La fede del Papa: “Una volta ravveduto, conferma i fratelli nella fede”
LA FEDE DEL PAPA: ”UNA VOLTA RAVVEDUTO, CONFERMA I FRATELLI NELLA FEDE”
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Il Santo Padre può usare involontariamente espressioni equivoche o motti di spirito o frasi ad effetto, che possono essere fraintesi maliziosamente e strumentalizzati dai nemici della Chiesa o dai falsi amici; può pronunciare qualche battuta infelice, può lodare personaggi politici o ecclesiastici che non lo meritano, può minimizzare il problema dell’Islam, può essere troppo severo verso i tradizionalisti, troppo indulgente verso i protestanti, tutte cose che non toccano la sua responsabilità di maestro della fede. Può anche eccedere nel parlare, col rischio aumentato di commettere qualche gaffe o che gli sfugga qualche frase d’impulso.
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Al Santo Padre
« Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli » [Lc 22, 31-32]
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La fede che Dio dona al Papa è un dono dello Spirito Santo, che, tra tutti i fedeli, Dio concede solo a lui, ossia nella massima misura, purezza e fortezza realizzabile da un cristiano; è fede di una luminosità, saldezza e fecondità eccelse, al di sopra della fede di tutti gli altri fedeli; è una fede che assomiglia alla pietra angolare di un edificio, la quale sostiene tutte le altre pietre, ossia la fede di tutti gli altri fedeli.
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In questo senso Cristo assegna a Pietro il compito di essere «roccia», sulla quale Egli edifica la sua Chiesa. La fede di Pietro è suprema promotrice e moderatrice dell’unità e dell’universalità della fede di tutto il popolo di Dio, nella varietà e molteplicità dei diversi modi di pensare, di esprimere e di comunicare la fede. Se venisse meno la fede di Pietro, la Chiesa crollerebbe. Per questo, tutti i nemici della Chiesa, dall’estrema sinistra all’estrema destra, dagli atei ai panteisti, dagli gnostici agli agnostici, dai massoni ai protestanti, la prima cosa che hanno di mira è l’abbattimento del papato o la sua riduzione a figura simbolico-rappresentativa, come il Presidente della Repubblica italiana o la Regina d’Inghilterra.
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Per questo, l’Anticristo impiega le sue forze migliori soprattutto contro il Vicario di Cristo. In tutta la storia della Chiesa, non c’è stata eresia più dannosa per la Chiesa e la sua unità, di quella di Lutero, quando, con implacabile furore, ha scambiato fino alla fine della vita il Papa per l’Anticristo. Anche gli scismatici greci, che pure respingono il primato petrino, tuttavia considerano pur sempre il Vescovo di Roma come “Papa di Roma” e “Primate dell’Occidente”.
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Tutti gli eretici, di ogni tipo o colore, gonfi di superbia, ingannati dal demonio e servi dell’Anticristo, credono e danno ad intendere di possedere la vera fede in Cristo, senza o contro il Papa, pensando di poterlo cogliere in fallo in fatto di fede o correggerlo in fatto di fede e quindi di sapere meglio di lui qual è la verità del Vangelo. Ma sono degli illusi e degli impostori, che corrompono la fede e i costumi cristiani e possono spingere anche alla stessa apostasia dalla fede.
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La fede speciale che il Papa riceve dallo Spirito Santo gli consente di vedere la verità del Vangelo meglio, più in alto e più profondamente di tutti gli altri; è una fede che sa trovare le parole migliori per spiegarla, per esprimerla e per insegnarla; è una fede talmente forte e robusta da sostenere e correggere la fede di tutti gli altri fedeli, i quali si appoggiano su questa fede e trovano in essa luce e conforto, nonché certezza di essere nella verità e di seguire la dottrina di Cristo; è una fede unica in tutta la Chiesa, non solo come virtù personale, ché qui il Papa è superato solo da Abramo per l’Antico Testamento e dalla Madonna per il Nuovo [Lc 1,45], ma anche nella sua forza generatrice e confermatrice.
