Povertà è riconoscere e custodire quanto ricevuto: i piccoli passi di Leone XIV per un pensiero cristiano sulla povertà

POVERTÀ È RICONOSCERE E CUSTODIRE QUANTO RICEVUTO: I PICCOLI PASSI DI LEONE XIV PER UN PENSIERO CRISTIANO SULLA POVERTÀ

Ci piacerebbe assistere ad altri passi concreti nel cammino di una povertà teologica e pastorale che interessi, ad esempio, la dignità del culto e delle chiese, cosa che il Serafico Padre San Francesco curava molto e non disdegnava di togliere qualcosa alla propria mensa per onorare la casa e l’altare del Signore donando la giusta dignità.

— Attualità ecclesiale —

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Cap.

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Ironizzava Indro Montanelli: «La Sinistra ama talmente i poveri che ogni volta che va al potere li aumenta di numero», così scriveva riferendosi a un concetto ideologico di povertà appartenente ad alcune correnti politiche.

(Gli aforismi di Indro Montanelli)

Questo grande maestro del giornalismo italiano conosceva bene la vita delle persone e la storia d’Italia e si era accorto come taluni paladini sociali non custodiscono e accompagnano la povertà e il povero ma lo utilizzano, spesso creando delle riserve protette in cui i termini di “povero” e di “povertà” vengono innalzati come un paravento per coprire le proprie distorsioni di pensiero o di illeciti.

Questo pericolo di travisamento non appartiene al solo mondo della politica e del sociale ma è anche presente all’interno della fede, in cui una condizione come quella della povertà bene si presta a trasmutare in qualcosa di alienante da Dio e dall’uomo. La storia del francescanesimo, ad esempio, conosce bene il rischio di un uso ideologico della povertà, in nome della quale si sono reclamate riforme, si sono pretese revisioni di stili di vita, si sono sognate nuove fondazioni fino all’imposizione di quella povertà violenta e aggressiva che è sfociata nell’eresia. Ahimè, nulla di tutto questo ha poi portato i frutti sperati, se non quelli della dispersione e dell’ulteriore divisione. La bellezza del francescanesimo più puro — vicino non tanto all’idea del fondatore ma a quella che Cristo ci ha consegnato — sta nello scegliere liberamente con letizia la povertà del Figlio di Dio senza imporla. Senza sognare un’ideologica «Chiesa povera per i poveri» ma arricchendo la Chiesa e gli uomini di quella essenzialità dell’unico necessario che, pur essendo ricco si è fatto per noi povero per arricchirci, proprio in virtù del suo essere l’Eterno presente.

Riguardo poi alla tendenza a trasmutare il significato di un valore e la sua parola corrispondente al fine di colpire i propri nemici, oggi tale uso è piuttosto frequente. Stesso discorso possiamo fare con altre parole come amore, diritti, inclusione e sinodalità. Non si tratta di una sola questione semantica o demagogica ma anzitutto di quel peccato di superbia tutto umano e pagano di chi ha la sicura pretesa e sicurezza di poter eliminare un male oggettivo a prescindere dall’intervento di Dio usando la volontà unità ad accordi e compromessi. Come non ricordare, a tal proposito, quel presunto movimento politico italiano venuto dal basso che aveva la pretesa di aver finalmente abolito la povertà ponendosi come il paradigma del novum in ambito politico. Beh, conosciamo tutti bene l’epilogo, il movimento si è riciclato e la povertà che si era detta abolita è magicamente ricomparsa.

Non dobbiamo farci delle illusioni in fatto di povertà, lo sappiamo bene da Gesù (cfr. Mc 14,7), questa è una tra le tante macchie endemiche della nostra creaturalità peccatrice che ci accompagnerà nel pellegrinaggio terreno fino alla ricapitolazione di questo nostro mondo, fino a quando Colui che deve venire si manifesterà glorioso e avrà posto tutti i nemici sotto i suoi piedi (cfr. Mt 11,2; 1 Cor 15,21). Del resto, Gesù stesso durante il suo ministero pubblico non ha eliminato la povertà materiale e la miseria ma ha insegnato a soccorrerla e intervenire davanti alle innumerevoli tipologie di povertà umana: di cibo, di salute, di senso, di relazioni, di bene, di Dio. I suoi discepoli, nel corso dei secoli successivi, pur santificandosi dentro i diversi contesti di povertà non sono mai riusciti ad abolirla del tutto. E questo vorrà pur dire qualcosa, perché non appaia come una vittoria dell’uomo ma di Dio che nel Figlio sottomette ogni cosa. Gesù non ci ha detto solo che i poveri ci sono e ci saranno sempre, ci ha detto primariamente che Lui c’è e che bisogna necessariamente partire da questa presenza concreta del Risorto per poter portare avanti un pensiero teologico e pastorale che si possa contrapporre anche alla povertà e che realizzi nell’oggi quel già e non ancora escatologico in cui la povertà, la sofferenza, il peccato e la morte saranno definitivamente sconfitti.

Piccoli passi che partono dal Risorto e conducono a incontrare il Risorto, non moti ideologici e rivoluzionari della superbia umana ma strategie di speranza. Credo che possiamo tutti convenire in tal senso vedendo come il Pontefice Leone XIV ha messo in atto i primi segnali di un concetto teologico di povertà inteso come il riconoscimento di quanto ha ricevuto da Dio al fine di custodirlo per poterlo a sua volta tramandare.

