Entdecken Sie die Pflegephilosophie wieder: von der Ansammlung bis zur Person bis zur Pflege der Möglichkeiten

Entdecken Sie die Pflegephilosophie wieder: DALL’ACCUDIMENTO ALLA PERSONA AL PRENDERSI CURA DELLE POSSIBILITÀ1

L’accudimento è un elemento essenziale di ogni consorzio umano civile, il grado di sviluppo di una società matura si riconosce non tanto dalla sua capacità di fare o di creare ma nella sua capacità di prendersi cura degli altri. Anche nell’ipotesi del migliore dei mondi possibili in cui siano state finalmente abolite le guerre, le povertà e le malattie, l’imperativo alla cura resta immutato dentro quella componente umana, troppo umana ma anche felicemente umana che ci permette di mantenerci autentici.

- Kirchennachrichten -

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Autor
Iwano Liguori, ofm. Deckel.

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L’autenticità come perdita di tempo. Il tempo estivo è quel momento propizio per riscoprire il senso più genuino “del sé”.

E questo non soltanto come realtà psicologica comprendente la consapevolezza e la percezione che un individuo ha di sé stesso ma proprio come soggetto ontologico che riflette e fa memoria sul proprio essere. L’estate è quel tempo opportuno per ricentrarsi sulla propria umanità, non è un tempo di inerzia o di pigrizia come per molto tempo è stato considerato ma è un tempo in cui la coscienza di arricchisce e si approfondisce.

È proprio dell’essere umano, in der Tat, formulare interrogativi e porre domande che toccano la propria essenza. I nostri antichi padri del pensiero si erano accorti che ognuno di noi è capace di filosofeggiare sulla propria esistenza: sull’essere e sull’esserci.

Questo percorso di ricerca non può che riguardare le scelte individuali e quotidiane, le situazioni che oppongono delle obiezioni e a cui bisogna dare un senso, fino ad arrivare alla contemplazione senza giudizio di quel bene e di quel male con cui ogni uomo è impastato e che lo rende così unico e raro tanto da caratterizzarlo all’interno di una tensione verso la verità, tra il tormento e la grazia. C’è da riconoscere che oggi sempre più raramente desideriamo filosofeggiare su noi stessi e sul mondo che ci circonda e questo è oggettivamente e filosoficamente un male. Consideriamo tutto ciò come una perdita di tempo inutile e privilegiamo le strategie e le soluzioni facili ― last minute ― cadendo in quel peccato dell’uomo moderno che è identificabile in un’esistenza inautentica.

Quando non sono capace a determinarmi, altri prenderanno il mio posto e lo faranno per me, insieme a tutte quelle realtà che il mondo moderno dispone a questo proposito: addormentare la coscienza critica per vivere un continuo presente fatto di una successione compulsiva di eventi che mi lasciano spettatore passivo e tristemente compiaciuto.

Il pensiero filosofico ci permette di porre un freno a questo vorticoso turbinio di eventi, esso è capace di distinguere tra verità e autenticità ed è proprio nell’autenticità che scorgiamo più profondamente l’individuo nel suo essere soggetto ontologico, nel mantenersi fedele a sé stesso e quindi alla propria natura umana. Per certi versi l’autenticità dell’uomo è il saper essere coerenti in quella ricerca della verità e di senso.

Martin Heidegger, rimprovera all’uomo il rischio di cadere nella non autenticità per i tanti doveri, obblighi e impegni nei quali vive e che lo allontanano da sé stesso e dagli altri. Abbiamo tutti troppo da fare per preoccuparci di essere e di esistere, di esserci e di esistere nella vita degli altri.

L’uomo autentico, che è capace di inseguire la verità del proprio essere, ama la lentezza, che è un po’ quella capacità di saper perdere il tempo per poterlo poi ritrovare non in senso quantitativo ma qualitativo. E una logica oggi impopolare quella del perdere per guadagnare e se ci pensiamo le cose più importanti della vita dell’uomo sembrano essere costantemente in perdita per poter funzionare a dovere, per crescere e svilupparsi armonicamente.

