Dubbi teologici e giuridici circa la legittima validità delle ordinazioni sacerdotali degli omosessuali – Theological and legal doubts about the legitimate validity priestly ordinations of homosexuals
(English text after the Italian)
DUBBI TEOLOGICI E GIURIDICI CIRCA LA LEGITTIMA VALIDITÀ DELLE ORDINAZIONI SACERDOTALI DEGLI OMOSESSUALI
I requisiti minimi richiesti per la validità del Sacramento dell’Ordine sono: l’uomo, il cristiano, il credente, quindi la corretta percezione del sacerdozio cattolico. Il vero problema non è che la personalità strutturata su radicate tendenze omosessuali non abbia requisiti per diventare sacerdote, ovvio che non ne ha. Il problema è altro e più grave: se mancando i requisiti sacerdote lo diventa, quella sacra ordinazione, oltre a essere illecita, non è che è pure invalida?
— Teologia e Diritto Canonico —

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo
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Non esiste al mondo aggregazione come la Chiesa Cattolica dove la presenza di omosessuali più o meno palesi è così alta, né esiste analoga aggregazione dove gli omosessuali, assieme ai loro stretti sodali, hanno fatto un golpe inserendosi in tutte le “stanze di comando”, lo scrivo da anni (rimando a una mia vecchia intervista del 2013 leggibile QUI).

Con l’avvento dei social media sono proliferati blog sedicenti cattolici dove si rivendica lo sdoganamento dell’agenda LGBT dentro la Chiesa, accusando coloro che lamentano il grave problema dell’alto numero di omosessuali all’interno del clero di essere dei frustrati e repressi irrisolti.
La lobby gay ecclesiastica è così potente da rendere all’occorrenza la vita impossibile a chi ha osato denunciare certe situazioni, spiegando con abbondante anticipo alle Autorità Ecclesiastiche come sarebbero andate a finire le cose. Né va sottovalutato il virulento braccio armato della potente lobby gay ecclesiastica costituito dai gay friendly, la nutrita cordata di coloro che, pur non essendo omosessuali, proteggono i membri della pia confraternita gay per loro personali interessi, o perché mossi da grandi aspettative di carriera, consapevoli che i lobbisti gay possono favorirle, o stroncarle irrimediabilmente all’interno delle diocesi o della Curia Romana. Affermare che presso la Santa Sede, in numerose diocesi, quindi nella Chiesa universale, si sia giunti a un livello di omosessualizzazione interna che ha superato ogni limite di guardia, non è una mera ipotesi fantasiosa ma un dato che può essere negato solo da chi rigetta l’evidenza dei fatti.
Oltre ai gay friendly esistono quelli che ho definiti charming men, la pericolosità dei quali è molto superiore a quella dei gay friendly. Se infatti i gay friendly si prestano ad assecondare con spirito servile i capricci della lobby gay per lucrare da essa benefici e prebende, gli charming men sono coloro che esercitano il loro charme maschile sui membri della pia confraternita degli ecclesiastici gay, creandosi attorno a sé un esercito di servili omosessuali adoranti pronti a fungere da loro braccio armato, bravi come pochi ad aggredire e mordere tutti assieme come un branco di iene sotto impulso o comando del loro charming man. Poi, se lo charming man riesce a esercitare le proprie seduzioni maschili su un uomo di governo affetto da omosessualità latente che gode di un certo potere all’interno della Chiesa, per esempio un vescovo diocesano o un alto prelato della curia romana, a quel punto la carriera ecclesiastica è per lui garantita e i danni che recherà agli altri, in particolare ai temibili “rivali”― coloro che sono dotati di quelle pregevoli qualità umane, morali, teologiche e pastorali che lo charming men non ha ― rasenteranno la inflizione del martirio bianco.
Lo charming man, che per sua natura è egocentrico e ambizioso, si difende senza scrupoli attraverso un connaturato istinto vendicativo-distruttivo, capace a esercitare la cattiveria con metodica crudeltà scientifica verso quanti sono dotati di quel cristologico coraggio sacerdotale che li porta ad affermare e ricordare cos’è giusto e cos’è sbagliato alla luce del Santo Vangelo e della dottrina cattolica. Perché i puri di cuore, al contrario dei lobbisti gay, dei loro gay friendly e charming men, non mirano al tutto e subito dell’immediato, mirano all’eterno.
I REQUISITI PER LA VALIDITÀ DEI SACRAMENTI SONO MINIMI, MA QUEI REQUISITI MINIMI DEVONO SUSSISTERE
Chi pratica la dogmatica sacramentaria sa che questo specifico terreno è delicatissimo, non ultimo perché i requisiti richiesti per la validità dei Sacramenti sono davvero minimi. Tra queste righe ci limiteremo a parlare solo del Sacramento dell’Ordine, partendo da una premessa tesa a liberare subito il campo dalle contestazioni di chi pensasse di poter sostenere che nei testi di dogmatica sacramentaria, in quelli di diritto canonico e nei suoi commentarî non è fatto alcun espresso e chiaro riferimento a quelle materie di carattere sia sessuale sia psico-sessuale alle quale mi riferirò in termini espliciti. Per fugare certi dubbi e liberare il campo da equivoche e insussistenti contestazioni teologiche e giuridiche porterò l’attenzione su un dato incontrovertibile: sino a non molti decenni fa, tutto ciò che riguardava direttamente o indirettamente il sesso e la sessualità umana era sussurrato trasversalmente con eufemismi e giri di parole nei testi di magistero, dottrina e nei trattati di morale cattolica, il solo parlare di certi temi era ritenuta cosa sconveniente. Quando negli àmbiti accademici specialistici si affrontavano temi di morale cattolica legati alla sessualità umana era fatto ricorso a eufemismi latini, perché le stesse parole usate ordinariamente in modo chiaro e preciso nel lessico clinico e scientifico della ginecologia, della urologia e della andrologia, non erano giudicate convenienti all’interno delle aule delle accademie ecclesiastiche. Gli stessi confessori dell’epoca avevano un loro modo di esprimersi, un frasario fatto di vaghi sottintesi indiretti, insegnati ai giovani presbìteri sin dalla loro formazione al sacerdozio. Questo frasario “proprio” dei confessori serviva per alludere senza dover ricorrere a termini impronunciabili banditi dall’ambito accademico ecclesiastico come dal confessionale, soprattutto dalle pubbliche catechesi rivolte al Popolo di Dio. Questo linguaggio era assimilato anche dai fedeli cattolici, in particolare dalle penitenti che dinanzi al confessore si esprimevano per cosiddetti “intesi” e “sottintesi” per ciò che riguardava la sfera sessuale, le relazioni a essa legate e tutto ciò che era attinente alle violazioni del Sesto comandamento.
Proverò a chiarire il tutto con un esempio: correva l’anno 2010 quando una penitente novantenne cresciuta in quel mondo non lontano di secoli ma di pochi decenni, durante una confessione basata su suoi ricordi del passato fece riferimento a quando una volta, in inverno, trovandosi sola «… uscendo di casa purtroppo scivolai». Figlio d’altra epoca come uomo e come prete non compresi e immaginai che trovandosi d’inverno in una zona dove in certi periodi cade la neve, uscendo di casa fosse caduta, forse su una lastra di ghiaccio formatasi dalla neve in un angolo non battuto dal sole, o chissà in qual altro modo scivolò e cadde. Lei capì che non avevo compreso, così fece altre due delicate allusioni più esplicite per farmi capire che aveva commesso un peccato di adulterio, per il quale a distanza di oltre mezzo secolo non riusciva a togliersi di dosso il senso di amarezza che le aveva causato, essendo sempre stata legata da sincero amore al suo consorte. Questo per ribadire che non sarebbe né pertinente né logico contestarmi che certe esposizioni alle quali ricorro in modo chiaro non sono contenute in modo altrettanto chiaro nei testi del magistero, della dottrina, della dogmatica sacramentaria, della morale cattolica e del Codice di Diritto Canonico.
LA LEZIONE DI ORIGENE. LA VIRILITÀ DEL VIR PROBATO COME ELEMENTO IMPRESCINDIBILE PER IL SACERDOZIO CATTOLICO
Il Catechismo della Chiesa Cattolica recita al n. 1577:
«Riceve validamente la sacra ordinazione esclusivamente il battezzato di sesso maschile (“vir“)»[1]. Il Signore Gesù ha scelto uomini (“viri“) per formare il collegio dei dodici Apostoli[2], e gli Apostoli hanno fatto lo stesso quando hanno scelto i collaboratori[3] che sarebbero loro succeduti nel ministero[4]. Il collegio dei Vescovi, con i quali i presbiteri sono uniti nel sacerdozio, rende presente e attualizza fino al ritorno di Cristo il collegio dei Dodici. La Chiesa si riconosce vincolata da questa scelta fatta dal Signore stesso. Per questo motivo l’ordinazione delle donne non è possibile»[5].
Nessuno ha un diritto a ricevere il Sacramento dell’Ordine. Infatti nessuno può attribuire a se stesso questo ufficio. Ad esso si è chiamati da Dio[6]. Chi crede di riconoscere i segni della chiamata di Dio al ministero ordinato, deve sottomettere umilmente il proprio desiderio all’autorità della Chiesa, alla quale spetta la responsabilità e il diritto di chiamare qualcuno a ricevere gli Ordini. Come ogni grazia, questo sacramento non può essere ricevuto che come dono immeritato.
Si noti che il termine latino vir/viri è un sostantivo maschile della II declinazione, con esso si indica principalmente l’uomo, il maschio, l’adulto, la virilità legata al sesso maschile. La negazione e l’antitesi di vir/viri è il termine anch’esso di derivazione latina: evirato, parola che indica la privazione della virilità e derivante anch’essa da vir/viri. Nel linguaggio ecclesiale, per indicare gli uomini idonei ai sacri ordini è usato il termine di viri probati, in uso nella Chiesa dei primi secoli per indicare gli uomini sposati che erano idonei ad accedere al diaconato e al presbiterato[7]. Con il correre del tempo e la libera accettazione dell’obbligo del celibato che affonda le proprie radici sin dalla prima epoca apostolica, nel nostro corrente lessico questa espressione è usata per indicare uomini accertati e come tali affidabili per i sacri ordini. La mancanza di virilità psico-fisica costituisce quindi un impedimento insormontabile alla sacra ordinazione sacerdotale. Impedimento noto e come tale sancito sin dai primi secoli di vita della Chiesa, dinanzi al quale nessuno ha facoltà di dispensare, posto che nessuna Autorità Ecclesiastica può dispensare dall’essere uomo, che è presupposto imprescindibile e fondante del sacerdozio ministeriale.
Nell’anno 230 Origene fu consacrato sacerdote da Teoctiso di Cesarea e da Alessandro di Gerusalemme, senza il benestare del Vescovo Demetrio, che aveva giurisdizione canonica su di lui. Origene, male inteso il passo evangelico nel quale il Signore Gesù fa riferimento agli «eunuchi per il Regno dei Cieli»[8], si era evirato. Questo il motivo per il quale il suo vescovo non aveva mai voluto consacrarlo nell’Ordine Sacerdotale[9]. Dopo quella sacra ordinazione il Vescovo Demetrio, con l’approvazione del Sommo Pontefice Ponziano[10], gli revocò la facoltà d’insegnamento e lo depose dall’Ordine presbiterale[11] per la irregolarità della sua sacra ordinazione, che fu dichiarata nulla. È noto che Origene è l’unico tra i Padri della Chiesa di quella ricca stagione a non essere stato proclamato santo, sebbene imprigionato e torturato durante le persecuzioni anticristiane di Decio; ma soprattutto pur essendo stato, per doti intellettuali e speculative, di livello superiore a vari altri filosofi e teologi di quella prima ricca e felice epoca cristiana. Il motivo di ostacolo alla sua canonizzazione non fu dovuto al fatto che nelle sue grandi e preziose speculazioni filosofico-teologiche ipotizzò il pensiero considerato oggi ereticale della αποκατάστασις[12]; il grande e insormontabile impedimento è tutto legato alla sua evirazione.
In quei primi anni di vita della Chiesa, nei quali erano in corso le prime grandi speculazioni filosofico-teologiche che precedettero e dettero vita ai presupposti e alle materie poi trattate dal primo concilio ecumenico di Nicea nell’anno 325, non era raro che le menti speculative, compresi anche i Padri della Chiesa, cadessero in pensieri ereticali, dai quali poi si emendarono, ciò non impedì né le loro canonizzazioni né la loro proclamazione a Padri della Chiesa.
Il Codice di Diritto Canonico richiamato poco più avanti fa riferimento in modo pudico e edulcorato al fatto che non può essere ordinato sacerdote «chi ha mutilato gravemente e dolosamente se stesso o un altro»[13]. Da questo se ne evince che la orrenda auto-mutilazione di Origene era cosa considerata di per sé peggiore dell’eresia che può essere però sanata attraverso il riconoscimento dell’errore volontario o involontario, ma una virilità fisica distrutta non può essere ripristinata, se non col ricorso a complessi interventi chirurgici praticati dalla moderna chirurgia, anche se con esiti molto incerti.
