La problematica pastorale dei divorziati risposati
LA PROBLEMATICA PASTORALE DEI DIVORZIATI RISPOSATI
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In questo frangente così grave per la vita della Chiesa e della società, occorre evitare i due estremismi contrapposti, il primo, di una piccola ma mordace minoranza, dell’ultra tradizionalismo, col suo allarmismo catastrofista e il suo legalismo rigorista, che teme che il Papa possa allontanarsi dal Vangelo o dalla Tradizione, se non lo ha già fatto; e il secondo, ben più diffuso ed arrogante, quello dei modernisti, spiriti mondani, relativisti impenitenti, predicatori del buonismo misercordista, che vorrebbero strumentalizzare il Papa con false adulazioni.
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.Siamo in attesa delle decisioni del Santo Padre in base alle proposte del Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia, che tratterà, tra gli altri temi, anche quello dei divorziati risposati. Ci attendiamo da questa assemblea dei nostri pastori, illuminanti ed incoraggianti direttive ai fini di un rafforzamento dell’istituto familiare alla luce della fede, così da aiutare le famiglie a vivere meglio e con maggior convinzione il dono ricevuto da Dio, difese dalle insidie e dalle tentazioni che vengono dal mondo contemporaneo.
Tra le questioni da affrontare ci sarà quella di elaborare per i pastori e per tutti coloro che hanno a cuore il valore della famiglia, una nuova metodologia pastorale ed educativa, atta a chiarire le idee e i comportamenti contrari al bene della famiglia, e quindi a correggere fraternamente ed aiutare generosamente quelle coppie, che, o per cattiva volontà o per ignoranza o cattiva educazione o per cattivi esempi o influssi subìti o per difficoltà oggettive, non osservano in vari modi e misure in questo settore fondamentale della vita cristiana, i comandi del Vangelo e le leggi della Chiesa. Infatti non ci sono soltanto, come si suol dire, le famiglie “ferite”, bisognose di comprensione, aiuto e misericordia, ma anche le famiglie che feriscono, che danno il cattivo esempio, che turbano o che scandalizzano, famiglie o coppie che gettano lo scompiglio o provocano sofferenze, conflitti e guai in altre famiglie o in altre coppie, magari sedotte dal mondo o vittime di idee sbagliate o ribelli alle norme dell’etica familiare, famiglie malsane o corrotte, che purtroppo tendono a corrompere quelle sane, mentre invece deve avvenire l’inverso e cioè che le sane guariscano le malate.
Occorre assolutamente invertire quella tendenza nefasta e dissolvente, che da decenni si sta diffondendo nella Chiesa e nella società, per la quale diminuiscono i matrimoni legittimi e normali, aumentano i divorzi, le separazioni e i matrimoni nulli ed aumentano le unioni illegali o irregolari, aumentano le famiglie divise o in crisi, con danni enormi all’educazione dei figli, e diminuiscono quelle unite e serene e dedite al bene della Chiesa e della società.
Un tema delicato da affrontare sarà anche quello di una qualche regolamentazione delle cosiddette “convivenze”, altrimenti chiamate “unioni civili”, nonché quello ancor più delicato della convivenza di coppie omosessuali. Ma qui accantono questi temi per fermarmi solo a quello dei divorziati risposati o conviventi.
Sotto questa categoria ormai entrata nell’uso possiamo e dobbiamo mettere, per maggior precisione, anche quelle coppie che hanno avviato una nuova unione, con o senza matrimonio civile, con o senza divorzio dal precedente matrimonio ecclesiastico, ma rimaste legate al legittimo coniuge sul piano sacramentale. D’altra parte è chiaro che, quali che saranno le decisioni del Santo Padre, i timori di alcuni che egli metta in forse l’indissolubilità del matrimonio e quindi ammetta il divorzio con seconde nozze non hanno alcun senso. Di una cosa dobbiamo essere ben convinti: che il Sinodo manterrà, confermerà e rafforzerà, come sempre ha fatto e farà la Chiesa, i valori assoluti, perenni ed irrinunciabili, morali e dogmatici, fondati sulla legge naturale e divina, mentre si riserva di mutare, se lo ritiene opportuno, nel campo della pastorale, ossia della legge ecclesiastica e del diritto canonico, come per esempio, ed è questo il caso, nella disciplina — non nella sostanza! — dei sacramenti (Matrimonio ed Eucaristia). Il giudizio del Santo Padre non sarà infallibile né immutabile, e tuttavia sarà consono alle attuali circostanze, perché non sarà di tipo dottrinale sulla verità di fede. Sarà invece semplicemente un giudizio prudenziale, dove la Chiesa può sbagliare e quindi riformarsi e correggersi — casi rarissimi — e mutare, ma che comunque va fiduciosamente accolto e messo in pratica con religioso ossequio della volontà.
