The Apostle Paul and homosexuality: an ante litteram homophobia or a man to understand (First part) – Saint Paul and homosexuality: or before the letter homophobia, or a man to be understood? (first part) – The Apostle Paul and homosexuality: a homophobia ante litteram or a man who must be understood? (first part)

(Italian, English, Español)

 

THE APOSTLE PAUL AND HOMOSEXUALITY: UNA OMOFOBIA ANTE LITTERAM O UN UOMO DA COMPRENDERE? (Part One)

"Make no mistake: neither fornicators, born idolatry, nor adulterers, ne prostitutes, born sodomiti, nor thieves, nor covetous, nor drunkards, not cursed, nor will they extortionately inherit the kingdom of God. E tali eravate alcuni di voi; but you have been washed, you have been sanctified, you have been justified in the name of the Lord Jesus Christ and in the Spirit of our God!» (1Color 6,9-11)

- Church news -

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Author
Ivano Liguori, Ofm. Cap.

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San Paolo omofobo? No, ma uomo del suo tempo. Chissà quanti cristiani, leggendo i brani di San Paolo, hanno avuto l’impressione che l’Apostolo delle Genti fosse un po’ troppo rigido, tanto da essere additato — e non da ora — come un misogino e un omofobo.

Trarre un giudizio così sprezzante su una persona è del tutto fuori luogo, specie poi se la persona in questione è vissuta nel I sec. d.C., e quindi molto distante da noi in termini non solo cronologici, ma anche sociologici.

Mind you, certe valutazioni ed espressioni — incluse quelle che San Paolo usa nelle sue Lettere — devono essere sempre prese nel contesto culturale, social, storico e teologico in cui sono state formulate, evitando di commettere l’errore di leggere con i criteri relativi alla modernità fatti e persone del passato.

Un sano storicismo è necessario per comprendere le questioni e gli uomini e San Paolo, uomo del suo tempo e figlio della sua cultura sociale e religiosa, non ha mai rinnegato la sua identità, anzi semmai ne ha fatto un vanto anche dopo la sua conversione a Cristo, come abbondantemente è testimoniato nel libro degli Atti degli Apostoli e nelle Lettere:

«Io sono un Giudeo, nato a Tarso di Cilicia, ma cresciuto in questa città, formato alla scuola di Gamaliele nelle più rigide norme della legge paterna, pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi» (cf. At 22,3). «Allora il tribuno si recò da Paolo e gli domandò: “Dimmi, tu sei cittadino romano?”. Answered: "Yes". Replicò il tribuno: “Io questa cittadinanza l’ho acquistata a caro prezzo”. Paul said: “Io, instead, lo sono di nascita!”». (At 22,27-28) «circonciso all’età di otto giorni, della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, Ebreo figlio di Ebrei; quanto alla Legge, Pharisee; quanto allo zelo, persecutore della Chiesa; quanto alla giustizia che deriva dall’osservanza della Legge, irreprensibile» (cf. Fil 3,5-6). «Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com’ero nel sostenere le tradizioni dei padri» (cf. Gal 1,13-14).

About, instead, a certi dibattiti ideologici su temi caldi come quelli presenti in San Paolo, è meglio circoscriverli ai soli dibattiti televisivi in cui si fa il più delle volte soltanto baccano o baccanale. Luoghi dove si invitano volutamente ospiti per suscitare una contrapposizione vicendevole e dove un fedele cristiano — in special modo se sacerdote — non dovrebbe mai mettere piede perché sarà sempre visto come l’attrazione da circo che è destinata a far divertire il pubblico e su cui si possono sfogare e dire le peggiori cose. Fare teologia e riflessione teologica, partendo dal dato di fede significa agire con altre intenzioni e soprattutto con altri mezzi, ed è quello che questo articolo si sforza di fare.

Ma veniamo agli elementi per una giusta comprensione di alcuni aspetti sessuali. In my previous article (you see WHO) ho richiamato in modo non esaustivo all’ampio tema dell’omosessualità nel mondo antico; e mi sono soffermato in particolare a chiarire la natura e la specie del peccato della città di Sodoma in riferimento al testo Biblico (Gen 19,1-28) e a quanto la Pontificia Commissione Biblica ha chiarito. Peccato di Sodoma che tradizionalmente —almeno fin dal II sec. d.C in avanti — ha inaugurato e determinato nel sentire comune l’identificazione dei rapporti omosessuali tra individui di sesso maschile, ma che poi è stato comprensivo anche di una forma di rapporto sessuale anale eterosessuale, per cui è possibile operare un successivo distinguo tra la sodomia omosessuale e la sodomia eterosessuale (cf. Dizionario dell’Italiano Treccani, voce sodomìa).

Il chiarimento etimologico è necessario perché ci aiuta ad approfondire il fatto che la sodomìa non riguarda solo l’espressione di una pratica di natura omosessuale propriamente maschile ma anche l’esercizio di una sessualità etero orientata. A fortiori la discussione non sarà più solo compresa tra un livello di orientamento sessuale etereo o omo ma sull’esercizio più ampio della sessualità umana in quanto tale e della comprensione della stessa all’interno del piano di salvezza voluto da Dio.