Domanda pertinente: la castrazione mentale può essere ancòra peggiore della evirazione fisica, posto che la sessualità fisica, con essa la virilità maschile che ne consegue, è una conseguenza tutta quanta mentale, dalla quale la sessualità e il sesso fisico non può prescindere, essendo la sessualità fisica la conseguenza del sesso mentale? È una domanda che da anni rivolgo inutilmente ai membri dell’episcopato, che però non hanno mai risposto.
Mediante il Sacramento dell’Ordine si conferisce la partecipazione al sacerdozio di Cristo secondo la modalità trasmessa dalla successione apostolica. Il sacerdozio ministeriale si distingue dal sacerdozio comune dei fedeli che deriva dal Battesimo e dalla Confermazione. Entrambi, «quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro»[14]. È proprio e specifico del sacerdozio ministeriale essere «una rappresentazione sacramentale di Gesù Cristo Capo e Pastore»[15]. Questo permette di esercitare l’autorità di Cristo nella funzione pastorale di predicazione e di governo, oltre che operare in persona Christi nell’esercizio del ministero sacramentale. Detto questo è chiarito che i primi due imprescindibili presupposti per il conferimento, quindi per la validità del Sacramento, sono l’uomo e il cristiano.
Il Libro IV del Codice di Diritto Canonico, nella parte I che tratta dei Sacramenti, schematizza le «irregolarità e gli altri impedimenti» a ricevere il Sacramento dell’Ordine[16]. Segue un dettagliato elenco di elementi ovvi, per esempio non può essere ordinato sacerdote un pazzo o un affetto da infermità psichica, gli apostati, gli eretici e gli assassini, chi ha mutilato gravemente e dolosamente se stesso o un altro o ha tentato di togliersi la vita, etc … (cfr. testo dei canoni, QUI). Si dovrà però giungere ad “appena ieri”, ovvero all’anno 2005, dopo che in giro per il mondo erano stati immessi nel Sacro Ordine Sacerdotale interi eserciti di omosessuali nei decenni precedenti, con risultati rivelatisi nel tempo devastanti per l’intera Chiesa universale, per vedere finalmente promulgato dall’allora Congregazione per l’educazione cattolica ― competente all’epoca per i seminari, oggi è tornato invece a esserlo il Dicastero per il clero, come del resto era sempre stato in precedenza ―, un documento rimasto purtroppo inascoltata lettera morta in molte case di formazione, nel quale si parla in modo chiaro e preciso Circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri (vedere testo QUI). Insomma, dopo che per anni e anni si è andati avanti dicendo «uscendo di casa sono scivolata», d’improvviso si è preso coraggio dicendo senza eufemismi che il tutto si chiama adulterio. Allo stesso modo si è proceduto a dichiarare senza sottintesi che una persona con chiare tendenze omosessuali non ha requisito per diventare sacerdote, mai e in nessun caso.
Il vero problema non è che la personalità strutturata su radicate tendenze omosessuali non abbia requisiti per diventare sacerdote, ovvio che non ne ha. Il problema è altro e più grave: se malgrado la carenza di requisiti che sono fondamentali e fondanti per il sacerdozio, costui sacerdote lo diventa, quella sacra ordinazione, oltre a essere palesemente illecita, non è che per caso è pure invalida?
Oltre alla “lettera morta” delle diverse esortazioni emanate dalla Sede Apostolica circa la non ammissione ai sacri ordini di persone con tendenze omosessuali, c’è di peggio: nei decenni precedenti ― ma purtroppo anche al presente ― si è proceduto tranquillamente alle sacre ordinazioni sacerdotali di soggetti con tendenze omosessuali palesi, nascosti dietro la illusoria certezza che ciò che contava era l’assicurazione che non praticassero l’omosessualità. Affermazione fatta ripetutamente e messa in atto da non pochi vescovi e rettori di seminario, che per quanto consapevoli della evidente carenza di testosterone maschile da parte di non pochi loro seminaristi, sebbene perfettamente consci delle loro tendenze omosessuali e a conoscenza della vita dissoluta che seguitavano a vivere nelle varie pause-vacanza fuori dal seminario, pensavano di risolvere il problema nascondendosi dietro alla foglia di fico del surreale … «l’importante è che non pratichino l’omosessualità».
È errore enorme pensare che un disordine psicologico possa tranquillamente permanere purché non si muti in atto fisico, posto che ― come ho spiegato più volte in miei studi e libri ― l’omosessualità praticata fisicamente è solo la punta dell’iceberg dell’omosessualità mentale. Altrettanto ho spiegato e dimostrato che spesso, gli omosessuali ridotti per auto-repressione alla castità, nel loro pensare, agire e interagire possono essere molto peggiori e più nocivi alla Chiesa di coloro che praticano l’omosessualità a livello fisico, perché questi secondi perlomeno si sfogano, risultando almeno in parte meno acidi e cattivi. Al contrario dei repressi che tendono per loro stessa natura a essere non solo acidi e cattivi, ma malvagi e crudeli. A quel punto, quando ci troviamo di fronte a persone profondamente cattive che provano perverso piacere a fare del male al prossimo con ogni mezzo, a partire dalla diffusione di notizie false, o ricorrendo a denunce basate su falsità costruite ad arte, siamo dinanzi a un problema che valica l’omosessualità, perché certi soggetti sarebbero tali, vale a dire malvagi, anche se fossero eterosessuali, a prescindere quindi dalle loro quindi tendenze sessuali.
Nei lunghi colloqui che in foro interno e in foro esterno ho avuto nel corso dei miei anni di sacro ministero con omosessuali animati da sinceri e profondi sentimenti cristiani, la frase espressa più di frequente, in toni a tratti drammatici intrisi di profonda sofferenza interiore è stata:
«… è più forte di me, non riesco a controllarmi, per quanto io mi impegni con tutte le forze a fuggire le occasioni».
L’omosessualità, giustamente derubricata dall’elenco delle “malattie”, rimane comunque un disturbo molto profondo e complesso della personalità umana. Anche se a parere degli esperti del nuovo ordine clinico oggi non è più catalogabile come malattia, grazie alle forti pressioni esercitate su di essi dalle potenti lobby omosessualiste, resta il fatto che esistono, anche in numero considerevole, omosessuali che non accettano le pulsioni della propria libido da loro stessi definite come «disturbo» e «disordine», per questo chiedono di essere aiutati. E la richiesta di aiuto, spesso, già di per sé è una richiesta di cura che come risposta merita comunque un’offerta di aiuto, anche per quella che oggi è definita giustamente una non-malattia.
Ricordo tra i tanti un colloquio struggente avvenuto in sede di confessione sacramentale con un penitente quarantenne che mi disse testuali parole:
«Come mai, oggi è possibile curare persino molte forme di tumore, quelli gravi inclusi se presi per tempo, non invece questa “malattia” che consuma la mia anima da quando avevo appena 15 anni?».
Come ci insegna il Santo Dottore della Chiesa Agostino Vescovo d’Ippona: «Il dolore esiste» ― quindi si manifesta ― «solo nelle nature buone»[17]. Le pulsioni sessuali, che con un termine oggi divenuto tabù erano definite praeter naturam, sono molto più controllabili di quanto non lo siano quelle contra naturam, che tendono a essere per loro stessa complessità incontrollabili, o comunque molto difficili da arginare. E siccome, queste sin qui espresse, non sono ipotesi ma dati di fatto clinico-scientifici, domando: come si è potuto lasciare alla direzione dei nostri seminari e dei noviziati religiosi dei rettori, dei formatori e dei padri spirituali che seppur consapevoli delle tendenze omosessuali di molti loro seminaristi e novizi, pensavano di risolvere e chiudere il problema ― col benedicente suggello dei loro vescovi e dei loro superiori maggiori ― attraverso un … «purché non pratichino l’omosessualità»? Il tutto, cosa in sé gravissima e scellerata, pur sapendo che questi omosessuali sarebbero stati immessi come “volpi dentro un pollaio” all’interno di un ambiente ecclesiastico tutto quanto al maschile? Come hanno potuto, i vescovi perfettamente consapevoli delle palesi tendenze di certi loro seminaristi, debuttare persino con ciniche battute di spirito ― udite dal sottoscritto e vari altri testimoni ―, tipo: «Non si può essere tutti perfetti, vi sono anche elementi con difetto di fabbrica, l’importante è che non diano scandalo. D’altronde, la Chiesa, ha pur bisogno di manovalanza». Sì, poi lo abbiamo visto alla tragica resa dei conti, cos’è successo quando i “manovali” ambiziosi in gran carriera hanno fatto il loro golpe all’interno della Chiesa, cacciando via a bastonate dal cantiere i bravi progettisti ingegneri e architetti. Sono forse questi i presupposti attraverso i quali un vescovo può imporre le mani, recitare la preghiera consacratoria e ungere col sacro crisma un nuovo presbìtero, affermando che nella Chiesa … c’è bisogno anche di certi manovali?
NON C’È ALCUNA DIFFERENZA TRA LE ORDINAZIONI SIMONIACHE E QUELLE AVVENUTE PER SCAMBI DI FAVORI SESSUALI E PER CONSEGUENTI RICATTI
Sono testimone ― e più volte ne ho informate le compenti Autorità Ecclesiastiche della Santa Sede, con relativi riferimenti e prove ― circa casi di vescovi italiani che sotto ricatto hanno ordinato sacerdoti degli omosessuali palesi e che, nonostante fossero consapevoli della loro pessima condotta morale e della incorreggibilità della loro natura, se non li avessero ordinati sacerdoti questi avrebbero fatto scoppiare scandali inenarrabili ricoprendo di fango le loro diocesi, dato che i primi a indugiare nelle pratiche omosessuali erano proprio i loro formatori e diversi presbìteri di particolare rilievo del presbitèrio diocesano, mentre su certi vescovi sorvolo per una sorta di sacro pudore. A fronte del tutto ho chiesto più volte a chi di dovere e d’autorità: se più concili della Chiesa hanno dichiarate non essere valide le sacre ordinazioni sacerdotali e le consacrazioni episcopali avvenute attraverso simonia[18], ossia attraverso mercimonî di denaro, quanto più invalide sono delle sacre ordinazioni e delle consacrazioni episcopali ottenute attraverso il ricatto, al fine di tenere occultati i mercimonî di natura sessuale in virtù dei quali non si è potuto dire di no a quelle ordinazioni sacerdotali e consacrazioni episcopali? E un vescovo privo di libertà che ordina un presbìtero su ricatto e sotto costrizione, amministra validamente il Sacramento dell’Ordine? O forse dobbiamo ritenere che pagare in danaro o ricattare attraverso il danaro dato, è cosa illecita, quindi come tale condannata persino dai concili ecumenici della Chiesa[19], mente invece, pagare o ricattare attraverso prestazioni sessuali, date e offerte, è da considerare cosa tutta quanta lecita ai fini sacramentali e canonici della validità del Sacramento dell’Ordine? Detto questo domando: i doni di grazia dello Spirito Santo, possono passare e produrre effetto attraverso una siffatta e sacrilega azione peccaminosa? Ripeto: sono domande poste più volte ufficialmente e pubblicamente alle competenti Autorità Ecclesiastiche, che non hanno mai risposto nel merito teologico e giuridico.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica considera la simonia un peccato grave contro il primo comandamento, insieme con l’azione di tentare Dio e il sacrilegio. Secondo il vigente Codice di Diritto Canonico, la rinuncia di un ufficio fatta per simonia, non è valida e la provvista simoniaca di un ufficio ecclesiastico è nulla ipso iure; sono previste anche sanzioni canoniche, come la sospensione o l’interdetto, contro il conferimento o la ricezione simoniaca di un sacramento[20].Va poi aggiunto che i soggetti in questione, una volta assurti al Sacro Ordine Sacerdotale, lungi dal placarsi e contentarsi hanno seguitato a usare i loro veleni per essere inseriti in posti di massimo rilievo all’interno delle diocesi, per conseguire titoli accademici ecclesiastici immeritati, per diventare professori di eresiologia nelle università pontificie, per diventare vescovi diocesani, nunzi apostolici, alcuni cardinali; per essere mandati senza alcun merito e talento alla Pontificia Accademia Ecclesiastica, finendo poi, neppure quarantenni, dopo nemmeno cinque anni di servizio diplomatico, nei posti chiave più strategici della Segreteria di Stato. Ciò sempre per ribadire i danni immani che possono derivare da quel principio di auto-distruzione oggi in atto, posto in essere da persone che, come il vescovo di cui narravo avanti, affermavano: «Non si può essere tutti perfetti, vi sono anche elementi con difetto di fabbrica, l’importante è che non diano scandalo». D’altronde, se la Chiesa ha davvero bisogno di manovalanza, andrebbe anche ricordato che nelle promesse che noi facciamo dinanzi al Vescovo e all’assemblea del Popolo di Dio promettiamo di mantenerci celibi, quindi casti, vale a dire rinunciare alle relazioni sessuali con quelle creature meravigliose che sono le donne. O promettiamo forse di non praticare l’omosessualità, qualora affetti da palesi tendenze omosessuali? Perché in tal caso, secondo l’empia logica di certi vescovi e dei loro formatori preposti alla cura dei seminari, sarà bene rivedere il rituale romano delle Sacre Ordinazioni dei diaconi e dei presbiteri, inserendo semmai anche questa nuova forma di solenne promessa:
«Prometto, in quanto omosessuale, di non praticare l’omosessualità e di mantenermi celibe, consapevole che il celibato comporta la castità sia con le donne ma soprattutto con gli uomini».
