From Professor Alessandro Barbero a Saint Francis "under the crust". when holiness is combined with history

FROM PROFESSOR ALESSANDRO BARBERO A SAINT FRANCIS "UNDER THE CRUST". QUANDO LA SANTITÀ SI CONIUGA CON LA STORIA

Lo storico Alessandro Barbero non è un cattolico, he is a layman, ma su San Francesco racconta più verità di quante se ne siano sentite dai devoti cattolici sulla vita del Poverello. Ciò allo stesso modo in cui, nella cinematografia, il Francesco più aderente al reale lo rappresentò la regista Liliana Cavani, atea e comunista, attraverso un giovane e virile Mickey Rourke. Con buona pace per il talento e la memoria del regista Franco Zeffirelli, che invece rappresentò un San Francesco sdolcinato e completamente de-virilizzato.

- ecclesial news -

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Author
Ivano Liguori, Ofm. Cap.

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Da qualche giorno ho iniziato la lettura del nuovo libro su San Francesco d’Assisi del professor Alessandro Barbero, volto ormai noto e apprezzato non solo nell’ambito accademico.

Mickey Rourke interpreta Francesco d’Assisi nel film della regista Liliana Cavani (Italy, 1989)

Come storico ha intrapreso con successo una buona attività di divulgazione di quella materia ― la storia ― che è sempre stata oggetto di noia per molti ai tempi della scuola, forse più per la metodologia con cui veniva spiegata e posta agli studenti che per l’oggetto stesso del suo studio.

Il merito di questo divulgatore è senza dubbio di aver avvicinato un vasto pubblico alla storia e ad argomenti di carattere storico, così come il giornalista Indro Montanelli fece con i suoi libri e interviste sulla Storia d’Italia che potremmo definire una storia d’inchiesta, come solo un provetto ed esperto giornalista sa fare.

La storia è magistra vitae e conoscere la storia, quella senza coloriture ideologiche, che ha tante contraddizioni e buchi neri, quella non scritta dai soli vincitori, quella dei fatti e delle fonti è estremamente utile per conoscerci e per sapere come orientare il futuro e forse anche per evitare di commettere errori madornali. Ma non sempre è così purtroppo.

Fino a quando questo discorso lo si applica alle guerre mondiali, ai fatti della storia recente e dell’antichità siamo forse tutti d’accordo, ma quando la storia tocca argomenti e tematiche più particolari come l’agiografia o la teologia che cosa succede? well, bisogna saper mantenere un giusto equilibrio tra le parti e le discipline ma personalmente credo che saper fare una buona storia, e partire da una buona base storica riguardo ai temi trattati dalla agiografia e dalla teologia, sia estremamente importante per comprendere come Dio è capace di operare nella vita degli uomini, proprio in quella maniera umana non priva di contraddizioni, di lentezze, di sorprese che apparentemente contraddicono una certa idea devota di azione divina e di santità.

Per quanto riguarda la vita di San Francesco, questa realtà è stata evidente da subito dopo la sua morte e in vista della sua rapida canonizzazione. We, suoi frati e prosecutori dei suoi ideali, abbiamo avuto forse troppo una preoccupazione conservativa che ci ha portato a vedere (e a far vedere) frate Francesco come un modello inarrivabile, fino a considerarlo ― come poi l’iconografia avrà modo di esplicitare meglio ― un nuovo Cristo in terra e questo non solo a motivo del dono delle sacre stimmate che furono l’ultimo sigillo che il Verbo di Dio gli conferì (cf. Dante Alighieri, Paradiso, XI canto) ma anche grazie ad alcune colorazioni biografiche che le versioni ufficiali hanno presentato.

Mind you, da moderni non vogliamo fare nessun processo alla Legenda maior di San Bonaventura che contribuì a fissare nella memoria collettiva l’immagine di San Francesco essenzialmente mistico e protagonista solo di eventi favolosi e che ribadivano la sua somiglianza con Cristo. In quel momento storico in senso più ampio possibile ― per la società medievale, per la Chiesa Cattolica, per la stessa sopravvivenza dell’Ordine dei Minori ― un procedimento agiografico più che biografico come quello operato da San Bonaventura era quasi obbligato.