Ricordiamo come anche la sessualità è stata creata da Dio come elemento di salvezza per l’uomo e per la donna e che in questo senso l’abuso nel senso etimologico non può che ingenerare diverse problematicità, indipendentemente dal fatto che si tratti di una sessualità eterodiretta o omodiretta. Il fondamento di questa visione non è chiaramente una riflessione filosofica sull’ordine naturale, è piuttosto una riflessione propriamente di fede che cerca di cogliere la creazione, e quindi le relazioni sessuate e sessuali, nel disegno d’alleanza. Questo esige che l’umanità si realizzi nel riconoscimento del proprio Creatore, riconoscimento che implica il rispetto delle differenze che fondono la società, soprattutto la differenza tra uomo e donna (cf. Xavier Thevenot, Omosessualità Maschile e morale cristiana, Torino, 1985, ELLE DI CI p. 177). Quando il Creatore non è riconosciuto in nessuna maniera, vivendo in totalità la propria umanità etsi Deus non daretur, c’è la seria possibilità di incorrere nel peccato della città di Sodoma che non riconoscendo e accogliendo Dio e lo straniero è preda di ogni eccesso e violenza, la sua condizione è particolarmente grave perché è carnefice e vittima allo stesso tempo.

Ricordo sempre quello che il mio insegnante di morale sessuale avvertiva durante i corsi in facoltà teologica. Nella cura pastorale delle persone con orientamento omosessuale è fondamentale allargare il campo di comprensione per non focalizzarsi solamente sulla pratica genitale. Non bisogna soffermarsi subito sulla genitalità in quanto la sessualità umana è comprensiva di diversi fattori e sebbene determinati atti genitali costituiscano un disordine intrinseco e oggettivo questo non deve essere motivo di impedimento alla persona che desidera compiere un cammino umano e cristiano e che si rende conto come una genitalità diversamente orientata o disordinata costituisca di fatto un motivo di imbarazzo e di confusione. Questo è vero anche per la masturbazione, per i rapporti prematrimoniali e per la fornicazione. Capiamo come determinati interrogativi rimangano aperti, perché il punto di vista della Bibbia non è quello di affrontare le particolarità e ancor meno la singolarità delle situazioni che il più delle volte sono sempre conflittuali e collocate dentro uno spazio storico definito.

È quanto mai necessario riconoscere con serenità la possibilità non remota che un uomo o una donna possano abusare dell’identità sessuale e della propria genitalità. La giusta comprensione non può che prevedere una precisa teologia della corporeità che si coniuga con la personalità specifica di ogni soggetto, in modo da suggerire le strade migliori percorribili per vivere bene e serenamente una relazione con sé stessi di tipo eterosessuale o omosessuale con la conseguente comprensione più profonda del proprio essere. L’autentica ipocrisia in queste tematiche sessuali è ravvisabile nell’angelismo che volatilizza l’ostacolo o lo sublima nascondendo il problema e aumentando la sofferenza che si nasconde o sotto una negazione o sotto una parvenza di spiritualizzazione.

Come era percepita l’omosessualità ai tempi di Paolo? Nelle Lettere dell’Apostolo il tema dell’omosessualità non è un tema centrale, anche se qualcuno ancora a oggi stenterà a crederci e forse ne resterà scandalizzato. L’Apostolo è più interessato ad annunciare e a predicare Cristo crocifisso e risorto e la salvezza che da esso raggiunge ogni uomo dentro a un rinnovamento della vita che non è solo cronologico — incluso, cioè tra un prima e un dopo —, cioè dal passaggio tra peccato e grazia. I tre testi delle Lettere di San Paolo in cui possiamo ravvisare una condotta omosessuale sono i seguenti:

1Color 6,9-11: «Non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Don't fool yourself: neither fornicators, né idolatry, nor adulterers, né depravati, born sodomiti, nor thieves, nor covetous, nor drunkards, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi! Ma siete stati lavati, you have been sanctified, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio». 1TM 1,10: «Noi sappiamo che la Legge è buona, purché se ne faccia un uso legittimo, nella convinzione che la Legge non è fatta per il giusto, ma per gli iniqui e i ribelli, per gli empi e i peccatori, per i sacrileghi e i profanatori, per i parricidi e i matricidi, per gli assassini, i fornicatori, i sodomiti, i mercanti di uomini, i bugiardi, gli spergiuri e per ogni altra cosa contraria alla sana dottrina, secondo il vangelo della gloria del beato Dio, che mi è stato affidato». RM 1,24-27: «Perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, tanto da disonorare fra loro i propri corpi, perché hanno scambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno adorato e servito le creature anziché il Creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; indeed, le loro femmine hanno cambiato i rapporti naturali in quelli contro natura. Similmente anche i maschi, lasciando il rapporto naturale con la femmina, si sono accesi di desiderio gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi maschi con maschi, ricevendo così in sé stessi la retribuzione dovuta al loro traviamento».

Avremo modo di commentare e di analizzare brevemente questi testi nel proseguo dell’articolo ma quello che adesso è maggiormente interessante chiarire è che non esiste un testo paolino in cui si ritrovino i motivi espliciti di biasimo per una relazione di tipo omosessuale, insomma una definizione morale netta. Abbiamo invece dei testi e dei termini specifici in cui gli atti omosessuali vengono considerati con biasimo (cf. μαλακοί [molli/effeminati] e ἀρσενοκοίτης [avere rapporti sessuali con un maschio come con un femmina]. Avremo anche modo nel corso dell’articolo di soffermarci più nello specifico su questi termini, ora è necessario cogliere la demarcazione tra sessualità e genitalità, tra corporeità e personalità. La differenza è sottile ma sostanziale, soprattutto per i nostri tempi in cui il parlare di omosessualità e di diritto di cittadinanza dell’omosessualità nel mondo moderno, porta inevitabilmente a sfociare nell’ideologia politica. Ma ai tempi in cui San Paolo scrive questo problema non si pone minimamente, per il semplice fatto che è un tempo scevro da qualsiasi ideologia e moralismo puritano.