Bene, si inserisca nel rituale anche questa promessa, se vogliamo veramente essere coerenti. Scrivevo in un mio libro del 2010:
Non ci si può mettere in pace la coscienza limitandosi a pubblici e severi proclami, se poi nei fatti i preti gay aumentano in proporzione alla presenza di vescovi che ragionano con una psicologia omosessuale latente. O per dirla cruda: alcuni seminaristi che tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta capeggiavano all’interno dei seminari la pia confraternita, oggi sono vescovi, ed appena divenuti tali, per prima cosa si sono circondati di soggetti affini, piazzati sempre e di rigore in tutti i posti chiave delle diocesi, seminari inclusi. E questi soggetti, che si proteggono e si riproducono tra di loro, hanno finito col creare una lobby di potere tremendamente potente all’interno della Chiesa[21].
Oggi non possiamo dire che non esistano documenti chiari e precisi, per esempio:
[…] la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al Seminario e agli Ordini Sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay […][22]
Questo e altri documenti sono trattati però come lettera morta al punto che oggi, in diversi seminari più simili a dei gay village che non a delle case di formazione cattolica, un eterosessuale non oserebbe neppure avvicinarsi, credo di averlo spiegato a chiare lettere in quel mio libro del 2011 poc’anzi richiamato.
È superfluo spiegare con quale dolore e senso di umiliazione, nel corso dell’ultimo trentennio di storia della Chiesa, abbia assistito alle scalate ai vertici di certi omosessuali noti, palesi ed evidenti, molti dei quali oggi professori di eresiologia nelle università pontificie, consultori e membri di dicasteri, addetti al servizio diplomatico della Santa Sede, vescovi diocesani, rettori di seminario, vicari generali diocesani e suvvia a seguire …
«CONOSCERETE LA VERITÀ E LA VERITÀ VI FARÀ LIBERI». MOLTI OMOSESSUALI MANCANO DEI REQUISITI MINIMI RICHIESTI PER LA VALIDITÀ DEL SACRAMENTO DELL’ORDINE, A PARTIRE DALLA LIBERTÀ E DALLA VERITÀ
Nel Vangelo del Beato Apostolo Giovanni il Verbo di Dio asserisce:
«Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi»[23].
Dinanzi a questa asserzione, che a suo modo è anche monito, bisognerebbe seriamente interrogarsi sul legame inscindibile che corre tra verità, libertà e sacerdozio ministeriale. L’omosessuale, all’interno del mondo ecclesiastico, non può essere libero, perché non può essere se stesso. E chi non è se stesso non può conoscere la verità e divenirne strumento, credere che sia possibile sarebbe come affermare che l’uomo ha il potere di mutare il male in bene e di portare la grazia redentrice attraverso il peccato. Dio solo può mutare il male in bene, cosa parzialmente comprensibile all’intelletto umano, dato che ciò resta nella sua totalità un mistero inspiegabile, racchiuso appunto nel grande mistero della grazia. Dio può infatti servirsi persino di un’azione empia di Satana, per far sì che il sommo male operato dal Principe delle Tenebre possa mutarsi per sua volontà e per suo intervento divino in sommo bene, ma l’uomo non può, attraverso la propria fragile natura corrotta dal peccato originale, mutare il sommo male in sommo bene, né può, meno che mai, servirsi di un’azione malvagia del Demonio per mutarla in un’azione di bene.
Chi non conosce la verità perché per vivere deve calarsi nel nascondimento, quindi nella sempiterna menzogna auto-difensiva, non può essere fedele alla Parola, pertanto non può essere un discepolo, può solo rinnovare all’interno della Chiesa il dramma luciferino del tradimento di Giuda, il tutto grazie alla sacra imposizione delle mani di certi vescovi scellerati, che in tal modo si rivelano essere non apostoli di Cristo ma del mysterium iniquitatis.
Sappiamo che Cristo il Sacerdozio lo ha istituito per gli uomini e non per gli Angeli. Pertanto, il sacerdote, pur avendo per mistero di grazia una dignità superiore a quella degli Angeli di Dio, può essere un peccatore e cadere come tale nel peccato più o meno grave; può commettere anche peccati gravissimi. Resta il fatto che un peccato, per quanto mortale, ma comunque accidentale, commesso da un sacerdote peccatore, nella sua forma e nella sua profonda e intima sostanza è cosa diversa da chi decide invece di strutturare il sacro ministero sacerdotale sullo stato di peccato derivante da una mancanza di libertà che necessita di essere difesa con la menzogna perpetua, non potendo in tal modo conoscere la verità ed essere quindi fedele alla Parola, a prescindere dal proprio peccato e dalla propria umana natura di peccatore. Agire in questo modo e “costruire” il proprio “essere sacerdotale” su elementi così malvagi e perversi, vuol dire non avere l’idea e la percezione basilare di che cosa realmente sia il sacerdozio cattolico, quindi strutturare il dono del mistero di grazia del Sacerdozio ministeriale di Cristo sul mysterium iniquitatis.
Trattando un tema di siffatta delicatezza, bisogna guardarsi bene dal cadere anche in modo involontario negli errori che furono tipici dell’eresia donatista, condannata dal Concilio di Cartagine nell’anno 411. I donatisti sostenevano che i Sacramenti amministrati da sacerdoti resi indegni dal loro stato di peccato non erano validi. Questo pensiero ereticale non scomparve nel V secolo, tanto che il Doctor Angelicus dedica a esso 90 quaestiones nella parte III della Somma Teologica. Il mio quesito non pone neppure lontanamente in questione la validità dei Sacramenti celebrati e amministrati da sacerdoti indegni e peccatori, la cui validità è dogmaticamente e canonicamente fuori discussione. La questione che intendo sollevare sul piano teologico e su quello canonico è se il Sacramento dell’Ordine Sacro, ricevuto da certi particolari soggetti in certe particolari condizioni, è realmente valido, posto che i Sacramenti richiedono per la loro validità dei requisiti minimi. E se questi requisiti minimi, in parte o nella totalità fossero di fatto assenti? In tal caso si può parlare di valida consacrazione sacerdotale attraverso il Sacramento dell’Ordine? O, detta con un nuovo ricorso all’esempio poco prima portato: perché, dopo la sacra ordinazione del famoso evirato Origene, la legittima Autorità Ecclesiastica lo ha interdetto dai sacri ordini, mentre la stessa Autorità Ecclesiastica, nei secoli avvenire, ha invece coperto, protetto, coccolato e portato avanti nel migliore dei modi un esercito di evirati mentali? Semplice, perché l’Autorità Ecclesiastica non si è mai soffermata a riflettere sul fatto che Origene, prima di giungere al gesto estremo della auto-castrazione fisica, già da tempo si era castrato in precedenza mentalmente. Sicché, la sua castrazione fisica, è solo la conseguenza di una castrazione mentale maturata e avvenuta in precedenza.
Ribadisco che la quaestio che pongo non sono i Sacramenti, indubitabilmente validi, anche se celebrati e amministrati da sacerdoti indegni e peccatori, ma la validità oggettiva nella piena sostanza del Sacramento dell’Ordine ricevuto da alcuni sacerdoti privi di quei requisiti minimi richiesti per la sua validità, a partire dal fondamentare requisito della fede. Pertanto, con buona pace di chi seguita a giocare col fuoco fingendo che il problema dogmatico non esista, la triste esperienza da me avuta col nutrito esercito di ecclesiastici omosessuali che impesta la Chiesa, soprattutto ai più alti livelli della gerarchia, mi conferma quanto sia alto, talvolta nella spaventosa proporzione di 7 su 10, il numero di persone con palesi tendenze omosessuali che mancano indubitabilmente di alcuni o tutti i requisiti minimi richiesti per la validità del Sacramento dell’Ordine; requisiti fondamentali che sono per l’appunto l’uomo, il cristiano, il credente, quindi la corretta percezione sostanziale e formale del sacerdozio cattolico da parte sia dell’ordinante sia dell’ordinato. O qualcuno può forse smentirlo?
La gran parte di questi soggetti sono di fatto palesemente eretici e fieri diffusori di eresie di stampo perlopiù filo-luterano, o come li ha definiti un mio confratello polacco ― Darius Oko ― affetti da homoeresia:
L’omoeresia è un rifiuto del Magistero della Chiesa Cattolica sull’omosessualità. I sostenitori dell’omoeresia non accettano che la tendenza omosessuale sia un disturbo della personalità. Mettono in dubbio che gli atti omosessuali siano contro la legge naturale. I difensori dell’homoeresia sono a favore del sacerdozio per i gay. L’omoeresia è una versione ecclesiastica dell’omosessualismo (cfr. QUI)
Adesso mi centrerò su questi due elementi: l’uomo e il credente come presupposto fondante e imprescindibile del Sacramento dell’Ordine, quindi l’assenza di eresia e la piena consapevolezza della vera natura sostanziale e formale del sacerdozio cattolico. È ovvio che un omosessuale palese, di quelli “beatamente” ordinati nel corso degli ultimi decenni, più volte definiti come «… è solo un po’ effeminato, ma perché è un animo sensibile … un mistico …», di fatto sono impediti a ricevere il Sacro Ordine, perché la tendenza omosessuale radicata è da considerare ai sensi del can. 1040 un impedimento perpetuo ― la cosiddetta irregolarità a ricevere gli ordini ― a fronte della quale nessun vescovo e nessuna Autorità Ecclesiastica può concedere dispensa, perché ciò sarebbe come se la Congregazione per le cause dei santi decidesse di dispensare dalla santità un candidato alla canonizzazione, cosa che, di questi tempi …
Poniamo che un candidato ai Sacri Ordini tenda a cedere al peccato di lussuria praeter naturam, pienamente consapevole del peccato, memore di essere in errore e per questo pronto a cercare la grazia e il perdono di Dio, ricadendo in seguito nello stesso peccato, semmai anche in modo peggiore di prima, ma tornando di nuovo a cercare grazia e perdono, consapevole del peccato e del male. Anzitutto, un soggetto di questo genere mostra di essere dotato di una coscienza cristiana, quindi del senso del bene e del male. Certo, un saggio formatore e un pio confessore può valutare quanto sia opportuno portare al Sacro Ordine un peccatore che non riesce a correggersi; si potrebbe valutare l’opportunità di consigliargli che dinanzi all’eventuale impossibilità di controllarsi, sarebbe opportuno attendere, prima di essere immesso nel Sacro Ordine Sacerdotale. A prescindere però dal suo peccato e dalla gravità dello stesso, resta pacifico che quell’uomo è anzitutto un uomo al quale piacciono le donne, un credente dotato di coscienza morale in grado di discernere il bene dal male, consapevole di che cosa sia il sacerdozio cattolico e che cosa esso comporti e richieda. E quando costui, incapace a esercitare freni e controlli su se stesso, indugerà al vizio della lussuria praeter naturam, sarà consapevole del male, dell’errore e del fatto che ciò non è conforme allo stato di vita sacerdotale.
Essendo da diversi anni confessore di numerosi sacerdoti, mi sono ritrovato anche dinanzi a confratelli che avevano avuto relazioni con donne in violazione alle proprie sacre promesse; come mi sono ritrovato dinanzi ad altri che, in modo più grave e pericoloso avevano una relazione stabile con una donna. Sia gli uni sia gli altri vivevano il tutto con gran disagio, senso di colpa e piena consapevolezza del proprio peccato, in particolare i secondi, quelli che avevano la cosiddetta “amante fissa”. E non posso nascondere che diversi di questi sacerdoti, per imperscrutabile mistero di grazia, pur vivendo in uno stato di peccato mortale, nell’esercizio del loro sacro ministero erano autentici modelli di pietà sacerdotale, dediti anima e cuore alle migliori cure del Popolo di Dio, nonché efficaci e preziosi strumenti della divina grazia.
Diverso il discorso della persona con tendenze omosessuali strutturate su una personalità già radicata, alla quale si unisce inevitabilmente anche l’elemento dell’eresia, o della homoeresia. L’omosessuale consapevole di essere tale, deciso a rimanere tale, che sceglie semmai la Chiesa come quieto rifugio e l’Ordine Sacerdotale come un mezzo per fare veloce carriera, mostra anzitutto di avere una coscienza profondamente viziata, una incapacità a distinguere il bene dal male, rifiutando a priori gli insegnamenti morali della Chiesa Cattolica, della sua dottrina e del suo magistero; a tutto questo unisce ― come dicevo nelle righe precedenti ― quella mancanza di sincerità derivante dalla impossibilità a essere se stesso che lo costringerà a vivere nella menzogna e nell’inganno per tutta la vita. A questo si aggiunga che molti di questi omosessuali, lungi dal sentirsi in peccato mortale, intimamente sono proprio convinti che in errore non sono loro, ma la Chiesa, giudicata da essi colpevole di indicare come male ciò che per loro è in verità bene, convinti che ciò che la Chiesa definisce come illecito e illegittimo, poiché altamente peccaminoso per la salute eterna dell’anima, specie per l’anima di un sacerdote, in realtà non è né illecito né illegittimo né peccaminoso, bensì è bene e bello.