Se quindi la Chiesa elaborerà una nuova legislazione pastorale per le coppie di cui parliamo, ciò evidentemente non vorrà dire che essa ammetterà, come alcuni allarmisti di poca fede temono, la possibilità dello scioglimento del precedente legittimo legame sacramentale, né che possa, per queste coppie, come alcuni vanno fantasticando, istituire una specie di nuovo “matrimonio”, magari di seconda classe. È possibile invece che venga riconosciuto un certo tipo di “unione civile” in accordo con lo Stato.
Alcuni, specie degli ambienti canonistici, ritengono che l’attuale legislazione (esclusione dai sacramenti) sia così strettamente legata al diritto divino sul matrimonio, che la Chiesa non potrebbe mutarla, senza offendere lo stesso diritto divino. Pertanto, auspicano con tutte le forze la conservazione delle norme attuali, quasi scongiurando il Pontefice che mantenga immutata l’attuale legislazione. A costoro bisogna rispondere che, benchè ovviamente l’attuale diritto ecclesiastico in materia sia un’applicazione del diritto divino, non c’è tra i due una connessione logicamente necessaria, come di conseguenza a premessa, o come se si trattasse di un sillogismo deduttivo. In realtà, salvo restando il diritto divino, ed anzi, in vista di una sua migliore applicazione, secondo le necessità e le opportunità di oggi, è facoltà della Chiesa apportare modifiche al diritto canonico secondo il suo prudente, benchè non irrevocabile o irreformabile giudizio.
Quello che semmai c’è da temere non è cosa dirà il Papa, ma quale sarà la reazione dei modernisti al certamente riaffermato valore dell’indissolubilità del matrimonio da parte del Sinodo. Infatti costoro, infetti da una mentalità storicistica e relativista, fraintendendo l’ecumenismo, il pluralismo, la libertà di coscienza e il dialogo interculturale ed interreligioso, hanno assunto la mentalità indifferentista e liberale degli Stati moderni, per cui ritengono che il ribadire da parte della Chiesa l’indissolubilità come valore universale ed immutabile, obbligatorio per tutti, sia segno di uno spirito non evangelico, non “conciliare” e non pastorale, ma dottrinario, impositivo ed illiberale vecchio stile, che non rispetta le diverse scelte di ciascuno, dettate dalla propria coscienza.
Ciò che costoro rimproverano alla Chiesa è di privilegiare irragionevolmente, con mentalità superata, una particolare unione fra due persone – l’unione indissolubile fra uomo e donna – su tutte le altre, comprese quelle omosessuali, mentre invece a loro avviso tutte le scelte sono lecite e buone e vanno messe sullo stesso piano come scelte di coscienza.
È evidente che la Chiesa, pur andando incontro alle situazioni che lo richiedono, non accetterà mai simile soggettivismo e relativismo, che dimentica i gradi di dignità e di perfezione dell’amore umano e soprattutto finisce per legittimare il peccato con la scusa della scelta di coscienza o della misericordia.
Per una buona discussione sull’argomento, è necessario richiamare alla mente alcune cose riguardanti la nozione del peccato e della sua cancellazione grazie al perdono divino. Occorre cioè innanzitutto distinguere il peccato come atto dall’inclinazione al peccato, chiamata dal Concilio di Trento “concupiscenza” (Denz.1515). Alcuni confondono le due cose.
L’inclinazione è infatti un dato di fatto psicologico inevitabile e permanente per tutta la vita terrena ed è uno stato presente in tutti, anche nei Santi, esclusa, s‘intende, la Beata Vergine Maria, indipendentemente dalla volontà, in quanto conseguenza del peccato originale. Il peccato, invece, in senso proprio, è un atto cattivo — mala actio, lo chiamava Cicerone — cosciente e libero (“piena avvertenza e deliberato consenso”), frutto della volontà. Infatti, la volontà, che si presume normalmente buona, ogni tanto, per vari motivi, si perverte e diventa cattiva.
Potere del nostro libero arbitrio, soccorso dalla grazia, è quello di correggere la nostra stessa volontà, capace di raddrizzare se stessa col pentimento, rimettendo se stessa sul buon cammino. Questa è la conversione, favorita dal sacramento della penitenza. Il peccato, dunque, è un “incidente di percorso”, che però non va preso alla leggera con la scusa della divina misericordia, ma va e può essere rimediato ogni volta. Peccassimo anche “settanta volte sette” al giorno, Dio è sempre pronto a perdonarci, ma noi dobbiamo fare la nostra parte con serietà e senso di responsabilità.
L’atto del peccato può protrarsi o durare nel tempo o per sua natura o perché volontariamente mantenuto in essere, per cui da atto si trasforma in stato, ma allora è meglio parlare di “colpa”, per la quale si determina un vero e proprio stato: l’essere colpevole. Il peccato, come è causato da un atto del volere, così, compiuto l’atto peccaminoso, ha termine l’atto del peccato. Resta la colpa, che è uno stato di turbamento interiore e di opposizione o di inimicizia con Dio, più o meno rilevante, che sta alla volontà del soggetto conservare con l’ostinazione, fino all’ “indurimento del cuore” o annullare, per l’intervento della grazia, col pentimento e grazie a un “cuore contrito”.
