Ci mancava solo San Tommaso d’Aquino omosessualista! Il piacere omosessuale secondo San Tommaso d’Aquino o secondo il domenicano Adriano Oliva?
CI MANCAVA SOLO SAN TOMMASO D’AQUINO OMOSESSUALISTA! IL PIACERE OMOSESSUALE SECONDO SAN TOMMASO D’AQUINO O SECONDO IL DOMENICANO ADRIANO OLIVA?
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Speriamo che il Santo Padre, con l’aiuto dello Spirito Santo, abbia la forza di ricompattare il mondo cattolico, oggi lacerato tra due partiti opposti, presenti anche all’interno dell’Ordine Domenicano, dove si va dall’ultra conservatore Padre Thomas Michelet al modernista Padre Adriano Oliva.
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Il teologo domenicano Adriano Oliva ha recentemente pubblicato in Francia un libro dal titolo Amours (Cerf, Parigi, 2015), tradotto in italiano col titolo L’amicizia più grande. Un contributo teologico alle questioni sui divorziati risposati e sulle coppie omosessuali (Nerbini, Firenze, 2015).
In questo libro egli sostiene che San Tommaso
«affronta anche la questione dell’inclinazione sessuale di una persona verso persone dello stesso sesso, e la considera connaturale alla persona presa nella sua individualità» (L’amicizia più grande, p.95).
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Da qui egli deduce che, trattandosi di piacere naturale e, dato che Tommaso ritiene lecito ciò che è secondo natura, Tommaso ammetterebbe la liceità del piacere omosessuale volontario. Oltre a ciò, si tratterebbe di rispettare le esigenze dell’individuo, come se l’eterosessualità non fosse un obbligo per tutti e invece, chi ha la tendenza omosessuale dev’essere libero di poterla attuare. Ma questo, come vedremo, non è affatto il pensiero di San Tommaso, che non considera affatto l’omosessualità una scelta come un’altra, ma bensì un grave peccato “contro natura”.
Il Padre Oliva infatti non tiene conto del fatto che, per Tommaso, un piacere, per esser lecito, dev’essere secondo ragione, per cui non basta che si ponga al livello ontologico o psicologico dell’individuo, ma occorre che sia superindividuale, ossia secondo ragione, corrispondente alle finalità della vita umana. E questo appunto è il bene morale.
L’errore di interpretazione di Padre Oliva sta nel credere che Tommaso si accontenti della considerazione ontologica del bene o del piacere per chiarire la questione del lecito e dell’illecito, che è la questione morale, giungendo così a ridurre il morale all’ontologico. Siccome Tommaso parla per l’omosessuale di un piacere “naturale”, basta questo semplice fatto a Padre Oliva per credere che Tommaso legittimi il piacere omosessuale.
Il Padre Oliva basa la sua interpretazione del pensiero di Tommaso su alcune considerazioni che l’Aquinate fa nella I-II della Somma Teologica [q.31, art.7], dove egli si chiede se esistano piaceri innaturali (non naturales). E risponde che certamente esistono; e tra questi vi è appunto l’omosessualità, che Tommaso condanna senza mezzi termini quale grave peccato “contro natura”. L’omosessuale, però, osserva l’Aquinate — ed è qui che Oliva è stato ingannato —, avverte la sua tendenza come “connaturale”.
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In generale, dal punto di vista psicologico, il piacere sensibile (delectatio sensibilis), per San Tommaso, è un moto dell’appetito sensitivo, che prova soddisfazione per un atto compiuto o un bene (bonum delectabile) conseguito e posseduto. Tale piacere si verifica normalmente sia quando il soggetto consegue un fine naturale o normale, per esempio la procreazione, sia quando invece ricerca solo il piacere per se stesso, indipendentemente dalla ricerca del fine naturale della sessualità, per esempio indipendentemente o contro una procreazione conveniente ed onesta, come avviene nei peccati di lussuria [1]. Per Tommaso il piacere sensibile è stato creato da Dio nell’uomo e negli animali per orientarli al compimento degli atti e al raggiungimento dei fini e dei mezzi della vita: sostanzialmente la salute, l’alimentazione e la riproduzione della specie.
