Per conoscere la verità che vi farà liberi : “Siate perfetti nell’unità”
PER CONOSCERE LA VERITÀ CHE VI FARÀ LIBERI: «SIATE PERFETTI NELL’UNITÀ»
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Le labbra del sacerdote devono custodire la scienza e dalla sua bocca si ricerca l’istruzione, perché egli è il messaggero del Signore degli eserciti [Malachia 2,7]
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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo
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Questa rivista telematica nasce sotto gli auspici dell’Apostolo Giovanni e prende nome dall’Isola di Patmos che si trova nell’arcipelago delle Sporadi, a poche decine di chilometri dalla Città di Efeso, dove l’Apostolo fu esiliato per la sua predicazione e per la zelante testimonianza resa al Verbo di Dio fatto Uomo. Dopo la morte di Domiziano nel 96-98 divenne imperatore Nerva, ben più tollerante del suo predecessore verso i cristiani, l’Apostolo poté così tornare nella Città di Efeso e riprendere la sua predicazione. Giovanni morì ultra centenario attorno all’anno 104, consegnando le verità del Vangelo del Signore Gesù Cristo alle comunità cristiane del II secolo. Per quanto all’epoca fosse molto giovane, San Giovanni è da considerare come il primo apostolo conosciuto da Gesù e come l’ultimo degli apostoli viventi col quale si concluderà la missione apostolica dei Dodici scelti da Cristo.
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L’Isola di Patmos nasce dal senso stesso della vocazione di tre sacerdoti, quando infatti il vescovo ci consacrò nel sacro ordine, ricevendo i doni di grazia dello Spirito Santo risuonò nelle nostre coscienze un invito che al suo interno racchiude anche un gravoso monito: «Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» [Gv 8, 32]. Il sacerdote di Cristo è quindi chiamato per vocazione e per sacro ministero ad essere libero ed a guidare i figli del Popolo di Dio verso la libertà; che non può essere mai una libertà soggettiva ma oggettiva, strutturata sul mistero originario stesso della Verità: la creazione [Cf. Gn 1, 1-5] al cui interno è contenuta la grande prova della libertà attraverso la creazione dell’uomo [Cf. Gn 2, 18-25].
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Con i miei confratelli Antonio Livi e Giovanni Cavalcoli, abbiamo avuto modo di scambiarci più volte vicendevoli perplessità di cui desidero rendervi partecipi agli esordi di questa nostra rivista telematica. Con aria disincantata ci dicemmo un giorno l’un l’altro: in questo clima di caos intra ed extra ecclesiale noi abbiamo il privilegio di essere bastonati da destra e da sinistra, dai modernisti e dai “tradizionalisti”. E qui il virgolettato è di rigore, perché mai come negli ultimi decenni è stato fatto un uso distorto del termine: “tradizione”. Ogni cattolico è infatti un fedele tradizionalista chiamato come tale a difendere ed a diffondere quella traditio catholica che prende vita sin dalla prima epoca apostolica e che si sviluppa attraverso l’esperienza dei Santi Padri della Chiesa e dei grandi concili, che sono tutti validi e fonte di verità, dal Concilio di Nicea sino a quel Vaticano II che certi cattolici tentano da anni di sminuire attraverso disputationes costruite su tesi errate presentate in modo sibillino: « … in fondo, il Vaticano II, è stato solo un concilio pastorale».
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Tema questo molto articolato più volte trattato nei nostri scritti e sul quale non indugio oltre, perché tutti e tre avremo modo di ritornarvi sopra dalle colonne dell’Isola di Patmos, chiarendo in verità e nel più aderente ossequio alla dottrina della Chiesa che il termine “pastorale”, tanto più applicato ad un concilio ecumenico, non può divenire sinonimo di … “Quindi non conta niente”, in quanto “solo pastorale”, vale a dire: “Concilio di terza classe”.