Quindi non esistono situazioni intrinsecamente peccaminose come alcuni credono, o uno stato intrinsecamente peccaminoso. Esistono invece situazioni, più o meno permanenti, pericolose o pericolosissime, vere e proprie tentazioni, nelle quali è molto facile o quasi inevitabile il peccare, perché il soggetto si trova in un’occasione immediata, evitabile o inevitabile, che può essere colpevolmente o incolpevolmente permanente, di peccato. Ma il soggetto, almeno in linea di principio, resta sempre libero di cedere o non cedere alla tentazione. Se la tentazione è troppo forte, la colpa diminuisce, soprattutto se la volontà è debole. La colpa aumenta, invece, se c’è una vera volontà deliberata ed una piena avvertenza, e la cattiva passione o concupiscenza è facilmente vincibile. Ma il peccato resta in causa, se in precedenza il soggetto non ha avuto l’avvertenza o la prudenza, potendolo, di evitare l’occasione.
È chiaro che l’adulterio resta sempre, almeno per la materia, intrinsece malum, peccato mortale, così come è impensabile il venir meno dell’indissolubilità del matrimonio. Gli sforzi di certi moralisti o pastori di trovare del positivo nelle unioni adulterine o concubinarie, non ovviamente in quanto tali, ma in quanto coinvolgono persone, che mantengono la dignità della persona e possono per altri aspetti possedere alte qualità, di per sé non sono vani o disonesti, ma sono segni di saggezza pastorale. Certamente anche un’opera buona, ma non compiuta in stato di grazia, non è salvifica. Ma chi giudica dall’esterno (solo Dio conosce il cuore) deve comunque saper riconoscere l’opera buona o la buona qualità e magari puntare su di esse per esortare il peccatore al pentimento. È evidente infatti che, a parte il peccato che la coppia commette, essa, per altri aspetti, può possedere dei valori, che devono essere riconosciuti ed incrementati, se non altro come contrappeso alla situazione irregolare. Ma è altrettanto chiaro che non si deve trarre da questi valori pretesto per diminuire o addirittura scusare o coonestare il peccato.
Grave equivoco proprio di alcuni quello di confondere il peccato con l’imperfezione e dare una parvenza di legittimità o tollerabilità al peccato riconducendolo alla categoria dell’imperfezione. La disonestà di simile operazione appare evidente, se noi riflettiamo che, mentre l’imperfetto è già un bene, seppur minore e che va migliorato, il peccato appartiene alla sfera del male, a meno che non siamo così folli da confondere il bene col male.
Sulle convivenze vi sono ombre e luci, perché neppure queste unioni, come alcuni pensano, sono assimilabili alle condizioni dei non-cattolici previste dai decreti conciliari. Si tratta infatti in questo caso di cristiani, che non rispettano per istituzione e motivi storici la morale cattolica. Possono essere benissimo in buona fede. E quindi il caso è ben differente. Nel nostro caso, invece, si suppone che abbiamo dei cattolici, che conoscono il loro dovere. La Chiesa non pretende invece giustamente che gli acattolici pratichino tout court la morale cattolica. Sarebbe questa una forma di indiscreto integralismo. La Chiesa certo spera nell’ingresso di questi fratelli, col soccorso della grazia, nella sua piena comunione, ma nel frattempo e per adesso essa saggiamente non chiede altro ad essi che l’esercizio dell’ecumenismo secondo la loro coscienza. Invece chiede ai peccatori, soprattutto quelli viventi nel suo seno, che si convertano, anche se essa sa attendere i “tempi di Dio” e, all’occorrenza, anche scusare.
Quanto ai divorziati risposati, essi si trovano in una situazione certamente irregolare e offensiva del precedente matrimonio, supposto valido. Si tratta di una situazione che costituisce per loro un’occasione immediata e permanente di peccato mortale. Di fatto si può immaginare che essi commettano spesso questi peccati. Data questa situazione scandalosa, la Chiesa tuttora opportunamente non concede loro i sacramenti della confessione e della comunione. Tuttavia, la Chiesa, come è noto, a suo tempo ha dato alcune disposizioni per favorire la loro partecipazione, benchè imperfetta, alla vita ecclesiale. Essi non sono scomunicati e se riescono ad astenersi dai rapporti sessuali, sono ammessi ai Sacramenti. In ogni caso, è bene che essi partecipino alla Messa e, se sono in grazia, cosa difficile ma non impossibile, possono fare la comunione spirituale. Benchè infatti vivano in una situazione che oggettivamente li spinge fortemente al peccato, non siamo autorizzati, come pensano alcuni, a credere che i due vivano permanentemente ed inevitabilmente in uno stato di peccato o colpa mortale, privi della grazia, quasi fossero anime dannate, perché invece, in forza del libero arbitrio, hanno sempre la possibilità, quando lo vogliono, di pentirsi ogni volta che peccano e di formulare ogni volta il proposito di fare il possibile per correggersi, compatibilmente alla situazione nella quale si trovano, e quindi di riacquistare la grazia perduta, sicchè, se dovessero morire, possono salvarsi. Anche se non possono accedere al Sacramento della penitenza, possono comunque ricevere da Dio direttamente la grazia del perdono.