Esiste anche un piacere spirituale, sperimentato dall’intelletto, dalla volontà e dalla coscienza, che Tommaso chiama gaudium, gaudio o gioia, il quale, similmente al piacere fisico, ma in modo più intimo, stabile e gratificante, perché proprio della persona, stimola lo spirito al compimento del bene e ne consegue, fino a caratterizzare, nel suo vertice sommo, la nota propria della visione beatifica. L’animale è guidato nella sua condotta dalla semplice attrattiva del piacere e dalla fuga dal dolore. All’uomo, invece, questo non basta, tanto più che questa dinamica del piacere e del dolore, a seguito del peccato originale, si è guastata, per cui capita che ci piacciano certi peccati e ci ripugnino certe azioni oneste. Così accade che l’attrattiva del piacere ci spinge spesso verso atti peccaminosi. L’uomo, quindi, come insegna San Tommaso, per agire moralmente bene e virtuosamente, in accordo con dignità umana, deve moderare con la retta ragione, sulla base della legge morale, il piacere, effetto delle passioni, in modo tale che esso sia di aiuto e non di ostacolo al compimento delle buone azioni [2]. Quella virtù che svolge questo compito è la temperanza [3]. Il problema che essa deve affrontare è fare in modo che la tendenza o il desiderio del piacere concorrano all’esercizio della virtù, lo aiutino, lo facilitino, lo rafforzino e lo favoriscano. La temperanza deve favorire al tempo giusto e nel luogo giusto i desideri e i piaceri onesti e frenare o limitare o reprimere del tutto i desideri e i piaceri cattivi o inopportuni, fuori tempo [4] o fuori luogo. Deve saper regolare e moderare il piacere a seconda delle circostanze e degli atti permessi o comandati. Tommaso respinge dunque tanto il principio edonistico: «più ce n’è, meglio è», quanto il rigorismo encratista [5] stoico-origenista: «A morte il piacere! A morte il sesso!».
Invece Paolo VI, nell’enciclica Humanae vitae, riprendendo i princìpi dell’etica tomista, non ha problemi a dire che l’atto coniugale esprime l’amore e favorisce l’amore. Mentre la Congregazione per la Dottrina della Fede, nella Dichiarazione Persona humana del 21 gennaio 1976, esordisce addirittura assumendo un aspetto valido del freudismo, col dire che:
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«Dal sesso, la persona umana deriva le caratteristiche che, sul piano biologico, psicologico e spirituale, la fanno uomo o donna [6].
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È chiaro, dunque, che per esempio due sposi possono dar libero corso al piacere quando si uniscono, mentre se viceversa dovesse insorgere il piacere nel corso della celebrazione liturgica, esso va immediatamentee totalmente represso. Per stroncare sul nascere questa eventualità, nella liturgia antica, come spiega lo stesso San Tommaso, era proibito alla donna di celebrare alla Messa la liturgia della Parola o predicare in chiesa [7]. Ci si poteva forse chiedere quale rimedio opporre alla concupiscenza femminile. Le donne erano forse considerate più capaci di autocontrollo. Forse è per tener la donna al riparo dal pericolo, che nella liturgia orientale esiste l’iconostasi, che nasconde ai fedeli la vista del celebrante.
Per restare nel tema che ci interessa dell’emotività o energia sessuale, Tommaso paragona questa passione a una specie di energia calorifica. Ricorrono infatti anche nel parlare corrente espressioni come “fuoco” o “calore” della passione. Sono metafore che rendono l’idea. Come dunque il calore va regolato col termostato, così anche il piacere sessuale. La ragione ha il compito, simile a quello di un termostato, di diminuirlo, quando è eccessivo, per non cadere nella libidine e di aumentarlo quando è scarso. In questo secondo caso Tommaso parla di insensibilitas, che potremmo tradurre con “frigidità” [8]. Questa la tematica del matrimonio.
Per Tommaso un piacere è naturale quando è secondo natura. Ma ciò può avvenire in due modi: o secondo la natura fisica dell’uomo, come per esempio il piacere del cibo o il piacere sessuale; oppure secondo la natura razionale, come per esempio il piacere della virtù o del sapere. Il piacere invece è innaturale (non naturalis) o contro natura (contra naturam), quando non rispetta i fini dell’uomo e quindi il suo vero bene. E quindi non è secondo la retta ragione.
Per l’Aquinate, un piacere può essere naturale fisicamente o moralmente. Per esempio, il piacere sessuale è fisicamente naturale, se viene dall’unione dell’uomo con la donna. Ma ciò non vuol dire ancora che lo sia secondo natura o secondo ragione, nel rispetto della legge naturale, giacchè anche nell’adulterio, nella poligamia e nel concubinato si suppone che si abbia un’unione sessuale normale o naturale, e non per questo il piacere che si prova è moralmente buono. Quanto al piacere sessuale, può essere, secondo Tommaso, innaturale su due piani: sul piano della ragione e sul piano della natura fisica o animale. Può essere innaturale sul piano della ragione e restare naturale sul piano animale, per esempio, il concubinaggio tra uomo e donna. Oppure, oltre ad essere contro ragione, può essere anche contro la natura animale. E qui abbiamo l’omosessualità, che è contro natura a doppio titolo; contro la ragione e contro il piano animale della persona.
