Voci miagolose da cinema erotico anni Settanta: presunte “eresie papali” sulla Comunione ai divorziati, Cristina Siccardi la sabauda, Andrea Tornielli alla gogna …
Rispondono i Padri dell’Isola di Patmos
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VOCI MIAGOLOSE DA CINEMA EROTICO ANNI SETTANTA: PRESUNTE “ERESIE PAPALI” SULLA COMUNIONE AI DIVORZIATI, CRISTINA SICCARDI LA SABAUDA, ANDREA TORNIELLI ALLA GOGNA …
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non c’è peccato così grave, dal quale non sia possibile liberarsi ed ottenere il perdono divino. Non si deve supporre che i divorziati risposati siano sempre in uno stato di peccato mortale. Sarebbe questo un giudizio temerario, che negherebbe il libero arbitrio, come faceva Lutero, e la forza della grazia divina.
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Caro Padre Giovanni.
La proibizione della comunione ai divorziati risposati non è una semplice legge ecclesiastica che il Papa può abolire, ma dipende direttamente dal diritto divino, che impone la condizione di essere in grazia di Dio per accedere alla Comunione. Così infatti dice il Concilio di Trento: «Se qualcuno dirà che la fede è preparazione sufficiente per ricevere il sacramento della santissima eucaristia, sia anatema».
Davide
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Caro Davide.
Il Papa ha già spiegato nell’Amoris laetitia che i divorziati risposati, sebbene si trovino in uno stato irregolare, che induce fortemente al peccato e benchè possano commettere anche peccati mortali, tuttavia, se si pentono e fanno penitenza, possono riacquistare la grazia. E per questo, in linea di principio, potrebbero fare la Comunione.
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Ricordati che non c’è peccato così grave, dal quale non sia possibile liberarsi ed ottenere il perdono divino. Non si deve supporre che i divorziati risposati siano sempre in uno stato di peccato mortale. Sarebbe questo un giudizio temerario, che negherebbe il libero arbitrio, come faceva Lutero, e la forza della grazia divina. Se cadono in peccato, possono sempre riacquistare la grazia.
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Il Papa, una volta che dovesse concedere la Comunione ai divorziati risposati in un documento canonicamente corretto, non attenterà a nessuna legge divina. Infatti, in questa questione le leggi divine in gioco sono due: la legge dell’indissolubilità del matrimonio e la sacralità della Comunione eucaristica.
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Per capire il senso del mutamento di legge ecclesiastica, che il Papa dovesse accingersi a fare — dalla proibizione della Comunione al permesso della Comunione —, bisogna fare le seguenti considerazioni:
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1) Occorre tener presente un tema di fondo, ormai noto a tutti, che è alla base del pontificato di Papa Francesco, ed è quello della misericordia, intesa qui come ricerca e volontà di fare tutto il possibile, ancor meglio del passato, per rendere accessibile la salvezza a coloro che sono maggiormente in pericolo. Ed è il caso dei divorziati risposati insieme a molti altri casi.
2) È vero che Dio può salvare anche senza i Sacramenti [cf. QUI]; ma se è possibile aprire la porta dei Sacramenti a un maggior numero di persone disponibili, senza offendere la dignità dei Sacramenti, è meglio, ed anzi è doveroso;
3) Papa Francesco ci invita, su questa questione, a volgere lo sguardo in una direzione diversa da quella del passato. Fino a San Giovanni Paolo II [Cf. Familiaris Consortio n.84] la Chiesa, riguardo al problema della pastorale per i divorziati risposati, ha avuto sotto lo sguardo la dignità del Sacramento e lo scandalo pubblico dato dai divorziati risposati (“stato irregolare”, “pubblici peccatori”).
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Il Pontefice Regnante, invece, senza naturalmente accantonare queste considerazioni, ci invita a tener piuttosto presente che Dio può concedere ai divorziati risposati, in alcuni casi — che dovranno essere precisati dalla nuova legge —, di essere in grazia, nonostante il loro stato irregolare.
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4) La concessione della Santa Comunione in quei casi particolari non costituirebbe offesa al sacramento del matrimonio, ma ne salvaguarderebbe la dignità, benché in modo diverso ed anzi contrario a quello che finora si è seguito nella pastorale ai divorziati risposati.
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Questo è il punto più difficile da capire. Il principio morale dice così: «Una medesima legge morale, intelligentemente interpretata, può essere applicata in modi materialmente contradditori, a seconda delle circostanze».
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Facciamo l’esempio del comandamento Non uccidere. Proprio questo comandamento permette di uccidere l’ingiusto aggressore, ma non c’è qui lo spazio per spiegare questo apparente paradosso, per il quale rimando a un trattato di teologia morale.
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Per quanto riguarda la nostra fattispecie, possiamo allora dire che la legge della indissolubilità del matrimonio può continuare ad essere rispettata in certe circostanze, non solo con la proibizione della Comunione, ma anche permettendola, a condizione che i divorziati risposati si trovino in una particolare situazione, che dovrà essere specificata dalla nuova legge.
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Caro Padre Ariel.