Se possono tornare al coniuge precedente, devono farlo. Ma vi possono essere casi nei quali è praticamente impossibile, anche con tutta la buona volontà, realizzare un simile buon proposito, per l’esistenza di ostacoli insormontabili sopravvenuti, o dati oggettivi, dai quali non possono prescindere. È dar prova di un semplicismo imprudente il sentenziare categoricamente, in questi casi, come fanno alcuni: “devono tornare a come erano prima!”. Sarebbe assurdo peraltro credere che essi, pur non riuscendo o non potendo liberarsi da una situazione ineliminabile, siano comunque in uno stato di peccato mortale. Nessuno può essere in colpa contro la sua volontà o costretto o necessitato a peccare. Un atto che siamo costretti a fare può esser peccato esteriormente, ma l’anima rimane innocente, come per esempio l’atto di una donna violentata da un uomo senza il consenso di lei. Sarebbe poi addirittura blasfemo credere che Dio possa permettere situazioni o condizioni, dalle quali non si riesce a liberarsi e che tuttavia conducono inevitabilmente al peccato, sì da meritare la perdizione eterna.
Una di queste situazioni irrimediabili senza colpa possono essere le seguenti: il coniuge di prima si è risposato con un altro e magari ha avuto figli da quest’altro. Oppure la nuova coppia ha figli ed è legata da gravi obblighi, vincoli o interessi civili, legali od economici. In questi casi, i due, anche non volendo, si trovano davanti all’occasione inevitabile del peccato. Si badi: all’occasione, non al peccato stesso. L’occasione non è ancora il peccato. L’occasione può essere inevitabile; il peccato può essere evitato. L’occasione o tentazione non è necessariamente cercata e può essere imprevista o non voluta. Alcuni si confessano delle tentazioni, ma sbagliano. Anche Sant’Antonio nel deserto ha avuto le tentazioni, ma ha resistito. Si pecca quando si cede volontariamente alla tentazione. Il peccato è per essenza un atto voluto. Stando così le cose e nell’ipotesi di un non pieno consenso al peccato, sotto la spinta quasi irresistibile della passione, è possibile anzi che la colpa si abbassi da mortale a veniale. Se poi l’impulso passionale fa perdere addirittura la libertà, la colpa può esser totalmente assente, anche se l’atto è oggettivamente peccato (per la materia), come in certi casi di suicidio o di panico o di malattia mentale.
Questa grave problematica costituisce un forte richiamo ai pastori, ai moralisti, agli educatori e ai fedeli ad un maggiore e più convinto impegno nella promozione e nella tutela dei valori “non negoziabili” del vero significato della sessualità, del retto rapporto tra uomo e donna, del matrimonio e della famiglia, in una visuale più attenta alle singole situazioni problematiche, ai loro lati positivi e negativi, onde dare a ciascuna situazione quella soluzione e quell’orientamento, che nascono dal Vangelo e dalla legge naturale, nella giustizia e nella misericordia, in piena comunione con la Chiesa.
In questo frangente così grave per la vita della Chiesa e della società, occorre evitare i due estremismi contrapposti, il primo, di una piccola ma mordace minoranza, dell’ultra tradizionalismo, col suo allarmismo catastrofista e il suo legalismo rigorista, che teme che il Papa possa allontanarsi dal Vangelo o dalla Tradizione, se non lo ha già fatto; e il secondo, ben più diffuso ed arrogante, quello dei modernisti, spiriti mondani, relativisti impenitenti, predicatori del buonismo misercordista, che vorrebbero strumentalizzare il Papa con false adulazioni.
Per i primi, il Papa è un sorvegliato speciale; per i secondi, è il buon amicone, il permissivista che accontenta tutte le loro voglie. I primi predicano una falsa giustizia, i secondi una falsa misericordia. Ma l’una e l’altra vanno bene solo se stanno assieme.
Anche oggi esistono i farisei e i sadducei. Gesù, pur offrendo a tutti la salvezza, non sta nè con gli uni né con gli altri, ma solo con la volontà del Padre, che Egli ha affidato agli apostoli sotto la guida di Pietro, da far conoscere al mondo.
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Varazze, 13 ottobre 2015
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No caro Don Ariel io solo ho affermato che lei non puo dire che non si deve dire ha un moribondo di offrire i suoi dolori, dirgli ha un padre che a perso suo figlio di non bestemmiare, di dirgli a una innocente divorziata di vivere in castitá. Non puo dirmi che é piú facile che passi un camello per la crune di un ago che io entri nel Regno Dei Cieli solo come risposta al mio commento. Lei deve dire che tutto quello deve essere detto e praticato. Se non possiamo dobbiamo chiedere la Grazia di Dio. Ma non si possono tacere quelle veritá.