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Nessuno può correggere il Papa nella sua fede, perché non può aver difetti o lacune, è integra e non può cadere nell’errore. È una fede infallibile ed indefettibile, da San Pietro fino all’ultimo Papa della storia, sempre identica a se stessa e mai mutata, con buona pace dei modernisti, perché è specchio della Parola di Cristo che non passa. Il Papa è l’unico fedele che abbia una fede di tal genere. Tutti gli altri possono errare nella fede. Lui no. Egli può scoprire gli errori di tutti, correggere tutti, ma nessuno può correggere lui. È in modo specialissimo quell’ «uomo spirituale», del quale parla San Paolo, «che giudica ogni cosa, senza poter essere giudicato da nessuno» [I Cor 2,15].
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Questo è il privilegio unico della fede pontificia, dovendo essere fede che fonda, genera, sostiene e diffonde la fede nel mondo e che custodisce, conferma e difende la fede del Popolo di Dio, correggendo gli errori, compassionando e tollerando i deboli e gli ignoranti, ammonendo gli erranti e gli arroganti, richiamando gli scismatici, eretici ed apostati, perdonando chi si ravvede e torna alla verità. Naturalmente, anche chi viene eletto Papa, è giunto alla fede come ogni buon cattolico, attraverso un cammino a volte laborioso ed accidentato, superando prove e dubbi, e rispondendo alle sollecitazioni della grazia, in comunione con la Chiesa e i Papi precedenti. In precedenza, prima di essere eletto Papa, egli può aver avuto difetti ed incertezze nella fede; ma, una volta investito del carisma di Pietro, diventa saldo e invincibile. Il Papa può esser provato nella fede, può andar soggetto anche alle più insidiose tentazioni, ma è protetto dalla forza dello Spirito. Il Papa non può mai peccare volontariamente contro la fede, per lo meno con danno della Chiesa.
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Il Papa può avere una fede coltivata nella teologia, come è stato per Benedetto XVI o nella pratica pastorale, come è stato per il Papa attuale e come fu per San Pio X. Può averla coltivata in Segreteria di Stato, come fu per il Beato Paolo VI e Pio XII o nella diplomazia vaticana, come fu per San Giovanni XXIII o come Inquisitore della fede, come fu per San Pio V, o negli studi umanistici, come fu per Pio II, o nell’insegnamento del diritto canonico, come fu per certi Papi del Medioevo, o nella vita monastica, come fu per San Gregorio Magno. In ogni caso, uno, per essere eletto Papa, deve distinguersi nella fede, perché il principale compito del Papa è il confermare i fratelli nella fede. Da qui discende il pascere il gregge di Cristo e il difenderlo dai lupi, ossia il potere pastorale e di governo (potestas clavium). E non tanto una fede dotta o colta, quanto piuttosto una fede pura, salda, intelligente e comunicativa. Pura, ossia esente da errore; salda, ossia ben fondata, certa e certificante; intelligente, ossia dotata di quella che Santa Caterina da Siena chiamava la «santa discrezione», la capacità critica di discernere il vero dal falso; comunicativa, ossia espressa o mediata da un linguaggio chiaro, appropriato, adatto ai vari ceti di fedeli.
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Questo è probabilmente il motivo per il quale il Cardinale Carlo Maria Martini, per quarant’anni, ad ogni morte di Papa, fu regolarmente preconizzato dalla grande stampa come papabile, ma altrettanto regolarmente il collegio cardinalizio lo scartò, perché purtroppo Martini, al di là della sua cultura, della sua produzione letteraria e delle sue qualità umane e pastorali, possedeva una fede incerta, ambigua e oscillante, simile a chi serve due padroni, che del resto egli stesso descrisse come continua discussione, nella coscienza, tra un credente e un ateo, senza mai prendere una decisione né per l’uno né per l’altro. Il minimo che si possa dire di questa fede è che essa non produce certamente dei martiri, ma solo degli astutissimi voltagabbana, come per esempio Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord, Vescovo di Autun, che passò dall’Ancien Régime alla Rivoluzione, dalla Rivoluzione al Direttorio, dal Direttorio a Napoleone, da Napoleone alla Restaurazione, sempre onorato, aperto a tutti e sempre rimasto a galla. Ora, se lo sconcerto e lo scandalo, che crea in una diocesi un Vescovo del genere, possono in qualche modo essere contenuti nei limiti di quella diocesi, si comprende come Dio non può tollerare, se non entro stretti limiti e per brevi periodi, che qualcosa del genere si produca nella Chiesa universale, perchè in breve tempo la condurrebbe allo sfascio, mentre in essa, secondo la promessa di Cristo, portae inferi non praevalebunt.