Ho conosciuto sacerdoti con tendenze omosessuali evidenti che non esitavano a rigettare documenti ed esortazioni della Chiesa su questa materia contenenti le relative condanne verso certi disordini, oppure a manipolarli in modo davvero patetico; ho udito formatori di diversi seminari affermare che l’omosessualità non può costituire impedimento al sacerdozio; ho sentito persino sacerdoti definire l’omosessualità e la sua pratica come «una naturale variante della sessualità umana», ma soprattutto li ho sentiti lanciare fuochi e fiamme sulla morale sessuale a loro dire «retriva» e «repressiva» portata avanti dal magistero della Chiesa.
Il culmine della aberrazione è però costituito da coloro che scrivono e affermano che certe tendenze e pratiche sessuali riguarderebbero «la sfera della vita privata dei preti» (!?). A questi soggetti, qualcuno dei quali si picca di essere persino un canonista sopraffino, domandai se lungi dall’essere faccende private, certe pratiche sessuali dei chierici non fossero per caso racchiuse nella gravissima fattispecie delittuosa del sacrilegio carnale. Ovviamente non fu data risposta. Soprattutto domandai se lui e i suoi sodali credessero realmente che un prete, nella «vita privata» ― ammesso che un prete possa avere una vita privata improntata sul disordine morale ―, potesse praticare il coito orale, farsi sodomizzare da un altro uomo e poi dire in pubblico poco dopo: «Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo». Fu dinanzi a questa domanda tanto drammatica quanto realistica che giunse, anziché risposta, una reazione insolita e tutta quanta tipica del gay incattivito: punto nel vivo e non in grado di formulare una ragionevole replica il soggetto in questione inviò una lettera delirante di rara violenza contro di me al mio vescovo e a tutti i membri del presbitério cui appartengo, lamentando il mio linguaggio a suo dire volgare, dopo avermi definito «grave caso psichiatrico» nonché «ossessionato dagli omosessuali».
Vicende di questo genere hanno toccato in modi diversi ma simili noi sacerdoti e teologi che ci siamo occupati del grave fenomeno della lobby gay ecclesiastica: il mio confratello polacco Dariusz Oko, su esposto-denuncia del prete tedesco Wolfgang F. Rothe dell’Arcidiocesi di München, è stato condannato nel 2021 dal tribunale tedesco di Colonia a una multa di 4.800 euro e a 120 giorni di reclusione per avere definito i preti gay «ulcera cancerosa» e «esercito di parassiti dentro la Chiesa» (cfr. cronaca QUI). Il caso è divenuto politico, la Polonia si è fatta sentire e alcuni politici polacchi non hanno mancato di far sapere ai giudici tedeschi che era dagli anni del regime nazista che la Germania non condannava un cittadino polacco. Analoga sorte è toccata nel 2024 al sacerdote e teologo svizzero Manfred Hauke, editore della rivista Theologisches, colpevole di avere scritto che è necessario «limitare le cricche omosessuali nella Chiesa», condannato dalla Pretura di Bellinzona a una sanzione di 9.450 Franchi. Lui ha rigettato il provvedimento e chiesto di andare a processo, al termine del quale è stato assolto. Nel frattempo, un tribunale tedesco, poco dopo gli comminava una sanzione di 4.000 euro in seguito alla denuncia di un prete omosessuale attivista LGBT (cfr. cronaca, QUI). Domanda: cosa hanno fatto i vescovi di questi preti omosessuali dichiarati e praticanti che hanno denunciato dei loro confratelli per “discriminazione” e “omofobia”? Hanno taciuto, tremanti come conigli dinanzi al potere della gaystapo, hanno taciuto. Se ci pensiamo bene, quello di questi attivisti LGBT è un atteggiamento tipicamente fascista: «colpirne uno per spaventarne cento», così agivano i vecchi fascisti per diffondere paura tra le persone. Oggi siamo di fronte a dei veri e propri “fascisti arcobaleno” nascosti dietro all’antifascismo; violente e aggressive vittime piangenti che lamentano razzismi e discriminazioni molto spesso inesistenti, allo scopo di perseguire la libertà di pensiero e dare vita ai reati di opinione per condannare chiunque osi non pensare che «gay è meraviglioso».
Questo è lo stile e il modo di agire di certi omosessuali che bivaccano tra il clero mossi da straordinaria cattiveria. La triste verità è che quanti vivono per propria libera scelta nel disordine sessuale sentendosi gratificati dal disordine stesso, non possono pretendere di sdoganare all’interno della Chiesa e del suo clero tutti quei vizi del mondo che per la morale cattolica sono e rimangono situazioni di grave deviazione dal sentire e dal vivere cristiano. In modo diverso ma sostanzialmente simile, lo stesso personaggio a cui ho accennato sopra denunciò presso l’Ordine degli Psicologi Padre Amedeo Cencini, presbitero canossiano, accusandolo di avere insultato gli omosessuali in suoi articoli e conferenze. La commissione disciplinare esaminò l’istanza e dette poi questo parere: «Non si sono ravvisate ipotesi di violazione del Codice Deontologico» (cfr. QUI e QUI). Quando però qualcuno osa contraddire certi omosessuali incattiviti, o non dà loro ragione, ecco partire insulti a raffica indirizzati all’ordine professionale accusato di difendere un tremebondo omofobo, quindi accuse alla magistratura, ai magistrati, accuse alla Repubblica Italiana e via a seguire … (cfr. QUI e QUI)[24].
Inutile a dirsi, ma lo ricordiamo ugualmente: i danni che questi soggetti possono recare alla Chiesa se immessi nel sacerdozio, peggio facendo carriera all’interno del clero e finendo in posti chiave di governo, sono veramente incalcolabili, perché capaci a usare qualsiasi mezzo sleale e illecito per far fuori coloro che considerano pericolosi antagonisti e rivali irriducibili della potente e pericolosa lobby gay. Conosco casi di preti a danno dei quali sono stati montati persino casi giudiziari con processi senza fondamento basati neppure su vaghi indizi ma solo su pure illazioni, il tutto con stile mafioso-intimidatorio, mettendo in dubbio la loro reputazione e inducendoli a perdere tempo e danaro per difendersi da bizzarre accuse risultate poi tali. E quando il tutto si è risolto in una bolla di sapone, le persone colpite non si sono potute rivalere su nessuno, perché i clerical gay colpiscono vigliaccamente alle spalle facendo uso dei loro servili “utili idioti”, mai agendo direttamente, sempre alle spalle per interposta persona, senza mai figurare.
All’interno del confessionale mi sono dovuto dibattere con un penitente affetto da pulsioni homoerotiche che cercava di contenere quanto più e quanto meglio possibile, il quale mi riferì, sconvolto, che durante la confessione sacramentale un sacerdote gli aveva detto:
«Esprimere la propria omosessualità non è peccato, perché l’omosessualità è nell’ordine della natura ed è una naturale variante della sessualità umana; e noi non possiamo imporre all’omosessuale di vivere in castità, perché impedire a una persona di esprimere la propria affettività amorosa sarebbe disumano».
Il sacerdote in questione, oltre a essere palesemente omosessuale, era anche formatore presso un seminario, professore di teologia presso uno studio teologico e ricoperto dal proprio “lungimirante” vescovo di tutti i più delicati incarichi. Il quesito è quindi semplice: se la sacra ordinazione di soggetti nei quali manca di fatto il requisito dell’uomo, del credente, oltre alla percezione stessa del sacerdozio cattolico, va considerata comunque valida, allo stesso modo dovremmo considerare valide le sacre ordinazioni di soggetti che sostengono la legittimità della eresia ariana, che sotto vari aspetti potrebbe essere meno grave rispetto ai candidati agli ordini sacri o ai sacerdoti che giudicano l’omosessualità come una «naturale variante della sessualità umana». Questo il motivo per il quale ritengo si possa avanzare e sostenere un’ipotesi tutt’altro che infondata: le sacre ordinazioni di queste persone sono invalide quanto lo sarebbe quella di un eretico che nega in modo deciso la natura ipostatica di Cristo vero Dio e vero Uomo e che una volta ammesso nel Sacro Ordine Sacerdotale cercherà di diffondere come giusta la propria eresia. Nell’uno e nell’altro caso ― si tratti dell’eretico ariano o dell’homoeretico ― siamo dinanzi a una espressione di eresia diversa nella forma ma simile nella sostanza, tale da rendere siffatta irregolarità un impedimento canonico perpetuo. Ribadisco pertanto che si può consacrare sacerdote in modo legittimo e valido un grande peccatore, non però uno che manchi del fondamentale requisito dell’uomo e del credente e che mira ad assurgere al sacerdozio per scopi malvagi e perversi, perché un conto è cadere in grave peccato, tutt’altro ritenere invece cosa buona e giusta una condotta disordinata e aspirare al sacerdozio per finalità malvagie e perverse.
Mentre propendo a ritenere invalide le ordinazioni di soggetti di questo genere, non apro neppure ― data la straordinaria delicatezza dell’argomento ― il capitolo dolente circa la validità delle consacrazioni episcopali di coloro che in simile modo non sono uomini, non sono credenti, non hanno la corretta percezione della pienezza del sacerdozio apostolico; per non parlare di quelli che, pur essendo ricettacolo di tutti i peggiori vizi, sono giunti comunque all’episcopato attraverso il ricatto e il terrorismo psicologico esercitato sulle Autorità Ecclesiastiche.
IL MISTERO DELLA GRAZIA DI DIO, IL SUPPLET GRATIA E IL SUPPLET ECCLESIA NON SONO NÉ UNA SCAPPATOIA NÉ UNA PANACEA
Credo non possiamo giocare né sul mistero della grazia di Dio né su quella grande “scappatoia”, o se preferiamo panacea del supplet gratia e del supplet Ecclesia, perché nulla può supplire la grazia di Dio, tanto meno la Chiesa, laddove manca completamente la natura della sostanza attraverso la quale e sulla quale opera la grazia sacramentale. O per dirla ancora con un esempio: un’ostia invecchiata nella quale permane tutta la materia del pane e un vino di bassa qualità e di gusto sgradevole nel quale permane però tutta la materia del vino, attraverso la transustanziazione divengono comunque e indubitabilmente, nella loro metafisica essenza, per sommo mistero della fede, Corpo e Sangue di Cristo. Ma un biscotto al burro e una bevanda all’arancia non potranno divenire mai Corpo e Sangue di Cristo, perché manca quella materia dalla quale dipende per divina volontà la sussistenza della sostanza metafisica, posto che, a essere transustanziate sono le precise materie del pane e del vino, non una qualsiasi materia di alimenti solidi e di bevande liquide.
Dove manca la materia che dà vita all’essenza della sostanza, può davvero supplire la grazia di Dio, o può forse supplire la Chiesa? E se così fosse, come mai il Padre della Chiesa Sant’Agostino avrebbe perduto tempo ed energie preziose per scrivere e donarci il trattato De natura et gratia? Per non parlare di tutte le successive speculazioni sulla materia fatte da San Tommaso d’Aquino? La grazia opera sì, ed opera sempre, ma opera sulla natura che c’è, non su quella natura che non c’è o che non è definita, perché pensarlo, peggio sostenerlo, vorrebbe dire alterare e falsificare il mistero stesso della creazione e con esso quello della redenzione.
Il mistero della grazia di Dio trasforma, attraverso l’opera affidata alle nostre mani, la materia del pane e del vino in Corpo e Sangue di Cristo, pur rimanendo sia nella forma visibile, all’olfatto e al gusto le specie esteriori del pane e del vino, che però divengono Cristo veramente e realmente presente in maniera sostanziale col suo Corpo, il suo Sangue, la sua Anima e la sua Divinità. La grazia di Dio, che pure tutto può, non trasforma nella metafisica sostanza, in corpo e sangue di Cristo, un biscotto al burro e un succo all’arancia, perché Dio non può contraddire se stesso, perché «Hoc Est Enim Corpus Meum» lo ha detto sul pane, ed «Hic Est Enim Calix Sanguinis Mei» lo ha detto sul vino. E nessuno può variare questi elementi accidentali dai quali dipende per divina volontà l’essenza metafisica stessa della sostanza, semmai affermando … supplet gratia, o peggio supplet Ecclesia, per non parlare di certi gay acidi di cui s’è fatto prima accenno, che ai sensi di un esotico diritto ecclesiastico tutto quanto loro vorrebbero relegare certi disordini morali alla sfera insindacabile della vita privata dei preti (!?). E se in questo preciso discorso ho portato come esempio il più ineffabile dei misteri donati da Cristo Dio alla sua Chiesa, l’Eucaristia, è proprio perché il sacerdote è oggetto e soggetto eucaristico, ed al sacerdote è richiesta praeter naturam una precisa forma, quindi una precisa sostanza che nasce dalla forma mentis del suo essere vir, dall’animus sacerdotalis; e l’assenza di questi elementi, non può essere in alcun modo supplita.
La grazia di Dio lavora solo su ciò che c’è, non su quello che non c’è e che non può esserci; e questo lo spiega e lo insegna in modo chiaro la Parabola dei Talenti[25]. Attraverso il Sacro Ordine Sacerdotale avviene una trasformazione ontologica e il sacerdote assume un nuovo carattere, che è indelebile ed eterno. Ma se un sacerdote è alto un metro e mezzo di statura, la grazia santificante e trasformante di Dio non può mutarlo in un corazziere alto 1.90 a piedi scalzi. O per meglio intendersi: un asino, nel senso figurato del termine, può diventare anche Santo, può diventare anche venerato patrono dei sacerdoti della Chiesa Cattolica, ma non può essere mutato in uno stallone arabo, perché asino è ed asino resterà, a prescindere da quella che può essere la eroicità delle sue virtù.