Mi capita spesse volte di rivolgere alle coppie di coniugi in stanca matrimoniale queste due semplici domande: «Quanto tempo dedichi a tuo marito/moglie?»; «Quanto tempo sapete ritagliarvi nella vostra giornata per stare insieme?» La risposta è quasi sempre la medesima, salvo piccole varianti: «Padre non abbiamo tempo, siamo troppo impegnati, siamo troppo indaffarati». Queste risposte sono il segnale di una autenticità personale e di coppia che sta soffrendo, di un essere che non è più.

Stesso discorso lo possiamo fare in ambiti differenti: tra figli e genitori, tra amici e colleghi di lavoro. Anche all’interno della Chiesa il bisogno di autenticità tocca la persona dei consacrati e dei fedeli. La non autenticità dell’essere è come la ruggine che corrode l’umanità di ciascuno con il rischio di diventarne talmente parte di essa che è poi difficile distinguerla da quello che è autentico. È solo nell’autenticità che io mi permetto di essere e di esserci, di conoscere me stesso e l’altro. Non sono le cose da sbrigare che mi determinarono, non sono i ruoli con cui mi presento al mondo che mi identificano o quello che gli altri mi caricano sulle spalle attraverso mille aspettative.

L’autentico soggetto ontologico che racchiude la verità di me stesso e il medesimo che mi permette di conoscere e dialogare con la verità dell’altro, ma per far questo occorre saper perdere tempo, camminare con lentezza, che è la vera forma della memoria come scriveva Milan Kundera. Il saper filosofeggiare dei nostri antichi padri comprendeva tutto questo, il cui guadagno consisteva anzitutto in una perdita di tempo che era capace di curare e di accudire la persona.

La cura come possibilità di essere e di esserci. Tutti siamo bisognosi di cura, così come tutti possiamo essere i soggetti attivi di una cura. La cura non è solo una prerogativa dei deboli e dei fragili ma fa parte di ogni essere uomo che viene al mondo, nella consapevolezza di non poter vivere come un assoluto a sé stesso.

Il mito dell’uomo che «non deve chiedere mai» indipendentemente dal suo essere maschio o femmina ― è appunto un miraggio dell’ideologia del benessere, di chi presume di potersi fare da solo, un mito prometeico di assoluto che abbiamo visto naufragare proprio con l’evento pandemico di alcuni anni fa che ha messo in crisi questa modalità di vedere l’uomo moderno come invincibile e padrone di sé. L’accudimento è un elemento essenziale di ogni consorzio umano civile, il grado di sviluppo di una società matura si riconosce non tanto dalla sua capacità di fare o di creare ma nella sua capacità di prendersi cura degli altri. Anche nell’ipotesi del migliore dei mondi possibili in cui siano state finalmente abolite le guerre, le povertà e le malattie, l’imperativo alla cura resta immutato dentro quella componente umana, troppo umana ma anche felicemente umana che ci permette di mantenerci autentici. Ne è un esempio l’immagine evocativa di Anchise portato in braccio dal figlio Enea che la mitologia antica ha individuato come icona della virtù della pietà ― precedente e anticipatrice della Pietas cristiana ― e che comprende e racchiude il dovere, la devozione e l’affetto, caratteristiche tutte che ritroviamo nella cura verso gli altri qui racchiuse nell’autenticità di una relazione tra padre e figlio.

Forse è necessario ritornare a riscoprire una filosofia della cura per poter successivamente elaborare un’etica efficace della cura: la consapevolezza di perdere tempo sapendo che «aver cura significa prendersi a cuore, preoccuparsi con premura» (vgl. L. Mortari, Filosofia della cura, Raffaello Cortina Editore, Mailand 2015), così come il gesto di Enea suggerisce. Colui che curandosi del vecchio padre, dopo la disfatta di Troia, viene reciprocamente da lui custodito in quella stretta dei Penati, le divinità protettrici della famiglia, nelle mani del vecchio genitore.