Molti dei contemporanei di San Paolo trattano il tema dell’omosessualità così come generalmente veniva considerata già nel mondo antico. Diverse testimonianze ci vengono dal mondo greco-romano, così come anche da quelle popolazioni mesopotamiche pagane con cui gli ebrei vennero a contatto. In alcune città la libertà sessuale era talmente conclamata — pensiamo ad esempio alla città di Corinto — che lo stesso toponimo diventerà il sinonimo per intendere il libertinaggio. Dire che un uomo o una donna vivevano “alla corinzia” indicava delle condotte sessuali abbastanza libere e spregiudicate. Così come possiamo leggere nel saggio di Eva Cantarella che la bisessualità era una condizione quasi stabile dello stile sessuale dell’uomo antico; ed è proprio in questo clima sociale e culturale che San Paolo vive e svolge il suo ministero di apostolo (cf. Secondo Natura, la bisessualità nel mondo antico, 2025, Universale Economica Feltrinelli).

Per gli ebrei la repulsione verso un comportamento sessuale di tipo omosessuale era assodata in diversi documenti. Sarebbe interessante interrogarci se le prescrizioni scritte trovavano poi una corrispondenza applicativa nella vita reale così come nella Lex Scatinia dell’era repubblicana romana. Nella società ebraica queste posizioni normative non fondano di per sé una precisa etica sessuale ma sono più confacenti alla stigmatizzazione del mondo pagano che l’apologetica ebraica ha mantenuto tra i temi fondamentali della sua identità di popolo e nello sforzo di conservazione etnica. Le testimonianze di quello che stiamo dicendo le troviamo non solo dalla lettura delle fonti canoniche (cf. Lv 18,22 e 20,13) ma anche dalla letteratura profana e non canonica (cf. Testamenti dei XII Patriarchi; Levi XVII, 11; Filone; Oracoli Sibillini).

La corretta esegesi del libro del Levitico — rispettivamente nei Codici di Purità e di Santità — spesso citati a sproposito da molte anime delicate che affollano le nostre comunità cristiane, proibivano diverse cose avendo come unico scopo la conservazione dell’identità del popolo eletto. La conservazione della purezza e della santità poteva essere perseguita al tempo solo attraverso un atteggiamento separatista da tutto quello che poteva macchiare l’esperienza di salvezza del popolo a partire dagli eventi di liberazione dell’Egitto e del Sinai. E di norma queste separazioni includevano usanze e pratiche alimentari e morali di quei popoli confinanti che non entravano all’interno dell’alleanza con Dio. Con una battuta possiamo sintetizzare come i Padri Levitici ti mandavano all’inferno se ti facevi una scorpacciata di gamberi e di aragoste — cibi considerati tħarèf ―, mentre invece non ti ci mandavano se avevi dei rapporti con una prostituta che fosse rigorosamente kāshēr. Allo stesso modo al giorno d’oggi ci sono ancora cristiani che vedono nell’individuo tatuato o omosessuale ― pratiche considerate tħarèf dal Levitico ― il sigillo sicuro del demonio ma non vedono il demonio nel loro reiterato atteggiamento di non perdono e rancore verso qualche parente o conoscente o nell’atteggiamento di divisione e scandalo dentro la Chiesa di Dio attraverso i loro giudizi temerari che smembrano il corpo di Cristo nelle sue membra più povere e gravate dal peccato.

Per questo l’esperienza apostolica di San Paolo è fondamentale perché ci fa capire come non è più richiesto lo sforzo prometeico dell’uomo per mantenersi giusto, puro e santo davanti a Dio, cosa che la Legge antica prometteva con l’osservanza scrupolosa delle sue innumerevoli prescrizioni, senza peraltro riuscirci. La Legge antica rivela il peccato e lo rende consapevole ma non riesce ad eliminarlo a meno che non si riceva la salvezza attraverso Gesù Cristo che supera la Legge. Ora entrati pienamente dentro la grazia che Cristo ci ha meritato con il suo sacrificio sulla croce possiamo sovrabbondare di misericordia anche davanti alla sovrabbondanza del peccato e dei peccati attuali che molti convertiti cristiani avevano commesso e di cui troviamo un elenco nella Prima Lettera ai Corinzi:

"Make no mistake: neither fornicators, born idolatry, nor adulterers, ne prostitutes, born sodomiti, nor thieves, nor covetous, nor drunkards, not cursed, nor will they extortionately inherit the kingdom of God. E tali eravate alcuni di voi; but you have been washed, you have been sanctified, you have been justified in the name of the Lord Jesus Christ and in the Spirit of our God!» (cf. 1Color 6,9-11)

Sanluri, 25 November 2025

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SAINT PAUL AND HOMOSEXUALITY: AN ANTE LITTERAM HOMOPHOBIA, OR A MAN TO BE UNDERSTOOD? (first part)

“Do not be deceived: neither fornicators nor idolaters nor adulterers nor boy prostitutes nor sodomites nor thieves nor the greedy nor drunkards nor slanderers nor robbers will inherit the kingdom of God. And this is what some of you used to be; but you were washed, you were sanctified, you were justified in the name of the Lord Jesus Christ and in the Spirit of our God.” (1 Cor 6,9–11)

— Ecclesial actuality —

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Author
Ivano Liguori, Ofm. Cap.

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Was Saint Paul homophobic? No — he was a man of his own time. How many Christians, when reading certain passages of Saint Paul, have had the impression that the Apostle of the Gentiles was somewhat too severe, to the point of being branded — and not only in our day — as a misogynist and a homophobe. To pronounce such a disdainful judgement upon any person is entirely inappropriate, all the more so when the individual in question lived in the first century A.D., far removed from us not only in terms of chronology, but also sociological context.

Let us be clear: certain assessments and expressions — including those used by Saint Paul in his Letters — must always be read within the cultural, social, historical, and theological framework in which they were formulated, avoiding the grave mistake of interpreting the past with the conceptual criteria of modernity.