Questa guerra sul campo della Comunione ai divorziati risposati è sempre più forte. C’è chi dice che non si deve ubbidire al Papa perché sbaglia. Allora mi domando: chi può giudicare se il Papa sbaglia, non ubbidirgli e invitare a disubbidirgli? Io, come donna, e anche come piemontese, sono irritata da certi commenti all’acido fenico coperti di miele scritti da Cristina Siccardi su vari blog, citati poi da altri come verità di fede. Questa scrittrice è forse un astro della teologia? Come sacerdote, lei come reagisce, di fronte a certi soggetti?
Margherita Altieri
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Cara Margherita.
Anni fa spiegai in un mio libro che tutti sono capaci a ubbidire a una figura autorevole di grande personalità, spiritualità e santità di vita, ma non è questa la sfida della fede rivolta al presbìtero e al religioso, né al laico cattolico. La sfida è quella di ubbidire a un vescovo o a un superiore maggiore fragile, limitato e mediocre, purché costui non comandi cose contrarie alla dottrina e al Magistero della Chiesa e non usi la propria autorità per commettere ingiustizie e delitti, perché in tal caso si è tenuti a disubbidire per imperativo di coscienza cristiana e ad informare la suprema autorità ecclesiastica dei suoi abusi, affinché sia ripristinata la giustizia violata.
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Qualora il Romano Pontefice mi desse un ordine sbagliato e di ciò fossi consapevole, prima cercherei di convincerlo dell’errore e dimostrare lo sbaglio sostanziale del comando dato, se però lo ribadisse in tal caso lo eseguirei, a meno che non fosse in contrasto col depositum fidei e la morale cattolica. E detto questo aggiungo: non so chi possa dimostrare quanti comandi dati dai Romani Pontefici nel corso della storia della Chiesa siano risultati in conflitto col depositum fidei e la morale cattolica, perché personalmente non conosco alcun caso.
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Perché è meglio commettere un errore per eseguire un ordine che potrebbe apparire errato, anziché compiere la scelta giusta disubbidendo al Romano Pontefice? Perché nel secondo caso l’errore sarebbe sempre più grave. Sarà poi il Romano Pontefice a dover rispondere dinanzi agli uomini e alla storia, ma soprattutto dinanzi a Dio, qualora avesse imposto un ordine errato.
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Affermare questo, è forse obbedienza cieca in contrasto con la logica, il libero arbitrio e la dignità umana, come tendono a credere alcuni, marciando su quelle “buone intenzioni” di cui sono lastricate le vie dell’Inferno? Tutt’altro, affermare questo vuol dire procedere sulle vie della prudente sapienza. Il Romano Pontefice gode infatti di una speciale assistenza dello Spirito Santo, quindi di una grazia di stato della quale non godono i singoli vescovi, i sacerdoti e anche i laici cattolici. Se nella storia della Chiesa non si ha memoria di comandi errati imposti dai Pontefici in contrasto col depositum fidei e la morale cattolica, si hanno invece copiose prove di quanto giuste siano poi risultate negli anni avvenire delle scelte sul momento molto contestate. Su questo si fonda l’obbedienza dei Christi fideles e dei ministri in sacris : sulla prudente e sapiente consapevolezza che il Romano Pontefice ha una particolare grazia di stato e gode di una speciale assistenza dello Spirito Santo che lo rende infallibile in materia di dottrina e di fede [rimando all’articolo di Giovanni Cavalcoli: I compiti e i gradi della infallibilità del Sommo Pontefice, QUI]. E chi non accetta questo, presumendo semmai di essere investito per superiore grazia di stato del potere di giudizio su certe scelte del Romano Pontefice riguardanti materie di dottrina e di fede, o è un eretico, o più semplicemente uno stolto, visto che l’eresia richiede di per sé intelligenza e talento. E se da sempre gli eretici io li prendo sul serio col dovuto rispetto, gli stolti li prendo invece in giro …
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Il Regnante Pontefice, che “merita” rispettose critiche con la devozione dovuta al Successore del Principe degli Apostoli e Vicario di Cristo in terra, non ha mai impartito ordini, in nessun atto del proprio sommo magistero, che fossero contrari alla fede e alla morale cattolica; e chi afferma il contrario dimostra nella migliore delle ipotesi di non essere in grado di fare distinzioni elementari tra il dottore privato, l’ordinario ministero pastorale, il sommo magistero di Pietro. O per meglio intendersi: dimostra di non conoscere le basi del Catechismo della Chiesa Cattolica, dando poi vita a questioni destinate soltanto a disorientare i semplici ed a seminare il veleno della confusione tra il Popolo di Dio [rimando a un mio precedente articolo, QUI].