Perche se lei dice che quelle cose non si devono dire, quando qualcuno le dice, e anche quando dice cose molto meno scomode, viene dichiarato fariseo fondamentalista. Come capita a me in familia che ho il sopranome di Torquemada solo perche faccio il minimo per restare cattolico.
Vogliamo che il signore debba far gridar le pietre?
Non capisco come possa esser successo, non molti anni indietro ho conosciuto una donna che aveva da pochi giorni perso la madre per un cancro. Mi raccontava come sua madre non voleva i calmanti piu forti per poter offrire al Signore i suoi dolori. Due generazioni dopo un sacerdote dice che quello non si puó nemmeno…
Lei se le canta e se le suona da solo, ostinandosi a non capire e rifiutandosi di rispondere nel merito di ciò che io ho scritto e quindi nel merito delle risposte che comunque le ho dato, con pastorale pazienza, anche ai suoi argomenti fuori tema.
Pertanto: anzitutto legga, dopo che lo ha fatto entri nel merito di quello che è stato realmente scritto e non in ciò che lei “presume” che io abbia scritto; e se ad un suo commento viene data risposta, sollevi tutte le questioni che vuole, ma nel merito della risposta.
Questo si chiama dialogo e comunicazione, in caso contrario si rischia di cantarsele e suonarsele da soli.
Don Ariel con quella risposta l´unico che fa é confermarmi che il Vangelo é impraticabile, una bella fiaba da non seguire praticamente. Si calmi un pó, la credibilitá si guadagna in una vita e si perde in un secondo.
E’ lei, che ha fatto una citazione sulle pelle degli altri, non io, che sono abituato a rispettare la vita e la pelle degli altri ed a considerare che non esiste solo nero e bianco.
Rev.Padre
sottopongo alla sua attenzione:
http://sinodo2015.lanuovabq.it/la-via-tedesca-e-veramente-la-strada-per-laccordo-al-sinodo/
cito: 1. non è possibile applicare l’epikeia tomista richiamata da Kasper nel senso di deroga alla norma, ma essa consiste “nel comprendere meglio il caso concreto nel senso della giustizia della norma”.
2. Il problema è la “questione di un uso equo e ragionevole della parola di Gesù” sull’indissolubilità del matrimonio.
3.il gruppo di lavoro si esprime per una revisione ecclesiastica dei rapporti prematrimoniali. Le esigenze pastorali “di concedere un cammino verso il matrimonio sacramentale come tempo di maturazione e non ‘tutto o niente’ che agisca secondo il principio”.
4.Misericordia e giustizia non sono opposti. Entrambi i principi di base devono essere applicati alla “rispettiva situazione spesso complessa” con “prudenza e saggezza”. Non si tratta di eccezioni, “in cui la Parola di Dio non è valida.” Serve una “pastorale personalmente orientata che consideri la normatività dell’insegnamento e la personalità degli esseri umani”, la coscienza dell’individuo e la sua responsabilità.
Quale la sua valutazione?
Grazie.
Briefing odierno del Sinodo
http://www.repubblica.it/vaticano/2015/10/15/news/sinodo_un_vescovo_racconta_al_papa_un_bimbo_spezzo_l_ostia_per_darne_al_papa_risposato_-125136816/
L’intervento in aula commuove l’assemblea che entra nel vivo del dibattito sui sacramenti ai divorziati: “Nella Chiesa non siamo ‘ufficiali di immigrazione’, che devono controllare perennemente l’integrità di chi si avvicina”. Il Papa: “Guardarsi dai dottori della legge”
http://www.ilfoglio.it/chiesa/2015/10/15/la-deriva-sentimentalista-del-sinodo___1-v-133893-rubriche_c356.htm
Bimbo di dieci anni, precoce conoscenza teologica e, più in generale, dei dettami dell’insegnamento della Chiesa sul tema, è stata “usata” l’ esperienza per far passare – mediaticamente, – un messaggio univoco: “Non si tratta di cambiare la dottrina cattolica, ma il nostro atteggiamento”, ha detto p. Dorantes riferendo nei particolari il contenuto di un intervento che si concludeva con la necessità di domandarsi “cosa la Chiesa possa fare per queste persone in modo concreto”.
TG1 ore 20.00 A M Valli panegirico dell’aneddoto, contrapposto ai 13 cardinali cattivi.