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Tommaso qui ammette bensì che esistono piaceri connaturali secondo l’individuo, precisando tuttavia che, se questi piaceri sono contrari al bene della natura umana (contra naturam hominis), alla quale l’individuo appartiene o che egli possiede, si verifica nel medesimo individuo una corruzione della stessa sua natura individuale, per cui, benchè tali piaceri possano essere graditi all’individuo, sono di fatto innaturali anche per lui, propter aliquam corruptionem naturae in eo existentem, a causa della natura umana che esiste in lui. E porta l’esempio di coloro che «per la loro consuetudine si dilettano nel mangiare carne umana, nel coito con le bestie o con i maschi» (propter consuetudinem aliqui delectantur in comedendo homines vel in coitu bestiarum vel masculorum).
Tommaso ammette altresì senza esitare che ciò che è secondo natura, è piacevole, e di per sé è lecito e onesto. Tuttavia ci ricorda che quei piaceri che, nell’individuo, sono graditi alla sua natura individuale in quanto corrotta, non sono piaceri “simpliciter loquendo”, ma solo “secundum quid”, ossia non possono essere piaceri umani in senso pieno ed assoluto, sotto ogni aspetto, perché frustrano le finalità della natura umana. Ma sono piaceri solo come stati emotivi, non ordinati al vero bene dell’uomo. Per questo non sono piaceri leciti ed onesti, ma proibiti e peccaminosi. E il piacere omosessuale è uno di questi.
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Ora, qui occorre fare attenzione ad evitare un equivoco, al quale purtroppo il Padre Oliva non sembra sfuggire. Infatti l’impressione che si potrebbe trarre da queste considerazioni di San Tommaso, potrebbe essere questo falso ragionamento:
Premessa maggiore. È lecito e moralmente buono ciò che conforme a natura, ciò che è connaturale.
Premessa minore. Ma la sodomia, ovvero l’esercizio dell’omosessualità è conforme o connaturale alla natura individuale dell’omosessuale.
Conclusione. Dunque questa pratica può essere considerata lecita e buona per quell’individuo secondo le sue particolari esigenze o inclinazioni.
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Senonchè, però, per San Tommaso, un atto umano è lecito e buono, se è l’applicazione, da parte dell’individuo, della norma morale, che è regola universale dell’agire, legge uguale per tutti, perché è legge della natura umana come tale, natura identica in tutti; e quindi tutti gli individui, in quanto membri della specie umana, sono tenuti ad osservarla. Per questo, un peccato secondo la specie, per Tommaso, è peccato anche per l’individuo che lo commette.
Il bene connaturale all’individuo è regola morale solo se è applicazione della legge universale. È chiaro che il cibo che nutre un anziano di 90 anni non può essere un bene per lui come il cibo che nutre l’olimpionico di 20 anni. Ma sia l’uno che l’altro deve obbedire alla legge che comanda a tutti di nutrirsi convenientemente. Ora, l’omosessualità non è semplicemente una buona condotta, adatta all’omosessuale, diversa dalla norma eterosessuale, fatta apposta per l’eterosessuale. Ma è una condotta contraria alla legge universale della natura umana, che anche l’omosessuale deve cercare di praticare, per quanto gli costi fatica. Questo è il pensiero ineccepibile dell’Aquinate.
Ciò non impedisce in genere l’esistenza e la necessità di leggi o privilegi particolari e positivi, stabiliti dall’autorità umana, civile o ecclesiastica, per ceti particolari di persone, in particolari circostanze o particolari luoghi o periodi storici. Ma tali leggi sono vincolanti solo se costituiscono la determinazione delle più ampie universali ed immutabili leggi morali, regolatrici della condotta di ogni persona umana, in quanto tale.
La legge positiva può e deve, all’occorrenza, secondo la prudenza del legislatore, regolare con clemenza, equità, gradualità, senso di umanità o tolleranza o con finalità educative o rieducative, in via a volte eccezionale, anche la condotta di persone, che non per cattivo volere, ma per limiti della volontà, per situazioni irresolubili, per cause di forza maggiore, per ostacoli insuperabili, per immaturità umana, per ignoranza o per oggettive incapacità fisiche, psicologiche o morali, non sono grado di adempiere alle legge in tutto il suo rigore e nella elevatezza delle sue esigenze.