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Per questo non mi sono mai posto il problema «Questo Papa non ci piace» [Gnocchi & Palmaro, cf. QUI], né mai sono caduto nelle trappole di certe aspre critiche a questo pontificato, brandendo verso di esso accuse più o meno sottili di eresia, formulate attraverso le teorie propinate da impenitenti eretici palesi, come quei lefebvriani ai quali si rifà la citata Cristiana Siccardi richiamata dalla nostra Lettrice, ed alla quale giungo adesso con gaudio e gioia …
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… non so chi sia questa Signora che scrive su Corrispondenza Siccardiana, già Corrispondenza Romana, sulla quale ogni tanto ha deliziati i lettori con articoli rosa su quella Real Casa di pirati, massoni e anticlericali tali furono i Savoia [cf, QUI, QUI, etc..], oppure su Riscossa Siccardiana, già Riscossa Cristiana, dove ogni anno sono pubblicati articoli per commemorare con la lacrima all’occhio la figura di quel sant’uomo di Benito Mussolini [cf. QUI, QUI, QUI etc..]. A questo punto faccio notare en passant, prima di proseguire oltre, a quali livelli giunga lo spirito di queste persone che tuonano da due anni contro l’eventuale sacrilegio della Comunione ai divorziati risposati, tra accuse d’eresia e qualche editorialista che invita persino a resistere con la disobbedienza al Sommo Pontefice. Ebbene, malgrado il loro rigore verso adulteri e concubini, da tenere come tali lontani dalle mense eucaristiche, se l’adultero è però l’ex Duce d’Italia, sposato e con figli, o la sua amante e sodale complice in adulterio, udite qual dolcezza e carità cristiana esprimono le anime tenere di Riscossa Siccardiana:
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«Le circostanze precise, il luogo, l’ora, in cui furono uccisi Mussolini e Claretta Petacci, la cui unica colpa era l’amore per il Duce, sono state a loro volta coperte da una storiografia di parte che aveva tutto l’interesse a diffondere una visione oleografica di avvenimenti in cui ci fu ben poco di dignitoso e di onesto» [cf. QUI].
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Oh, povera Claretta, dolce creatura infelice, considerata dalla sanguinaria marmaglia partigiana e dagli storici disonesti colpevole d’essersi data all’adulterio con Benito Mussolini. In fondo, che cosa c’è di male? Che male c’è, ad amare un uomo sposato, marito e padre di quattro figli?
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Una volta scritte simili amenità, gli stessi personaggi vanno poi a spulciare vecchi articoli del vaticanista Andrea Tornielli, in questi giorni alla gogna poiché “reo” d’aver riportato i fatti di cronaca riguardo le vicende di Ettore Gotti Tedeschi e dello Ior in modo “difforme” dagli antecedenti del 2013 [cf. QUI]. Ebbene, se dal 2013 al 2016 le versioni date della Santa Sede o dall’Arcivescovo Georg Gänswein sono difformi, la colpa non è del vaticanista che ha riportato i fatti per come sono stati presentati, ma di chi nel tempo ne ha cambiata versione. Questo vaticanista è forse “colpevole” di non avere fatto notare questa discordanza, come afferma Roberto de Mattei in modo giusto sul piano formale [cf. QUI]? Sinceramente non so chi di noi, avendo scritto nel giro di tre anni oltre 200 articoli, possa ricordare il preciso passaggio e l’esatto particolare di uno di essi; cosa questa che vale per tutti i pubblicisti, ma proprio per tutti, incluso Andrea Tornielli che lavora da solo, cosa dubito faccia invece Roberto de Mattei, sulla base di un semplice calcolo basato su suoi scritti e attività. Infatti, Roberto de Mattei, è impegnato come accademico all’Università Europea, direttore di Corrispondenza Romana, direttore del mensile Radici Cristiane, direttore della Fondazione Lepanto, promotore della Marcia per la Vita, consulente di più istituzioni, autore di una media di due articoli a settimana con articoli extra pubblicati anche su La Repubblica e Il Foglio, autore di due libri all’anno, impegnato in numerose presenze come conferenziere in Italia e all’estero … non è che per caso costui benefici dell’ausilio di collaboratori pronti a ricercare sospiri e virgole su articoli scritti a tre anni di distanza da un vaticanista che lavora da solo, in modo tutto sommato onesto e senza paleologi–impallinatori sul suo libro-paga? Suvvia, si mostri per Andrea Tornielli perlomeno la stessa pietà che certi soggetti mostrano per Benito Mussolini e la dolce Claretta Petacci, la quale non era — come molti potrebbero pensare, ovviamente sbagliando — la sua amante, la sua concubina, colei che lo aiutava a commettere adulterio a danno della legittima moglie Donna Rachele. Assolutamente no! Claretta era solo la donna che «amava il Duce» e che forse gli articolisti di Riscossa Siccardiana non avrebbero esitato ad ammettere ai Sacramenti, assieme a tutti i più noti donnaioli di Casa Savoia, incluso l’ultimo Re d’Italia, Umberto II, un «galantuomo» caro alla pubblicistica rosa della Siccardi [cf. QUI], anch’esso separato dalla moglie e con una nidata di figli che assieme ai loro figli hanno fatto sprofondare questo casato di pirati nel meritato ridicolo della stampa scandalistica e dei talk show televisivi [vedere l’ultimo glorioso erede di Casa Savoia, video QUI].