Signore, dove stiamo andando?…
Veritatis Splendor: ““Atti che, nella tradizione morale della Chiesa, sono stati denominati «intrinsecamente cattivi» (intrinsece malum): lo sono sempre e per sé, ossia per il loro stesso oggetto, indipendentemente dalle ulteriori intenzioni di chi agisce e dalle circostanze.” Mi si può spiegare come è possibile conciliare questa affermazione dell’enciclica Veritats Splendor con ciò che dice Padre Cavalcoli: “Quindi non esistono situazioni intrinsecamente peccaminose come alcuni credono, o uno stato intrinsecamente peccaminoso”
Ciò che afferma Padre Cavalcoli è falso: “Quindi non esistono situazioni intrinsecamente peccaminose come alcuni credono, o uno stato intrinsecamente peccaminoso.” Si prega al suddetto Padre di leggere l’enciclica “Veritatis Splendor” di San Giovanni Paolo II oppure ancora Giovanni Paolo II Esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia, n. 17 prima di dire simili castronerie
… oh, l’ha letta benissimo quell’enciclica, pensi: all’epoca collaborò persino alla sua redazione.
Lei invece, l’ha letta bene?
Basta solo che mediti sul titolo, visto che la Verità è uno splendore – lo splendore di Dio – e non certo cupezza, perché quella, la cupezza, è tutta quanta dell’uomo, ed in particolare di certi “animali religiosi” pronti a sollevare questioni anche allo Spirito Santo nel cenacolo a Pentecoste.
E’ evidente che un sacerdote , come Padre Cavalcoli, che lascia aperta la possibilità di concedere la comunione ai divorziati risposati adducendo la giustificazione che essa non intaccherebbe la Dottrina ma sarebbe solamente una decisione pastorale, significa praticamente aver perso la Fede in quello che Cristo ha detto sulla indissolubilità del Matrimonio e non rendersi nemmeno conto della sua affermazione ereticale che contrasta col fatto che con la comunione ai divorziati risposati si profanano contemporamentamente tre Sacramenti: Riconciliazione, Matrimonio ed Eucarestia con conseguenze di totale sovvertimento della Dottrina. D’altro canto Padre Cavalcoli neanche se ne rende conto che nella Chiesa è in atto un tentativo si sovversione Dottrinale ad opera dei cosidetti “lupi travestiti da agnello” ed il cui “capo” di questi lupi è proprio Bergoglio.
Lei fa una grande confusione tra la concessione delle seconde nozze, cosa impossibile se il matrimonio è stato lecitamente e validamente celebrato; e la Comunione ai divorziati risposati, problema che richiede anzitutto la valutazione di molti casi diversi. Per esempio: dinanzi ad una donna che è stata costretta, per il bene suo e dei figlioletti a separarsi da un marito violento che poneva a serio rischio l’incolumità sua, quella dei figli e l’equilibrio psicologico degli stessi, che ha trovato un nuovo marito che è un uomo splendido, un ottimo consorte ed un padre premuroso, la responsabilità di dirle: “Brutta peccatrice, torna con il tuo legittimo marito”, se la prende lei?
Veramente nel caso da lei prospettato la “soluzione” che le dà la Rivelazione di CRisto è quello di dire alla Donna di rimanere sola se vuole ricevere la Comunione perchè come lei dovrebbe sapere ciò che impedisce l’accostarsi alla SAnta Comunione è l’atto sessuale compiuto al di fuori del legittimo Matrimonio, perchè il legittimo Matrimonio rimane ancora quello in cui vi era il Marito violento, quindi la resposabilità che lei come sacerdote dovrebbe prendere non è quello di dire alla Donna di accostarsi alla Comunione perchè questa si trova in una relazione di adulterio.
La soluzione e il monito che mi dà la Rivelazione, l’ho appena proclamato nel Vangelo del Sacrificio Eucaristico che ho celebrato oggi, ed è questa:
«Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!» [Lc 11, 42-46].
Questo è ciò che dice il Vangelo di oggi, quel che invece dice il suo, non so …
Il peso insopportabile, in questo caso, sarebbe la castità?
Caro Paolo.
Le comunico che la castità non è un “peso insopportabile”, è proprio un peso innaturale, perché l’uomo, in natura e per natura, non è stato creato per essere casto e non nasce per essere casto, prova ne sono gli organi riproduttivi maschili e femminili, dati per precisi scopi, non certo come inutili accessori del corpo umano.
Vi sono alcuni, come spiega il Signore Gesù nel Vangelo, che sono chiamati a farsi eunuchi per il Regno dei Cieli [cf. Lc 19,12], cosa questa che rende naturale la castità in una dimensione tutta quanta metafisica.
Per esperienza posso dirle, come uomo e come sacerdote, che si può essere casti per il Regno dei Cieli, per servire la Chiesa e il Popolo di Dio, solo attraverso uno speciale dono di grazia, che una volta ricevuto il sacerdote deve vivere quotidianamente e quotidianamente rinnovare e custodire.
Non so se ha mai sentito parlare del “de natura et gratia” di Sant’Agostino …
In caso contrario, si cade nel pelagianesimo, ed in quel caso, come diceva il Santo Padre della Chiesa Giovanni Crisostomo: “La verginità degli eretici è più impura dell’adulterio”, perché ieri come oggi, il pelagianesimo, va molto di moda, per non parlare del manicheismo … ed ogni tanto, io, pelagiani e manichei mi diletto anche a chiamarli per nome e cognome.
Padre Ariel, non capisco.