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È vero che il Vaticano II non decreta nuovi dogmi e che si “limita” a ribadire tutte le verità dogmatiche della fede cattolica, ma attraverso i suoi documenti sancisce delle dottrine vincolanti per l’intera orbe catholica, alla quale chiunque lo voglia può anche ribellarsi, ma uscendo in tal modo dalla comunione ecclesiale. Già i nostri progenitori scelsero di ribellarsi a Dio all’alba dei tempi con deciso e libero arbitrio [Gen 3, 1-13]. E Dio, più che cacciarli dall’Eden, prese atto che avevano fatto la loro libera scelta cacciandosi da se stessi dalla sua grazia e dalla sua gloria [3, 22-24].
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La Chiesa, che in duemila anni di storia ha percorso traversie dinanzi alle quali si rafforza la nostra fede — perché se essa non fosse il Corpo Mistico di Cristo assistita dallo Spirito Santo già da secoli di sarebbe estinta — sta vivendo un momento di grande crisi che più volte ho definito «senza precedenti storici», usando più volte a tal proposito una frase che sovente ripeto come una filastrocca: «Il bene diventa male ed il male bene, il vizio virtù e la virtù vizio, la sana dottrina eterodossia e l’eterodossia sana dottrina, i buoni elementi fedeli al deposito della fede ed al magistero della Chiesa sono spesso perseguitati da persone disordinate nel corpo e nello spirito che prima hanno gettato i semi e che oggi innaffiano l’edera rampicante dell’apostasia interna» [Cf. mia opera E Satana si fece Trino].
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Di tutto questo, noi tre navigatori, siamo consapevoli al punto da esserci imbarcati per l’Isola di Patmos, dove l’Apostolo Giovanni scrisse il Libro dell’Apocalisse che contiene al proprio interno quel messaggio di speranza che per noi è certezza di fede, il trionfo di Cristo e la sconfitta inesorabile dell’Anticristo che conferma la promessa fatta dal Signore Gesù a Pietro: «… e le porte degli inferi non prevarranno su di essa» [Cf. Mt 16,18].
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La realtà è che a danneggiare gravemente il Corpo della Chiesa concorrono spesso proprio coloro che si dichiarano difensori duri e puri della sacra tradizione e che negli anni Ottanta erano genuflessi ad Ecône presso il vescovo scismatico e scomunicato Marcel Lefebvre. Ma appena in quell’ambiente hanno osato alzare la testa e proferire favella, si sono sentiti rispondere: «A parlare, ed in specie per quanto riguarda dottrina, ecclesiologia e liturgia ci pensano i nostri preti. Vostro compito di laici è quello di rispondere “Amen!” quando noi diciamo “Per Christum Dominum nostrum” e di tirare fuori i soldi per finanziare le nostre attività pastorali ed i nostri seminari, punto e basta!». A quel punto, questo esercito di appassionati, s’è affrettato a tornare nelle fila della “eretica” ed “apostatica” Chiesa post-conciliare, giocando ai lefebvriani ed affini all’interno di questo povero corpo ecclesiale sempre più martoriato e confuso.
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A questo và aggiunto che quando certi personaggi caratterizzati da siffatta irrequietezza si sono insinuati in riviste telematiche che sino a poco prima avevano mostrato un certo equilibrio, per prima cosa hanno provveduto a censurare sacerdoti e teologi impegnati nell’arduo tentativo di offrire al Popolo di Dio sempre più smarrito una speranza e un punto di cattolico equilibrio. Motivo questo per il quale ci siamo ritrovati più volte con vari nostri articoli respinti perché giudicati politicamente non opportuni, con l’aggravante che il tutto è sempre avvenuto senza che mai ci fosse fornita spiegazione in un merito — il nostro — sempre e di rigore tutto teologico e pastorale.
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Anche per questo nasce l’Isola di Patmos: per tutelare quella nostra libertà sacerdotale e teologica che non mira affatto a proteggere le nostre singole persone, ma a tutelare quella dottrina e quel magistero della Chiesa che noi siamo chiamati a servire ed a diffondere come la Chiesa ci comanda di servire e di diffondere.