A sober historical awareness is indispensable if we wish to understand questions and persons. And Saint Paul, a man of his time and a son of his social and religious culture, never renounced his identity; indeed, he made of it a point of pride even after his conversion to Christ, as abundantly attested in the Acts of the Apostles and in his Letters:

“I am a Jew, born at Tarsus in Cilicia, but brought up in this city, educated at the feet of Gamaliel according to the strict manner of the law of our fathers, being zealous for God, as all of you are this day” (Acts 22:3). “The tribune went and asked him, ‘Tell me, are you a Roman citizen?’ He replied, ‘Yes.’ The tribune answered, ‘I acquired this citizenship for a large sum.’ Paul said, ‘But I was born a citizen’” (Acts 22:27–28). “Circumcised on the eighth day, of the people of Israel, of the tribe of Benjamin, a Hebrew born of Hebrews; as to the law, a Pharisee; as to zeal, a persecutor of the Church; as to righteousness under the law, blameless” (Phil 3:5–6). “You have heard of my former way of life in Judaism, how I persecuted the Church of God violently and tried to destroy it, and I advanced in Judaism beyond many of my own age among my people, so extremely zealous was I for the traditions of my ancestors” (Gal 1:13–14).

As for certain ideological controversies, especially on such heated themes as those found in Saint Paul, it is best to confine them to television studios — places where noise, spectacle, and provocation prevail. There, guests are deliberately invited to create mutual opposition, and a Christian — especially a priest — should never set foot in such an arena, where he will inevitably be treated as a circus curiosity, summoned to entertain the public and become the object upon which all manner of insults may be discharged. To do theology and engage in theological reflection, starting from the datum of faith, requires entirely different intentions and entirely different instruments — and this article seeks to do precisely that.

Let us now consider the elements necessary for a just understanding of certain sexual questions. In my previous article (see HERE), I recalled — though not exhaustively — the broad theme of homosexuality in the ancient world; and I paused in particular to clarify the nature and the species of the sin of the city of Sodom in reference to the biblical text of Genesis 19:1–28 and to the explanations offered by the Pontifical Biblical Commission. The sin of Sodom, which traditionally — at least from the second century A.D. onwards — established in the common imagination the identification of homosexual relations between males, subsequently came to include also a form of heterosexual anal intercourse; hence one may distinguish between homosexual sodomy and heterosexual sodomy (cf. Vocabolario Treccani, s.v. sodomia).

This etymological clarification is necessary because it helps us deepen our understanding of the fact that sodomy does not refer solely to a homosexual practice properly male, but may also involve a heterosexual misuse of sexuality. To an even greater degree, then, the discussion cannot be limited merely to sexual orientation — whether hetero- or homosexual — but must extend to the broader exercise of human sexuality as such, and to its understanding within God’s salvific design.

Let us remember that sexuality itself was created by God as an element of salvation for man and woman; and in this sense, abuse — in its etymological meaning — cannot but generate various disorders, regardless of whether it concerns heterosexual or homosexual acts. The foundation of this vision is not a philosophical reflection upon natural order; it is rather a properly theological reflection that seeks to grasp creation — and therefore sexual and sexed relationships — within the covenantal design. This requires that humanity be fulfilled in the recognition of its Creator, a recognition that implies respect for those differences that shape society, above all the difference between man and woman (cf. Xavier Thévenot, Omosessualità maschile e morale cristiana, 1985). When the Creator is not recognised in any way — when one lives one’s humanity etsi Deus non daretur — then one runs the serious risk of falling into the sin of the city of Sodom, which, in rejecting both God and the stranger, becomes prey to every excess and act of violence — a condition particularly grave, for it renders one both executioner and victim at the same time.

I always recall what my professor of sexual morality insisted upon during our theological studies: in the pastoral care of persons with homosexual orientation, it is essential to enlarge the field of understanding so as not to focus solely and immediately upon genital practice. One must not fixate upon genitality, for human sexuality includes various dimensions; and although certain genital acts constitute an intrinsic and objective disorder, this must never become an impediment for the person who genuinely desires to undertake a human and Christian journey, and who recognises that a differently oriented or disordered genitality may in fact be a source of embarrassment or confusion. The same is true for masturbation, premarital relations, and fornication. We readily understand how certain questions remain open, because Scripture does not aim to address particularities — still less the singularities — of individual situations, which are often conflictual and always situated within a specific historical reality.

It is therefore necessary to acknowledge with serenity the not-so-remote possibility that a man or a woman may misuse sexual identity and genitality. A proper understanding cannot but require a precise theology of the body, united to the specific personality of each subject, so as to suggest the best paths by which to live well and peaceably one’s relationship with oneself — whether heterosexually or homosexually — together with a deeper understanding of one’s own being. The true hypocrisy in matters of sexuality is found in a sort of spiritualist angelism that evaporates the obstacle or sublimates the difficulty, concealing the struggle and thereby increasing the suffering hidden beneath either denial or a pretence of spiritualisation.

How was homosexuality perceived in the time of Paul? In the Letters of the Apostle, homosexuality is not a central theme — though some today may find that difficult to believe, even to the point of scandal. The Apostle is far more concerned with proclaiming and preaching Christ crucified and risen, and the salvation that flows from Him to every human being, within a renewal of life that is not merely chronological — that is, the “before and after” — the passage from sin to grace.

