Essere simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos
ESSERE SIMILI A QUELLI CHE ASPETTANO IL LORO PADRONE QUANDO TORNA DALLE NOZZE
I discepoli di Gesù vivono sulla terra, ma come pellegrini, mentre la loro residenza è nei cieli. Siamo, perciò, chiamati a un’attesa che tante volte ci supera.

Autore
Monaco Eremita
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«La notte [della liberazione] fu preannunciata ai nostri padri, perché avessero coraggio».
Sono le parole iniziali della prima lettura di questa Domenica, tratte dal Libro della Sapienza, e ben preparano l’ascolto del brano evangelico qui sotto riportato:
«In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno. Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro! Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo”. Allora Pietro disse: “Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?”. Il Signore rispose: “Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi. Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli. Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più”» (Lc 12,32-48).
I primi tre versetti dell’odierno Vangelo (12,32-34) fanno testo a sé, perché chiudono un’intera pericope consacrata all’insegnamento di Gesù sul possesso dei beni materiali. Essi sono il Suo invito finale, che si può cogliere solo se si ha in mente quanto è stato scritto appena prima nel Vangelo, ma non riportato nell’odierna liturgia, ovvero i versetti dal 22 al 31 del capitolo 12 di Luca. Quelli che invece seguono, facenti parte del brano odierno (vv. 35-48), sono da considerarsi come un’esortazione alla vigilanza. Sono un insieme di sentenze, di immagini e piccole parabole — l’esegeta Maggioni le chiama: «parabole accennate» — che hanno un comune denominatore: il ritorno del «Figlio dell’uomo», che, come si diceva, richiede vigilante attesa.
Per specificare questa attesa Gesù si paragona di volta in volta ad un Signore (ὁ κύριος, v. 36.37.43) che torna da un banchetto, arriva alla porta e bussa, quindi premia i servi rimasti svegli servendoli a tavola. Oppure a un ladro (ὁ κλέπτης, v. 39) che arriva ad un’ora che il padrone di casa (ὁ οἰκοδεσπότης) disconosce. O ancora a quel Signore che promuove di responsabilità un amministratore degno di fiducia e prudente (ὁ πιστὸς οἰκονόμος, ὁ φρόνιμος, v. 42). Tutte queste immagini infine, ci rivela Gesù, calzano alla figura di quel «Figlio dell’uomo [che] verrà nell’ora che non pensate» (v. 40).
Essere attenti e vigilanti a costo di perdere il sonno è decisivo, ma chi sono coloro che attendono? Nel brano Gesù parla di servi ed amministratori, ma ovunque nel testo le persone chiamate a vigilare sono indicate con la seconda persona plurale, come ad includere sia i discepoli che udirono allora il Signore, sia gli ascoltatori o lettori contemporanei del Vangelo, quindi anche noi: «voi siate pronti» (v. 35); «voi dovete essere simili a…» (v. 36); «voi tenetevi pronti» (v. 40). Infine emerge la risposta data a Pietro che aveva chiesto: «Questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». Il Signore, rivelando una graduatoria di responsabilità nell’attesa, gli dice: «A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più». In questo modo si precisa che se i destinatari dell’insegnamento, nel complesso, sono tutti i credenti, risalta tuttavia la responsabilità dei capi della comunità cristiana a cui Gesù dedica una specifica parabola.
Che il discorso sia rivolto alla Chiesa ed ai suoi responsabili risulta chiaro dai termini usati, i quali fanno riferimento a un contesto spazio temporale preciso, si tratti esso della casa, della notte o del tempo dilatato dell’attesa. Gesù parla di «fianchi cinti» (v.34), mentre la parola «casa» è citata esplicitamente e poi c’è la notte per via delle «lucerne accese» (v.35) e della «seconda e terza veglia» (v.38 in greco). Abbiamo qui un rimando al tema dell’Esodo — i «lombi cinti» sono un’esplicita citazione di Es 12,11 — dove la celebrazione pasquale avvenne di sera, in casa e in famiglia (Es 12,3). Viene evocata la frettolosa partenza dall’Egitto dei figli di Israele avvenuta di notte e sollevare i lembi del lungo abito orientale e legarlo ai fianchi con una cintura rendeva più agevole il cammino. Sembra che Gesù voglia esortare la Chiesa a mettersi in cammino, a fare un esodo, ma in realtà si tratta di un procedere in profondità più che in estensione, un viaggio che rende pronti a ricevere Colui che sta per giungere: il vero cammino lo fa il Signore che viene! Il centro dell’annuncio delle tre parabole è dunque la venuta del Signore e il nome del cammino a cui sono chiamati i discepoli è vigilanza. Infatti Gesù ha già dato indicazioni affinché essa non sia ostacolata da inutili ingombri quali la cupidigia (Lc 12,15), le preoccupazioni (Lc 12,22.26) e le paure (Lc 12,32) che occupano il cuore e tolgono libertà.
La parabola dei servi vigilanti (vv. 36-38) sembra essere la versione narrativa di una beatitudine ― «beati quei servi» (v. 37); «beati loro» (v.38) ― che potrebbe suonare così: «beati i servi vigilanti, perché il Signore stesso si farà loro servo». Il capovolgimento di valori presente nelle beatitudini è qui espresso nella paradossale figura del padrone che rientra a casa, anche a notte fonda, e, trovando svegli i suoi servi per aprirgli la porta e accoglierlo per salutarlo, lui stesso si mette a servirli. Ma questa è la logica di Gesù che capovolge le logiche mondane e che dovrebbe vigere nella comunità cristiana: «Chi è più grande? Chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27).
Domina su tutta la narrazione un senso di imminenza per qualcosa che deve ancora accadere eppure implica tutt’altro che la staticità o lo stare fermi. Da tutto quanto abbiamo visto sopra sembra emergere una indeterminatezza, che però rende bene il senso dell’esperienza cristiana. I discepoli di Gesù vivono sulla terra, ma come pellegrini, mentre la loro residenza è nei cieli (Lettera a Diogneto). Siamo, perciò, chiamati ad un’attesa che tante volte ci supera. Il problema della vigilanza in queste brevi parabole, detto in altro modo, è quello del tempo, soprattutto del tempo quotidiano, feriale. Ogni giorno, qualsiasi giorno feriale, se colmo di attesa, è «giorno del Signore». Come nella parabola di Luca ogni giorno è buono per rimanere svegli, tenere le lampade accese e accogliere il Figlio dell’uomo che tornerà. Così ci invitava ad attendere la preghiera di Colletta di questa Domenica: «Non si spenga la nostra lampada, perché vigilanti nell’attesa della tua ora siamo introdotti da te nella patria eterna».
Dall’Eremo, 10 agosto 2025
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