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Gli scritti che più volte ci sono stati “opportunamente” censurati erano quindi articoli teologici di dottrina e di storia della Chiesa costruiti con quei criteri pastorali che fanno parte del nostro sacro ministero nel quale siamo stati istituiti sacerdoti, quindi guide e maestri; e come tali possiamo essere sottoposti solo alle censure dei nostri vescovi esercitate secondo il diritto canonico, non certo a quelle arbitrarie di laici ideologici che su di noi non possono esercitare alcuna autorità. Siamo infatti noi che per sacro ministero possiamo — e talvolta per imperativo di coscienza dobbiamo — esercitare autorità su quei laici che siamo chiamati a guidare e correggere come pastori in cura d’anime che esercitano il ministero sacerdotale in comunione con la pienezza del sacerdozio del vescovo in piena comunione col primato apostolico del Vescovo di Roma e successore del Principe degli Apostoli.
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Chi volesse poi ravvisare in queste righe una pepata rivalsa dettata da “orgoglio ferito” si dia cura di cercare argomentazioni più plausibili. È infatti cosa grave che dei laici usino la dottrina e la teologia – spesso anche male – mossi da motivazioni puramente politico-ideologiche, sino a censurare in nome di brandelli di verità stiracchiate dei sacerdoti abituati a fare teologia senza curarsi di quanto sia o meno politicamente opportuno dire ciò che il Vangelo ci impone di dire, anche a chi rivendica il diritto di non ascoltare. Se poi ad agire in questo modo sono dei cattolici che si beano tra la traditio ed i solenni pontificali celebrati col vetus ordo missae, presentandosi come i più puri difensori della vera fede, il tutto risulterà ulteriormente aggravato, specie se certi censori risultano soggetti che da una parte amoreggiano coi lefebvriani e affini e dall’altra stanno con un piede piazzato dentro la “eretica” ed “apostatica” Chiesa post-conciliare che a loro dire avrebbe distrutto fede, teologia, liturgia e via dicendo.
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Più che stanchi siamo rammaricati e preoccupati che certe riviste telematiche cattoliche affidino rubriche fisse a scribi, farisei e falsi dottori della legge il cui scopo pare essere quello di attaccare a raffica l’ultimo concilio della Chiesa, o l’attuale pontificato riguardo il quale pure noi abbiamo sollevato pacate perplessità per certe prassi o per pronunciamenti fatti dal Santo Padre come dottore privato [qui, qui, ecc..], ma sempre ribadendo ad ogni piè sospinto, spesso attaccati pure in malo modo da certi “rubricisti” che brandiscono brandelli di verità confuse e mal comprese, che se dalla legittima critica al dottore privato si passa invece a scalfire il Romano Pontefice legittimo detentore del ministero petrino, in quel caso si va a scuotere in modo pericoloso quella pietra — che costituisce dogma di fede — sulla quale Cristo ha edificato la sua Chiesa [Cf. Mt 16, 18].
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La risposta a certi nostri pertinenti richiami, sempre e di rigore tutti dottrinari e mai umorali, mai ideologici, sono state infine le censure operate su dei sacerdoti teologi da dei laici e da delle laiche accecati da confusa dottrina e da settarismo spacciato per “vera fede” e “vera traditio”.
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Come mio stile cercherò di essere realista con lo spirito ruvido di San Giovanni Battista che fece non a caso la fine che fece: vi immaginate quale indicibile baraonda accadrebbe all’interno della Fraternità Sacerdotale di San Pio X se taluni mettessero il responsabile di una rivista telematica in condizione di censurare un loro prete studioso di scienze teologiche? Fare una cosa simile a lefebvriani ed affini — e qui sia ben chiaro il τόπος, la pura battuta — potrebbe comportare il serio rischio di vedersi togliere persino il Sacramento del Battesimo.