Sia l’Ipponate sia l’Aquinate hanno chiarito senza pena di equivoco il principio che gratia naturam perficit sed non supplet (la grazia non supplisce ma perfeziona la natura). E quando la natura non c’è, a partire dalla natura dell’uomo, del maschio virile, richiesta per l’accesso al Sacro Ordine Sacerdotale, che cosa accade, chi mai può … supplire? L’unico che può supplire è l’uomo che si è messo al posto di Dio, se non peggio ancora: al posto di Satana.
Vorrei concludere con un quesito paradossale, ma a volte nel paradosso o nell’iperbole può esserci molta oggettività. Questo il quesito: nel caso in cui un soggetto, appartenente occultamente a una setta satanica, volesse diventare prete allo scopo di consacrare validamente la Santissima Eucaristia destinata poi alle più empie profanazioni, servendo in tal modo la sua congrega luciferina, si può, in tal caso, parlare di valida ordinazione? Ebbene, qualcuno voglia spiegarmi: che differenza c’è tra un satanista che aspira al sacerdozio per scopi malvagi e sacrileghi e un homoeretico che per altrettanti scopi malvagi e sacrileghi aspira anch’esso al sacerdozio? Vi spiego che differenza c’è: il satanista alla Santissima Eucaristia intesa come presenza reale di Cristo vivo e vero ci crede veramente, mentre nella gran parte dei casi gli homoeretici alla presenza reale di Cristo vivo e vero non ci credono proprio. Lo prova il fatto che nei loro discorsi di tutto parlano fuorché di presenza reale. Si riempiono la bocca di termini come «banchetto … convivio … festa della gioia … incontro dell’amore …». Al linguaggio metafisico da loro disprezzato e al termine di transustanziazione definito obsoleto, preferiscono quello luterano di consustanziazione, con la conseguenza che le loro celebrazioni eucaristiche traboccanti abusi liturgici e liberi arbitrî d’ogni sorta, sembrano liturgie calviniste, fondamento delle quali è proprio la negazione della presenza reale, raffigurata da Giovanni Calvino proprio dallo stare in piedi durante le parole dell’Ultima Cena. E, nel fare questo, gli homoeretici rifuggono la parola «sacrificio vivo e santo». Distribuiscono l’Eucaristia come fossero gettoni-omaggio di pane azzimo, non trattano con sacro rispetto i vasi sacri, non procedono alla loro adeguata purificazione, non favoriscono in alcun modo il culto eucaristico. A ciò si aggiunga poi che molte nostre cerimoniere estetiche ― perché da un trentennio a questa parte trovare nell’ambito dei liturgisti un eterosessuale è come cercare un ago in un pagliaio ― hanno proceduto anche alla abolizione dei piattelli per la Comunione dei fedeli, ma in compenso hanno istituito al loro posto il piattello d’argento sul quale depositare il santissimo zucchetto rosso del vescovo, di gran lunga più importante della raccolta dei frammenti eucaristici. E c’è ancor di più: ho appurato che gli homoeretici vescovi, attraverso i loro homoeretici preti, sono coloro che insegnano al Popolo di Dio a stare in piedi a testa alta durante la Preghiera Eucaristica, oltre a essere i fautori della eliminazione delle panche con gli inginocchiatoi da molte chiese, sostituite con poltroncine da cinema, perché per colpire la Chiesa al cuore e de-sacralizzarla bisogna colpire anzitutto l’Eucaristia, anziché seguire il chiaro monito paolino:
[…] nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre[26].
Ecco spiegata la differenza che corre tra un satanista e un homoeretico: il satanista è un credente, l’homoeretico no. E chi vuole meditare, mediti, ma lo faccia presto e bene, mentre la casa seguita a bruciare, mentre sempre più lontana è la realistica possibilità di spegnere l’incendio, mentre la Chiesa visibile somiglia sempre di più a un grande Gay Village.
Dall’Isola di Patmos, 28 luglio 2025
Ricavato da un precedente articolo pubblicato il 7 luglio 2016
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NOTE
[1] CIC can. 1024.
[2] Cfr. Mc 3,14-19; Lc 6,12-16.
[3] Cfr. 1 Tm 3,1-13; 2 Tm 1,6; Tt 1,5-9
[4] Cfr. San Clemente Romano, Epistula ad Corinthios, 42, 4: SC 167, 168-170 (Funk 1, 152); Ibid., 44, 3: SC 167, 172 (Funk 1, 156)
[5] Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. ap. Mulieris dignitatem, 26-27: AAS 80 (1988) 1715-1720; Id., Lett. ap. Ordinatio sacerdotalis: AAS 86 (1994) 545-548; Congregazione per la Dottrina della fede, Dich. Inter insigniores: AAS 69 (1977) 98-116; Id., Risposta al dubbio circa la dottrina della Lett. ap. «Ordinatio Sacerdotalis»: AAS 87 (1995) 1114.
[6] Cfr. Eb 5,4.
[7] Cfr. Prima Lettera di Clemente, 44,2, in seguito ripresa dalla Costituzione dogmatica Lumen Gentium n. 20.
[8] Cfr. Mt 19,12: «Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli».
[9] Cfr. Johannes Quasten, Patrologia. I primi due secoli (II-III). Marietti, 1980.
[10] XVIII° Successore del Beato Apostolo Pietro, pontificato, anni 230-235.
[11] Cfr. Bibliotheca Cod. 118.
[12] Apocatastasi. Secondo Origene, alla fine dei tempi ci sarà la redenzione universale e tutte le creature saranno salvate, compreso Satana. Pertanto, la pena alla dannazione eterna avrebbe in realtà un carattere purificatorio e non definitivo. «Noi pensiamo che la bontà di Dio, attraverso la mediazione di Cristo, porterà tutte le creature ad una stessa fine» (De principiis, I, IV, 1-3).
[13] Cfr. Can. 1040
[14] Concilio Vaticano II, Cost. Lumen gentium, 19.
[15] Giovanni Paolo II, Es. Ap. Pastores dabo vobis, 25-III-1992, 15, 4.
[16] Cfr. Cann. 1024-1052.
[17] La Natura del bene, 19.
[18] N.d.A. Il termine simonia deriva dall’episodio narrato negli Atti degli Apostoli [Atti 8, 9-24] nel quale Simon Mago, guaritore, chiese agli Apostoli, dietro pagamento, il potere taumaturgico conferito dallo Spirito Santo e venne quindi di conseguenza maledetto dal Beato Apostolo Pietro.
[19] N.d.A. Esempio: il Sommo Pontefice Urbano, nell’anno 1093, decretò tutte invalide le ordinazioni simoniache fatta eccezione per quelle dei chierici che non erano a conoscenza della simonia delle loro ordinazioni. La condanna della simonia è decretata da diversi concili della Chiesa, a partire dal Concilio di Calcedonia dell’anno 451 sino al Concilio di Trento celebrato nel XVI secolo.
[20] Cfr. can. 188
[21] Cfr. Ariel S. Levi di Gualdo, E Satana si fece Trino. Relativismo, individualismo, disubbidienza. Analisi sulla Chiesa del terzo millennio. Ed. Roma, 2011. Ristampa: Edizioni L’Isola di Patmos, Roma, 2019.
[22] Istruzione della Congregazione per l’Educazione Cattolica circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri del 4 novembre 2005, approvato dal Sommo Pontefice Benedetto XVI il 31 agosto 2005.
[23] Cfr. Gv 8, 32.
[24] Cfr. Francesco Strazzari: «Fra critica e insulto: Silere non possum», Settimana News, edizione del 25 novembre 2022.
[25] Cfr. Mt 25, 14-30.
[26] II Fil, 10.
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THEOLOGICAL AND LEGAL DOUBTS ABOUT THE LEGITIMATE VALIDITY PRIESTLY ORDINATIONS OF HOMOSEXUALS
The minimum requirements for the validity of the Sacrament of Holy Orders are: man, Christian, believer, therefore a correct understanding of the Catholic priesthood. The real problem isn’t that a personality structured by deep-rooted homosexual tendencies lacks the qualifications to become a priest. The problem is different and more serious: if priest becomes one without the qualifications, isn’t that sacred ordination, besides being illicit, also invalid?
— Theology and Canon Law —

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo
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There is no other organization in the world like the Catholic Church where the presence of more or less openly homosexuals is so high, nor is there a similar organization where homosexuals, together with their close associates, have staged a coup by infiltrating every “room of command”, as I have been writing for years (I refer you to an old interview of mine from 2013, which can be read HERE, in Italian only).

With the advent of social media, self-styled Catholic blogs have proliferated, claiming the acceptance of the LGBT agenda within the Church, accusing those who lament the serious problem of the high number of homosexuals within the clergy of being frustrated, repressed, and unresolved.
The ecclesiastical gay lobby is so powerful that, if necessary, it can make life impossible for those who dare to report certain situations, explaining to ecclesiastical authorities well in advance how things would end. Nor should we underestimate the virulent armed wing of the powerful ecclesiastical gay lobby, the gay-friendly, a large group of persons those who, despite not being homosexual, protect members of the pious gay fraternity for their own personal interests, or because they are driven by high career expectations, knowing that gay lobbyists can either foster them or irremediably undermine them within dioceses or the Roman Curia. To assert that within the Holy See, in numerous dioceses, and therefore in the universal Church, a level of internal homosexuality has been reached that has exceeded all safety limits is not merely a fanciful hypothesis but a fact that can only be denied by those who reject the evidence.
The charming man, who by nature is self-centered and ambitious, defends himself unscrupulously through an innate vindictive-destructive instinct, capable of exercising malice with methodical, scientific cruelty toward those endowed with that Christological priestly courage that leads them to affirm and remember what is right and what is wrong in the light of the Holy Gospel and Catholic doctrine. Because the pure of heart, unlike gay lobbyists, do not aim for the immediate, but for the eternal.
THE REQUIREMENTS FOR THE VALIDITY OF THE SACRAMENTS ARE MINIMUM, BUT THOSE MINIMUM REQUIREMENTS MUST EXIST
Those who practice sacramental dogmatical know that this specific field is extremely delicate, not least because the requirements for the validity of the sacraments are truly minimal. In these lines, we will limit ourselves to discussing only the Sacrament of Holy Orders, starting with a premise intended to immediately clear the field from the objections of those who might claim that the texts of sacramental dogmatical, canon law, and their commentaries make no express and clear reference to those matters of a sexual or psychosexual nature to which I will refer explicitly. To dispel certain doubts and clear the field from equivocal and unfounded theological and juridical disputes, I will draw attention to an incontrovertible fact: until a few decades ago, everything directly or indirectly concerning sex and human sexuality was whispered with euphemisms in magisterial texts, doctrine, and treatises on Catholic morality; merely discussing certain topics was considered improper. When issues of Catholic morality related to human sexuality were addressed in academic circles, Latin euphemisms were used, because the same words ordinarily used clearly and precisely in the clinical and scientific lexicon of gynecology, urology, and andrology were not deemed appropriate within the classrooms of ecclesiastical academies. Confessors of the time themselves had their own way of expressing themselves, a vocabulary of vague, indirect implications, taught to young priests from the time they were trained for the priesthood. This “specific” vocabulary of confessors served to allude without resorting to unpronounceable terms banned from ecclesiastical academia and the confessional, especially from public catechesis addressed to the People of God. This language was also assimilated by the Catholic faithful, particularly penitents who, before their confessors, expressed themselves in so-called vague innuendos and “implied” but don’t clear, terms regarding sexual matters, related relationships, and everything pertaining to violations of the Sixth Commandment.
I’ll try to clarify everything with an example: it was the year 2010 when a ninety-year-old penitent who had grown up in that world not centuries distant but a few decades ago, during a confession based on her memories of the past, referred to a time, one winter, when she was alone, «… leaving the house, unfortunately, I slipped». A child of another era, both as a man and as a priest, I didn’t understand, and I imagined that, being in an area where it snows at certain times of the year, she had fallen while leaving the house, perhaps on a sheet of ice formed by the snow in a corner sheltered from the sun, or who knows how else, she slipped and fell. She realized I hadn’t understood, so she made two more delicate, more explicit allusions to make me understand that she had committed the sin of adultery, for which, more than half a century later, she couldn’t shake the bitterness it had caused her, having always been bound by sincere love to her husband. This is to reiterate that it would be neither pertinent nor logical to challenge me on the grounds that certain expositions to which I clearly refer are not equally clearly contained in the texts of the Magisterium, of doctrine, of sacramental dogmatical, of Catholic morality and of the Code of Canon Law.
ORIGEN’S LESSON: THE VIRILITY OF THE “VIR PROBATO” AS AN ESSENTIAL ELEMENT FOR THE CATHOLIC PRIESTHOOD
The Catechism of the Catholic Church states at n. 1577:
«Only a baptized man (vir) validly receives sacred ordination[1]. The Lord Jesus chose men (viri) to form the college of the twelve apostles[2], and the apostles did the same when they chose collaborators[3] to succeed them in their ministry[4]. The college of bishops, with whom the priests are united in the priesthood, makes the college of the twelve an ever-present and ever-active reality until Christ’s return. The Church recognizes herself to be bound by this choice made by the Lord himself. For this reason, the ordination of women is not possible[5]».