The three Pauline texts in which a homosexual conduct may be discerned are the following:

1 Color 6:9-11: “Do you not know that the unjust will not inherit the kingdom of God? Do not be deceived: neither fornicators nor idolaters nor adulterers nor boy prostitutes nor sodomites nor thieves nor the greedy nor drunkards nor slanderers nor robbers will inherit the kingdom of God. And this is what some of you used to be; but you were washed, you were sanctified, you were justified in the name of the Lord Jesus Christ and in the Spirit of our God.” 1 Tim 1,10: “We know that the law is good, provided that one uses it as law, with the understanding that the law is not intended for a righteous person but for those who are lawless and unruly, the godless and sinful, the unholy and profane, those who kill their fathers or mothers, murderers, the sexually immoral, sodomites, kidnappers, liars, perjurers, and whatever else is opposed to sound teaching, according to the glorious gospel of the blessed God, which I have been entrusted with.” Rom 1,24–27: “Therefore, God handed them over to impurity through the lusts of their hearts for the mutual degradation of their bodies. They exchanged the truth of God for a lie and revered and worshiped the creature rather than the creator, who is blessed forever. Amen. Therefore, God handed them over to degrading passions. Their females exchanged natural relations for unnatural, and the males likewise gave up natural relations with females and burned with lust for one another, males doing shameful things with males and receiving in their own persons the due penalty for their error.”

We shall have occasion to comment upon and briefly analyse these texts later in the article. What is important to clarify now is that there is no Pauline text in which we find an explicit moral condemnation of a homosexual relationship as such — no fully developed moral definition. Rather, we find specific terms and specific actions treated with moral disapproval (cf. μαλακοί, “soft, effeminate”; ἀρσενοκοίτης, “a man who lies with a male as with a woman”). We shall examine these terms more closely later. For the moment, it is necessary to grasp the distinction between sexuality and genitality, between embodiment and personality. The difference is subtle yet substantial — particularly in our time, when discussions of homosexuality and the supposed “right of citizenship” of homosexuality in modern society inevitably drift into ideological and political terrain.

But in the time when Saint Paul wrote, this problem did not arise in the slightest, for the simple reason that his was a period entirely free of ideological frameworks and puritan moralism.

Many of Paul’s contemporaries addressed the theme of homosexuality in the same manner in which it was generally viewed throughout the ancient world. Various testimonies come to us from the Greco-Roman world, as well as from the Mesopotamian pagan cultures with which the Jews came into contact. In certain cities, sexual liberty was so pronounced — Corinth, for example — that the very name of the city became a synonym for licentiousness. To say that a man or woman lived “in the Corinthian manner” indicated sexual conduct that was notably free and unrestrained.

We may also recall, as Eva Cantarella notes, that bisexuality was a nearly stable condition of ancient male sexuality; and it was very much in this social and cultural environment that Saint Paul lived and exercised his apostolic ministry (cf. Secondo Natura. La bisessualità nel mondo antico, Feltrinelli, 2025).

Among the Jews, rejection of homosexual conduct was firmly established in various documents. It would be interesting to ask whether written prescriptions actually found concrete application in daily life — as in the case of the Lex Scatinia in the Roman Republic. In Jewish society these normative positions did not in themselves constitute a fully developed sexual ethic; rather, they served primarily to mark a boundary against the pagan world, a boundary that Jewish apologetics had long upheld as essential to its identity and to the preservation of the people. Testimonies of this attitude may be found not only in canonical sources (cf. Lev 18,22; 20,3) but also in non-canonical Jewish literature (cf. Testaments of the Twelve Patriarchs, Levi XVII, 11; Philo; the Sibylline Oracles).

A correct exegesis of the Book of Leviticus — particularly with regard to the Codes of Purity and of Holiness — often quoted with little understanding by the more delicate souls who populate our Christian communities, reveals that many prohibitions had one principal aim: the preservation of the identity of the chosen people. Purity and holiness could, at that time, be safeguarded only through a stance of separation from anything capable of contaminating the experience of salvation — an experience rooted in the events of the Exodus and Sinai. This separation included dietary and moral practices of neighbouring peoples who did not belong to the covenant with God.

In a somewhat humorous summary, one might say that the Levitical Fathers would send you to hell for feasting on prawns and lobsters — foods considered ṭarèf — but not for visiting a prostitute, provided she was rigorously kāshēr. Likewise, even today there are Christians who see in a tattooed or homosexual person — practices deemed ṭarèf by Leviticus — the unmistakable mark of the devil, yet fail to recognise the presence of the devil in their own repeated refusal to forgive, in longstanding resentment towards relatives or acquaintances, or in the divisive and scandalous attitudes within the Church expressed through rash judgments that tear apart the Body of Christ in its poorest and most burdened members.

For this reason the apostolic experience of Saint Paul is crucial: it shows that the Promethean effort of human beings to keep themselves righteous, pure, and holy before God — something the Old Law promised through meticulous observance of innumerable prescriptions, yet could never accomplish — is no longer required. The ancient Law reveals sin and makes one conscious of it, but cannot remove it, unless one receives salvation through Jesus Christ, who surpasses the Law. Now, having entered fully into the grace Christ has gained for us through His sacrifice on the Cross, we may abound in mercy even in the face of an abundance of sin — including the sins formerly committed by many Christian converts, enumerated in the First Letter to the Corinthians:

“Do not be deceived: neither fornicators nor idolaters nor adulterers nor boy prostitutes nor sodomites nor thieves nor the greedy nor drunkards nor slanderers nor robbers will inherit the kingdom of God. And this is what some of you used to be; but you were washed, you were sanctified, you were justified in the name of the Lord Jesus Christ and in the Spirit of our God.” (1 Cor 6,9–11)

Sanluri, 25 November 2025

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EL APÓSTOL PABLO Y LA HOMOSEXUALIDAD: ¿UNA HOMOFOBIA ANTE LITTERAM O UN HOMBRE QUE DEBE SER COMPRENDIDO? (first part)

And if we still have some hair left on our stomachs, we would come to discover that even Holy Scripture seems to be obsessed with homosexuality and homosexuals. We found out, For example, that David and Jonathan may have been more than just friends; that Sodom and Gomorrah are the capitals of LGBT+ love, and that even Jesus, with his apostles and with Lazarus of Bethany, I had something to hide; in summary, absolutely no one is saved anymore.