Si cercavano sicurezze e stabilità e lui con la sua astuzia e intelligenza è riuscito nel compito. Si cercava soprattutto un modello e spesso questo desiderio portava a descrivere con perfezione le gesta di un “uomo santo”, omettendo quelle parti di normale fragilità e umanità che invece sono le prime a testimoniare la santità di una persona se teniamo in buon conto l’insegnamento di San Gregorio Magno: «miracula que sanctitatem non faciunt sed ostendum» (i miracoli non creano la santità, ne sono però manifestazione o dimostrazione)

Tracciare una figura di San Francesco così aulica e inarrivabile ha forse costituito per tanti un traguardo irraggiungibile, più una legenda che una vera e propria vita; una storia che doveva essere letta per scaldare il cuore con buone e sante ispirazioni e insegnamenti morali e religiosi non sempre però realmente percorribili, distanti da quella ferialità dei suoi frati e dei suoi devoti.

Credo che questo abbia anche contribuito al proliferare nei secoli successivi, di quelle visioni di vita di San Francesco, più accomodanti e percorribili che sono diventate tanto care a una modernità ideologica e schierata come la nostra: il Francesco pacifista, ecologist, animal rights activist, vegano, precursore del dialogo interreligioso accomodante, pauperista, comunista before letter. Visioni più percorribili forse nell’oggi ma totalmente false e distanti dalle reali intenzioni del Poverello di Assisi.

Com’ebbi già modo di sottolineare in un altro mio articolo (you see WHO) San Francesco è una persona, prima che un santo, estremamente complicata, dentro un periodo storico ed ecclesiale altrettanto complicato, per cui solo una ricerca storica oggettiva e sana può ricostituirlo all’interno di un discorso che tenda il più possibile al vero, a quel Francesco di Pietro di Bernardone zero, quello che si intravede sotto la crosta di tante amenità a cui ha dovuto, obtorto neck, seraficamente sottostare e forse anche sopportare.

Il merito dello storico Barbero ― come di altri che si sono interessati di San Francesco, penso a Franco Cardini e a Chiara Frugoni ― è descriverlo come un uomo dentro una storia ben precisa, un uomo tormentato, Lasted, capace di gesti dolcissimi e di asprezze inaspettate, un uomo aperto alla trascendenza e alle contraddizioni del suo tempo.

La lettura storica di San Francesco ci permette di crescere anche nella conoscenza di una Chiesa medievale che per il Poverello non costituisce un motivo di scandalo a differenza dei tanti movimenti a lui contemporanei caduti nell’eresia e nella violenza scismatica. Tirare per la giacchetta San Francesco come un fustigatore dei costumi della Chiesa ― e della Chiesa come corpo istituzionale ― è quanto mai improprio. Questo lo fecero altri e se mai anche con ragione ma San Francesco non lo fece, né lo desiderò, per lui la Chiesa era quella, la migliore possibile esistente perché così voluta da Cristo, non dunque una rifondazione utopica dalle basi ma un rinnovamento in interiore homine che poi sarà il cuore dalla sua form of life che si esplicita con tutta la passione nell’estensione della Regola non bollata.

San Francesco ama la Chiesa Cattolica, his, quella che dal 1182 in poi lo accompagnerà dal battesimo fino alla sepoltura nella chiesetta di San Giorgio, non un’altra Chiesa ideale. Egli ama e rispetta la gerarchia della Chiesa, dai sacerdoti più poveri e moralmente fragili al suo vescovo di Assisi (Guido) che sarà testimone della sua spogliazione, per arrivare al vescovo di Roma (Innocenzo III e Onorio III) che lo confermeranno nel proposito di vivere without gloss il Santo Vangelo del Signore Nostro Gesù Cristo approvando la form of life. Francesco non è cieco davanti ai fatti ma ha capito che il rinnovamento più efficace è personale, inizia dal di dentro ed è per questo che non giudica ma lascia che lui e i suoi frati siano e diventino quel segno di cambiamento reale – quel lievito buono del Vangelo – che è capace di migliorare tutta quanta la Chiesa Cattolica. Una metodologia di rinnovamento ecclesiale come quella di San Francesco è ancora oggi difficile da trovare nei piani e nei programmi pastorali.

