Da Francesco a Leone XIV. Che cosa ci riserverà il futuro

DA FRANCESCO A LEONE XIV. CHE COSA CI RISERVERÀ IL FUTURO?

Auguriamo al Beatissimo Padre Leone XIV di essere sé stesso, non più Robert Prevost ma Pietro, un guaritore ferito, di ricostituire in salute la figura del dolce Cristo in terra e di saper guarire la Chiesa che vive in una situazione traumatizzata. Bisogna almeno provarci, anche senza riuscirci, ma provarci. Questo costituirà già un merito di grazia e di salvezza, attraverso quella logica del cristologico fallimento che nella gloria della croce risplende e vince il mondo.

— Attualità ecclesiale —

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Cap.

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Ad appena due settimane dall’elezione del Romano Pontefice Leone XIV non possiamo non notare nella Chiesa un clima di euforia generalizzata unita a quella sensazione di sollievo simile a colui che a fine giornata dismette le scarpe strette per mettersi comodamente in pantofole. Basta ripercorrere le immagini della Santa Messa di inizio pontificato per notare una piazza San Pietro molto affollata fino a tutta Via della Conciliazione, cosa che non accadeva da almeno un decennio a questa parte.

Erano presenti in molti. Non solo la gente comune ha voluto essere presente all’evento dell’inizio del ministero del nuovo Romano Pontefice ma anche diverse personalità di spicco provenienti da tutto il mondo hanno reso il loro omaggio, nutrendo in cuor loro la segreta speranza che il nuovo Capo della Chiesa potesse costituire un valido alleato politico e sociale nella scacchiera geopolitica attuale.

L’elezione di un Papa è qualcosa di straordinario, senza dubbio è un evento unico al mondo, che con una facile ironia avviene appunto a ogni morte di Papa”. Eppure, questa elezione in modo particolare si è caricata di numerose speranze e aspettative proprio per la singolarità del pontificato di Papa Francesco e di quella oggettiva eccentricità dell’uomo Jorge Mario Bergoglio di cui, all’occorrenza, abbiamo parlato con dispiacere e talora imbarazzo su questa nostra rivista, sempre con rispetto ma soprattutto a “papa vivo”, al contrario degli “eroi” che solo oggi, a “papa morto”, sollevano perplessità, critiche e persino ironie. Da qui il realistico commento del nostro redattore canonista Padre Teodoro Beccia:

«A noi che dinanzi a certe sue innegabili stravaganze, all’occorrenza abbiamo criticato il Santo Padre Francesco a viso aperto, con garbo e rispetto, adesso toccherà il compito di difenderlo da morto da coloro che in vita lo hanno esaltato, sino a sprofondare in forme di vera e propria papolatria, ovviamente tutt’altro che disinteressata, avendo poi ottenuto quanto sperato in benefici, nomine e cariche ecclesiastiche».

Facciamo attenzione, dopo ogni elezione papale c’è da parte di molti commentatori e giornalisti l’uso smodato di quel sostantivo femminile che è “continuità”, termine che significa e indica la ripresa di quella linea di governo — fatta di tradizione, idee, orientamenti e stili — che il defunto pontefice ha avuto nel suo governo della Chiesa e che il nuovo dovrebbe proseguire quasi come un lascito testamentario. A conferma del fatto, la maggior parte delle ultime previsioni sui possibili papabili vertevano tutte su profili simili al de cuius, così come insegna quella locuzione latina: Similes cum similibus. Ma la storia del papato e dei Conclavi riserva sempre sorprese e imprevisti.

Ricordo come nel 2005, alla morte di Giovanni Paolo II, l’elezione di Benedetto XVI fu salutata come un segno di grande continuità col Predecessore. Il tempo ha poi evidenziato come i due pontificati si sono dimostrati differenti sia per storia personale, sia per stili e temperamenti e che l’unica continuità riscontrabile è stata quella presente nel comando del Signore risorto a Pietro: «Pasci le mie pecore» (Gv 21,17). Questi due Romani Pontefici sono stati accomunati dalla volontà di condurre la navicella della Chiesa e di pascere il popolo santo di Dio con fortezza e non senza i dolorosi calvari.

