, prima venne mandato in giro per il mondo a spese della Diocesi, infine imboscato dalla Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima in un’altra Diocesi. Allo stesso modo non sono stati mai paventati provvedimenti analoghi verso quel prete che fu sbugiardato sulla pubblica piazza dalla sua amante dopo che la poverina aveva scoperto ch’egli faceva il galletto pure con altre donne, sentendosi così tradita da questo compagno infedele [cf. QUI, QUI, QUI]. Non sono mai stati presi neppure provvedimenti verso gli svariati preti transfughi, raccattati da varie parti del mondo dall’allora Vescovo di San Marino-Montefeltro S.E. Mons. Paolo Rabbitti, spesso assenti dalle parrocchie e dal territorio della Diocesi per settimane o addirittura per mesi, diversi dei quali hanno nel tempo depredato le casse parrocchiali a suon di viaggi e di regalìe fatte alle loro famiglie di origine e via dicendo a seguire … E con queste e altre ragioni ancor peggiori che per decenza e carità cristiana taccio, mi presentai con quel comunicato in mano alla Nunziatura Apostolica in Italia, al Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e alla Congregazione per i Vescovi.

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Alla Segnatura Apostolica si misero a ridere e mi risposero: «Nella tua Diocesi, c’è qualcuno che conosca il diritto canonico?». E detto questo proseguirono dicendo: «In questo comunicato non sono anzitutto indicati i canoni che tu avresti violato, cosa che rende questo testo giuridicamente nullo e anche assurdo, perché firmato non dal tuo legittimo ordinario diocesano, ma firmato in grave abuso al canone dal vescovo di un’altra diocesi e da un presbìtero non avente diritto e titolo per minacciare sanzioni e quant’altro a tuo carico». Risposi io: «Ah, ma di questo non c’è da stupirsi, se consideriamo che questo presbìtero co-firmatario è il Vicario Generale sempiterno, lo spessore teologico e canonico del quale è equiparabile a quello di una sogliola!».

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Alla Congregazione per i Vescovi risero invece di più e ancòr più a lungo, ed a ridere fu un Alto Prelato che, ricevendomi in assenza del Cardinale Prefetto che in quei giorni era fuori dall’Italia, mi disse: «Ma di chi si tratta? Ah, ti pareva: Luigi Negri. Ma in questo dicastero è famoso! Pensa, quando era Prefetto il Cardinale Giovanni Battista Re, il buon Negri andava e veniva a scalpitare da questo palazzo affermando che erano due anni che si trovava in quella piccola Diocesi e che ormai aveva fatto tutto quello che c’era da fare. Un’altra volta disse al Cardinale Prefetto: “Mi è stata data una Diocesi che è grande quanto una singola parrocchia di Milano”». Insomma, erano trascorsi solo due anni che già la sua povera sposa gli stava troppo stretta. E così, il Nunzio Apostolico e i più alti vertici del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e della Congregazione per i Vescovi, mi invitarono a lasciar perdere, pur avendo io tutte le ragioni del caso per citare in giudizio dinanzi al Tribunale Ecclesiastico i due ragazzacci firmatari di quel comunicato goliardico. Infatti, le tre diverse autorità ecclesiastiche interpellate mi risposero: «Questo comunicato sconclusionato non intacca in alcun modo te ma qualifica e quindi squalifica nel peggiore dei modi chi lo ha firmato e poi diffuso». E tutt’oggi, a onor mio e a sommo disonore di chi invece l’ha firmato e poi diffuso, chiunque visiti il sito ufficiale della Diocesi di San Marino-Montefeltro, entrando nella pagina del Vicario Generale sempiterno, non vi troverà affatto indicate le sanzioni canoniche erogate al prete divenuto papà, o al prete denunciato dalla sua amante per infedeltà, oppure quelle erogate ai preti che lasciano per settimane o per mesi le parrocchie per andarsene in giro per il mondo; nulla di tutto questo troverà. Però chiunque potrà trovare il testo del comunicato scritto da quei due ragazzacci in vena di goliardie, tutt’oggi sopravvissuto anche in qualche organo di stampa [cf. QUI].