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A questo si aggiunga poi che diversi di questi personaggi sono avvezzi tramite i propri articoli e libri a strumentalizzare in modo surreale alcune figure storiche elette a loro vessilli: per esempio il Santo Pontefice Pio X, o figure di vescovi e di cardinali come Alfredo Ottaviani e Giuseppe Siri. Operazione nella quale da anni si distingue tra i vari pubblicisti e scrittori Cristina Siccardi, che ovunque s’insedia fa terra bruciata attorno dopo avere lefebvrianizzato tutto. Sia però chiaro senza pena di malinteso: ciò non avviene perché questa amabile persona impone l’estromissione degli altri, cosa che invero non fa, ma perché la semplice presenza dei suoi articoli o delle sue rubriche sbilanciate verso il mondo ultra tradizionalista, nonché infarcite di precaria teologia e di senso storico obnubilato dalla ideologia, impone ai direttori responsabili la scelta di mettere a tacere altre voci, perché se si pubblicano gli scritti suoi non si possono pubblicare sulle stesse colonne quelli dei filosofi metafisici e teologi Giovanni Cavalcoli e Antonio Livi, per seguire con i miei, poiché tutti e tre rei di essere fedeli e devoti diffusori del magistero della Chiesa e delle dottrine del Concilio Vaticano II, non certo di una confusa idea romantica di Chiesa che di fondo finisce con l’essere tutta quanta settarista ed egocentrista.
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Richiamare i ciechi ad un sano bagno di realismo attraverso la contemplazione della solare verità non è facile, provino dunque a rispondere loro alle proprie coscienze spesso più politico-ideologiche che cattoliche, tramite questo quesito che con sincera paternità pastorale pongo a tutti loro: come pensate che avrebbe reagito quell’uomo di straordinaria tempra e di grande santità, tale fu San Pio X, da voi glorificato a ogni sospiro — sebbene non sempre correttamente conosciuto per ciò che realmente fu — se sotto il suo pontificato un gruppo di agguerriti e rumorosi laici cattolici avesse fatto una pubblica campagna di raccolta firme, per esempio in opposizione ai provvedimenti disciplinari e canonici che fecero seguito alla sua enciclica Pascendi dominici gregis? Insomma: da una parte c’è uno straccio di vesti in atto basato su una non compresa “libertà religiosa” di cui il “terrificante” e “diabolico” Vaticano II sarebbe responsabile, dall’altra gli stessi fautori di siffatti lamenti mostrano però nei concreti fatti che vorrebbero trasformare la Chiesa in una democrazia parlamentare con tanto di raccolte firme e di referendum popolari.
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Affermare in risposta che «il Santo Padre Francesco non è San Pio X» è sbagliato dogmaticamente e pastoralmente. Francesco è Pietro, come lo è stato San Pio X, come lo sono stati sia Alessandro VI sia San Pio V. Strumentalizzare pertanto certe figure per fini politici e ideologici è ciò che in linguaggio filosofico e teologico si chiama disonestà intellettuale prodotta da una ragione e da una logica viziata da mancanza di libertà e mossa dal rifiuto di accettare le dottrine e le discipline della Chiesa, sostituite con i propri arbitrî in nome di una non meglio precisata “purezza cattolica”, che detta in altri termini si chiama “superbia”, vale a dire la temibile regine di tutti i peccati capitali, dalla quale ci si purifica solo con la conversione del cuore.
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È da questa esigenza che nasce quella falsificazione che induce certi autori ad inventarsi un San Pio X mai esistito, allo stesso modo in cui sono stati creati un Cardinale Ottaviani ed un Cardinale Siri non corrispondenti alla realtà storica ed ecclesiale, posto che l’uno e l’altro hanno discusso quando c’era da discutere, ma al termine delle legittime discussioni, non solo hanno applicato con grande scrupolo le dottrine del Vaticano II; il Cardinale Siri in particolare, nella sua diocesi, ne è stato maestro presso il suo clero ed i suoi fedeli e diffusore solerte [Cf. opera di Antonio Livi, qui]. Il Cardinale Ottaviani, nel periodo più turbolento del post-concilio, ha servito il Sommo Pontefice Paolo VI con una fedeltà che dovrebbe essere di stimolo e di insegnamento a certi cattolici che abusano della parola “tradizione” o che parlano e scrivono di San Pio X in modo spesso sibillino e falsante per meglio sentirsi legittimati a sprezzare il magistero della Chiesa dell’ultimo mezzo secolo.