Se chiediamo con fede possiamo ottenere lo spostamento di una montagna.
Chiedere a Dio, con l’intercessione della B.V. Maria e del suo sposo Giuseppe, la grazia di poter vivere in castità è una cosa così assurda?
Non sono d’accordo con alb3, non credo che la signora dell’esempio debba rimanere per forza sola. Però lei e il suo nuovo convivente dovrebbero vivere come fratello e sorella, questo sì.
Nulla da dire e nulla da eccepire.
Personalmente non sono abituato a trattare la vita delle persone con i manuali da ragioneria generale e dinanzi ai drammi, ai doloro e alle sofferenze umane, procedo sempre con cautela e umanità, perché in fondo, il “dovrebbero” sulla pelle degli altri, è una parola che a chiunque la pronuncia non costa mai niente.
Esempio: dinanzi ad un trentenne con un tumore alle ossa, io non mi sono mai sognato di dire che “dovrebbe” offrire le sue sofferenze e la sua vita per la salvezza dei peccatori; e davanti a due genitori che hanno perduto un figlio di sei anni per cancro al cervello, io non ho mai detto che “dovrebbero” capire che Dio aveva bisogno di un nuovo angelo in cielo, anche perché, un genitore potrebbe rispondere: “E perché, Dio, ha deciso di prendere proprio mio figlio?”.
Questo, è il vero pudore del cristiano, non certo portare le mutande fin sotto le ginocchia, o pensare che l’intero mistero del male risieda tutto quanto nel Sesto comandamento del Decalogo.
Ci mancherebbe, le cose quando vanno dette le si deve pagare in prima persona, altrimenti non hanno un gran valore.
Per questo credo che i sacerdoti (e i laici) che mantengono la castità (con l’aiuto di Dio, che da soli sarebbe impossibile -pena superbia e terribile caduta-) devono mostrare il bello della scelta, soprattutto di fronte a chi vive situazioni irregolari.
La situazione di chi vive un tumore è certamente diversa, lì davvero non resta che il silenzio e la partecipazione del dolore (e spesso capita che il sano venga consolato dal malato…).
Sia lodato Gesù Cristo!
Abramo consegna Sarah al faraone, con cui si unisce, così pare dal testo della Settanta, e ad Abimelech, con cui non si unisce. E’ Sarah adultera?
Stando inoltre alle legge mosaica, avere per moglie una sorellastra, o altra lunga varietà di parenti, è il caso di Abramo con Sarah, è peccato da punire con la morte. Mosè ha ragione e Abramo è un peccatore?
Lei capisce che, da Abramo a Mosè, c’è stata una grande evoluzione e che il primo non è certo il nonno del secondo? E da Mosè a seguire, una ulteriore evoluzione? Sino a giungere al Verbo di Dio che non venne per abolire la Legge ed i Profeti, ma per dare compimento; ed il compimento era Lui, il Verbo di Dio fatto uomo.
Un esempio per chiarirci: si hanno seri motivi per pensare che agli inizi della prima esperienza abramitica, venissero praticati ancora i sacrifici umani, almeno fino a quando la mano di Abramo fu fermata mentre stava per sacrificare Isacco; ed è assodato che in quell’epoca arcaica venisse praticata la poligamia, inoltre, l’incesto praticato dagli egizi, era praticato nella prima epoca abramitica anche da quel popolo di semiti che prenderà poi nome di Popolo d’Israele, ecc …
Capisce quante cose sono cambiate col correre dei secoli attraverso la grazia di Dio capace a trasformare persino le pietre in figlio di Abramo?
Quello che ha scritto Padre Cavalcoli è aberrante e non ha nulla a che vedere con la Dottrina Cattolica. Così come è aberrante ed eretico ciò che dice Bergoglio per cui sarebbe “meglio che non fosse mai nato” e che vi siano sacerdoti che difendano tale personaggio è incredibile: probabilmente non hanno mai avuto una reale fede Cattolica o comunque la stanno perdendo.
… e allora spiegacelo tu, cos’è la Verità/la fede, lo chiese anche Pilato a Gesù: Quid est veritas? [Τί ἐστιν ἀλήθεια].
E detto questo Pilato uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui nessuna colpa» [Ego nullam invenio in eo causam / Ἐγὼ οὐδεμίαν εὑρίσκω ἐν αὐτῷ αἰτίαν].
Stimato Padre, riga dietro riga ha risposto a molti miei quesiti. Domani sera leggerò e commenterò questo suo articolo all’incontro con le coppie sposate di adulti, perché è una chiara ed efficace catechesi, ma soprattutto una risposta a molte delle loro domande.
Il Signore benedica questa Isola felice!
Cari Padri, un commento comune per tutti e due i vostri articoli, una costatazione e una domanda …
Il commento: credo che per molti cattolici voi siate in questo momento un faro e una scialuppa di salvataggio.
La costatazione: voi non state con nessuno, non state ne con i progressisti ne con i tradizionalisti, siete proprio al di sopra delle parti, perché state con la verità.
