«Qualcosa è cambiato». Da Jack Nicholson al Cardinale Matteo Maria Zuppi laurea honoris causa all’Università di Catania
«QUALCOSA È CAMBIATO». DA JACK NICHOLSON AL CARDINALE MATTEO MARIA ZUPPI LAUREA HONORIS CAUSA ALL’UNIVERSITÀ DI CATANIA
«[…] Se non si accolgono anche le opinioni diverse, e magari pure le parole di dissenso, non si potrà avere un vero cambiamento. Oggi l’assemblea della CEI è un mortorio perché non ci sono più personaggi significativi; si potevano condividere o meno le posizioni di Siri o di Martini, ma i loro interventi erano importanti punti di riferimento. Oggi parlano solo i ruffiani, quelli che vogliono farsi vedere […]» (da una intervista all’Arcivescovo emerito di Pisa Alessandro Plotti, già vice presidente della CEI)
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All’interno della Chiesa d’oggi può capitare di sentirsi un po’ come sul set cinematografico del film, Qualcosa è cambiato, protagonista principale Jack Nicholson assieme a un amabile cagnetto. Per chi non lo avesse visto riassumiamo in breve: Melvin Udall, impersonato da Jack Nicholson, è un famoso scrittore di romanzi rosa, misantropo e affetto da nevrosi ossessivo-compulsive che attraverso un esilarante intreccio di fatti in cui finisce coinvolto assieme alla cameriera di un ristorante, a un pittore gay suo vicino di casa e al suo cagnolino di razza griffone di Bruxelles, giunge a una inaspettata quanto incredibile trasformazione che lo porta a diventare una persona persino tenera e amabile.
Dinanzi a certi fatti, dire che oggi Qualcosa è cambiato è riduttivo, perché siamo dinanzi a dei capovolgimenti così radicali da risultare difficili da interpretare. Come quando il 12 aprile è stata conferita dall’Università di Catania la laurea magistrale honoris causa in Global Politics and Euro-Mediterranean Relations a Sua Eminenza il Signor Cardinale Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo metropolita di Bologna e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana.
Ritengo irrilevante soffermarmi sui rapporti che sin da prima del 17 febbraio 1861 ― data che segnò la caduta del Regno Borbonico ― legano questa università alle storiche logge della Massoneria cittadina, come figura dai nomi di molti insigni accademici risultati membri della Libera Muratoria nell’arco di due secoli. A meno che i numerosi manifesti funebri con il loro nome e la sigla A:.G:.D:.G:.A:.D:.U:. (acronimo che indica: A Gloria del Grande Architetto Dell’Universo) appesi nella Città etnea nel corso degli ultimi decenni, non siano stati solo scherzi dei tipografi catanesi o delle redazioni de La Sicilia e de Il Giornale di Sicilia che avevano voglia di trastullarsi sulla pagina dei loro necrologi pubblicati a pagamento per commemorare i defunti.
Essere massoni non è disdicevole, né tanto meno reato, è lecita e legittima appartenenza a un’associazione storica; a meno che non si tratti di una Loggia deviata come la P2, che dalla Massoneria prende vita ma che della stessa non è affatto espressione, ma solo deviazione. Che poi l’affiliazione alle Logge sia incompatibile con l’appartenenza alla Chiesa Cattolica, questo è altro discorso ancóra, legato a quell’impianto in parte gnostico e in parte esoterico che rende la Massoneria incompatibile e inconciliabile con il Cattolicesimo.
Senza neppure soffermarci sull’anticlericalismo che serpeggia per storica tradizione nell’Università di Catania, essendo tutt’altri i nostri interessi, alcune precisazioni sono però di rigore. Partiamo dunque da un esempio davvero eclatante ormai fissato nelle cronache storiche: quando nel novembre del 2007 fu invitato dal Rettore Magnifico a inaugurare l’anno accademico all’Università La Sapienza di Roma, il Sommo Pontefice Benedetto XVI rinunciò a tenere una lectio magistralis inaugurale in seguito alle proteste di gruppi di studenti e docenti che insorsero al grido «l’università è laica!», mentre quelli di molte università italiane appoggiarono e sostennero la protesta, inclusa quella catanese.
Prima che iniziasse la odierna stagione dei giovani episcopi pecorecci ― non pochi dei quali sarebbero stati bocciati sino a pochi decenni fa a un esame di teologia fondamentale ―, in Italia avevamo diversi vescovi che erano grandi studiosi e uomini di profonda cultura, distribuiti in tutte quelle diverse aree che in un linguaggio giornalistico improprio, perché estraneo di per sé all’impianto stesso della Chiesa, sono indicati come tradizionalisti, conservatori, progressisti. O per dirla con le parole dell’Arcivescovo di Pisa Alessandro Plotti, che della Conferenza Episcopale Italiana fu vice-presidente:
«Se non si accolgono anche le opinioni diverse, e magari pure le parole di dissenso, non si potrà avere un vero cambiamento. Oggi l’assemblea della CEI è un mortorio perché non ci sono più personaggi significativi; si potevano condividere o meno le posizioni di Siri o di Martini, ma i loro interventi erano importanti punti di riferimento. Oggi parlano solo i ruffiani, quelli che vogliono farsi vedere; il tema pastorale viene buttato via con i gruppi di studio, che durano di fatto mezz’ora, e poi si parla soltanto di Otto per Mille e di soldi, cosa che si potrebbe fare benissimo per corrispondenza. E dire che, ad esempio, sulla famiglia ci sono problemi davvero grossi da affrontare e tutti cercano di capire quale orientamento prenderà la Chiesa» (cfr. intervista pubblicata in Jesus il 10 febbraio 2014, testo QUI).