- Ecclesial news -

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Author
Ivano Liguori, Ofm. Cap.

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San Pablo, ¿homófobo? No: simplemente un hombre de su tiempo. Cuántos cristianos, al leer ciertos pasajes de San Pablo, habrán tenido la impresión de que el Apóstol de los Gentiles era demasiado rígido, hasta el punto de ser señalado — y no sólo en la actualidad — como misógino y homófobo. Emitir un juicio tan despreciativo sobre una persona es totalmente improcedente, sobre todo cuando dicha persona vivió en el siglo I d.C., tan distante de nosotros no sólo cronológicamente, sino también sociológica y culturalmente.

Conviene aclararlo: ciertas valoraciones y expresiones — incluidas aquellas que San Pablo emplea en sus Cartas — deben leerse siempre dentro del contexto cultural, social, histórico y teológico en el que fueron formuladas, evitando el error de juzgar hechos y personas del pasado con los criterios propios de la modernidad.

Un sano sentido histórico es imprescindible para comprender las cuestiones y a los hombres. Y San Pablo, hombre de su tiempo e hijo de su cultura social y religiosa, nunca renegó de su identidad; es más, hizo de ella un motivo de orgullo incluso después de su conversión a Cristo, como testimonian abundantemente los Hechos de los Apóstoles y sus Cartas:

«Yo soy judío, nacido en Tarso de Cilicia, pero criado en esta ciudad, educado a los pies de Gamaliel conforme a la estricta observancia de la Ley de nuestros padres, lleno de celo por Dios, como lo sois hoy todos vosotros» (cf. Hch 22,3). «El tribuno se presentó y le dijo: “Dime, ¿eres tú ciudadano romano?”. Él respondió: “Sí”. Replicó el tribuno: “Yo esa ciudadanía la obtuve por una gran suma de dinero”. Pablo dijo: “Pues yo la tengo de nacimiento”» (Hch 22,27-28). «Circuncidado al octavo día, del linaje de Israel, de la tribu de Benjamín, hebreo hijo de hebreos; en cuanto a la Ley, Pharisee; en cuanto al celo, perseguidor de la Iglesia; en cuanto a la justicia basada en la Ley, irreprochable» (cf. Flp 3,5-6). «Habéis oído hablar ciertamente de mi conducta en otro tiempo en el judaísmo: cómo perseguía con furor a la Iglesia de Dios y la devastaba, aventajando en el judaísmo a muchos de mis compatriotas de mi misma edad, extremadamente celoso de las tradiciones de mis padres» (cf. Ga 1,13-14).

Por lo que respecta, instead, a ciertos debates ideológicos — especialmente sobre temas candentes como los que aparecen en s an Pablo —, más vale dejarlos circunscritos a los debates televisivos, donde casi siempre reina el ruido y el espectáculo. Son lugares donde se invita deliberadamente a determinados participantes para provocar enfrentamientos, y donde un cristiano fiel — y más aún un sacerdote — no debería poner jamás un pie, porque será siempre visto como una atracción circense destinada a divertir al público y sobre la que se descarga toda clase de improperios. Hacer teología —teología verdadera — partiendo del dato de fe significa actuar con otras intenciones y con otros medios, y es eso precisamente lo que este artículo intenta hacer.

Pasemos ahora a algunos elementos necesarios para una correcta comprensión de determinados aspectos de la sexualidad. En mi artículo anterior (see HERE) recordé — aunque sin pretensiones de exhaustividad — el amplio tema de la homosexualidad en el mundo antiguo, y me detuve en particular a aclarar la naturaleza y la especie del pecado de la ciudad de Sodoma según el texto bíblico de Génesis 19,1-28 y las precisiones ofrecidas por la Pontificia Comisión Bíblica. The sin of Sodom, que tradicionalmente — al menos desde el siglo II d. (C). en adelante — inauguró en el imaginario común la identificación de las relaciones homosexuales entre varones, pasó posteriormente a incluir también ciertas prácticas heterosexuales, en concreto el coito anal; de ahí que sea posible distinguir entre sodomía homosexual y sodomía heterosexual (cf. Diccionario de la lengua italiana Treccani, voz sodomìa).

Esta aclaración etimológica es necesaria porque nos ayuda a profundizar en el hecho de que la sodomía no se refiere únicamente a la expresión de una práctica homosexual masculina en sentido estricto, sino también al abuso de la sexualidad ejercido en clave heterosexual. Con mayor razón, el debate ya no puede limitarse a una cuestión de orientación sexual — homo u heterosexual — sino que debe ampliarse al ejercicio más amplio de la sexualidad humana como tal, y a su comprensión dentro del plan de salvación querido por Dios.

Recordemos que también la sexualidad ha sido creada por Dios como un elemento de salvación para el hombre y la mujer, y que en este sentido el abuso — en su significado etimológico — no puede sino generar diversas problemáticas, independientemente de que se trate de una sexualidad orientada hacia el otro sexo o hacia el mismo sexo. El fundamento de esta visión no es una reflexión filosófica sobre el orden natural; is, rather, una reflexión propiamente teológica que busca comprender la creación — y, therefore, las relaciones sexuadas y sexuales — dentro del designio de la Alianza. Esto exige que la humanidad se realice en el reconocimiento de su Creador, reconocimiento que implica el respeto por las diferencias que sustentan la sociedad, especialmente la diferencia entre hombre y mujer (cf. Xavier Thévenot, Homosexualidad masculina y moral cristiana, 1985).