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Sinceramente non so, se il Vicario Generale sempiterno, con questo comunicato goliardico tutt’oggi mantenuto in gloria nel sito della Diocesi sulla sua pagina personale, pensava di fare dispetto a me, oppure di screditare la mia sempre più solida reputazione di pastore in cura d’anime e di teologo, perché nei concreti fatti egli ha agito come quel povero tale che per far dispetto alla moglie prese un paio di cesoie e poi si castrò. Con me, infatti, non si combatte sulla base dei clericali e ottusi umori montagnoli fondati sul “mi sta antipatico ergo gli faccio guerra”; con me si combatte sul piano della morale, sul piano pastorale e sul piano teologico. E che io sia un prete immorale, un cattivo pastore in cura d’anime e un pessimo teologo, questo è tutto quanto da dimostrare, con buona pace dei ragazzacci in vena di goliardie.

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Per quanto riguarda il Cardinale Angelo Bagnasco, sul quale anni dopo ho avuto modo di scrivere parole di profondo affetto [cf. QUI], chiunque lo desideri può domandare a Sua Eminenza se in cuor suo stima di più ― e soprattutto se considera più affidabile ―, un soggetto all’occorrenza molto severo che opera sempre a viso aperto come me, oppure la Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima. Domandate, perché forse avrete anche una esauriente risposta. Anche perché io, al contrario della sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima, se in passato ho reputato opportuno criticare severamente il Cardinale Angelo Bagnasco per l’episodio testé riportato, l’ho fatto con virile dignità leonina, mettendoci la mia faccia e la mia firma. Diversamente invece, la Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima, non è che per caso ricorda le non poche battute insolenti condite con frasari da scaricatore di porto, da lui fatte nel corso degli anni in giro per i salotti sul Cardinale Angelo Bagnasco? Perché le non poche persone ― vescovi “amici” inclusi ― che da lui hanno udite certe irriverenze nei salotti privati, o anche per i corridoi dell’Aula Paolo VI durante le assemblee della Conferenza Episcopale Italiana, quelle sue battutacce su Angelo Bagnasco se le ricordano sempre tutte, dalla prima all’ultima, ed anche molto bene.   

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Questo è nella realtà S.E. Mons. Luigi Negri, una banderuola al vento che ha passato il suo episcopato a ruggire coi conigli e a fare il coniglio coi leoni, a lamentare una società sempre più mediocre e banale [cf. QUI], ed il tutto mentre lui, i più pericolosi e banali mediocri, dopo averli cercati a uno a uno con la lanterna di Diogene e poi proditoriamente selezionati, se li è sempre messi attorno come collaboratori, posto che nessun tacchino in ruolo di potere vuole solitamente attorno a sé un’aquila reale che lo aiuti e che lo assista, ed all’occorrenza che lo consigli e che lo freni in certe scelte sbagliate. E quante volte io ho sofferto nel vedere in che modo si faceva ridere dietro dai membri della Conferenza Episcopale Italiana, per il modo palese, ingenuo e sfacciato col quale, anziché prendersi cura dei propri presbìteri e della porzione di Popolo di Dio a lui affidata, trascorreva e bruciava il proprio prezioso episcopato a scalpitare per essere assegnato a qualche grande sede vescovile, ed essere creato naturalmente cardinale. Mai infatti, nella sua fanciullesca ingenuità, egli è riuscito a superare un suo profondo e personale trauma: il fatto che il suo coetaneo e compagno tra le fila di Gioventù Cattolica, poi in seguito divenuta Comunione e Liberazione, anch’esso come lui allievo di Luigi Giussani, fosse divenuto Patriarca di Venezia e Cardinale, ma soprattutto, in seguito, Arcivescovo di Milano. Egli era infatti certo, dopo la nomina di Angelo Scola a Milano, che sarebbe stato dato anche a lui il “meritato” contentino e fosse promosso in sua sostituzione alla Sede Patriarcale di Venezia. Gli anziani presbiteri in particolare, nell’allora sua Diocesi di San Marino-Montefeltro, ricordano sempre che gli mancava solo di organizzare i festeggiamenti e di preparare il discorso di saluto alla Diocesi e quello di insediamento a Venezia, tanto ne era stato convinto da quegli ecclesiastici che giocando perfidamente su certe sue debolezze, per anni e anni si sono divertiti a prenderlo in giro in tal senso, dandogli speranze e pompandolo di aspettative. Non a caso ai preti, dando in quei momenti per scontata la sua imminente dipartita, ripeteva di non poter fare per il momento programmi per il futuro.

