La trasfigurazione. il memoriale dell’incarnazione, passione, morte, risurrezione e ascensione di Cristo Signore, non si dovrebbe celebrare con danze assiro-babilonesi attorno all’altare ridotto a totem
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Giovanni Paolo II e Benedetto XVI… come avete potuto permettere questo sfacelo?
Naturalmente, per ritornare alla questione specifica affrontata nell’articolo, bisogna anche stare attenti a non cadere, per reazione, nel feticismo estetico di certo gelide e irrespirabili liturgie tradizionaliste, che forse sono anche peggio dei balletti assiri-babilonesi alla romagnola di cui sopra.
Sig Zamax l’espressione “feticismo estetico di certe gelide e irrespirabili liturgie tradizionaliste” non mi sembra accettabile sia perché tali liturgie sono pienamente valide secondo le leggi della Chiesa sia perché l’elemento estetico è del tutto secondario rispetto alla ricchezza simbolica che quella liturgia rappresenta. Molti ne vedono la bellezza estetica prima della ricchezza simbolica ma è un problema loro non certamente della liturgia in sé.
Tuttavia, accostarle alle danze assiro-babilonesi mi sembra assurdo sia perché tali danze non sono in alcun modo permesse ma soprattutto perché mi chiedo come si stia manifestando l’ adorazione di Dio.
Sul tema P Ariel centra il segno perchè è portato a riaffermare l’aspetto sacrificale della Messa, aspetto che secondo Giuseppe Pulcinelli di Famiglia Cristiana, dovrebbe essere ridimensionato in quanto “nei testi neotestamentari dell’istituzione dell’Eucaristia non ricorre mai il lessico tecnico cultuale-sacrificale”. Proporrei, a giovamento di tutti, P Ariel come teologo di Famiglia Cristiana 🙂
Sgombriamo subito il campo da possibili equivoci. Parlando di “feticismo estetico” intendevo appunto parlare di un’atmosfera “gelida e irrespirabile” che trasuda da certe liturgie: è ovvio che ciò non dipende dalle liturgie, ma dal modo in cui sono vissute in un certo ambiente di malinteso “tradizionalismo”. Ecco: quest’atmosfera può essere anche peggiore di quella che si vive nelle pagliacciate di segno opposto, a mio vedere.
E la carenza di conoscenza non fa altro che alimentare una certa “frigidità”, che con la prima va d’amore e d’accordo. Uso questo termine, frigidità, per significare un’incapacità, un rifiuto, una paura di cogliere l’essenza di una cosa e di gioirne. Insomma, una perversione. Vale per il sacro, ma vale anche per il profano. Quel riempire affannoso di vanità ogni aspetto della vita, i disordini, gli eccessi, le distorsioni, le bizzarrie, le volgarità che rovinano i piaceri onesti, quelli intellettuali e quelli fisici, a ben vedere sono un modo di “buttare in vacca” ciò che di bello c’è nella vita, e di surrogare con montagne di falso la preziosità del vero, e quindi sottendono una paura riposta del bello e del vero, e indirettamente di Dio. E non basta la forza del branco a trasformarla in vera felicità e in vero piacere, che per essere tali devono essere onesti.
(Parlo da peccatore, s’intende.)