Perché questi richiami? Perché il saper filosofeggiare ci permette di leggere e di interpretare il presente che ci circonda fuggendo la non autenticità e la distorsione della verità dell’essere che risiede come evenienza per ogni uomo. Tutti noi ricordiamo i casi di cronaca recente di Laura Santi e di don Matteo Balzano, ebbene sono proprio queste due vite spezzate dal suicidio che rendono doveroso un sapersi fermare e interrogare sull’importanza che ogni uomo ha e sulla cura che ogni uomo merita di avere. Delle domande non possono che essere formulate davanti a queste due vite che non sono più, non per cercare facili consolazioni e inutili responsabilità ma per sottolineare ancora una volta come preferiamo spesso accomodarci sull’inganno della non autenticità che sulla faticosa perdita di tempo che il curare comporta.

Quando una società civile si abbandona nell’illusione di normalizzare e regolamentare il suicidio di un uomo ― inteso anche come scelta eutanasica ― in base a giustificazioni che fanno capo a circostanze dispotiche e capricciose o a una necessità ineludibile, ebbene siamo al vertice della non autenticità dell’uomo e quindi al capolinea della sua disumanizzazione e della negazione del suo essere ontologico, l’anti-uomo per eccellenza. m. Heidegger parlava di «prendersi cura delle possibilità» (vgl. Heidegger, Segnavia, (1967), Adelphi, Mailand 2002, P. 21), intendendo come l’uomo abbia la possibilità di aspirare e realizzare la migliore forma di vita possibile, realizzando quella capacitività del suo essere che non si limita al solo esistere ma è caratterizzata da una progettualità, da un divenire più ampio di esistenza: «l’essere nell’esserci». Ed è proprio questo divenire più ampio di esistenza, l’autentica cura che il mondo moderno deve saper riscoprire come elemento di civiltà e di umanizzazione davanti al pericolo della negazione dell’essere che vede il suicidio come tollerabile e la malattia grave come fatalità da cui non è più possibile uscire.

La possibilità di aspirare e di realizzare una migliore forma possibile è quello che permette all’uomo di poter stare in ogni contesto e situazione della sua esistenza, aprendo porte che fino a quel momento sembravano chiuse, superando ostacoli apparentemente insormontabili. Il sapersi riconoscere uniti l’uno all’altro smuove il coraggio di promuovere ampie possibilità di umanizzazione, der Verantwortung, di incoraggiamento e di sostegno della propria autentica identità.

Proviamo ancora a filosofeggiare ed immaginiamo diversi ambiti dove anche ciascuno di noi vive e lavora. Forse certe situazioni che ci appaiono difficoltose o disperate sono caratterizzate non tanto dalla cattiveria, dall’invidia o del cieco fato ma dalla mancanza di sapersi prendere cura e di sentirsi oggetto di una cura premurosa e attenta. Come è possibile farci portatori di quell’essere nell’esserci all’interno di una situazione di malattia terminale o di oppressione e disperazione mortale che svuota di ogni senso? Mit anderen Worten, quale responsabilità abbiamo davanti a questi bisogni di cura più o meno espressi, più o meno coscienti e consapevoli? La cura dell’esserci è anzitutto gratuità e desiderare ardentemente di perdere tempo e di compromettersi con l’altro con rispetto, senza pretesa di dominio o di imposizione. La cura richiede coraggio che al giorno d’oggi più che mai si esprime come atto politico nel senso originario del termine.

Joan C. Tronto, una delle voci più autorevoli nella riflessione contemporanea sulla filosofia della cura, sottolinea come questa rappresenti una tra le pratiche basilari per una buona convivenza democratica e per una giustizia sociale non ideologica e questo è vero ma non ancora sufficientemente compreso perché ancora relegato ad ambiti circoscrittiti come quelli familiari, privati o confessionali.