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… ma torniamo alla Siccardi, la cui crassa ignoranza, per quanto concerne la storia della Chiesa e la teologia fondamentale, m’è invero d’avanzo. E non si tratta di un mio giudizio ingeneroso, perché siffatta crassa ignoranza stilla dai suoi libri, articoli e video-conferenze, che sono atti pubblici, non materiali riservati o coperti da legge sulla privacy. Visto però che si può bacchettare il Regnante Pontefice sino ad accusarlo d’eresia, vorrei proprio vedere se non è consentito criticare questa Signora che rivendica la legittima libertà a bacchettare come una maestrina l’intero magistero della Chiesa degli ultimi cinquant’anni, sempre stando ai suoi libri e articoli, che come ripeto sono e restano atti pubblici. Pertanto vale il rivisitato detto: “chi di acido ferisce di acido perisce”.
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Mi viene poi chiesto come io reagisco dinanzi a certe figure. Per capirlo va anzitutto premesso che io non sono solo figlio di Dante Alighieri, ma anche di Giovanni Boccaccio, di Pietro l’Aretino, di Cecco Angiolieri e via dicendo. Ciò premesso, diciamo che non sono avvezzo prender sul serio certe persone, propendo a prendere in giro loro e il redditizio circolino dei tradi–protestanti che si sono ricavati in parte il loro posto al sole e in parte il loro mercatino editoriale, tra alabardieri che vantano quarti di nobiltà tra i pizzi&merletti delle Messe in rito antico e le aspiranti contessine da romanzo di Liala che rimembrano struggenti Casa Savoia. Preferisco quindi buttarla in ridere, anche perché questa Signora dalla voce miagolosa, mi ricorda certe attrici del cinema erotico degli anni Settanta. Ovviamente mi riferisco alla voce, sia ben chiaro: solo alla voce. Anche perché stiamo a parlare di un cinema erotico che ai giorni d’oggi appare a tal punto castigato e pudìco che queste vecchie pellicole potrebbero essere proiettate nei cinema delle scuole per l’infanzia delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
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Udendo la voce miagolosa della Siccardi — constatazione oggettiva, non certo irriverente sberleffo [cf. audio QUI] — mi sono tornate a mente delle attrici che parlavano anch’esse con voci miagolose : Edwige Fenech che fa La dottoressa del distretto militare [cf. QUI]; Gloria Guida nei panni della infermiera di notte [cf. QUI], Nadia Cassini nei panni della professoressa che balla con tutta la classe [cf. QUI], per seguire con altre attrici e soubrette che hanno turbato i sonni di gran parte di noi, oggi cinquantenni, quando negli anni Settanta eravamo adolescenti, figli a nostra volta di padri sani i cui sonni erano invece turbati nella loro adolescenza dall’immagine di Wanda Osiris, che vestiva abiti molto più monacali di quelli indossati oggi dalle suore americane ribelli che hanno avuto come sventurati insegnanti e direttori spirituali i Gesuiti della nuova Compagnia delle Indie. Anche per questo molti anni dopo siamo diventati preti sani, calati nel mondo della fede e del reale, con buona pace del pudibondo teatrino lefebvriano che olezza quella verginità degli eretici che in sé e di per sé è più impura dell’adulterio [cf. QUI].
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Non posso concludere questa rassegna di attrici dalla voce miagolosa dimenticando la bella e infelice Lilli Carati, al secolo Ileana Caravati [1956-2014 – cf. QUI, QUI] di cui conservo un ricordo struggente, pur avendoci parlato una sola volta, dopo che le era stata diagnosticata la malattia che la strappò alla vita nel 2014, incontrandola per caso presso un centro oncologico dove mi ero recato a visitare un amico che versava in stato ormai terminale. Sarebbe bello poter narrare quanto si manifestò delicato e di fondo cristiano l’animo di questa donna che si apprestava a concludere la sua esistenza dopo una lunga sequela di scelte sbagliate, ma si tratta di quei colloqui e ricordi che un sacerdote deve portarsi con sé nella tomba. Come il tenerissimo colloquio che ebbi anni fa a Ladispoli, mentre ero ospite di amici, con quell’anima tanto infelice quanto bella di Laura Antonelli [1941-2015], che fu icona della bellezza e dell’erotismo, di salute ormai malferma e fisicamente distrutta, alla quale donai una corona del rosario benedetta dal Santo Padre, dinanzi alla quale scoppiò in lacrime dalla gioia.
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Chi sia Cristina Siccardi lo provano quindi i suoi scritti strampalati sul piano storico e teologico e le sue conferenze erette su castelli d’ignoranza. Riguardo invece al come prenderla, direi che potrebbe essere presa come una che miagola in lefebvriano, mentre nelle proprie sconclusionate conferenze esalta il confuso e testardo Vescovo Marcel Lefebvre paragonandolo al Santo vescovo e dottore della Chiesa Atanasio d’Alessandria, vale a dire equiparando di fatto il Concilio Vaticano II all’eresia ariana [cf. QUI, QUI].
