Dalle “scappatelle” di Gesù al Natale mutato da sacro mistero in sentimentalismo sociale
DALLE “SCAPPATELLE” DI GESÙ AL NATALE MUTATO DA SACRO MISTERO IN SENTIMENTALISMO SOCIALE
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Lungi dal fare una scappatella tipica degli adolescenti e chiedendo per essa, forse, persino scusa ai genitori, già a dodici anni Gesù manifesta uno stile di vita che richiede la nostra comprensione. Per comprendere è però necessario partire da un fondamentale dato di fede: Egli è il Verbo di Dio fatto uomo, non un ragazzino turbolento.
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I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme [Lc 2, 41-52. Testo intero QUI]
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Lungi dal fare una scappatella tipica degli adolescenti e chiedendo per essa, forse, persino scusa ai genitori [cf. QUI, min. 6,30], già a dodici anni Gesù manifesta uno stile di vita che richiede la nostra comprensione. Per comprendere è però necessario partire da un fondamentale dato di fede: Egli è il Verbo di Dio fatto uomo, non un ragazzino turbolento.
Nel mondo ebraico di cui Gesù è figlio devoto, all’inizio dell’adolescenza comincia l’età degli obblighi di Legge, il primo dei quali è quello di prestare ascolto al Signore, che ha la priorità assoluta su ogni altro ascolto; con buona pace degli uomini che, dopo avere ascoltato solo se stessi, scambiano infine la propria volontà per volontà di Dio, imponendola spesso come tale.
Come mai Gesù non dice nulla a Giuseppe e a Maria dell’obbedienza a Lui richiesta da parte del Padre? Forse perché essi devono sperimentare in questa circostanza un senso di angoscia, come se attraverso di essa Dio avesse voluto saggiare la loro fede. Ogni uomo sarà messo alla prova dal Signore, come recita il Salmista: «Il Signore mi ha provato duramente, ma non mi ha consegnato alla morte» [Sal 118].
La domanda rivolta da Maria: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo», non va letta come un rimprovero, neppure tenero, ma come una domanda che richiede una luce come risposta. Maria, che circa tredici anni prima aveva ricevuto l’annuncio dell’Arcangelo Gabriele [Cf. Mt 1, 18-25. Lc 1,26-37] sa bene chi è suo Figlio, per questo domanda luce chiedendogli il motivo della sua scelta di rimanere in Gerusalemme. Gesù risponde alla tipica maniera dei Maestri della Legge, ossia con un domanda: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». E qui bisogna notare che nella cultura ebraica dell’epoca, solo coloro che erano rivestiti di autorità e autorevolezza, sapienza e scienza, potevano permettersi di rispondere con delle domande ad una domanda a loro posta, non certo un figlio adolescente a un quesito a lui rivolto da un genitore. E, comprendendo sia l’amore sia l’umana apprensione dei genitori, Gesù li invita a riflettere che il suo vivere e agire sarà sempre una espressione di compimento della «volontà del Padre mio» [Cf. mia meditazione sulla volontà del Padre, QUI]. Tra il Padre e Gesù Cristo non vi sono mediatori umani, c’è la consustanzialità, come recitiamo nella professione di fede, c’è il mistero del figlio generato non creato della stessa sostanza del Padre.