La decisione di ritornare ad abitare presso il Palazzo Apostolico (vedi QUI, QUI). Questa decisione segue un concreto percorso di povertà e di valorizzazione di quella residenza che è stata tradizionalmente riservata al Pontefice dal 1870 fino al 2013. Si tratta certamente non solo di una localizzazione concreta all’interno dello Stato della Città del Vaticano ma di una storia che continua e della certezza di una presenza che i fedeli di tutto il mondo hanno imparato a conoscere e ad amare osservando quella finestra aperta alla domenica mattina e illuminata alla sera: stella polare che dona sicurezza e speranza ai tanti naviganti nel mare della fede. Una presenza consolatrice quella dell’appartamento papale, che nel lontano 2005 ha provocato in tutti i fedeli cristiani un tuffo al cuore in quella sera del 2 aprile quando la luce della camera del Papa si spense segno del consummatum est di Papa Giovanni Paolo II.

La scelta di Leone XIV di riprendere ad affacciarsi al balcone del Palazzo Apostolico ridisegna la vita del nuovo Pontefice e gli assicura una maggiore protezione e intimità, conforme al suo ruolo di leader politico e spirituale ma soprattutto perché quel vezzo di risiedere in Domus Sanctae Marthae stava diventando ormai troppo ingombrante anche in termini di costi. Dentro un pontificato appena trascorso che ha imbastito una buona parte della sua visibilità mediatica sulla povertà e sull’uso “altro” del denaro, come conciliare i 200 mila euro al mese necessari per la sicurezza del Pontefice? Come fa notare il vaticanista de Il Tempo in un suo contributo di domenica 25 maggio, i famosi cinquanta metri quadrati si sono dilatati fino ad occupare l’intero secondo piano della Domus (vedi QUI). Questo con un ingente adeguamento strutturale che ha richiesto degli oneri in termini monetari forse non indispensabili se si fosse mantenuto lo storico appartamento papale che adesso dovrà per forza essere ristrutturato dopo dodici anni di inutilizzo e con conseguenti spese aggiuntive. A essere rispettosi del defunto Pontefice e del suo entourage dirigenziale non possiamo non notare un palese corto circuito in tutto ciò o piuttosto un rigurgito di quella vecchia tentazione prometeica di chi vuole abolire la povertà per finire poi col cadere nell’eccesso opposto. Queste cose purtroppo si pagano doppiamente: anzitutto in senso monetario e poi come accuse pronte per essere scagliate addosso alla Chiesa e al suo Vicario.

Oltre alla ingente somma mensile di denaro per garantire la doverosa sicurezza alla persona del Papa, a ben rifletterci volendo c’è dell’altro. La Domus si affaccia su via Gregorio VII, di fronte a diversi palazzi in territorio italiano che potrebbero essere potenziali postazioni da cui far partire un’offensiva terroristica contro il Santo Padre. Non è pretestuoso pensare che il Governo italiano si sia da tempo affrettato — dal 2013 a oggi — a sventare questa possibilità non remota, pensando a un piano di sicurezza ben strutturato, magari facendo evacuare gli stabili interessati e piazzando reparti specializzati attorno alle zone più sensibili con ulteriore dispendio di denaro? E tutto questo in nome di cosa, forse della povertà? Da francescano e da parroco che ha dovuto amministrare e continua ad amministrare beni non suoi, sono certo che la vera povertà risieda nella gestione intelligente delle cose e delle strutture che già si hanno. Saper salvaguardare e mantenere efficienti le cose, non aggiungere spese non necessarie ma potenziare e migliorare quelle già esistenti: insomma partire dal minimo necessario piuttosto che dal massimo consentito.

Altro piccolo passo verso un cammino di povertà concreta è stato quello che possiamo definire come il Bonus Conclave, cioè la somma di 500 euro elargita ai dipendenti del Vaticano che venne sospesa nel 2013 in occasione dell’atto di rinuncia di Benedetto XVI e dell’elezione di Francesco. Un riconoscimento che premia il lavoro di tutti i dipendenti dello Stato della Città del Vaticano per le ulteriori fatiche in vista del Conclave e dell’elezione del nuovo Romano Pontefice. Cinquecento euro non sono molti, ma possono fare la differenza all’interno di una famiglia che può permettersi di affrontare il mese successivo con più serenità; ma più di tutto, quel che conta e viene apprezzato, è il gesto sensibile in sé verso i dipendenti. Anche in questo caso la povertà esercitata consiste nel riconoscere e premiare chi lavora per il Papa e per la Chiesa e che merita di avere una retribuzione equa e dignitosa, perché il cibo, le medicine e le varie utenze domestiche non possono essere pagate con i Pater Noster.

Concludendo, ci piacerebbe assistere ad altri passi concreti nel cammino di una povertà teologica e pastorale che interessi, ad esempio, la dignità del culto e delle chiese, cosa che il Serafico Padre San Francesco curava molto e non disdegnava di togliere qualcosa alla propria mensa per onorare la casa e l’altare del Signore donando la giusta dignità. Ci piacerebbe assistere a una carezza autentica di povertà verso i diseredati che vivono attorno al colonnato della Basilica di San Pietro che, bontà loro, ancora non sono capaci di usare i servizi igienici messi a loro disposizione e rendono via della Conciliazione con le immediate adiacenze dei veri e propri vespasiani a cielo aperto. Tante cose si potrebbero in verità fare, ma nutriamo la segreta speranza che il Sommo Pontefice Leone XIV le sappia già, perché il guaio di una povertà ideologica e gridata consiste nel rendersi conto degli immancabili disastri che qualcun altro dovrà riparare.

Sanluri, 7 giugno 2025

 

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