La domanda: chi vi da il coraggio che avete?
Tante, tante grazie!
Caro Padre Giovanni, sapendo che i modernisti sono al varco per mal interpretare il Sinodo e che l´obbiettivo é cambiare la tendenza di riduzione del numero di matrimoni cristiani, non sarebbe i caso di applicare la virtú della prudenza e non cambiare il diritto ecelsiastico attuale? Non sarebbe il caso di emettere un documento scritto senza nessuna ambiguitá che mantenesse la “prassi” attuale?
Caro Blas.
Sì io sono di questo avviso come regola generale, lasciando però al prudente giudizio del confessore ammettere eccezioni in certi casi a lui ben noti.
D’altra parte, l’essenziale è essere in grazia di Dio, per cui i divorziati risposati che non possono tornare al legame precedente, possono ricevere direttamente da Dio il perdono dei loro peccati, anche senza il sacramento, posto, s’intende, che ogni volta si pentano, facciano penitenza e cerchino di evitare, per quanto è possibile, le occasioni.
Inoltre ritengo che si possa ancora far valere l’Istruzione appositamente data suo tempo per loro dalla Congregazione per la Dottrina della Fede.
Vede Don Cavalcoli Quando mai lo ha intervistato Andrea Tornielli? Quando Don Matias Auge riproduce le sue dichiarazioni?
http://liturgia-opus-trinitatis.over-blog.it/2015/10/la-comunione-ai-risposati-dottrina-o-disciplina.html
Usano il suo articolo per giustificare “il cambio”. Cosi con cambi discipinari siamo passati dalla Communione in ginocchio ed in bocca alla Communione in piedi, poi in piedi ed in mano (quando no seduti come certi neocatecumenali) ed ora ci commuoviamo quando un bambino la prende la spezza e gliela da al padre.
Oggi hanno piu rispetto per il pane ed il vino i luterani che noi per i corpo di Nostro Signore.
Dargli la comunione a divorziati risposati sará anche se teologicamente corretto sará un´altro colpo all´Eucaristia.
Pubblichiamo per dovere e per ricordare a lei e ad altri eventuali lettori che questo angolo di commenti non è uno sfogatoio nel quale si “sparano” sentenze non attinenti in alcun modo a ciò che è stato scritto dagli autori, tanto meno sono consentiti processi alle intenzioni.
Se lei, od altri, avete domande da rivolgere o chiarimenti da chiedere, siete i benvenuti, ma evitate testi di questo genere, offensivi anzitutto all’intelligenza di chi li scrive mostrando di non avere in alcun modo letto e recepito ciò che di molto complesso e di molto articolato è stato trattato.
“È chiaro che l’adulterio resta sempre, almeno per la materia, intrinsece malum, peccato mortale.”
E cito ancora Lei Padre:
“È possibile invece che venga riconosciuto un certo tipo di “unione civile” in accordo con lo Stato.”
E’ ovvio che una unione qualsivoglia (in accordo o meno con lo stato,) non rientrante nel matrimonio sacramentale rappresenta un peccato e questo non per quanto è afferente il diritto canonico, ma per quanto è afferente la Dottrina Sacramentaria irreformabile sul matrimonio stesso.
Qualunque unione che comporti in sé gli atti propri dei coniugi, anche più o meno stabile ma fuori dal Matrimonio porta in sé, il materiale “intrinsece malum” e quindi il peccato mortale e questo Lei Padre lo sa bene.
Riconoscere unioni adultere o concubine o persino sodomitiche in accordo con lo stato significa riconoscere il diritto al peccato e questo la Chiesa di Cristo non può farlo.
Lei critica il modernismo ma poi giustifica evidenti cedimenti dottrinali con gli stessi presupposti ideologici: “Il giudizio del Santo Padre non sarà infallibile né immutabile, e tuttavia sarà consono alle “attuali circostanze”… Sarà invece semplicemente un giudizio prudenziale, dove la Chiesa (in realtà il Papa) “può sbagliare” …”
Il Papa NON PUO’ sbagliare quando parla da Papa nel suo proprio magistero, di fede e/o di morale, può errare in una intervista, ma non può farlo in una enciclica o in un Motu Proprio.
La Chiesa, ovvero il Papa non può sbagliare concedendo il diritto al peccato e questo è un cardine dottrinale sulle verità di fede, non una questione prudenziale ed anche questo Lei lo sa benissimo perché è Lei che scrive:
“il peccato appartiene alla sfera del male, a meno che non siamo così folli da confondere il bene col male.”
L’Adulterio è un male Padre, il concubinaggio è un male, sono peccati, e la definizione di adulterio e di concubinaggio, come quella di peccato, la Chiesa la ha già data e non può più essere modificata, alla bisogna dei tempi; arrampicarsi sugli specchi o prendersela con i “canonisti oscurantisti” è certo di oggi moda ma non presta servizio alcuno alla Verità.
Un saluto in fede
Matteo V.