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Il mondo dei modernisti e quello dei lefebvriani ed affini sono due rette parallele che non s’incontrano, ma che assieme costituiscono i due binari che trasportano il treno con tutti gli ignari passeggeri che vi sono saliti a bordo verso il ponte pericolante di Cassandra Crossing [qui, qui].
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Non a caso l’Apostolo Paolo raffigura la Chiesa come Corpo Mistico del quale Cristo è capo e noi membra vive; e nel corpo ogni arto ha una propria funzione, necessaria ed indispensabile. Ovviamente una gamba non può svolgere le funzioni di un braccio e viceversa un braccio quelle di una gamba. All’interno di questo corpo che a volte sembra quasi formato da membra impazzite che si muovono in modo disarticolato e sconnesso, da alcuni decenni permane una grande e pericolosa confusione di ruoli: spesso ci ritroviamo dinanzi a chierici laicizzati ed a laici clericalizzati.
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Dialogare è doveroso, come lo è il cercare accordi, lo stesso litigare può essere cosa benefica e persino fonte di grazia. Anche gli apostoli discutevano animatamente tra di loro, ma sempre in un chiaro e rispettoso esercizio dei loro ruoli, come ci dimostra San Paolo che in toni duri rimprovera il Principe degli Apostoli ad Antiochia [Gal 2, 11-14], ma senza porre in minima discussione l’autorità di Pietro che aveva ricevuto il proprio mandato da Cristo in persona.
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I sacerdoti hanno dei compiti precisi all’interno del Corpo di Cristo che è la Chiesa, hanno una loro funzione specifica all’interno dell’economia della salvezza; un ruolo legittimo derivante dal carattere indelebile ed eterno ricevuto che li ha resi per sacramento di grazia partecipi al sacerdozio ministeriale di Cristo, al quale non partecipano invece i laici. Motivo questo per il quale un fedele sacerdote, chiamato egli stesso per primo a rispettare la sacralità dell’ordine sacerdotale che l’ha segnato, non deve accettare censure su certe materie e tematiche di dottrina e di fede perché coloro che giocano ai lefebvriani ed affini dentro la Santa Chiesa di Cristo non le reputano politicamente opportune. Per divino sacramento noi siamo stati istituiti come guide del Popolo di Dio e quando il caso lo richiede siamo tenuti a prendere certi laici per il verso giusto e rimetterli al proprio posto, inclusi quei direttori di blog e di riviste telematiche che non possono pensare di usarci all’occorrenza, o per essere più chiari: “Se ci scrivete un articolo critico sul falso profeta e sul cattivo maestro Enzo Bianchi, che abbiamo dichiarato nostro “nemico” in quanto progressista iper-conciliarista infarcito di eresie moderniste, vi pubblichiamo a tamburo battente anche dieci cartelle, se però sollevate una critica — e sia chiaro: strettamente teologica — su lefebvriani ed affini, allora vi censuriamo, perché altrimenti possiamo correre il rischio che si irritino alcuni nostri collaboratori e soprattutto certi nostri danarosi sostenitori”…
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… in fondo, noi addetti ai lavori lo sappiamo da tempo: essere ultra tradizionalisti è un capriccio molto costoso che richiede tanti compromessi con le destre mondiali più oltranziste. Beninteso: in nome della fede più pura e della più autentica e ortodossa traditio catholica, s’intende!
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Quella Verità del Verbo Incarnato che noi dobbiamo conoscere perché ci farà liberi quindi diffusori di libertà, non funziona a intermittenza politica ed ideologica come le luci del Luna Park. Il tutto per dire che tra queste persone e certe frange di neocatecumenali che trasformano il sacerdote in ostaggio dei loro capricci e dei loro arbitri liturgici e che in grave errore dottrinale dichiarano che “tutti” siamo sacerdoti, alla prova dei fatti non v’è di fondo alcuna differenza. Nulla conta che da una parte vi sia un Preconio Pasquale schitarrato e battuto sui tamburi dal bohemienne Kiko Arguello e dall’altra un Preconio Pasquale cantato secondo la migliore tradizione gregoriana della Chiesa con tutti i cantori compunti a mani giunte della Fraternità Sacerdotale di San Pio X. Nulla cambia nella triste e pericolosa sostanza di fondo, perché identici sono i farisei ed i sadducei, gli scribi ed i dottori della legge, i falsi profeti ed i cattivi maestri, ma soprattutto il mancato rispetto dovuta al sacerdozio ministeriale di Cristo che vive attraverso i suoi sacerdoti e che non è vincolato ai capricci dei laici.