Ricordiamoci questo e ritorniamo a filosofeggiare e a pensare che dietro le proposte apparentemente pietose dell’eutanasia e della facile commozione per coloro che con un gesto estremo ci hanno lasciato, esiste l’opzione della cura che ci permette di «riparare il nostro mondo così da poterci vivere nel modo migliore possibile», quel mondo che include tutto: i nostri corpi, le nostre identità personali, il nostro ambiente. (vgl. B. Fisher, J.C. Tronto, Toward a Feminist Theory of Caring, in E. Abel, m. Nelon, Circles of Care, SUNY Press, Albania 1990, P. 40).

Sanluri, 18 August 2025

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1 Articolo liberamente tratto dal quadrimestrale di filosofia pratica La chiave di Sophia, N.27 Anno X Giu-Ott 2025, vgl.. articoli di Elisa Giraud e Chiara Frezza.

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Die Väter der Insel Patmos

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Siebzehn Jahre, betrunken und unter Drogen gesetzt, um vier Uhr morgens vergewaltigt. Die ganze Schuld des Patriarchats

Siebzehn, Betrunken und unter Drogen gesetzt, Um vier Uhr morgens vergewaltigt. TUTTA COLPA DEL PATRIARCATO

Se una ragazza di 17 anni esce drogata e ubriaca dalla discoteca alle quattro della notte chiedendo a due Schieber tunisini di essere accompagnata a casa perché non si regge in piedi, alle spalle ha due disgraziati che hanno miserabilmente fallito come genitori ed educatori. Però bisogna dare la colpa al patriarcato, al maschilismo, für die Gesellschaft, volendo persino agli alieni e ai rettiliani, è più semplice e comodo, pur di non assumersi la responsabilità dei nostri disastrosi fallimenti familiari e sociali.

— Die Briefe der Väter der Insel Patmos —

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In un angolo d’Italia una ragazza di 17 anni è uscita dalla discoteca alle quattro di notte senza essere in grado di mettersi alla guida della sua microcar con la quale era giunta attorno alle 22, tanto era ubriaca e fatta di cocaina.

Decide di lasciare la sua minivettura nel parcheggio della discoteca e chiedere un passaggio a due ragazzi sconosciuti, dei ventenni tunisini con vari precedenti penali per questioni legate allo spaccio di droga. Mentre erano per strada i due si fermano e, visto che c’erano, decidono di stuprarla.

Dinanzi a questo fatto vanno subito chiarite alcune cose: se una ragazza di 17 anni drogata e ubriaca chiede di essere accompagnata a casa da due sconosciuti alla quattro della notte perché non si regge in piedi, nessuno ha il diritto di stuprarla. Detto questo la devastante correttezza politica imperante non consente però di affermare che per inverso, se una ragazza di 17 anni non vuole correre seri rischi eviterà di uscire ubriaca e drogata dalla discoteca alle quattro della notte chiedendo un passaggio a due sconosciuti. Questa seconda affermazione non è lecita da farsi, perché non è letta come un invito alla prudenza ma come tentativo di limitare la libertà di certi giovani ai quali deve essere concesso tutto, nel bene e soprattutto nel male. Se poi accade qualcosa, a quel punto si vanno a ricercare le colpe negli altri.