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A maggior ragione torna con tenerezza umana e pastorale alla mia mente il ricordo di quell’anima sofferente di Lilli Carati, pronta ad ammettere i propri errori passati, quelli che un’austera papessa lefebvriana come la Siccardi non ammetterebbe mai, ossia d’aver sbagliato per indomabile superbia ad auto-eleggersi al rango di esperta tuttologa in discipline complesse e delicate quali la storia della Chiesa, la dogmatica sacramentaria, il diritto canonico e via dicendo, conoscendo di fatto male il Catechismo di San Pio X, ed agendo di conseguenza contro la Chiesa anziché nella Chiesa, contro Pietro anziché sotto Pietro. Il tutto perché convinta d’essere non solo una vera cattolica, ma una concessionaria del Padreterno che possiede l’autentico Mistero della Verità, proprio come la boutique d’intimo di Via Monte Napoleone a Milano possiede la concessione esclusiva per la vendita dei baby doll e delle guèpiére di Christian Dior.
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I “moralisti immorali ” che al seguito della Siccardi e affini si stracciano da mesi le vesti sul pericolo “ereticale” della Comunione ai divorziati risposati, dimenticano per loro ovvio comodo che il primo dei peccati capitali, considerato da sempre la regina di tutti i vizi capitali, non è la lussuria, ma la superbia. E questo non lo insegna il “diabolico conciliabolo” Vaticano II, al quale, come afferma la Siccardi, l’eroico Marcel Lefebvre si oppose come Sant’Atanasio d’Alessandria si oppose all’eresia ariana; questo lo insegna il santissimo e sempre validissimo Catechismo di San Pio X, che costoro conoscono e insegnano solo quando fa a loro comodo e dove a loro fa comodo, per supportare una ideologia pseudo-cattolica sempre più cupa, di certo meno cattolica del libro infelice ed eterodosso pubblicato di recente dal Cardinale Walter Kasper a lode di Lutero [vedere articolo di Giovanni Cavalcoli, QUI]. Questo Cardinale è indubbiamente un filo-protestante e un irriducibile rahneriano, con una visione teologica errata della ecclesiologia e dell’ecumenismo; nel suo pensiero ricorrono diversi dei principali errori del modernismo e forse è pure il diretto fautore di alcuni pessimi consigli dati al Sommo Pontefice, ma non oserebbe mai accusare Pietro di eresia o di apostasia dalla fede cattolica, o di rompere l’unità della Chiesa. Questo il motivo per il quale, se proprio fossi indotto a una scelta obbligata senza alcuna possibilità di rifiuto, come devoto figlio della Chiesa e devoto presbìtero sceglierò sempre i Kasper, mai i lefebvriani ed i miagolii delle loro gattine acide e mielose che si dimenano alle Messe in rito antico, tra gli alabardieri che vantano quarti di nobiltà e le aspiranti contessine che beatificano senza pena di storico ridicolo quella calamità che fu per l’Italia e la Chiesa Cattolica la loro compianta Casa Savoia, fautrice di leggi anti-ecclesiastiche varate dai sabaudi sotto il modello legislativo di Napoleone Bonaparte, nonché scritte sotto diretta dettatura dei frammassoni. Il tutto avveniva in un’epoca nella quale, presso il Regio Senato e la Regia Camera dei Deputati del Regno d’Italia, i senatori ed i deputati menzionavano il Sommo Pontefice Pio IX chiamandolo «maiale» e il Sommo Pontefice Leone XIII chiamandolo «osso di merda». Così stanno le cose, se dal penoso romanzo siccardiano alla Liala per aspiranti contessine sognanti, vogliamo passare invece alla seria analisi storica, cosa questa che richiede anzitutto persone colte, competenti e soprattutto serie. E la vera cultura, la vera competenza e la vera serietà, nascono e procedono dal rifiuto della superbia e da quella straordinaria virtù dell’umiltà che porta all’ascolto, cosa purtroppo impossibile per coloro che ascoltano solo le ragioni di se stessi e che poi le mutano prima in verità assolute, poi in ideologie chiuse e aggressive.
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e il gruppo di 45 teologi che ha elaborato questo documento di critica teologica ad AL http://www.corrispondenzaromana.it/lesortazione-apostolica-amoris-laetitia-una-critica-teologica/, accuratamente valutandone una pur ristretta gamma di 19 punti, definendoli “eretici” ed “erronei”?
Cari Padri,
la Chiesa, specie sotto papa Francesco, mi pare particolarmente più preoccupata di riassorbire ad ogni costo le situazioni matrimoniali dei divorziati risposati, piuttosto che far crescere gli uomini in virilità e le donne in femminilità, cioè di fare in modo che le coppie non divorzino. Per meglio dire, su come fare affinché i matrimoni siano solidi e fecondi. E questo avviene perché la Chiesa asseconda la società dei consumi, più che essergli alternativa. Mi spiego meglio qui:
https://lafilosofiadellatav.wordpress.com/2016/04/03/amoris-laetitia-e-la-ruvida-realta/.