Casi umani particolarmente delicati e degni di attenzione da parte della Chiesa e della società civile, per le proporzioni che oggi stanno assumendo, sono indubbiamente quello dei divorziati risposati e quello delle convivenze di omosessuali, casi dei quali tratta il libro del Padre Oliva.
Benchè la sodomia resti sempre un grave peccato, lo Stato oggi si sta orientando a concedere uno status giuridico o una qualche forma di riconoscimento ai conviventi omosessuali. Che farà la Chiesa? Potrà concedere i sacramenti? I due, per essere in grazia di Dio, si devono lasciare o possono vivere assieme? Sono capaci di rinunciare o la Chiesa deve tollerare la loro convivenza? E quale pastorale adottare?
Il recente sinodo dei vescovi, dopo un lavoro assai complesso, un approfondito esame delle situazioni e una fitta ed animata discussione, con momenti di forte tensione, ha visto l’emergere di varie proposte ed iniziative, che sono ora al vaglio del Santo Padre. Non so, però, se i vescovi, molto presi dal problema dei divorziati risposati, abbiano dedicato sufficiente attenzione al problema degli omosessuali conviventi e magari con figli adottivi o nati da precedente matrimonio o generati artificialmente.
Tutti siamo in attesa fiduciosi nelle decisioni del Sommo Pontefice, quali che siano, nella certezza di avere una luce, un incoraggiamento, un conforto e l’indicazione della via da percorrere per mettere in pratica il Vangelo. Speriamo che il Santo Padre, con l’aiuto dello Spirito Santo, abbia la forza di ricompattare il mondo cattolico, oggi lacerato tra due partiti opposti, presenti anche all’interno dell’Ordine Domenicano, dove si va dall’ultraconservatore Padre Michelet al modernista Padre Oliva.
La consultazione del pensiero dell’Aquinate, in una situazione ecclesiale agitata, confusa e tempestosa come la presente, si presenta sempre utile, non certo per chiedergli soluzioni concrete per problemi e situazioni che egli non potè conoscere e sulle quali comunque non si è pronunciato, ma per mettere in gioco nozioni e princìpi teologici, antropologici, morali e psicologici, per non dire metafisici, dai quali non si può prescindere, per comprendere il vero senso delle questioni, e trovare la soluzione giusta, nella fedeltà a Cristo e al Magistero della Chiesa.
Perchè tuttavia Tommaso possa svolgere nel mondo d’oggi la sua preziosissima missione di Lumen Ecclesiae, come ebbe e definirlo Paolo VI [9], dev’essere presentato nella sua purezza ed autenticità, come peresempio troviamo in un altro teologo domenicano del nostro tempo, il Servo di Dio Padre Tomas Tyn, e si rinunci pertanto a fare di Tommaso un precursore di Kant, di Hegel, di Severino o di Freud, benchè l’ampiezza, perennità ed universalità del suo pensiero consenta di assumere criticamente quanto c’è di valido nel pensiero moderno, come ha notato più molte volte il Maritain [10].
Bisogna invece dire con franchezza che, purtroppo, il Padre Oliva, credendo forse di comprendere e di avvicinare con carità la particolare situazione degli omosessuali, al fine di riconoscerne la dignità umana, e proporre una soluzione ad hoc, ha messo in campo un’infelice distinzione tra individualità e specie in campo morale, concedendo all’individuo ciò che è negato alla specie; e, rischiando così un’etica individualista, che confonde il bene morale (individuo) col bene ontologico (specie), fraintende completamente il pensiero dell’Aquinate, facendogli dire l’opposto di quello di fatto dice.
Padre Oliva sorvola sulle chiare espressioni tomiste con le quali viene espressamente condannata l’omosessualità, considerandole superate e figlie del suo tempo; mentre, a suo dire, il vero, profondo pensiero di Tommaso darebbe un avallo “metafisico” all’omosessualità, laddove egli parla del “bene connaturale all’individuo”, senza tener conto del fatto che l’Aquinate qui parla esplicitamente di natura individuale “corrotta”.