No one has a right to receive the sacrament of Holy Orders. In fact, no one can attribute this office to himself. One is called to it by God[6]. Anyone who believes he recognizes the signs of God’s call to the ordained ministry must humbly submit his desire to the authority of the Church, which has the responsibility and the right to call someone to receive Holy Orders. Like every grace, this sacrament can only be received as an unmerited gift.
Note that the Latin term “vir/viri“ is a masculine noun of the grammatical second declension, primarily referring to man, male, adult, or virility associated with the male sex. The negation and antithesis of “vir/viri” is the term, also of Latin origin: “evirato“, a word indicating the deprivation of virility and also deriving from “vir/viri“. In ecclesiastical language, the term “viri probati” is used to indicate men suitable for holy orders. This term was used in the early Church to indicate married men who were eligible for the diaconate and priesthood[7]. With the passage of time and the free acceptance of the obligation of celibacy, which has its roots in the early apostolic era, in our current lexicon this expression is used to indicate men of proven standing and, as such, reliable for holy orders. Lack of psycho-physical virility therefore constitutes an insurmountable impediment to priestly ordination. This impediment is well-known and established as such since the first centuries of the Church’s existence, and no one has the authority to dispense from it, given that no Ecclesiastical Authority can dispense from being a man, which is an essential and foundational prerequisite of the ministerial priesthood.
In the year 230, Origen was consecrated a priest by Theoctissus of Caesarea and Alexander of Jerusalem, without the approval of Bishop Demetrius, who had canonical jurisdiction over him. Origen, having misunderstood the Gospel passage in which the Lord Jesus refers to the «eunuchs for the sake of the Kingdom of Heaven»[8], had castrated himself. This was the reason why his bishop had never wanted to consecrate Priest[9]. After that sacred ordination, Bishop Demetrius, with the approval of the Supreme Pontiff Pontianus[10], revoked his teaching faculty and deposed him from the presbyteral Order[11] for the irregularity of his sacred ordination, which was declared null. It is known that Origen is the only one among the Church Fathers of that rich period not to have been proclaimed a saint, although imprisoned and tortured during the anti-Christian persecutions of Decius; but above all, despite having been, in intellectual and speculative gifts, far superior to many other philosophers and theologians of that first, rich and happy Christian era. The obstacle to his canonization was not due to the fact that in his great and valuable philosophical-theological speculations he hypothesized the thought of the apokatastasis today considered heretical[12]; the great and insurmountable obstacle is entirely linked to his castration.
In those early years of the Church’s life, during which the first great philosophical and theological speculations were underway, preceding and giving rise to the presuppositions and subjects later addressed by the first Ecumenical Council of Nicaea in 325, it was not uncommon for speculative minds, including the Church Fathers, to fall into heretical thoughts, from which they amended themselves later. This did not prevent either their canonizations or their proclamation as Church Fathers.
The Code of Canon Law cited below refers modestly and toned down to the fact that «one who has gravely and maliciously mutilated himself or another»[13] cannot be ordained a priest. From this it can be deduced that Origen’s horrendous self-mutilation was considered in itself worse than heresy, which can however be healed through the recognition of the voluntary or involuntary error, but a destroyed physical virility cannot be restored, except by resorting to complex surgical interventions performed by modern surgery, even if with very uncertain outcomes.
Pertinent question: can mental castration be even worse than physical castration, given that sexuality, in the case of the male, is expressed in the characteristics of his sex, and these are an essential part of mental sexuality, on which they also depend, due to the information and conditioning that emanate from it? Both, in fact, both physical and mental sexuality, are fused together and form a single part of the person, in this case: the male? This is a question I have been asking members of the episcopate for years, to no avail: they have never responded.
Through the Sacrament of Orders, participation in the priesthood of Christ is conferred according to the modality transmitted by apostolic succession. The ministerial priesthood is distinct from the common priesthood of the faithful, which derives from Baptism and Confirmation. Both, «although they differ essentially and not only in degree, are nevertheless ordered to one another»[14]. It is proper and specific to the ministerial priesthood to be «a sacramental representation of Jesus Christ, Head and Shepherd»[15]. This allows the exercise of Christ’s authority in the pastoral function of preaching and governance, as well as operating “in persona Christi” (in the person of Christ) in the exercise of the sacramental ministry. Having said this, it is clear that the first two essential prerequisites for the conferral, and therefore for the validity of the Sacrament, the man being and the Christian.
Book IV of the Code of Canon Law, in Part I, which deals with the Sacraments, outlines the «irregularities and other impediments» to receiving the Sacrament of Orders[16]. A detailed list of obvious elements follows, for example, a madman or someone suffering from mental infirmity, apostates, heretics, and murderers, anyone who has gravely and maliciously mutilated himself or another, or has attempted to take his own life, etc., cannot be ordained a priest. However, we have to wait until “only yesterday”, that is, the year 2005, after entire armies of homosexuals had been admitted into the Holy Order of Priests throughout the world in the preceding decades, with results that proved devastating over time for the entire universal Church, to finally see the promulgation by the then Congregation for Catholic Education ― competent at the time for seminaries, but today the Dicastery for the Clergy has returned to that responsibility, as it had always been before ―, of a document that unfortunately remained a dead letter in many houses of formation, in which there is a clear and precise discussion of the Criteria for the Discernment of Vocations with regard to Persons with Homosexual Tendencies in view of their Admission to the Seminary and to Holy Orders (see text HERE). In short, after many years of claiming «I slipped while leaving the house», suddenly they took courage and declared, without euphemism, that it was all adultery. Similarly, they proceeded to declare, without any euphemism and ambiguity, that a person with obvious homosexual tendencies is not eligible to become a priest, never and under no cases.
The real problem is not that a personality structured by deep-rooted homosexual tendencies lacks the requisites to become a priest. The problem is different and more serious: if, despite lacking the fundamental and foundational requirements for the priesthood, this person becomes priest, isn’t that sacred ordination, besides being clearly illicit, also invalid?
Beyond the “dead letter” of the various exhortations issued by the Apostolic See regarding the non-admission to sacred orders of persons with homosexual tendencies, there is worse: in previous decades — but unfortunately also in the present — priestly ordinations have proceeded without a hitch, concealed behind the illusory certainty that what mattered was the assurance that they did not practice homosexuality. A statement repeatedly made and put into practice by many bishops and seminary rectors, who, although aware of the evident lack of male testosterone among many of their seminarians, and although perfectly aware of their homosexual tendencies and aware of the dissolute life they continued to live during their various vacations outside the seminary, thought they could solve the problem by hiding behind the fig leaf of the surreal… «the important thing is that they don’t practice homosexuality».
It is a huge mistake to think that a psychological disorder can easily persist as long as it does not transform into physical activity, given that — as I have explained many times in my studies and books — physically practiced homosexuality is only the tip of the iceberg of mental homosexuality. I have also explained and demonstrated that often, homosexuals reduced to chastity through self-repression, in their thinking, acting, and interacting, can be much worse and more harmful to the Church than those who practice homosexuality physically, because the latter at least vent their anger, appearing at least somewhat less acid and evil. Unlike the repressed, who by their very nature tend to be not only acis and evil, but cruel. At that point, when we find ourselves faced with profoundly evil people who take perverse pleasure in harming others by any means, starting with the spread of false news, or resorting to complaints based on artfully constructed falsehoods, we are faced with a problem that goes beyond homosexuality, because certain individuals would be such, that is, evil, even if they were heterosexual, regardless of their sexual orientation.
In the long conversations I have had with homosexuals animated by sincere and profound Christian sentiments throughout my years of sacred ministry, the phrase most frequently expressed, at times in dramatic tones imbued with profound inner suffering, was:
«… it’s stronger than me; I can’t control myself, no matter how hard I try to avoid the occasions».
Homosexuality, rightly removed from the list of diseases, remains a profound and complex disorder of the human personality. Although, according to the experts of the new clinical order, it can no longer be classified as an illness, thanks to the strong pressure exerted on them by powerful homosexual lobbies, the fact remains that there are, even in considerable numbers, homosexuals who do not accept the urges of their libido, which they themselves define as a «disorder» and «disturbance», and for this reason they seek help. And the request for help is often, in itself, a request for treatment, which in response deserves an offer of help, even for what today is rightly defined as a non-illness.
Among many, I remember a poignant conversation during sacramental confession with a forty-year-old penitent who said to me these exact words:
«How come today it is possible to cure even many forms of cancer, including serious ones if caught early, but not this “disease” that has consumed my soul since I was just 15 years old?».
As the Holy Doctor of the Church, Augustine, Bishop of Hippo, teaches us: «Pain exists» — and therefore manifests itself — «only in good natures»[17].” Sexual impulses, which, with a term now taboo, were defined “praeter naturam“, are much more controllable than those “contra naturam“, which by their very complexity tend to be uncontrollable, or at least very difficult to contain. And since what has been expressed so far is not hypotheses but clinical-scientific facts, I ask: how could we have left the leadership of our seminaries and religious novitiates in the hands of rectors, formators, and spiritual directors who, although aware of the homosexual tendencies of many of their seminarians and novices, thought they could resolve and close the problem — with the blessing of their bishops and major superiors — through a… «as long as they do not practice homosexuality»? All of this, in itself a very serious and wicked thing, despite knowing that these homosexuals would be placed like “foxes in a henhouse” within an all-male ecclesiastical environment? How could bishops, perfectly aware of the obvious tendencies of some of their seminarians, even debut with cynical quips — overheard by myself and various other witnesses — such as: «Not everyone can be perfect; there are also elements with manufacturing defects; the important thing is that they don’t cause scandal. Besides, the Church also needs men of service». Yes, then we saw in the tragic showdown what happened when the ambitious “men of service” in high gear staged their coup within the Church, chasing talented designers, engineers, and architects away from the construction site with clubs. Are these perhaps the presuppositions through which a bishop can lay hands, recite the consecratory prayer and anoint a new priest with sacred chrism, affirming that in the Church … there is also a need for certain “men of service”?
THERE IS NO DIFFERENCE BETWEEN SIMONIACAL ORDINATIONS AND THOSE THAT TAKE PLACE THROUGH THE EXCHANGE OF SEXUAL FAVORS AND THE RESULTING BLACKMAIL
I am a witness ― and have repeatedly informed the competent Ecclesiastical Authorities of the Holy See, with relevant references and evidence ― of cases of Italian bishops who, under pressure, ordained openly homosexuals as priests. Despite being aware of their terrible moral conduct and the incorrigibility of their nature, if they had not ordained them as priests, these would have sparked unspeakable scandals, smearing their dioceses. The first to indulge in homosexual practices were their own formators and several prominent priests of the diocesan presbyterate. I, however, pass over certain bishops out of a sort of sacred modesty. In light of all this, I have repeatedly asked those in charge and with authority: if several Church councils have declared invalid priestly ordinations and episcopal consecrations obtained through simony[18], that is, through the sale of money, how much more invalid are those ordinations and episcopal consecrations obtained through blackmail, in order to conceal the sexual trafficking by virtue of which it was not possible to say no to those priestly ordinations and episcopal consecrations? And does a bishop deprived of freedom who ordains a priest under blackmail and coercion, validly administer the Sacrament of Holy Orders? Or perhaps we must consider only paying money or blackmailing through money given to someone is illicit, and therefore condemned as such even by the Church’s ecumenical councils[19]? The paying or blackmailing through sexual services, whether given or offered, is instead to be considered entirely licit for the sacramental and canonical purposes of the validity of the Sacrament of Holy Orders? Having said this, I ask: can the gifts of grace of the Holy Spirit pass and take effect through such a sacrilegious and sinful action? I repeat: these are questions that have been posed repeatedly officially and publicly to the competent ecclesiastical authorities, who have never responded to their theological and juridical merits.
The Catechism of the Catholic Church considers simony a grave sin against the first commandment, along with tempting God and sacrilege. According to the current Code of Canon Law, the resignation of an office made for simony is invalid, and the simoniac provision of an ecclesiastical office is null ipso iure; canonical sanctions, such as suspension or interdict, are also foreseen against the simoniac conferral or reception of a sacrament[20]. It must also be added that the individuals in question, once raised to the Holy Orders Priesthood, far from being appeased and content, continued to use their poisons to gain positions of the highest importance within the dioceses, to obtain undeserved ecclesiastical academic titles, to become professors of heresiology in pontifical universities, to become diocesan bishops, apostolic nuncios, and some cardinals; for be sent without any merit or talent to the Pontifical Ecclesiastical Academy, only to end up, not even forty years old, after less than five years of diplomatic service, in the most strategic key positions in the Secretariat of State. This, again, serves to reiterate the immense damage that can result from the self-destructive principle currently underway, implemented by people who, like the bishop I mentioned earlier, asserted: «Not everyone can be perfect; there are also elements with manufacturing defects; the important thing is that they do not cause scandal». Moreover, if the Church truly needs laborers, it should also be remembered that in the promises we make before the Bishop and the assembly of the People of God, we promise to remain celibate, and therefore chaste, that is, to renounce sexual relations with those wonderful creatures that are women. Or do we perhaps promise not to practice homosexuality, if we have obvious homosexual tendencies? Because in that case, according to the impious logic of certain bishops and their seminarians, it would be wise to revise the Roman Rite of Sacred Ordinations of deacons and priests, possibly also including this new form of solemn promise:
«I promise, as a homosexual, not to practice homosexuality and to remain celibate, aware that celibacy entails chastity both with women and especially with men».