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Per questo si può dire che tra la consistenza della fede del vescovo, anche se unito al Papa, e quella del Papa, in un certo senso c’è un abisso, così come c’è un abisso tra il fallibile (la fede del vescovo) e l’infallibile (la fede del Papa), anche se il Papa oggi più che mai ama agire collegialmente con i vescovi e il collegio dei vescovi cum Petro e sub Petro. Ma il fatto è che il Papa è infallibile ex sese, indipendentemente dai vescovi, in quanto è principio e garante della loro infallibilità. E la storia lo dimostra. Di recente si è rifatta viva la tesi secondo la quale sarebbero esistiti Papi eretici: Liberio nel IV secolo, Onorio nel VII secolo, Pasquale II nel XII secolo, Giovanni XXII nel XIV secolo [Ndr. cf. QUI, QUI, QUI, etc..]. Ma l’apologetica ha dimostrato da tempo che non si è trattato di vere eresie. Questi storici vengono di fatto a portare acqua al mulino di personaggi discutibili assai diversi tra loro, ma tutti in sostanza negatori dell’infallibilità pontificia, come per esempio Lutero, Küng e Lefebvre.
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La virtù della fede comporta tre elementi: primo, gli enunciati di fede, ossia l’oggetto della fede (fides quae), i contenuti concettuali, ciò che si crede, le verità credute, gli articoli di fede; secondo, l’atto del credere (fides qua) e, terzo, la professione o espressione orale della fede, il linguaggio della fede (professio fidei). Nell’insegnare la dottrina della fede, il Papa è infallibile, cioè non erra, dice il vero, non solo nelle condizioni specialissime fissate dal Concilio Vaticano I, quando il Papa definisce solennemente un nuovo dogma ― cosa rarissima ― ma tutte le volte che insegna ufficialmente al popolo di Dio la dottrina della fede. La dottrina della fede è quel complesso di verità o proposizioni dogmatiche e morali o da credersi per fede divina o per fede ecclesiastica o con ossequio dell’intelligenza, le quali sono insegnate da Cristo nella Scrittura e nella Tradizione e ci sono proposte dalla Chiesa nel suo magistero ordinario o straordinario, semplice o solenne, in forma definitoria come di fede o non definitoria, come prossime alla fede [1].
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Al fine di discernere il livello di autorità, l’obbligatorietà e la qualità degli insegnamenti pontifici occorre fare attenzione ai diversi generi, tipi, livelli e forme di interventi, oggi più numerosi e diversificati che in passato. Dopo la proclamazione di un nuovo dogma, cosa del resto rarissima e condizionata da circostanze previste dal diritto (Concilio Vaticano I), restano fondamentali le encicliche; ma poi esiste una serie di documenti di livello inferiore, come la costituzione apostolica, la lettera apostolica, la costituzione pastorale, il motu proprio, il rescritto, la bolla, le omelie alla Santa Messa, i messaggi per speciali ricorrenze, anniversari o avvenimenti, i discorsi improvvisati, di circostanza o alle udienze generali, le interviste ai giornalisti […]
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DIALOGO TRA UN MAESTRO ANZIANO ED UN GIOVANE FILOSOFO-TEOLOGO
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Caro Padre e Maestro.
Mentre impaginavo questo Tuo articolo per la nostra Isola di Patmos, mi sono sorte delle domande che sono frutto di quei quesiti che sempre più spesso raccogliamo dai nostri Lettori e che per questo vorrei rivolgere proprio a Te …
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D. Come il Papa si regola nella sua fede?
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R. Egli ha al di sopra di lui solo Gesù Cristo. Quindi fa appello direttamente a Lui, tenendo conto dei Papi e del Magistero che lo hanno preceduto. Nel dubbio, chiede luce allo Spirito Santo. Tiene conto dei bisogni delle anime e della Chiesa.