Gravissimo errore indicare i due violentatori come tunisini, è puro razzismo. Bisogna nascondere la loro nazionalità per evitare discriminazioni e se dovesse venire fuori affrettarci a precisare che potevano essere anche due stupratori italiani, perché col surrealepotevano essere”, la vittima sarà sicuramente molto meno traumatizzata per lo stupro subìto. Ma soprattutto va chiarito che lo stupro consumato è colpa del patriarcato. Per saperne di più, o per montare tutte le proteste ideologiche e mediatiche del caso, basterà chiamare Elena, sorella della povera Giulia Cecchettin e suo padre Gino, ormai specializzati a invocare di tutto e di più, dal patriarcato al maschilismo, pur di non ammettere che se una ragazza di 17 anni esce drogata e ubriaca dalla discoteca alle quattro della notte chiedendo a due Schieber tunisini di essere accompagnata a casa perché non si regge in piedi, alle spalle ha due disgraziati che hanno miserabilmente fallito come genitori ed educatori. Però bisogna dare la colpa al patriarcato, al maschilismo, für die Gesellschaft, volendo persino agli alieni e ai rettiliani, è più semplice e comodo, pur di non assumersi la responsabilità dei nostri disastrosi fallimenti familiari e sociali.

Von der Insel Patmos, 17 August 2025

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Die Väter der Insel Patmos

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Seit über einem halben Jahrhundert versucht es, das, was auch immer mit der Theorie der Papsts betrogen wurde, zu rechtfertigen, nicht informiert, Vor den Tatsachen setzen …

Seit über einem halben Jahrhundert versucht es, das, was auch immer mit der Theorie der Papsts betrogen wurde, zu rechtfertigen, Nicht informiert, Vor den versierten Fakten stellen ...

Es gibt Zeit. Lassen Sie uns also die schuldische Kardinal maltesische Mario Grech beschuldigen, ohne zu vergessen, dass der oberste Papst die Zustimmung gibt.

— Die Briefe der Väter der Insel Patmos —

 

 

 

 

 

 

 

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Ich versuchte aufrichtige Zärtlichkeit im Lesen auf dem Portal Informazionecattolica.it Ein kurzer, aber einschneidender Artikel, geschrieben und gut argumentiert, In dem erklärt wird. Schreibt der Autor:

"Es gibt eine All -Surial -Kunst, die dazu besteht, den Papst zu sagen, was der Papst nie gesagt hat. Es geht nicht darum, Wörter zu fälschen, Aber um die Szenografie aufzubauen. Strategische Einladungen, fotografierte Treffen, Immortalisiertes Lächeln, und das ist es: Am nächsten Tag werden die Titel fertig sein, Und die Nachricht wird gestartet - auch wenn der Papst ein Komma der Doktrin nicht geändert hat. " (vgl.. Artikel WHO).

Es gibt Zeiten, in denen die Dinge einen anderen Weg sein möchten und dass die Schuld von anderen war. Also lasst uns Kardinal Malteser beschuldigen Mario Grind, ohne zu vergessen, dass der oberste Papst die Zustimmung gibt. Und Leone XIV ist nicht Francesco, Sprechen und englisches Recht, Spanisch und Italienisch fast als Muttersprachler folgen. Ich nehme an, dass bestimmte Gesten eine große Resonanz haben, Aber wenn Sie es nicht wissen, oder wenn es nicht versteht, In diesem Fall wäre es naiv. Dann, Es wurde auch in bestimmte Spiele geschlepp, Es ist bereits in der Vergangenheit mit mehreren seiner Vorgänger passiert.

Jetzt bin ich “alt”, Diese Art zu tun, Einerseits und andererseits gehört es mir nicht mehr, Aus diesem Grund habe ich mich damals entschieden, meinen Glauben und meine Berufung zu retten, indem ich mich zum Einsiedlerleben zurückzog.

Ancóra una volta pare che il nostro Padre Ariel abbia fatto centro, Wenn einige Tage nach der Wahl des amtierenden Pontiff:

«Gott segne den römischen Papst, Denn in diesem Zustand der Katastrophe könnte es wenig oder nichts tun. Aber, vor einer verzweifelten Situation wie unsere, Auch ohne erfolgreich versucht zu haben, wird bereits Verdienst von Gnade und Erlösung darstellen, Durch die Herrlichkeit des christologischen Versagens " (vgl.. Artikel WHO).

 

Aus der Eremitage, 17 August 2025

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Sant'Angelo-Höhle in Ripe (Civitella del Tronto)

 

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