Diversi di questi vescovi più volte, nel corso degli ultimi 30 anni, incluso lo stesso Alessandro Plotti che apparteneva alla cosiddetta area progressista, dovettero rinunciare a inviti presso strutture accademiche e università perché gli immancabili studenti agitatori, sobillati dietro le quinte da professori ex sessantottini fecero il diavolo a quattro (cfr. QUI). L’allora Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Cardinale Camillo Ruini, fu contestato e fischiato a Siena il 24 settembre 2005 (cfr. QUI) perché «è il simbolo del conservatorismo, dell’attacco alla laicità dello Stato e della negazione dei diritti degli omosessuali», come riferì in conferenza stampa il rappresentante dei Giovani Comunisti di Siena (cfr. QUI).
Eppure non siamo di fronte a persone diverse, perché coloro che ieri sbarravano le porte al successore di quei Romani Pontefici che l’Università La Sapienza la fondarono facendo di essa un centro universale di cultura, scienza e ricerca nel corso dei secoli, sono gli stessi che oggi conferiscono lauree honoris causa al presidente della Conferenza Episcopale Italiana, non più fischiato e contestato come il suo predecessore accusato di essere un violatore della laicità dello Stato, ma accolto a pacche sulle spalle e chiamato in modo amicale «Don Matteo».
Più che chiedersi Qualcosa è cambiato, bisognerebbe chiedersi: chi è stato strumentalizzato e perché? E sarebbe di certo altresì necessario chiedersi: chi è così «ruffiano» ― per dirla con Alessandro Plotti ― da non capire neppure, per propria inevitabile e invincibile limitatezza, di essere strumentalizzato?
Proviamo ad andare dietro le quinte del teatrino, perché farlo non è poi così difficile: a Catania fu aperto il processo contro l’allora Ministro per gli affari interni Matteo Salvini, accusato di avere impedito a fine luglio 2019 lo sbarco di 116 immigrati clandestini dalla nave Gregoretti, fermata nel porto della Città di Augusta in provincia di Siracusa (cfr. QUI). Che sotto questo pontificato, quello dei migranti, sia un elemento che spazia tra nevrosi ossessiva e ideologia, è un fatto del tutto incontrovertibile. Come lo è il poco prudente coinvolgimento ― in parte verificato in parte ancóra da verificare ― che alcuni vescovi hanno avuto con un militante comunista come Luca Casarini, che andrebbe trattato con estrema cautela e soprattutto con la massima prudenza, non certo invitato al Sinodo dei Vescovi.
Traducendo dall’inglese all’italiano la laurea honoris causa conferita è in Politica globale e relazioni euro-mediterranee. Incredibile! A Pontefici e Vescovi di ieri si sbarravano le porte nelle università, o si contestavano a bordate di fischi quando si avvicinavano a istituzioni o fondazioni statali, perché a prescindere dalle loro tendenze, conservatrici o progressiste che fossero, dicevano comunque quel che il mondo non voleva sentirsi dire, dall’Arcivescovo metropolita di Genova Cardinale Giuseppe Siri all’Arcivescovo metropolita di Milano Carlo Maria Martini, diversamente, ma inquietati entrambi per le derive laiciste che stava prendendo la società europea, specie nel suo rifiuto a tratti persino odioso e violento del Cristianesimo. Oggi, che con il mondo si è deciso invece di puttaneggiare, attraverso molti nuovi vescovi variamente «ruffiani» e pecorecci, ecco che ai Presidenti delle Conferenze Episcopali Italiane si battono le mani sulle spalle, si chiamano «Don Matteo» e si conferiscono loro lauree honoris causa proprio su tematiche politiche ed euro-mediterranee riguardo le quali gli stessi premiatori reclamavano la testa di un Ministro delle Repubblica Italiana con fare più sanguinario di quello di Robespierre.
Anche se di fatto nulla è cambiato, in ogni caso noi non siamo idioti né intendiamo essere trattati come tali da un mondo che mostra di volerci bene nella misura che siamo disposti a vergognarci di Cristo, dimentichi che sta scritto:
«Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» (Mc 8,38).
Imbarazzante e pericoloso come pochi risulterà oggi più che mai il Beato Apostolo Paolo:
«Infatti, è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo! Vi dichiaro dunque, fratelli, che il Vangelo da me annunziato non è modellato sull’uomo; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo» (Gal 1,10 e ss.).
Da questa società che sul modello e l’esempio della Francia vuole fissare sulla Carta d’Europa il “grande diritto universale all’aborto”, noi cattolici non ci dobbiamo aspettare né applausi né onorificenze. Se ci applaudono o ci premiano, è perché siamo i primi a rassicurare i figli del Principe di questo Mondo che in fondo «il Vangelo non è un distillato di verità», come affermò di recente il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana rispondendo a un intervistatore de Il Corriere della Sera (cfr. QUI, QUI). Volendo potrei suggerire a Sua Eminenza Reverendissima, per gli amici Don Matteo, anche un’altra espressione a effetto, pronunciando la quale finirebbe con l’essere in breve il secondo italiano nominato accademico di Francia dopo Maurizio Serra, ma preferisco tacere ed evitare di dare suggerimenti.
dall’Isola di Patmos, 14 aprile 2024
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