I wrote in a 2010 book:
«One cannot ease one’s conscience by limiting oneself to public and stern proclamations, if in reality the number of gay priests increases in proportion to the presence of bishops who reason with a latent homosexual psychology. Or to put it bluntly: some seminarians who between the 1970s and 1980s led the “pious confraternity” within the seminaries are now bishops, and as soon as they became bishops, they first surrounded themselves with like-minded individuals, consistently and de rigueurly placed in all key positions in the dioceses, including seminaries. And these individuals, who protect and reproduce each other, have ended up creating a powerful power lobby within the Church very diabolical terrible»[21].
Today we cannot say that there are not clear and precise acclesiastical documents on this thema, for example:
«In the light of such teaching, this Dicastery, in accord with the Congregation for Divine Worship and the Discipline of the Sacraments, believes it necessary to state clearly that the Church, while profoundly respecting the persons in question (Cf. Catechism of the Catholic Church, editio typica, 1997, n. 2358; cf. also CIC, can. 208 and CCEO, can. 11), cannot admit to the seminary or to holy orders those who practise homosexuality, present deep-seated homosexual tendencies or support the so-called “gay culture” (Cf. Congregation for Catholic Education, A memorandum to Bishops seeking advice in matters concerning homosexuality and candidates for admission to Seminary, 9 July 1985; Congregation for Divine Worship and the Discipline of the Sacraments, Letter, 16 May 2002: Notitiae 38, 2002, 586)»[22].
This and other documents, however, are treated as dead letters, to the point that today, in several seminaries more akin to gay villages than houses of Catholic formation, a heterosexual wouldn’t even dare approach.
It is superfluous to explain with what pain and humiliation, over the last thirty years of Church history, I have witnessed the rise to the top of the ranks of certain well-known, open, and obvious homosexuals, many of whom are now professors of heresiology at pontifical universities, consultants and members of dicasteries, members of the diplomatic service of the Holy See, diocesan bishops, seminary rectors, diocesan vicars general, and so on and so forth…
«THEN YOU WILL KNOW THE TRUTH, AND THE TRUTH WILL SET YOU FREE». MANY HOMOSEXUALS LACK THE MINIMUM REQUIREMENTS REQUIRED FOR THE VALIDITY OF THE SACRAMENT OF ORDERS, STARTING WITH FREEDOM AND TRUTH.
In the Gospel of the Blessed Apostle John, the Word of God asserts:
«If you hold to my teaching, you are really my disciples. Then you will know the truth, and the truth will set you free»
Faced with this assertion, which in its own way is also a warning, we should seriously question the inseparable bond between truth, freedom, and the ministerial priesthood. Within the ecclesiastical world, homosexuals cannot be free because they cannot be themselves. And those who are not themselves cannot know the truth and become its instruments. To believe that this is possible would be like affirming that man has the power to turn evil into good and to bring redemptive grace through sin. Only God can turn evil into good, something partially comprehensible to the human intellect, given that this remains in its entirety an inexplicable mystery, enclosed precisely in the great mystery of grace. God can in fact even make use of an impious action of Satan, to ensure that the supreme evil wrought by the Prince of Darkness can be transformed by his will and divine intervention into the supreme good, but man cannot, through his own fragile nature corrupted by original sin, transform the supreme evil into the supreme good, nor can he, even less, make use of an evil action of the Devil to transform it into an action of good.
Those who do not know the truth because, in order to live, they must descend into obscurity, thus into the eternal self-defensive lie, cannot be faithful to the Word and therefore cannot be disciples. They can only renew within the Church the Luciferian drama of Judas’ betrayal, all thanks to the sacred imposition of hands by certain wicked bishops, who thus reveal themselves not to be apostles of Christ but of the mysterium iniquitatis.
We know that Christ instituted the Priesthood for men, not for angels. Therefore, the priest, although possessing by the mystery of grace a dignity superior to that of the angels of God, can be a sinner and, as such, fall into more or less grave sin; he can even commit very grave sins. The fact remains that a sin, however mortal, but still accidental, committed by a sinful priest, in its form and in its profound and intimate substance is something different from one who instead decides to structure the sacred priestly ministry on the state of sin resulting from a lack of freedom that must be defended with perpetual lies, thus being unable to know the truth and therefore be faithful to the Word, regardless of his own sin and his own human nature as a sinner. To act in this way and to “build” one’s “priestly being” on such evil and perverse elements means not having the basic idea and perception of what the Catholic priesthood really is, and therefore structuring the gift of the mystery of grace of the ministerial Priesthood of Christ on the mysterium iniquitatis.
In dealing with such a delicate thema, one must be careful not to fall, even unintentionally, into the errors typical of the Donatist heresy, condemned by the Council of Carthage in 411. The Donatists maintained that the Sacraments administered by priests rendered unworthy by their state of sin were invalid. This heretical thought did not disappear in the fifth century, so much so that the Doctor Angelicus dedicates 90 questions to it in Part III of the Summa Theologica. My question does not even remotely call into question the validity of the Sacraments celebrated and administered by unworthy and sinful priests, whose validity is dogmatically and canonically beyond question. The question I intend to raise on the theological and canonical levels is whether the Sacrament of Holy Orders, received by certain particular subjects in certain particular conditions, is truly valid, given that the Sacraments require certain minimum requirements for their validity. What if these minimum requirements were, in part or in full, de facto absent? In this case, can we speak of a valid priestly consecration through the Sacrament of Orders? Or, to put it another way, using the example cited earlier: why, after the sacred ordination of the famous castrated Origen, did legitimate Ecclesiastical Authority ban him from sacred orders, while the same Ecclesiastical Authority, in the centuries to come, instead covered up, protected, pampered, and nurtured in the best possible way an army of mentally castrated men? Simply, because the Ecclesiastical Authority never stopped to consider the fact that Origen, before resorting to the extreme act of physical self-castration, had already mentally castrated himself for some time. Therefore, his physical castration was merely the consequence of a mental castration that had matured and occurred previously.
I reiterate that the question I am raising is not the Sacraments, which are undoubtedly valid, even if celebrated and administered by unworthy and sinful priests, but the objective validity, in the full substance, of the Sacrament of Holy Orders received by some priests who lack the minimum requirements for its validity, starting with the fundamental requirement of faith. Therefore, with all due respect to those who continue to play with fire by pretending the dogmatic problem does not exist, my sad experience with the large army of homosexual clergymen plaguing the Church, especially at the highest levels of the hierarchy, confirms for me how high, sometimes in the frightening proportion of 7 out of 10, the number of clergy with obvious homosexual tendencies who undoubtedly lack some or all of the minimum requirements for the validity of the Sacrament of Holy Orders is. These fundamental requirements are: the man, the Christian, the believer, therefore the correct substantive and formal perception of the Catholic priesthood on the part of both the ordaining priest and the ordained. Or can anyone perhaps deny it?
The majority of these individuals are, in fact, blatantly heretical and proud propagators of heresies of a mostly pro-Lutheran nature, or, as one of my Polish confrere, Darius Oko, called them, afflicted with homoeresy:
«Homoheresy is a rejection of the Catholic Church’s teaching on homosexuality. Supporters of homoheresy do not accept that homosexual tendencies are a personality disorder. They question whether homosexual acts are against natural law. Defenders of homoheresy favor the priesthood for gays. Homoheresy is an ecclesiastical version of homosexuality» (cf. Corrispondenza Romana Agency, On the need to stop homosexual lobbies in the Church, Roma, 08.02.2022).
I will now focus on these two elements: man and the believer as the founding and essential prerequisite of the Sacrament of Orders, therefore the absence of heresy and full awareness of the true substantial and formal nature of the Catholic priesthood. It is obvious that an openly homosexual, one of those “blissfully” ordained in recent decades, repeatedly described as «… only just a little effeminate, but because he has a sensitive soul … a mystic …», is in fact prevented from receiving Holy Orders, because a deep-rooted homosexual tendency is to be considered, pursuant to canon 1040, a perpetual impediment — the so-called irregularity to receive orders — for which no bishop or ecclesiastical authority can grant a dispensation, because that would be as if the Congregation for the Causes of Saints decided to dispense from sainthood a candidate for canonization, something which, these days…
Let us suppose that a candidate for Holy Orders tends to give in to the sin of lust “praeter naturam” (according nature), fully aware of the sin, mindful of his error, and therefore ready to seek God’s grace and forgiveness. He then falls back into the same sin, perhaps even worse than before, but returns to seek grace and forgiveness, aware of sin and evil. First of all, such a person demonstrates a Christian conscience, and therefore a sense of good and evil. Certainly, a wise formator and a pious confessor can evaluate the appropriateness of bringing a sinner who is unable to reform into Holy Orders; one might consider advising him that, faced with the potential inability to control himself, it would be best to wait before being admitted to the Holy Orders of Priesthood. Regardless of his sin and its gravity, however, it remains clear that this man is first and foremost a human being, a believer endowed with a moral conscience, capable of discerning good from evil, aware of what the Catholic priesthood is and what it entails and requires. And when this man, incapable of exercising restraint and self-control, indulges in the vice of lust “praetrer naturam“, he will be aware of the evil, of the error, of the fact that this is not in keeping with the priestly state of life.
Having been confessor to numerous priests for several years, I also found myself confronted by confreres who had had relations with women in violation of their sacred promises; just as I found myself confronted by others who, in a more serious and dangerous manner, had a stable relationship with a woman. Both experienced this with great discomfort, a sense of guilt, and a full awareness of their own sin, particularly those who had so-called “steady woman lovers.” And I cannot deny that several of these priests, by an inscrutable mystery of grace, despite living in a state of mortal sin, were authentic models of priestly piety in the exercise of their sacred ministry, devoted heart and soul to the best care of the People of God, as well as effective and precious instruments of divine grace.
The situation is different for a person with homosexual tendencies in a deeply rooted personality, inevitably compounded by the element of heresy. A homosexual who is aware of his homosexuality and determined to remain so, who chooses the Church as a quiet refuge and the priesthood as a means to advance his career, demonstrates, first and foremost, a profoundly flawed conscience, an inability to distinguish good from evil, and an a priori rejection of the moral teachings of the Catholic Church, its doctrine, and its magisterium. Added to all this — as I mentioned previously — is a lack of sincerity stemming from the inability to be himself, which will force him to live in lies and deception throughout his life. Added to this is the fact that many of these homosexuals, far from feeling themselves to be in mortal sin, are deeply convinced that it is not they who are in error, but the Church, judged by them to be guilty of indicating as evil what for them is truly good, convinced that what the Church defines as illicit and illegitimate, because highly sinful for the eternal salvation of the soul, especially for the soul of a priest, is in reality neither illicit nor illegitimate nor sinful, but rather good and beautiful.
I have known priests with obvious homosexual tendencies who did not hesitate to reject Church documents and exhortations on this matter, containing condemnations of certain disorders, or to manipulate them in truly pathetic ways. I have heard formators from various seminaries affirm that homosexuality cannot constitute an impediment to the priesthood. I have even heard priests define homosexuality and its practice as «a natural variant of human sexuality». But above all, I have heard them hurl rage at the sexual morality they described as «backward» and «repressive» promoted by the Church’s magisterium.
The height of aberration is represented by those who write and affirm that certain sexual tendencies and practices concern «the sphere of the private life of priests» (!?). I asked these individuals — one of whom even pride themselves on being excellent canonists —, whether, far from being private matters, certain sexual practices of clerics were not by chance included in the very serious canonical delicts category of carnal sacrilege. Obviously, no answer was given. Above all, I asked whether really believed that a priest, in his «private life» — assuming that a priest can have a private life marked by moral disorder — could engage in oral sex, be sodomized by another man, and then shortly thereafter say in public: «Behold the Lamb of God who takes away the sins of the world». This was a question as dramatic as it was realistic. Instead of a response, an unusual reaction arrived, typical of an acid gay man: stung to the quick and unable to formulate a reasonable reply, the person in question sent a delirious letter of rare violence against me to my bishop and to all the members of the presbytery to which I belong, complaining about my language said was vulgar, after having defined me as a «serious psychiatric case» as well as «obsessed with homosexuals».
Incidents of this kind have affected us priests and theologians in different yet similar ways, as we have dealt with the serious phenomenon of the ecclesiastical gay lobby: my Polish confrere Dariusz Oko, following a complaint filed by German priest Wolfgang F. Rothe of the Archdiocese of Munich, was sentenced in 2021 by the German court in Cologne to a fine of 4,800 euros and 120 days in prison for calling gay priests a «cancerous ulcer» and an «army of parasites within the Church» (cf. Article in italian version, HERE). The case became political, Poland made its voice heard, and some Polish politicians made it clear to the German judges that Germany had not convicted a Polish citizen since the Nazi regime. A similar fate befell Swiss priest and theologian Manfred Hauke, editor of the journal Theologisches, in 2024. He was found guilty of writing that it was necessary to «limit homosexual cliques in the Church». He was sentenced by the Bellinzona District Court to a fine of 9,450 francs. He rejected the ruling and requested a trial, after which he was acquitted. Meanwhile, a German court shortly thereafter fined him 4,000 euros following a complaint from a homosexual priest and LGBT activist (cf. Article in italian version, HERE). The question is: what did the bishops do with these openly practicing homosexual priests who reported their fellow confreres for discrimination and homophobia? They remained silent, trembling like rabbits before the power of The new Gaystapo. If we think about it, the attitude of these LGBT activists is typically fascist: «hit one to scare a hundred», that’s how the old fascists used to spread fear among the people. Today we are faced with true «rainbow fascists» hiding behind anti-fascism; violent and aggressive, weeping victims who complain of racisms and discriminations that very often doesn’t exist, with the aim of pursuing freedom of thought and of opinion to condemn anyone who dares not think that «gay it’s wonderful».