Detto questo, mi par di capire che voi sosteniate la posizione per cui se anche Francesco pare sbagliare nelle sue innovazioni in AL, dal momento che però egli agisce sotto l’influsso dello Spirito, è bene portare obbedienza al suo magistero, poichè le perplessità attuali si chiariranno col tempo, quando si rivelerà la sua lungimiranza.
Avrebbero dunque torto Spaemann, qui http://sinodo2015.lanuovabq.it/spaemann-amoris-laetitia-e-in-rottura-con-il-magistero-precedente/,
Caro Lettore.
Sto preparando un articolo per la nostra pagina di Theologica nel quale cerco di spiegare che oggi, la grande prova alla quale siamo sottoposti, è la grande prova della fede, nella quale siamo provati in un momento di sbandamento, confusione e soprattutto di decadenza intra-ecclesiale, senza precedenti storici.
Solo un appunto fuori tema.
“E questo avviene perché la Chiesa asseconda la società dei consumi, più che essergli alternativa.” Faccio notare al lettore “piertoussaint” che la Chiesa nell’ultimo mezzo secolo è stata sempre molto critica verso la “società dei consumi”, e alla guida di Papa Francesco contro di essa ha cominciato a sparare vere e proprie cannonate. E allora come la mettiamo? A mio parere è stata un’offensiva parecchio confusa causata anche dall’uso di concetti vaghissimi come capitalismo, liberismo o appunto consumismo, di natura più che altro sociologica o politico-propagandistica. Storia vecchia, peraltro. Per esempio, il concetto di “capitalismo” nacque sostanzialmente con Marx. Gli avversari “liberali” del socialismo fecero il gravissimo errore di accettare il linguaggio del nemico nel difendere il “capitalismo”. Anche agli occhi dell’opinione pubblica vennero così a confrontarsi due “sistemi” o due forme di materialismo. E di lì nacquero pure gli equivoci sulle “terze vie”, che ancor oggi ci portiamo dietro, tanto che perfino la chiarissima Rerum Novarum viene impropriamente definita (vedi Wikipedia) “via media tra capitalismo e…
Caro Zamax,
il punto è proprio questo, come al solito: la Chiesa solo a parole è stata contro la società dei consumi, ma non nei fatti, sennò non saremmo nella condizione miseranda nella quale ci troviamo ora. Per non restare sul generico, ti ripropongo i contenuti di cui al link del mio intervento precedente:
https://lafilosofiadellatav.wordpress.com/2016/04/03/amoris-laetitia-e-la-ruvida-realta/
ai quali aggiungo i termini del servaggio di Avvenire, editato dalla CEI, ai poteri forti bancarottieri keynesiani, qui
https://lafilosofiadellatav.wordpress.com/avvenire-il-detto-male-e-il-non-detto-del-quotidiano-di-ispirazione-cattolica/
e qui
https://lafilosofiadellatav.wordpress.com/2014/03/31/paolo-viana-su-avvenire-il-quotidiano-e-attendibile-su-infrastrutture-e-project-financing-brebemiteem/
Per quanto riguarda le cannonate di papa Francesco, quelle sono a salve, come giustamente osservava Stefano Fontana, qui
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-il-pastoralismo-malattia-infantile-del-catto-pietismo-14939.htm
circa il catto-pietismo privo di contenuti decenti in quanto a sussidiarietà ed autentica partecipazione popolare al potere.
Voglio però concludere, caro Zamax, con una nota moolto positiva, per tutti coloro che ci leggono, e cioè che la famosa “terza via” della quale tu parli esiste davvero, anche se purtroppo ancora ignota ai più- i tempi non sono ancora maturi – e consiste nella “società partecipativa” secondo Dottrina sociale. E’ un sistema completo, organico, che viene anche dalla “Rerum Novarum” da te citata, elaborato da un grande intellettuale del ‘900, rimasto purtroppo in ombra… un certo Pier Luigi Zampetti:
http://www.rassegnastampa-totustuus.it/cattolica/?p=26847
;-)))
Lei dice:
‘Non si deve supporre che i divorziati risposati siano sempre in uno stato di peccato mortale. Sarebbe questo un giudizio temerario, che negherebbe il libero arbitrio, come faceva Lutero, e la forza della grazia divina. Se cadono in peccato, possono sempre riacquistare la grazia.’
Ma la Familiaris Consortio dice:
‘La Chiesa, tuttavia, ribadisce la sua prassi, fondata sulla Sacra Scrittura, di non ammettere alla comunione eucaristica i divorziati risposati. … C’è inoltre un altro peculiare motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio.’
Io capisco che qui si intenda che mai i divorziati risposati possono accedere all’Eucarestia. O essendo una prassi il Papa può modificarla per casi particolari?
La seconda parte mi lascia perplesso: non ti do l’Eucarestia per non confondere altri. Se io non sono in peccato mortale mi neghi un sacramento come l’ Eucarestia perché qualcuno si potrebbe confondere? Non capisco (ma eventualmente mi adeguo). Trattandosi di un motivo pastorale un Papa potrebbe decidere di eliminare…
Caro Enrico.