Maria presta ascolto anche se sul momento non comprende la risposta del Figlio. Forse la Beata Vergine Maria, l’Immacolata Concezione, colei che dallo Spirito Santo fu toccata attraverso un dono di grazia unico nella storia del genere umano, acquisirà comprensione piena solo sotto la croce, dove la sua anima è trafitta da una lancia, mentre la lancia di metallo del centurione squarcia il petto di suo figlio. Sotto la croce Maria non domanderà più, ascolta e fa la volontà del Padre che Gesù le manifesta, divenendo Madre dell’umanità, ed appresso, nella Pentecoste dello Spirito Santo, Madre della Chiesa che fonda il proprio essere ed esistere sul mistero della risurrezione del vero Dio e vero uomo, che oggi è il bimbo di Betlemme, domani il giovane appena adolescente che discute con i dottori nel tempio [cf. Lc 2, 41-45], poi il Gesù alle rive del fiume Giordano dinanzi Giovanni il Battista [cf. Mc 1,9-11. Mt 3,13-17. Lc 3,21-22]. Poi il Gesù che compie il miracolo del vino a Cana [cf. Gv 2,1-11], che risuscita dalla morte l’amico Lazzaro [cf. Gv 11, 1-44], che scaccia con virile severità i mercanti dal tempio [cf. Mc 11,15-19. Mt 21,12-17. Lc 19, 54-48. Gv 2, 12-25], che perdona la peccatrice pentita che stava per essere lapidata [cf. Gv 8, 1-11], che istituisce nell’ultima cena il sacerdozio e il mistero del suo corpo e del suo sangue [cf. Mt 26,20-30. Mc 14,17-26. Lc 22,14-39. Gv 13, 1-20], che si offre come agnello immolato per lavare il peccato dal mondo [cf. Gv 1,29]. Questo Gesù è il Verbo di Dio fatto uomo, il Cristo glorioso che oggi siede alla destra del Padre e che un giorno tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti [cf. Simbolo di fede]. Un mistero che prende vita a Natale e che si manifesta attraverso la vita pubblica del Signore Gesù che rivela in modo corporeo e fisico il mistero della sua divinità nella risurrezione e ascensione al cielo. Questo è il Cristo Dio che avremmo dovuto annunciare come mistero della fede in questi giorni, se il Natale, fuori, ma purtroppo anche dentro la Chiesa, non fosse stato mutato in altro: in festa della pace, della solidarietà, dell’incontro tra i popoli, della fratellanza, del dialogo tra uomini di diverse religioni e via dicendo …
… negli scorsi giorni al Natale sono stati dati i titoli più disparati, mentre persino dalle cattedre di certi nostri vescovi, oggi tanto sociali e tanto di “periferia”, in pochi hanno annunciato il sublime mistero della incarnazione del Verbo di Dio fatto uomo. Altro che la festa dei profughi, della legalità, della lotta contro le mafie!
Oggi, festa della Santa Famiglia, dovrei forse parlarvi della famiglia? Semmai della famiglia europea, o di quella della società occidentale in generale? Quale famiglia, dunque? Le famiglie delle convivenze di prova che costituiscono ormai l’ottavo “sacramento”, che è il “sacramento” del rifiuto delle assunzioni di responsabilità? Ma si, dai, proviamoci, così vediamo se và, in fondo, prima è bene provare a giocare al marito e alla moglie; come se il gioco alla irresponsabilità e alla mancata assunzione di responsabilità avesse mai maturato e fatto crescere qualcuno. O dovrei forse parlarvi della famiglia costituita a tal punto sull’amore e sulla fiducia che per prima cosa, gli sposi, firmano subito per la separazione dei beni? Ora, cerchiamo di capire: mica si sa come va a finire, perché un conto è giocare a fingere l’amore eterno, un conto dire sei la donna della mia vita, altra faccenda il correre invece certi rischi patrimoniali. E l’amore eterno verso la donna della propria vita per molti uomini finisce sempre dove comincia la pelle del loro portafoglio.
Poi ci sono le famiglie allungate, quelle allargate, quelle annacquate … ci sono persino le parodie luciferine della famiglia: le famiglie alternative, quelle gay-lesbo, quelle multisessuali-creativo-sessuali e via dicendo …
La famiglia occidentale pare un cadavere dentro la bara che marcia verso il cimitero, con i maschietti sui tacchi a spillo mascherati da fatine appresso al carro funebre assieme alle lesbiche incattivite vestite da maschiacci, tutti quanti radunati in un grande gay-pride a suonare la marcia funebre al funerale della famiglia. Un po’ come il funerale del Natale sulle parole del canto “Tu scendi dalle stelle”, mutato anch’esso in marcia funebre, visto che dalle stelle pare sia disceso di tutto: l’amico dei poveri, l’amico dei profughi, l’uomo della pace, della solidarietà, del dialogo tra le religioni, di un non meglio precisato amore da telenovela sentimentale … tutto è disceso da queste benedette stelle, proprio di tutto, meno che il Verbo di Dio fatto uomo che su questa terra ha fondato per mistero di grazia una sola Chiesa affidata a Pietro [cf. Mt 16,14-18] la cui unica fede noi professiamo attraverso un solo battesimo.
E che la grazia di Dio assista in modo particolare noi preti ed i nostri vescovi, nella fiduciosa speranza che un giorno possa avere pietà di noi, sempre più colpevoli di spegnere la luce per “accendere” le tenebre del nulla; le tenebre di quella banale e demagogica stupidità che da sola si parla, da sola si risponde, di se stessa si compiace, convinta di essere il Divino Verbo, mentre giorno dietro giorno dimentica l’annuncio del Mistero del Verbo di Dio Incarnato.
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Testo tratto in parte dall’omelia del 27 dicembre 2015
Festa della Santa Famiglia
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