Cuando el Creador deja de ser reconocido de cualquier modo, cuando se vive la propia humanidad etsi Deus non daretur, existe la seria posibilidad de incurrir en el pecado de la ciudad de Sodoma que, al no reconocer ni acoger a Dios y al extranjero, queda presa de todo exceso y violencia: una condición especialmente grave, porque hace de la persona al mismo tiempo verdugo y víctima.

Recuerdo siempre lo que advertía mi profesor de moral sexual durante los cursos en la facultad de teología. En la atención pastoral de las personas con orientación homosexual es fundamental ampliar el campo de comprensión para no focalizarse inmediatamente, ni exclusivamente, en la práctica genital. No se debe detener la mirada en la genitalidad, puesto que la sexualidad humana comprende diversos factores; y aunque determinados actos genitales constituyan un desorden intrínseco y objetivo, esto no debe convertirse en un impedimento para la persona que desea recorrer un camino humano y cristiano, y que reconoce que una genitalidad orientada de manera diversa o desordenada puede constituir un motivo real de vergüenza o confusión. Esto es igualmente válido para la masturbación, para las relaciones prematrimoniales y para la fornicación. Comprendemos así que ciertas cuestiones permanecen abiertas, porque el punto de vista de la Biblia no consiste en abordar las particularidades — y menos aún las singularidades — de situaciones que, la mayoría de las veces, son conflictivas y están situadas dentro de un contexto histórico preciso.

Es necesario, well, reconocer serenamente la posibilidad — nada remota — de que un hombre o una mujer puedan abusar de su identidad sexual y de su propia genitalidad. La comprensión adecuada no puede prescindir de una teología precisa de la corporeidad, unida a la personalidad concreta de cada sujeto, para poder sugerir los mejores caminos posibles que permitan vivir bien y serenamente una relación consigo mismo — ya sea heterosexual u homosexual — junto a una comprensión más profunda de su propio ser. La auténtica hipocresía en estas temáticas sexuales se halla en el angelismo que evapora el obstáculo, lo sublima, oculta el problema y aumenta el sufrimiento que permanece escondido ya sea bajo la negación o bajo una apariencia de espiritualización.

¿Cómo se percibía la homosexualidad en tiempos de Pablo? En las Cartas del Apóstol la homosexualidad no constituye un tema central, aunque algunos — todavía hoy — se resistan a creerlo y quizá incluso se escandalicen. El Apóstol está mucho más interesado en anunciar y predicar a Cristo crucificado y resucitado, y la salvación que de Él alcanza a todo ser humano dentro de una renovación de vida que no es meramente cronológica — del antes al después —, that is to say, del paso del pecado a la gracia.

Los tres textos de las Cartas de San Pablo en los que podemos vislumbrar una conducta homosexual son los siguientes:

1 Corintios 6,9-11: «¿No sabéis que los injustos no heredarán el Reino de Dios? No os engañéis: ni los inmorales, ni los idólatras, ni los adúlteros, ni los afeminados (malakoí), ni los sodomitas (arsenokoîtai), ni los ladrones, ni los avaros, ni los borrachos, ni los calumniadores ni los rapaces heredarán el Reino de Dios. Y esto erais algunos de vosotros; pero habéis sido lavados, habéis sido santificados, habéis sido justificados en el nombre del Señor Jesucristo y en el Espíritu de nuestro Dios». 1 Timothy 1,10: «Sabemos que la Ley es buena, con tal de que se la use legítimamente, considerando que la Ley no está establecida para el justo, sino para los transgresores y los rebeldes, para los impíos y pecadores, para los sacrílegos y profanadores, para los parricidas y matricidas, para los homicidas, los fornicadores, los sodomitas (arsenokoîtai), los traficantes de seres humanos, los mentirosos, los perjuros y para todo cuanto se oponga a la sana doctrina, según el Evangelio de la gloria del Dios bendito que me ha sido confiado». Romans 1,24-27: «Por eso Dios los entregó a la impureza según los deseos de su corazón, de modo que deshonraron sus cuerpos entre sí, pues cambiaron la verdad de Dios por la mentira y adoraron y sirvieron a la criatura en lugar del Creador, que es bendito por los siglos. Amen. Por eso Dios los entregó a pasiones infames: sus mujeres cambiaron las relaciones naturales por las que son contra naturaleza. Del mismo modo los hombres, abandonando la relación natural con la mujer, se encendieron en deseos los unos por los otros, cometiendo actos vergonzosos varón con varón y recibiendo en sí mismos la paga merecida por su extravío».

Recordemos que también la sexualidad ha sido creada por Dios como un elemento de salvación para el hombre y la mujer, y que en este sentido el abuso — en su significado etimológico — no puede sino generar diversas problemáticas, independientemente de que se trate de una sexualidad orientada hacia el otro sexo o hacia el mismo sexo.El fundamento de esta visión no es una reflexión filosófica sobre el orden natural; is, rather, una reflexión propiamente teológica que busca comprender la creación — y, therefore, las relaciones sexuadas y sexuales— dentro del designio de la Alianza. Esto exige que la humanidad se realice en el reconocimiento de su Creador, reconocimiento que implica el respeto por las diferencias que sustentan la sociedad, especialmente la diferencia entre hombre y mujer (cf. Xavier Thévenot, Homosexualidad masculina y moral cristiana, 1985).

Cuando el Creador deja de ser reconocido de cualquier modo, cuando se vive la propia humanidad etsi Deus non daretur, existe la seria posibilidad de incurrir en el pecado de la ciudad de Sodoma que, al no reconocer ni acoger a Dios y al extranjero, queda presa de todo exceso y violencia: una condición especialmente grave, porque hace de la persona al mismo tiempo verdugo y víctima.