Il motivo per il quale la Familiaris Consortio esclude i divorziati risposati dalla Comunione è effettivamente l’intento di evitare che la coppia dia scandalo ai fedeli, che potrebbero essere indotti a dubitare o a disprezzare l’indissolubilità del matrimonio.
La sua osservazione, secondo la quale ciò non sembrerebbe motivo sufficiente per escludere dalla Comunione una coppia che potrebbe essere in grazia, solo perchè essa recherebbe scandalo, è importante.
E difatti, credo che una considerazione del genere, anche se non l’unica, stia alla base del fatto che, almeno da come appare dalla Lettera del Papa ai Vescovi argentini, egli si stia orientando a concedere la Comunione ai divorziati risposati, anche se starà al Papa determinare i casi speciali, nei quali ciò sarà consentito.
Caro don Ariel,
una risata ci seppellirà? Al di là degli scherzi da cinema comic-erotico anni ’70, condivido in pieno il suo messaggio.
Come c’era da aspettarsi, in questo particolare momento ecclesiale, l’argomento liturgico (che stranamente è accantonato nei discorsi del Santo Padre) fa da padrone: pasdaran del messale di Pio V si oppongono agli hezbollah della riforma conciliare, con esiti paradossali e per certi versi affini. Gli uni con l’idolatria delle pianete di seta, gli altri con riduzioni del rito ad improvvisazioni, banalizzazioni o persino teatralizzazioni barocche (eterogenesi dei fini) ricordando che “papa Francesco vuole umiltà e povertà”. Un esempio: http://www.ilgazzettino.it/nordest/treviso/show_chiesa_ferrari_parroco_giacometti_godego-1934845.html
Personalmente credo che il motu proprio “Summorum Pontificum” sia stato disastroso, ma mi chiedo anche se l’attuale e diffusa banalizzazione liturgica, lungi dal voler essere imputata allo spirito della Sacrosanctum Concilium, non sia invece un esplicito strumento di chi vuol oggi adeguare la Chiesa a modernismi e protestantismi vari (magari in vista del 31 ottobre p.v….). Che ne pensa? Grazie per la risposta.
Questa ve la devo raccontare …
Anni fa, assieme all’anziano sacerdote (oggi in paradiso), di cui fui viceparroco in zona napoletana costiera, durante una serata svoltasi nel territorio della nostra parrocchia, era presente anche la signora Fenech come ospite.
Gentilissima, una gran signora.
Il già allora anziano parroco, quando la salutò la fece ridere dicendole: “signora Fenech, che onore conoscerla di persona. Sapesse … lei ci ha turbato generazioni di adolescenti. Ah, in quegli anni, quanto lavoro ci ha dato a noi confessori !!”.
Innanzitutto, grazie per le locandine. Non me le ricordavo più. Volendo essere molto magnanimi (d’altra parte questa è l’era della misericordia, e io mi adeguo), direi che se le paragoniamo al volgare e duro esibizionismo dei nostri giorni sembrano un capolavoro di gusto. E, da un punto di vista squisitamente tecnico, direi che assolvono al meglio con le loro sinuose e insinuanti morbidezze femminili il compito di risvegliare una sana virilità nel maschio sopra il quindicesimo anno di età. Cosa che la para-pornografia di oggi non riesce a fare, in quanto ha dimenticato che il fuoco della sessualità non sta solo nel corpo: per quest’ultima via si finisce dritti dentro le perversioni.
Fatta questa importante premessa, volevo appena ricordare alla schiera “tradizionalista” anti-bergogliana dei fans di Sant’Atanasio che costui, nella sua battaglia contro l’Arianesimo, fu sempre dalla parte del vescovo di Roma mentre il partito ariano venne spesso a coincidere con quello dell’Imperatore, giacché gli eretici, come prova la vicenda di Lutero, finiscono sempre per essere strumenti del potere mondano.
Caro Zamax.
L’eros, o la cosiddetta dimensione erotica, si evolve e si trasforma nel corso del tempo, sino a rendere moralmente lecito ciò che sino a prima era invece immorale poichè espressione di indecenza.
Ciò che intendevo far notare attraverso certe locandine – e pare che vi sia riuscito – è quanto i costumi morali si evolvano nel corso del tempo, anche nel giro di pochi anni.
Oggi, locandine come quelle di certi film “erotici” degli anni Settanta, sono veramente delle pellicole castigate adatte per i cinema parrocchiali.
Forse molti non lo sanno, ma negli anni Cinquanta del Novecento, la visione di molti film in bianco e nero di Antonio De Curtis, in arte Totò, era considerata immorale e quindi peccaminosa. In alcuni di questi film c’erano semmai alcune attrici con qualche scollatura pronunciata, o vestite con abiti aderenti che lasciavano immaginare la sinuosità delle loro forme, ma sempre e di rigore vestite. Oggi, quei film, si possono tranquillamente acquistare in DVD presso le librerie cattoliche delle Suore Paoline, le stesse che negli anni Cinquanta diffondevano il settimanale Famiglia Cristiana nel quale era dedicata una apposita rubrica all’elenco dei film sconsigliati e quindi proibiti alla visione del buon cattolico, vale a dire quei film che oggi loro vendono nelle loro librerie.