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Sono anche al corrente che S.E. Mons. Luigi Negri è ammalato di una malattia oggi parecchio diffusa tra gli ecclesiasti, che si chiama querelite, ma dubito che quereli me per aver detto la pura e semplice verità, anche perché nessun membro della Conferenza Episcopale Italiana, specie quelli che l’hanno ben conosciuto, si metterebbe mai contro un uomo fedele, onesto e disinteressato come il sottoscritto, per difendere l’indifendibile, vale a dire un soggetto come lui, che per mistero di grazia è stato comunque, nella pienezza del suo sacerdozio apostolico, un veicolo, a volte persino molto privilegiato, dello Spirito Santo. Ne sono testimone io, che sono stato consacrato sacerdote da questo padre degenere, al quale un giorno, mentre correva l’anno 2010, dissi:

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«Vostra Eccellenza Reverendissima mi ha insegnato più con i propri difetti che con le proprie virtù. Grazie a lei ho infatti acquisita una santa lezione che rimarrà impressa in me per tutta la mia vita sacerdotale: ho capito che se il Demonio riesce a prenderci nell’ambizione e nella brama di potere e di carriera, potrà fare di noi tutto ciò che vuole».

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un documento del 2010 

Egli non colse, o forse non volle cogliere quelle mie parole. Però poco dopo firmò e mi consegnò per gli usi canonici consentiti la lettera in cui attestava d’avermi conferito il ministero di esorcista  [per aprire il documento cliccare QUI]

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Io ho amato profondamente Luigi Negri, verso il quale nutro tutt’oggi amore profondo. Ricevendo da lui a Roma prima l’ordinazione diaconale e poi la consacrazione sacerdotale, scambiando col Vescovo il liturgico segno di pace gli sussurrai all’orecchio in entrambe le volte: «Non te ne pentirai mai!». E alla prova dei fatti credo di essere il miglior sacerdote da lui consacrato, di certo il più coerente, fedele e coraggioso. Credo di essere colui che mettendo a frutto i doni di grazia dello Spirito Santo ha sviluppato ciò che nel padre era mancante, o che in esso era carente, a partire anzitutto dal mio profondo senso di paternità. Ma il tutto, comunque sia, è stato possibile solo grazie al padre e alla grazia di stato di questo padre degenere.

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Ecco perché credo che Luigi Negri, pur non ammettendolo mai con chicchessia, in cuor suo sarà sempre profondamente fiero di me, perché io sono ciò che lui non è, sia nel coraggio sia nella fuga da ogni condizionante e schiavizzante ambizione di carriera, sia nella coerenza sia nella cura pastorale delle anime sia nella cultura teologica effettiva e non fumosa. Se però io sono davvero questo, lo sono grazie a lui e per merito della sua fede e della sua azione di grazia sacramentale su di me. Per questo se tornasse indietro non esiterebbe a consacrarmi sacerdote un’altra volta senza indugio, perché Luigi Negri è un autentico credente. E in questo momento non si limiterebbe neppure a consacrarmi sacerdote, perché se potesse mi consacrerebbe vescovo, specie dopo quello che ho scritto su di lui in queste righe. Perché così come egli ha conosciuto il dolore dei figli indegni che lo hanno malignamente tradito e che malgrado le ripetute e inascoltate mie esortazione si volle mettere comunque accanto come collaboratori sempre compiacenti, a maggior ragione egli sa anche riconoscere il figlio fedele, all’occorrenza pronto a bastonarlo in pubblico, ma che però non lo tradirebbe mai.

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Non importa ch’egli dica che sono il suo figlio migliore, lo sa lui e lo so io, non occorre che ciò sia dichiarato in un comunicato ufficiale, perché quelli ― i comunicati stampa ufficiali ―, la Sua Eccellenza Reverendissima e Prudentissima li usava talvolta per annunciare autentiche amenità all’universo cosmico assieme a quel lupo di montagna del suo Vicario Generale sempiterno, le cose belle, invece, quelle le serba come Maria meditandole nel suo cuore [cf. Lc 2, 19].

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dall’Isola di Patmos, 17 gennaio 2018

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