Tendremos ocasión de comentar y analizar brevemente estos textos en la continuación del artículo, pero lo que ahora importa aclarar es que no existe en San Pablo un texto donde aparezca una condena explícita de una relación homosexual en cuanto tal, that is to say, una definición moral plenamente desarrollada en sentido moderno. Lo que sí encontramos son términos concretos que describen actos considerados con reprobación: — malakoí (μαλακοί), literalmente “blandos”, “afeminados”; — arsenokoîtai (ἀρσενοκοίτης), “quienes tienen trato sexual con varones como con una mujer”. Tendremos además ocasión, en el curso del artículo, de detenernos en estos términos con mayor precisión; ahora es necesario captar la distinción entre sexualidad y genitalidad, entre corporeidad y personalidad. La diferencia es sutil, pero sustancial — sobre todo en nuestro tiempo —, donde hablar de homosexualidad y del “derecho de ciudadanía” de la homosexualidad en el mundo moderno desemboca inevitablemente en la ideología política. Pero en la época en que San Pablo escribe, este problema simplemente no existe: es un tiempo libre de cualquier ideología y de cualquier moralismo puritano.

Muchos contemporáneos de San Pablo abordan el tema de la homosexualidad del mismo modo en que era comprendida en general en el mundo antiguo. Numerosos testimonios provienen del ámbito grecorromano, así como de los pueblos mesopotámicos paganos con los que los judíos entraron en contacto. En algunas ciudades, la libertad sexual estaba tan difundida — pensemos, For example, en Corinto — que el mismo topónimo llegó a convertirse en un sinónimo de libertinaje. Decir que un hombre o una mujer vivían “a la corintia” significaba describir conductas sexuales bastante libres y poco escrupulosas. Y como podemos leer en el estudio de Eva Cantarella, la bisexualidad era una condición casi estable en el estilo sexual del hombre antiguo; y es precisamente en este ambiente social y cultural donde San Pablo vive y desarrolla su ministerio de apóstol (cf. Eva Cantarella, Segundo natura. La bisexualidad en el mundo antiguo, Feltrinelli, 2025).

Para los judíos, la repulsión hacia un comportamiento sexual de tipo homosexual estaba bien establecida en diversos documentos. Sería interesante preguntarnos si las prescripciones escritas encontraban luego una aplicación concreta en la vida real, del mismo modo que ocurría con la Lex Scatinia de la época republicana romana. En la sociedad judía, estas posiciones normativas no constituyen en sí mismas una ética sexual plenamente desarrollada; más bien corresponden a la estigmatización del mundo pagano, que la apologética judía mantuvo entre los pilares fundamentales de su identidad y de su esfuerzo por preservar su especificidad étnica.

Los testimonios de lo que decimos se hallan no sólo en las fuentes canónicas (cf. Lv 18,22; 20,13), sino también en la literatura profana y no canónica (cf. Testamentos de los Doce Patriarcas, Leví XVII, 11; Filón; Oráculos Sibilinos).

La correcta exégesis del libro del Levítico — en los llamados Códigos de Pureza and de Santidad —, a los que muchos cristianos delicados apelan sin conocimiento, prohibía diversas prácticas con un único objetivo: la conservación de la identidad del pueblo elegido. La pureza y la santidad debían ser preservadas mediante un separatismo ritual respecto a todo lo que pudiera “contaminar” la experiencia de salvación del pueblo, a partir de los eventos fundacionales del Éxodo y del Sinaí. Normalmente, estas separaciones incluían prácticas alimentarias y morales de los pueblos vecinos que no participaban de la alianza con Dios.

Podemos resumirlo con una ironía muy precisa: los Padres Levíticos te enviaban al infierno por darte un atracón de camarones o langostas — alimentos considerados ṭharèf —, pero no te enviaban al infierno si tenías relaciones con una prostituta siempre que fuese estrictamente kāshēr.

In the same way, hoy en día sigue habiendo cristianos que ven en el tatuado o en el homosexual — prácticas que el Levítico clasificaba como ṭharèf — una señal infalible del demonio, pero son incapaces de ver al demonio en su permanente falta de perdón, en su rencor, o en su división dentro de la Iglesia, mediante juicios temerarios que desgarran el Cuerpo de Cristo, especialmente en sus miembros más pobres y heridos por el pecado.

Por eso la experiencia apostólica de San Pablo es fundamental: nos hace comprender que ya no se exige el esfuerzo prometeico del ser humano para mantenerse justo, puro y santo delante de Dios, cosa que la antigua Ley prometía a través de la observancia escrupulosa de innumerables prescripciones, sin lograr jamás llevarla a plenitud. La Ley antigua revela el pecado y lo hace consciente, pero no es capaz de eliminarlo, a no ser que se reciba la salvación mediante Jesucristo, que supera la Ley.

Now, habiendo entrado plenamente en la gracia que Cristo nos ha merecido con su sacrificio en la cruz, podemos sobreabundar en misericordia incluso frente a la sobreabundancia del pecado y de los pecados concretos que muchos cristianos convertidos habían cometido, y de los que encontramos un elenco en la Primera Carta a los Corintios:

«No os engañéis: ni los inmorales, ni los idólatras, ni los adúlteros, ni los afeminados, ni los que se acuestan con varones, ni los ladrones, ni los avaros, ni los borrachos, ni los difamadores, ni los rapaces heredarán el Reino de Dios. Y esto erais algunos de vosotros; pero habéis sido lavados, habéis sido santificados, habéis sido justificados en el nombre del Señor Jesucristo y en el Espíritu de nuestro Dios» (1 Color 6,9-11).

Sanluri, 25 November 2025

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