La gloriosa Famiglia Cristiana, dedicò articoli di fuoco, a inizi anni Settanta, per sconsigliare la visione, ed in particolare ai giovani, del film Jesus Christ Superstar. Oggi quel film si può acquistare nelle loro librerie, ma volendo c’è di più: alcuni preti, convinti di essere degli intellettuali sopraffini, tre anni fa lo proiettarono durante la Settimana Santa sul presbiterio di una chiesa cattedrale siciliana.
Devo procedere oltre con esempi analoghi, peraltro tutti quanti documentati?
Proverò a spiegarmi con un altro esempio ancora, un esempio castigatissimo che più castigato non si può.
Nel mese di agosto ho incrociato un paio di suore che erano vestite di bianco, con un vestito che arrivava a coprire a malapena il ginocchio, la parte superiore dell’abito a mezze maniche, il velo in testa che ovviamente lasciava scoperta la chioma su mezza testa, con gli zoccoli ai piedi, ovviamente senza calze.
Inutile a dirsi: negli anni Cinquanta del Novecento, o comunque sino alla fine degli anni Sessanta, vedere delle suore vestite a quel modo sarebbe stato impensabile; sarebbe stato uno scandalo di immani proporzioni, anche se già da vent’anni prima le donne avevano accorciato le gonne fino al ginocchio, ma le avevano accorciate le donne secolari, non certo le suore.
Il bello è che pure io, vestito di bianco come quelle suore, con la mia talare estiva, al contrario di loro avevo l’abito lungo fino ai talloni (da qui il nome di talare, dal latino talus), ovviamente a manica lunga, con un collo alto 5 cm, con le scarpe e le calze ai piedi.
Sinceramente a me, caldo o non caldo, vedere delle suore vestite a quel modo non piace, come non piace vedere preti in calzoni corti e magliette a mezze maniche, perché non lo ritengo dignitoso per la sacra immagine sacerdotale.
Di fronte ad un tale “lassismo” da parte dei religiosi e delle religiose, o dei sacerdoti che più volte ho visto giungere in estate nelle sacrestie in pantaloncini corti e ciabatte ai piedi, benedico di tutto cuore le locandine dei castigati film “erotici” degli anni Settanta, perché nelle loro scenette, Alvaro Vitali e la bellissima Edwige Fenech, strappano tanti sorrisi, oggi peraltro senza alcuna malizia, vista appunto l’evoluzione dei costumi che c’è stata. Al contrario invece, i preti che si presentano in sacrestia a pararsi per la Santa Messa vestiti in maglietta a mezze maniche, pantaloncini corti e ciabatte ai piedi, quelli sì che mi fanno arrabbiare, perché sono veramente indecenti, peraltro senza alcuna ilare e divertente dimensione “erotica”.
Per quanto riguarda Sant’Atanasio vescovo di Alessandria, lei ha perfettamente ragione. E per darle in tal senso man forte, le aggiungo altro: lei riesce a immaginare in che modo un uomo come il Santo Pontefice Pio X, decantato a ogni piè sospinto dagli impropriamenti detti “tradizionalisti” e affini, avrebbe reagito dinanzi a gente che mette in discussione non solo l’autorità pontificia, ma persino la pertinenza dei documenti di un intero concilio ecumenico?
Il problema di queste persone, è che si sono create un San Pio V che non è mai esistito, un Beato Pio IX incorrispondente alla realtà, ma soprattutto un San Pio X che dinanzi ad una raccolta-firme contro un provvedimento insindacabile preso dal Romano Pontefice orchestrata da un gruppo di laici cattolici, avrebbe dato ordine a tutti i Vescovi ed i Parroci d’Italia di non far rientrare mai più certa gente nelle chiese fino a quando non avessero chiesto pubblicamente perdono con la cenere in testa e le ginocchia flesse.
Ma d’altronde, quando non si vuol vivere il presente, certuni si affannano a cambiare la realtà della storia e dei personaggi del passato, sino a “beatificare” come “gentiluomini” persino quei manigoldi dei Re di Casa Savoia.
Sulla questione delle locandine non ho resistito alla tentazione di scherzare. In effetti sono d’accordo con lei sulla natura evolutiva dei costumi, e da qualche parte ho anche scritto che – almeno indirettamente – è stato proprio e solo il Cristianesimo ad aver svestita con piena consapevolezza la donna. In fondo questo processo ha significato “svestire” progressivamente il corpo della donna dall’immagine del peccato. Un lungo processo pedagogico partito da quell’insegnamento evangelico che ci dice che spesso è l’occhio che è di scandalo all’uomo, non ciò che esso vede. Per suore e preti naturalmente la questione è diversa. Il loro non è semplicemente un vestito, non è nemmeno un segno d’appartenenza ad una religione: è un abito religioso. Che la confusione sia così grande lo dimostra la faccenda del burkini, da molti paragonato impropriamente all’abito religioso delle suore, che loro con tutta evidenza non hanno riconosciuto come tale.