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Due facce della stessa moneta:
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Il sacerdote non è solo un alter Christus quando celebra il Sacrificio Eucaristico secondo i capricci estetici, ideologici e politici di certi laici, siano essi modernisti o lefebvriani ed affini; il sacerdote è anche alter Christus quando con la dottrina, il magistero ed i documenti dei santi concili della Chiesa, a partire dal primo sino all’ultimo che si è celebrato mezzo secolo fa, ammaestra e guida le membra vive dei fedeli che formano quel Corpo vivo di cui Cristo e capo e di cui i suoi presbiteri, per quanto indegni e inadeguati, non sono certo i due diti mignoli dei piedi, posto che dinanzi ad un sacerdote gli stessi Angeli di Dio si fanno da parte, perché a loro, per quanto creature più perfette, non è stata conferita dall’Onnipotente la dignità conferita invece ai suoi sacerdoti [Cf. Marcello Stanzione, qui]. Sono gli Angeli che durante il Sacrificio Eucaristico cantano «Santo … il Signore Dio dell’universo» attorno al sacerdote alter Christus, non è il sacerdote alter Christus che canta «Santo» per gli Angeli, i quali non svolgono il servizio di partecipazione al sacerdozio ministeriale di Cristo, al quale partecipano invece per mistero di grazia solo i sacerdoti, inclusi sacerdoti indegni e peccatori.
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Il problema è che in questo mondo dove l’apparire ha ormai da tempo sostituito quell’essere inteso come essenza metafisica del cristologico divenire, nella povera Chiesa santa e peccatrice pullulano eserciti di primedonne e di primi attori che reclamano ciascuno l’occhio di bue puntato nell’orticello del loro teatrino; il tutto con immane gioia del Demonio che ambisce dalla notte dei tempi seminare discordie e divisioni per frammentare e disperdere in ogni modo l’unità del Corpo Mistico di Cristo. E Dio solo sa quale fatica facciamo noi pastori in cura d’anime, giorno dietro giorno, nel tentare di spiegare a molte di queste persone spesso chiuse ermeticamente alla grazia, che la via della salvezza comporta la sostituzione del cristocentrismo al nostro umano, limitato e limitante egocentrismo. Punto centrale del nostro essere uomini e donne di fede non è infatti il quesito: «Cosa voglio io», ma «cosa vuole Dio da me», quindi agire di conseguenza.
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La risposta a certi quesiti e la soluzione a certi gravosi problemi è tutta racchiusa in uno struggente frammento giovanneo: «E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me» [Gv 17, 22-23].
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Come si può essere perfetti in quella unità che rende una cosa sola il Padre con il Figlio, che chiama noi a essere uniti come Dio Padre è unito in Dio Figlio? Si può esserlo attraverso quello svuotamento che è riempimento: svuotarci liberamente di noi stessi per ricongiungerci a quel senso di libertà perfetta che Dio ci donò sin dall’origine del mondo; perché se conosceremo la Verità, accogliendola dal giardino di Eden sino alla pietra rovesciata del sepolcro del Cristo Risorto fattosi nuovo Adamo, entreremo in quella comunione e unione che lega Padre e Figlio. E allora la verità ci farà liberi, oggi, in eterno e per sempre. Basta solo rifuggire all’inviolabile teatrino del nostro ideologico “io” per andare incontro alla Verità di Dio e divenendo così «perfetti nell’unità».
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Cliccare qui sotto per ascoltare l’inno mariano Mira il tuo Popolo
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