Per Padre Oliva Tommaso nasconderebbe, sotto la condanna esplicita legata al suo tempo, una reale, implicita legittimazione della omosessualità, basata sulle esigenze della dignità ontologica dell’individuo. Ma gli argomenti di Padre Oliva non convincono, per cui è bene restare a ciò che Tommaso dice esplicitamente sulla base del quadro generale della sua etica corrispondente alle esigenze del Vangelo. Vien fuori infatti dall’interpretazione di Padre Oliva una sorprendente giustificazione dell’omosessualità, mentre l’Aquinate in realtà, con argomenti inoppugnabili, dimostra la illiceità della sodomia, peraltro in un quadro teologico e morale, nel quale ad ogni uomo è dato spazio per prender coscienza dell’immagine di Dio, che porta in se stesso, per riformarla con la grazia di Cristo ed aprirla alla sua misericordia.
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Varazze, 24 novembre 2015
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NOTE
[1] Cf Summa Theologiae, II-II, q.153.
[2] Cf Summa Thelogiae, I-II, q, 24.
[3] Cf Cf Summa Theologiae, II-II, qq.141-142.
[4] Cf Come dice il saggio Kohèlet: “C’è un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci”(3,5).
[5] Gli encratisti erano eretici dei primi secoli, dei quali parla S.Ireneo nel suo De haeresibus, i quali consideravano il piacere sessuale o addirittura il sesso come opera del demonio o quanto meno come punizione del peccato originale.
[6] Ho trattato questo argomento nella mia tesi di licenza in teologia “L’influsso della sessualità sui piani psicologico e spirituale della persona”, direttore di tesi P.Alberto Galli,OP, Studio Teologico S.Tommaso d’Aquino, tesi n.172, Bologna 1977.
[7] Cf Summa Theologiae, II-II, q.187, a.2.
[8] Cf Summa Theologiae, II-II, q.142, a.1.
[9] Lettera Lumen Ecclesiae di Paolo VI al Padre Vincent de Couesnongle, Maestro dell’Ordine dei Frati Predicatori, del 20 novembre 1974.
[10] Cf Le Docteur Angélique, Desclée de Brouwer, Paris 1930.
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Ho come l’impressione, i reverendi padri mi correggano se sbaglio, che la radice del problema sia la negazione del peccato originale. Perché il ragionamento del padre Oliva funziona negando che la natura, e la natura umana in particolare, sia ferita e inclinata al peccato.
Rev.Padre,
giusto ieri il Papa era a Namugongo, per pregare nei due Santuari, prima in quello Anglicano e poi in quello Cattolico, sulla tomba dei giovani martiri Cristiani che, dopo aver resistito alle turpi, morbose attenzioni del loro re, hanno preferito la morte piuttosto che abiurare la loro fede, pregando fino alla fine, senza alcun gemito.
Altra tempra espressero quei Santi rispetto ad alcuni prelati, recenti protagonisti a Roma.
Dice inoltre che questa corruzione può dipendere da una corruzione del corpo a causa di malattie o vizi di costituzione che guastano e imbrogliano i sensi (e quindi chi ne è colpito, dico io, almeno in partenza è innocente): ma l’omosessualità non dipende dalla corruzione del corpo. Oppure dipende da una corruzione dell’anima (e quindi è colpevole): e l’omosessualità dipende dalla corruzione dell’anima. Sembra implicito da questo ragionamento che San Tommaso neghi perciò qualsiasi tendenza innata all’omosessualità. Insomma: è il perfetto “omofobo”; sul piano intellettuale, s’intende, non su quello della carità.
Rev. Padre,
plaudo alla sua chiara e articolata confutazione delle cervellotiche tesi del Padre Oliva. Avverto però un problema. Certo, San Tommaso è prodigioso nel piegare il linguaggio di Aristotele – per così dire – alle ragioni del Cristianesimo. Ma ciò rende di ardua comprensione sia lui sia chi cerca di difenderne la retta interpretazione a chi non è ferrato nel mestiere (parlo in parte – e in parte notevole – anche di me stesso, dilettante e per di più con un’antipatia – come dire? – “naturale” per Aristotele) . Intanto, però, l’opinione pubblica, grazie ai media compiacenti, viene bombardata dalle alzate d’ingegno dei teologi fulminati sulla larga via della pseudo-misericordia pseudo-bergogliana e bisognerebbe possibilmente trovare, in sinergia coi dotti ragionamenti, parole semplici per smascherarli: credo che in questo caso si possa fare, visto che il Padre Oliva si è arrampicato davvero un po’ troppo sugli specchi. San Tommaso dice in parole povere questo: che nell’uomo corrotto il vizio – il piacere contro natura – diventa una “seconda natura”.