San Francesco è amante e cultore della vita avventurosa del Medioevo, sogna di essere un cavaliere e vede i suoi frati come cavalieri di Cristo senza macchia e puri di cuore. Conosce le mirabolanti avventure fascinose delle Chanson de Geste ed è al contempo testimone delle vicende politico-ecclesiali che hanno condotto alle crociate. Notiamo come Francesco non è critico verso la Chiesa neanche per l’indizione delle crociate. Rimane comunque un uomo del Medioevo e sa che seppur nella loro tragicità anche le crociate hanno un senso e un merito. Furono diversi i santi che si susseguirono dopo di lui che le crociate e le loro ragioni ritenute legittime, le predicarono, tra di essi un altro celebre francescano, Bernardino degli Albizzeschi di Massa Marittima, noto come San Bernardino da Siena. Avendo però conosciuto personalmente le crudeltà della guerra, della battaglia, della prigionia, delle ferite e delle mutilazioni dei suoi compagni, San Francesco sceglie di andare dal Sultano optando una scelta diversa, non quella delle armi ma della Parola.

In Egitto davanti ad Al-Malik al-Kāmil annuncia Cristo e il Vangelo, un’arma ben diversa e più potente della spada, un dialogo che non scade nel politicamente corretto ma in un invito deciso alla conversione del Sultano d’Egitto e Siria a far regnare quel Dio portatore di pace e che dona il pacificatore per eccellenza. Non è sorprendente che il Sultano non si senta offeso dalle parole di San Francesco, ricordiamo che in Egitto erano già presenti i cristiani copti e il Sultano e la sua corte erano abituati a vedere cristiani e ministri ordinati in terra d’Egitto e a disputare con loro. L’atto di San Francesco non è becera propaganda politica alla Chiesa Cattolica ma reale invito di conversione e di salvezza come diversi membri dell’Ordine dei Minori fecero in Marocco e in altri territori di fede islamica trovando molto spesso il martirio nei secoli successivi.

Il libro del Professor Barbero tratta di questi e di altri temi, portando alla luce una immagine di San Francesco che supera l’ideologia e il makeup da immaginetta agiografica. Il merito è senza dubbio quello di poter conoscere un San Francesco scomodo che non può essere categorizzato dentro una singola visione, la sua storia dentro la storia ci permette di apprezzarlo ancora di più e di restituirne una immagine concreta e vivida.

To conclude, la stessa tematica della povertà che San Francesco sogna, sposa e raccomanda è quella che anzitutto si è realizzata con una kenosis di sé stesso come uomo che scopre il suo limite e conosce il suo cuore traballante. La povertà materiale non è il fine ma la conseguenza maturata negli anni di una povertà più vera e più profonda. In questo sì che possiamo assimilare San Francesco a Cristo nella umiliazione-spogliazione di una vita che apparentemente sembra un fallimento agli occhi del mondo. Dopo la morte di San Francesco è proprio sul tema della povertà spirituale che i suoi figli discutono e iniziano con le prime controversie che scaturiranno nelle successive riforme.

La povertà di San Francesco si va costituendo dentro diversi fatti reali della sua storia: nel suo esaurimento fisico e mentale dopo la prigionia della battaglia di Collestrada nel 1202 che lo ridimensiona nei suoi ideali di cavalierato. Nell’incontro con il lebbroso che è l’esempio concreto della spogliazione che ogni malattia impone all’infermo ma è anche il segno evidente che la conversione necessita di determinazione e violenza per essere attuata (cf. Mt 11,12). Fino ad essere rifiutato e non più riconosciuto come capo del suo Ordine che estendendosi in prestigio in buona parte dell’Europa di allora può fare a meno di lui. All’uomo moderno che apprezza in San Francesco la santa povertà si dovrebbe ricordare che questa si conquista facendo diversi passi indietro, nullificandosi, guardando i propri limiti e accettandoli con la perfetta letizia di chi ha saputo mettere tutto nelle mani di Dio.

Lo storico Alessandro Barbero non è un cattolico, he is a layman, ma su San Francesco racconta più verità di quante se ne siano sentite dai devoti cattolici sulla vita del Poverello. Ciò allo stesso modo in cui, nella cinematografia, il Francesco più aderente al reale lo rappresentò la regista Liliana Cavani, atea e comunista, attraverso un giovane e virile Mickey Rourke. Con buona pace per il talento e la memoria del regista Franco Zeffirelli, che invece rappresentò un San Francesco sdolcinato e completamente de-virilizzato.

Auguriamo ad Alessandro Barbero, laico e non cattolico, nella saggezza dell’età che passa, complice anche San Francesco, si possa avvicinare a Dio e trovare in lui, fonte di ogni sapienza, ogni bene.

Sanluri, 9 October 2025

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