L’ascensione segna un modo nuovo per i discepoli di essere per Cristo, con Cristo e in Cristo

Omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos
L’ASCENSIONE SEGNA PER I DISCEPOLI UN MODO NUOVO DI ESSERE PER CRISTO, CON CRISTO E IN CRISTO
L’Ascensione del Signore inaugura una relazione totalmente nuova fra lui e i discepoli, che se anche è segnata da una separazione fisica, tuttavia non genera tristezza, né rimpianti, perché i discepoli: «tornarono a Gerusalemme con grande gioia». Inizia dunque un legame che avrà una forte incidenza sulla vita spirituale del cristiano, anche perché d’ora in poi viene costituito come testimone.

Autore
Monaco Eremita
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L’Ascensione del Signore forma parte costitutiva dell’unico ed indivisibile evento pasquale. Il testo evangelico della festa la colloca al termine del racconto delle apparizioni del Risorto, in quel primo giorno dopo il sabato che per Gesù diventa l’occasione per rincuorare gli ancóra scossi discepoli.

Salvador Dalì, Ascensione di Cristo
In questo modo Egli rafforza la loro fede nella risurrezione: «Così sta scritto: «Il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno» (v. 46); preannuncia loro la futura missione: «nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e la remissione dei peccati» (v. 47); e il dono dello Spirito Santo: «io mando su di voi ciò che il Padre mio ha promesso» (v. 49). Leggiamo il brano evangelico:
«In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto». Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio (Lc 24,46-53).
L’Ascensione è raccontata, in alcuni passi del Nuovo Testamento, con termini che parlano di allontanamento, di partenza, di assunzione (analempsis At 1,11), di cammino (poreoumai At 1,10-11), di salita (anabasis: Gv 20,17), di separazione: «si staccò da loro» (Lc 24,51). Come già abbiamo visto nel vangelo giovanneo di domenica scorsa questo sottrarsi del Signore alla vista fisica non viene letto, però, come un distacco, una mancanza o un’assenza. Poiché esso apre ad un nuovo legame fra Gesù e i suoi, stavolta interiore e spirituale, guidato dallo Spirito e teso a rendere i discepoli testimoni del Risorto. Mentre Giovanni sottolinea l’aspetto dell’inabitazione trinitaria, Luca coglie invece quello della missione e testimonianza: «Di questo voi siete testimoni» (Lc 24,48) ; «Voi sarete miei testimoni a Gerusalemme … e fino ai confini della terra» (At 1,8). Per ambedue gli autori testamentari se l’Ascensione nasconde definitivamente il corpo fisico di Gesù alla vista dei suoi discepoli, ciononostante essi possono di nuovo incontrarlo sia interiormente, grazie alla presenza dello Spirito, sia nell’amore scambievole fra i discepoli e verso il prossimo: lasciandosi guidare dallo Spirito, essi possono fare ciò che Gesù stesso faceva.
Prima di lasciare i suoi, Gesù fa un breve «riassunto» della sua vita e della sua missione. In precedenza, a Emmaus, aveva spiegato come in tutte le Scritture – «cominciando da Mosè e da tutti i profeti» – vi era un riferimento a lui e, soprattutto, che il Messia d’Israele avrebbe «sopportato tutte queste sofferenze per entrare nella sua gloria» (Lc 24,26). Ora questi discorsi sono rivolti agli apostoli, come dice l’introduzione al vangelo di oggi:
«Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi» (v.44).
Gesù sta spiegando, come aveva già fatto nei suoi tre annunci della passione, che il Messia, il Cristo, sarebbe morto e risorto dopo tre giorni. Cogliamo qui l’inizio dell’ermeneutica cristiana delle scritture ed è Gesù stesso ad inaugurarla, poiché, ad esempio, difficilmente troveremmo nell’Antico Testamento un’esplicitazione così chiara, in senso messianico, delle profezie sul servo sofferente di Isaia. Gesù risorto lo segnala ai discepoli. Come avrebbero, infatti, potuto costoro dare un senso così «pieno» a parole che mai nessuno prima aveva interpretato in quel modo? Da allora in poi i cristiani leggeranno la Bibbia a partire dalla morte e risurrezione di Gesù:
«La morte del Messia, re dei Giudei, e la sua risurrezione diedero ai testi dell’Antico Testamento una pienezza di significato prima inconcepibile. Alla luce degli eventi della Pasqua gli autori del Nuovo Testamento rilessero l’Antico. Lo Spirito Santo inviato dal Cristo glorificato ne fece scoprire loro il senso spirituale» (Pontificia Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana).
L’Ascensione del Signore inaugura, come si è detto, una relazione totalmente nuova fra lui e i discepoli, che se anche è segnata da una separazione fisica, tuttavia non genera tristezza, né rimpianti, perché i discepoli: «tornarono a Gerusalemme con grande gioia». Inizia dunque un legame che avrà una forte incidenza sulla vita spirituale del cristiano, anche perché d’ora in poi viene costituito come testimone: «Di questo voi siete testimoni» (Lc 24,48). E questa relazione sarà posta sotto il sigillo dello Spirito Santo, ovvero, l’amore di Dio e la libera volontà di Lui di comunicare ed entrare in comunione con gli uomini. In questo modo, quello che ha vissuto e fatto Gesù con tutti, toccando le membra povere o peccatrici della nostra umanità, ora lo possono compiere anche i discepoli. Lasciandosi guidare dallo Spirito, essi possono fare ciò che Gesù stesso faceva. Nel racconto dell’Ascensione che si legge negli Atti degli Apostoli, ugualmente lucano come il vangelo, notiamo una continuità tra la venuta del Signore nella gloria ed il suo cammino storico, il verbo usato per descrivere l’andata di Gesù verso il cielo in At 1,10-11 è lo stesso usato per indicare il cammino che egli ha compiuto fisicamente. L’Asceso al cielo è anche il Veniente ed è colui che passò tra gli uomini facendo il bene e guarendo:
«Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, verrà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo» (At 1,11).
Venuta escatologica e cammino quotidiano di Gesù sono in stretta continuità; così anche per i discepoli: per conoscere, confessare e testimoniare il Veniente non occorre guardare in cielo, ma ricordare i passi compiuti da Gesù sulla terra. L’umanità di Gesù attestata dai vangeli diventa, così, il magistero che indica ai cristiani la via da percorrere per testimoniare colui che, asceso al cielo, non è più fisicamente presente tra i suoi e verrà nella gloria.
E ancora. Secondo il Vangelo di Luca l’Ascensione di Gesù è accompagnata da una benedizione: «Mentre Gesù benediceva i discepoli, si staccò da loro e fu portato verso il cielo» (v. 51); e secondo gli Atti degli Apostoli da una promessa: «Gesù verrà un giorno…» (At 1,11). Promessa e benedizione sono l’assicurazione che il Signore non abbandona i suoi, ma verrà di nuovo ad incontrarli. Ma sono altresì aspetti che impegnano la Chiesa nella predicazione e nella testimonianza, mentre questa attende gioiosa da Sua venuta gloriosa. Il Vangelo pone in evidenza due caratteristiche decisive della testimonianza cristiana, e cioè la conversione e la remissione dei peccati (Lc 24,47) che furono già al centro della predicazione e del messaggio di Gesù, come gli stessi discepoli hanno sperimentato. Essi hanno condiviso la strada con quel Gesù che è venuto «non a chiamare i giusti, ma i peccatori a conversione» (Lc 5,32), e hanno sperimentato il perdono dei peccati, hanno conosciuto la salvezza nella remissione dei peccati (Lc 1,77). In fondo si è testimoni di ciò che si è conosciuto e sperimentato.
Infine, occorre ricordare che ci sono molti punti, all’interno dei Vangeli, in cui Gesù prefigura quanto avverrà nell’Ascensione, ad esempio durante l’Ultima Cena, in cui annuncia: «vado dal Padre». E il posto alla destra del Padre è, appunto, il posto d’onore, quello del Figlio prediletto che per amore si è fatto carne, è morto e risorto e così ha salvato l’umanità. Quel posto è suo da sempre, perché Gesù prima di essere uomo è Figlio del Padre e presso di Lui ha stabile dimora e gloria. Gesù, tuttavia, ascende al cielo per dare inizio al «regno che non ha fine», ma anche per preparare il nostro posto in cielo. Se Gesù non tornasse al Padre nei cieli, per l’uomo non sarebbe completa sia la redenzione che la salvezza: solo così, infatti, Egli le porta a compimento, inviando nel mondo il Consolatore.
Dall’Eremo, 01 giugno 2025
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