This is the style and behavior of certain homosexuals who camp among the clergy, driven by extraordinary malice. The sad truth is that those who freely choose to live in sexual disorder, feeling gratified by that very disorder, cannot expect to legitimize within the Church and its clergy all those worldly vices that, according to Catholic morality, constitute and remain serious deviations from Christian sentiment and living. In a different but substantially similar manner, the same individual reported Father Amedeo Cencini, a note Canossian italian priest, to the Order of Psychologists, accusing him of insulting homosexuals in his articles and conferences. The disciplinary commission examined the complaint and then issued this opinion: «No violation of the Code of Ethics was found». But when someone dares to contradict certain acids homosexuals, or doesn’t agree with them, a barrage of insults begins, directed at the professional body, accused of defending a homophobe, followed by accusations against the judiciary, accusations against the Italian Republic, and so on…[23]
It goes without saying, but we must remember it anyway: the damage these individuals can cause to the Church if admitted to the priesthood, or worse, if they advance within the clergy and end up in key government positions, is truly incalculable, because they are capable of using any unfair and illicit means to eliminate those they consider dangerous antagonists and die-hard rivals of the gay lobby. I even know of cases of priests whose legal cases have been fabricated, with baseless trials based not even on vague evidence but only on pure insinuations, autentic mafia-style of intimidation, casting doubt on their reputation and inducing them to waste time and money defending themselves from bizarre accusations. And when it all dissolved into a soap bubble, those affected were unable to retaliate against anyone, because gay clerics cowardly attack from behind, using their servile “useful idiots” — never directly, always through intermediaries, without ever appearing in the first place.
Inside the confessional, I had to wrestle with a penitent suffering from homoerotic urges, which he was trying to contain as much and as best he could. He told me, shocked, that during sacramental confession, a priest had told him:
«Expressing one’s homosexuality is not a sin, because homosexuality is in the natural order and is a natural variant of human sexuality; and we cannot force a homosexual to live in chastity, because preventing a person from expressing their loving affection would be inhumane».
In either case —whether it be the Arian heretic or the homoheretic — we are faced with an expression of heresy different in form but similar in substance, ad that such an irregularity becomes a canonical perpetual impediment. I reiterate: that a strong sinner can be legitimately and validly consecrated as a priest, but not one who lacks the fundamental requisites of a man and a believer and who aims to to the priesthood for evil and perverse purposes. For it is one thing to fall into grave sin, quite another to consider disorderly conduct as good and just and aspire to the priesthood for evil and perverse purposes.
While I tend to consider the ordinations of such individuals invalid, I will not even open — given the extraordinary sensitivity of the subject — the painful chapter regarding the validity of the episcopal consecrations of those who are similarly not men, not believers, and do not have a correct perception of the fullness of the apostolic priesthood; not to mention those who, despite being the receptacle of all the worst vices, nevertheless reached the episcopate through blackmail and the psychological terrorism exercised on the Ecclesiastical Authorities.
THE MYSTERY OF GOD’S GRACE, THE “SUPPLET GRATIA” AND THE “SUPPLET ECCLESIA” ARE NEITHER A WAY OUT NOR A PANACEA
I believe we cannot play either on the mystery of God’s grace or on that great “loophole” or, if you prefer, panacea, of the “supplet gratia” (supply the grace) and the “supplet Ecclesia” (supply the Church), because nothing can replace God’s grace, much less the Church, where the nature of the substance through which and upon which sacramental grace operates is completely missing. Or to put it another example: an aged host in which all the matter of the bread remains, and a low-quality, unpleasant-tasting wine in which all the matter of the wine remains, nevertheless, through transubstantiation, undoubtedly become, in their metaphysical essence, by the supreme mystery of faith, the Body and Blood of Christ. But a butter biscuit and an orange drink can never become the Body and Blood of Christ, because that matter on which the subsistence of the metaphysical substance depends by divine will is missing, given that what is transubstantiated is the precise matter of bread and wine, not any matter of solid and liquid food and drink.
Where the matter that gives life to the essence of substance is lacking, can God’s grace truly supply it, or can the Church perhaps supply it? And if so, why would the Church Father, St. Augustine, have wasted precious time and energy writing and giving us the treatise “De natura et gratia” (On the grace and the nature)? Not to mention all the subsequent speculations on matter by St. Thomas Aquinas? Grace works, and always works, but it works on existent nature, ot works on nature inexistent, because think whit works on inexistent nature would mean altering and falsifying the very mystery of creation and with it that of redemption.
The mystery of God’s grace transforms, through the work entrusted to our hands, the substance of bread and wine into the Body and Blood of Christ, while retaining the external species of bread and wine in visible form, smell, and taste. These external species, however, become Christ truly and truly present in a substantial way with his Body, his Blood, his Soul, and his Divinity. The grace of God, which is capable of all things, does not transform into the metaphysical substance a butter biscuit and an orange juice in Body and Blood of Christ, because God cannot contradict himself, for «Hoc Est Enim Corpus Meum» (this is my body) was said on the bread, and «Hic Est Enim Calix Sanguinis Mei» (This is the chalice of my blood) was said on the wine. And no one can change these accidental elements on which the very metaphysical essence of the substance depends by divine will, if anything by affirming … “supplet gratia“, or worse “supplet Ecclesia“, not to mention certain acid gay people mentioned above, who, according according to their personal and eccentric “ecclesiastical law”, would like to relegate all of their moral disorders to the unquestionable sphere of the private life of priests (!?)
God’s grace works only on what exist, not on what isn’t exist and can’t exist; and this is clearly explained and taught in the Parable of the Talents. Through the Holy Priestly Order, an ontological transformation occurs, and the priest takes on a new character, which is indelible and eternal. But if a priest is five feet tall, God’s sanctifying and transforming grace cannot transform him into a barefoot, six-foot-three-foot-tall cuirassier. Or to be more precise: a donkey, in the figurative sense of the term, can also become a Saint, can even become the venerated patron of priests of the Catholic Church, but cannot be transformed into an Arabian stallion, because he will remain a donkey, regardless the his heroic holy virtues. Both Saint Augustine both Saint Thomas clearly clarified the principle that gratia naturam perficit sed non supplet (grace does not replace the nature that isn’t there, but perfects the existent nature). And when nature is absent, starting with the nature of man, of the virile male, required for access to the Holy Order of Priesthood, what happens? Who can ever … supply? The only one who can do so is man, who has put himself in God’s place, or even worse: in Satan’s place.
I would like to conclude with a paradoxical question, but sometimes there can be a great deal of objectivity in paradox or hyperbole. This is the question: if a person, secretly belonging to a Satanic sect, wishes to become a priest for the purpose of validly consecrating the Most Holy Eucharist, destined later to the most impious profanations, thereby serving his Luciferian coven, can we, in that case, speak of a valid ordination? Well, could someone explain to me: what is the difference between a Satanist who aspires to the priesthood for evil and sacrilegious purposes and a homoheretic who also aspires to the priesthood for equally evil and sacrilegious purposes? I’ll explain the difference: a Satanist truly believes in the Most Holy Eucharist as the real presence of the true and living Christ, while in the majority of cases, homoheretics don’t believe in the real presence of the true and living Christ. This is demonstrated by the fact that in their discourse they speak of everything except the Real Presence. They fill their mouths with terms like «… banquet… feast of joy… encounter of love…». Rather than the metaphysical language they despise and the term “transubstantiation” they define as obsolete, they prefer the Lutheran term “consubstantiation.” As a result, their Eucharistic celebrations, brimming with liturgical abuses and free will of every kind, seem like Calvinist liturgies, the very foundation of which is the denial of the Real Presence, depicted by John Calvin precisely by standing during the words of the Last Supper. And in doing so, homosexual heretics eschew the term «living and holy sacrifice». They distribute the Eucharist as if it were free tokens of unleavened bread, they fail to treat the sacred vessels with sacred respect, they fail to proceed with their adequate purification, and they do not promote Eucharistic worship in any way. Added to this is the fact that many of our “fatal womens masters of ceremonies” — because for the last thirty years, finding a heterosexual among liturgists is like looking for a needle in a haystack — have also proceeded to abolish the plates for the Communion of the faithful, but in their place have instituted the silver plate on which to place the bishop’s most holy red skullcap, far more important than the collection of Eucharistic fragments. And there is even more: I have ascertained that the homoheretic bishops, through their homoheretic priests, are those who teach the People of God to stand with their heads held high during the Eucharistic Prayer, as well as being the proponents of the elimination of the pews with kneelers from many churches, replaced with cinema seats, because to strike the Church at its heart and de-sacralize it, one must first strike the Eucharist, rather than following the clear Pauline admonition:
«That at the name of Jesus every knee should bow, in heaven and on earth and under the earth, and every tongue acknowledge that Jesus Christ is Lord, to the glory of God the Father»[24]
This explains the difference between a Satanist and a homoheretic: the Satanist is a believer, the homoheretic is not. And whoever wants to meditate, let him meditate, but let him do it quickly and well, while the house continues to burn, while the realistic possibility of putting out the fire grows increasingly distant, while the visible Church increasingly resembles a vast Gay Village.
From the Island of Patmos, July 28, 2025
This article is based on a previous article published on July 7, 2016
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NOTE
[1] Cf. Codex Iuri Canonici, can. 1024.
[2] Cf. Mk 3,14-19; kc 6,12-16.
[3] Cf. 1 Tm 3,1-13; 2 Tm 1,6; Tt 1,5-9.
[4] Cf. St. Clement of Rome, Ad Cor. 42, 4; 44, 3: PG 1, 292-293; 300.
[5] Cf. John Paul II, Apostolic Letter. Mulieris dignitatem, 26-27: AAS 80 (1988) 1715-1720; Id., Ap. Letter. Ordinatio sacerdotalis: AAS 86 (1994) 545-548; Congregation for the Doctrine of the Faith, Dec. Inter insigniores: AAS 69 (1977) 98-116; Id., Response to the doubt regarding the doctrine of the Apostolic Letter. «Ordinatio Sacerdotalis»: AAS 87 (1995) 1114.
[6] Cf. Eb 5,4.
[7] Cf. First Letter of Clement, 44,2, later taken up by the Dogmatic Constitution Lumen Gentium n. 20.
[8] Cf. Mt 19, 12: «For there are eunuchs who were born that way, and there are eunuchs who have been made eunuchs by others, and there are those who choose to live like eunuchs for the sake of the kingdom of heaven».
[9] Cf. Johannes Quasten, Patrologia. I primi due secoli (II-III). Marietti, 1980.
[10] XVIIIth Successor of the Blessed Apostle Peter, pontificate, years 230-235.
[11] Cf. Bibliotheca Cod. 118.
[12] Cf. Apocatastasis. According to Origen, at the end of time there will be universal redemption and all creatures will be saved, including Satan. Therefore, the punishment of eternal damnation would actually have a purifying and not definitive nature. «We believe that the goodness of God, through the mediation of Christ, will bring all creatures to the same end» (De principiis, I, IV, 1-3).
[13] Cf. Can. 1040.
[14] Second Vatican Council, Dogmatic Constitution Lumen gentium, 19.
[15] John Paul II, Ap. Ex. Pastores dabo vobis, 25 March 1992, 15, 4.
[16] Cf. Cann. 1024-1052.
[17] St. Augustine, The nature of good, 19.
[18] The term simony derives from the episode narrated in the Acts of the Apostles (Acts 8, 9-24) in which Simon Magus, a healer, asked the Apostles, in exchange for payment, for the thaumaturgical power conferred by the Holy Spirit and was consequently cursed by the Blessed Apostle Peter.
[19] Example: In 1093, the Supreme Pontiff Urban II declared all simoniacal ordinations invalid, except for those of clerics who were unaware of the simony of their ordinations. The condemnation of simony was decreed by various Church ecumenical councils, from the Council of Chalcedon in 451 to the Council of Trent in the 16th century.
[20] Cf. can. 188.
[21] Cf. Ariel S. Levi di Gualdo, And Satan Became Triune. Relativism, Individualism, Disobedience. An Analysis of the Church of the Third Millennium. Rome, 2011. Reprint: L’Isola di Patmos Editions, Rome, 2019. Currently available only in Italian language.
[22] Instruction Concerning the Criteria for the Discernment of Vocations with regard to Persons with Homosexual Tendencies in view of their Admission to the Seminary and to Holy Orders, 4 November 2005.
[23] Cf. Francesco Strazzari: «Between criticism and insults: “Silere non possum”», Settimana News, November 25, 2022 edition (Italian version only).
[24] Cf. Phil 2, 10-11.
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