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D. Che cosa è che lo spinge o può spingerlo a proporre insegnamenti nuovi o nuovi dogmi?
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R. Per quanto riguarda nuovi insegnamenti in generale, può esser spinto da sue scoperte personali o da sue letture teologiche o da amici teologi. La proclamazione di un nuovo dogma, invece, è una cosa molto più impegnativa, che coinvolge la Chiesa intera. Può essere giustificata o per confermare una nuova dottrina, perchè appare comunemente essere di fede, magari da molto tempo, oppure per allontanare certi gravi errori diffusi sulla materia trattata dal dogma, calcolando che da questo evento solenne possa venire grande beneficio alla Chiesa.
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D. Come e con quali criteri possiamo discernere quando il Papa parla come “maestro della fede” e quando invece come semplice teologo od opinionista?
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R. Occorre osservare con attenzione e competenza la materia trattata e il modo di trattarla. È chiaro che egli parla come maestro della fede, quando tratta di verità di fede già note e soprattutto se fa capire, da come si esprime, che si tratta di verità di fede. Nell’altro caso, egli si rifà ad opinioni teologiche già note o sue personali. Soprattutto in questo caso egli non manca di farcelo sapere con appropriate espressioni, come per esempio: “a me sembra”, “secondo i teologi”, “secondo me”, “si dice”, “sono dell’opinione che…” e simili.
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D. In che considerazione tenere i suoi pareri, giudizi o direttive, che non toccano direttamente la fede, come per esempio la riforma della Curia romana, il giudizio sulla situazione attuale della Chiesa, la proibizione della Comunione ai divorziati risposati, la sua polemica contro il legalismo e il rigorismo, il continuo insistere sulla misericordia, che sembra lasciare in ombra altre virtù, anche più importanti, l’assenza di avvertimenti circa l’esistenza dell’inferno, la denuncia delle ingiustizie nel mondo, il suo parere su certi teologi, il problema degli immigrati, dell’ecologia, dell’Islam, dell’economia internazionale, dell’ecumenismo, del dialogo con i non-credenti, della politica ?
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R. Nel caso che il rapporto con la verità di fede o di morale sia necessario o logico o evidente, occorre accogliere queste dottrine, pareri o norme quasi come fossero di fede (fidei proximae). Se invece, come nella gran parte degli esempi riportati, manca questo nesso e semplicemente questi interventi non sono contrari alla fede, allora possiamo anche dissentire o dissociarci, sempre però con prudenza, modestia e rispetto, pronti a correggerci.
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D. Come distinguere il suo linguaggio pastorale da quello dottrinale ?
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R. Dipende dai contenuti. Se indica i doveri del pastore o dà nome a norme pratiche o giudizi sulla condotta di singoli o gruppi, è pastorale; se invece insegna il dogma o la verità di fede o i princìpi della morale o i misteri della fede, è dottrinale. Ma anche contenuti dottrinali o dogmatici possono essere espressi in stile pastorale, ossia non in una forma scientifica o scolastica, ma adatti alla comprensione comune della gente.
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D. Come distinguere i suoi insegnamenti morali (munus docendi ) da quelli giuridici (potestas clavium ) ?
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R. Bisogna verificare rispettivamente se i contenuti si allacciano direttamente o quanto meno necessariamente, universalmente o deduttivamente o alla legge naturale o alla legge divina, – e questi sono gli insegnamenti morali — oppure se, pur basandosi su quelle leggi, ne sono un’applicazione contingente, particolare e mutevole, suscettibile di modalità diverse (leggi ecclesiastiche) — e questi sono gli insegnamenti giuridici. Per esempio, gli insegnamenti sulla dignità del matrimonio e della famiglia sono norme morali; invece, le norme relative ai divorziati risposati o a chi appartiene alla Fraternità San Pio X o alla massoneria o alla mafia sono provvedimenti giuridici.
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D. Il Papa ha bisogno di collaboratori o di consiglieri nell’esercizio e nell’insegnamento della fede?
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R. Certamente, dati i suoi limiti umani e la gravosità ed immensità del compito che ha davanti di illuminare e governare la Chiesa intera. Certo, egli insegna la fede e governa insieme con i cardinali e i vescovi. Ma in fin dei conti, spetta a lui vigilare sulla fede degli stessi cardinali e vescovi, aiutato dai collaboratori della Curia Romana e da tutti coloro, dei quali vuol servirsi, anche se privi di incarichi ufficiali. Tra questi collaboratori istituzionali da secoli troviamo in prima linea i Domenicani e i Gesuiti, cavalieri della fede, affratellati agli ordini del Santo Padre; i primi, dediti a mostrare la verità della fede; i secondi, a mostrare la forza della fede. Il Papa è certo servus servorum Dei, ma anche e proprio per questo episcopus episcoporum. Egli certo è vescovo tra i vescovi e con i vescovi, ma non si lascia prendere la mano dai vescovi. L’ambizione, come ai tempi dei farisei del Vangelo, sotto il velo dello zelo per la Chiesa, è la rovina di chi vuol salire negli ordini sacri. Anche se il Papa è stato eletto dal collegio cardinalizio, si tratta evidentemente solo di una semplice designazione all’ufficio petrino, benché questo atto dei cardinali sia da supporre, di norma, criteriato dalla stima per la virtù della fede presente nell’eletto. Ma per quanto riguarda l’esercizio della fede, è il Papa che nomina e chiama accanto a sé come vescovi quei candidati, nei quali verifica in primo luogo l’autenticità e l’eccellenza della fede [2], avendo facoltà di allontanare, se è il caso, dalla comunione con lui e quindi con la Chiesa, chi dovesse fallire nella fede. Per cui sta al Papa confermare nella fede il collegio episcopale e i singoli vescovi, e in tal senso egli può ripetere a loro le parole di Cristo: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” [Gv 15,16].
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D. Che cosa pensare dell’assenza di intervento del Papa contro dottrine ereticali ?
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R. Il Papa usa molto raramente il termine “eresia”, ma non manca di denunciare errori, che possono essere definiti “eresie”, come per esempio l’ateismo, lo gnosticismo, l’idealismo, il panteismo, il materialismo, l’odio religioso, il fondamentalismo, la corruzione morale e politica, la prepotenza nei confronti del prossimo e della natura.
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D. Il Papa può sbagliare in certi suoi discorsi o documenti ufficiali ?
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R. Può usare involontariamente espressioni equivoche o motti di spirito o frasi ad effetto, che possono essere fraintesi maliziosamente e strumentalizzati dai nemici della Chiesa o dai falsi amici; può pronunciare qualche battuta infelice, può lodare personaggi politici o ecclesiastici che non lo meritano, può minimizzare il problema dell’Islam, può essere troppo severo verso i tradizionalisti, troppo indulgente verso i protestanti, tutte cose che non toccano la sua responsabilità di maestro della fede. Può anche eccedere nel parlare, col rischio aumentato di commettere qualche gaffe o che gli sfugga qualche frase d’impulso.
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D. Il Papa può sbagliare nelle scelta dei suoi collaboratori nel campo della custodia e della difesa della fede ?
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R. Certamente, ma occorre essere cauti nel giudicare e bene informati. I fanfaroni sono quelli che suonano la tromba, procurano guai al Papa e avvertono le televisioni quando si soffiano il naso. Sono naturalmente i maggiormente ricercati dalla stampa mondana e modernista, mentre i veri collaboratori lavorano fedelmente nella modestia e nel silenzio, come il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, e il Cardinale Gerhald Ludwig Müller, Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, senza mettersi in mostra. Sono questi i veri aiuti del Santo Padre e servitori della Chiesa, assieme a diversi altri silenziosi operai.
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Varazze, 22 giugno 2016
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NOTE
[1] Cf Appendice della Congregazione per la dottrina della fede alla Lettera apostolica di Giovanni Paolo II Ad tuendam fidem, del 1998.
[2] Il titolo di “eccellenza” dato ai vescovi, come quello di “eminenza” dato ai cardinali si riferisce anzitutto all’eccellenza ed eminenza della loro fede, oltre al fatto che nella pienezza del suo sacerdozio apostolico, il vescovo è sacerdote per eccellenza.
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