Questo per dire che regimentare un pontificato dentro aspettative personali ed eredità precedenti porta a delusioni e che la continuità che conta per un Papa è quella con Gesù Cristo e non con il suo predecessore, fosse anche un santo canonizzato. Questo è stato anche il pensiero che molti Cardinali hanno condiviso durante le ultime Congregazioni Generali in vista del Conclave ed è quello che in modo non tanto velato ha potuto esprimere anche il Cardinale Giovanni Battista Re durante la Santa Messa prima dell’ingresso in Conclave.

Tali riflessioni sparse sono positive perché ci aiutano a maturare nella conoscenza che un Papa va amato sia nel suo ministero che come figura ma allo stesso tempo siamo ugualmente convinti che il Papa, qualunque esso sia, nella sua umanità fragile e fallimentare non è un outsider e quindi ha bisogno di tutto il sostegno e il consiglio possibile, perché siamo tutti passibili di quel fallimento che il nostro direttore Padre Ariel ha magistralmente espresso in un suo recente articolo (vedi QUI).

Il Consiglio è un dono dello Spirito Santo e non un compromesso umano, è quel dono che il Salmo 16 descrive così: «Il Signore mi ha dato consiglio, anche di notte il mio cuore mi istruisce» (Sal 16, 7). Il compito di consigliare e istruire il sommo Pontefice spetta primariamente a Dio attraverso il Figlio ma anche attraverso il suggerimento, la saggezza e la mediazione del Sacro Collegio al quale spetta esercitare con generosità il dono del Consiglio verso la persona del Sommo Pontefice.

L’8 maggio, dalla loggia delle benedizioni della basilica di San Pietro, abbiamo potuto vedere un Pontefice affacciarsi con visibile commozione e consapevolezza del suo ruolo, le immagini televisive non potevano nascondere la commozione degli occhi e il nervosismo che increspava le labbra. Si è presentato al mondo da Pontefice, con l’aspetto proprio di un Pontefice, per chi desiderava vedere un Pontefice e non qualcos’altro. Quel dono del Consiglio avrà lavorato efficacemente nel cuore dei Cardinali in vista dell’elezione? Noi lo speriamo, ma desideriamo augurarci che continui a lavorare negli anni a venire sia nel Collegio Cardinalizio che dentro il Palazzo Apostolico. I presupposti sembrerebbero buoni — il condizionale è d’obbligo — fin dal momento in cui Leone XIV si è affacciato al balcone della loggia della basilica abbiamo potuto percepire la sua intenzionalità di ricentrare la Chiesa sulla persona di Cristo risorto e accompagnare tutti gli uomini all’interno di un cammino di consapevolezza pasquale.

Vogliamo coltivare la virtù teologale della speranza e nutrire una realistica fiducia, senza cadere in facili “anfibologie” complottiste o nella trappola di vedere nella mozzetta, nella stola pontificia e nella croce pettorale d’oro dei segni divisivi o polemici. La presenza di tali segni non è espressione di una farsa carnevalesca o di un retaggio rinascimentale, essi rappresentano gli elementi propri di un Papa e aiutano a delineare la sua figura ben chiara, che rispetta dei canoni che non sono modaioli o politici ma che si radicano dentro un linguaggio ben preciso e che significano realtà precise. A tutta quella gente che piace al mondo che piace, gioverà ricordare che è vero che l’abito non fa il monaco, tuttavia il monaco ha l’abito, che deve indossare e portare con dignità, quale segno visibile dell’ufficio al quale è chiamato a adempiere.

Il mondo della gente che piace, dipendente dai vari look e outfit si è scagliato contro Leone XIV per via del suo apparire smaccatamente come un Papa. Sui social tra i vari commenti, il più lusinghiero, sotto le varie notizie dell’elezione, è stato: «non mi piace», e questo perché? Semplice, da diverso tempo la figura del Papa e del papato è stata destrutturata e mortificata e questo non vuole essere un attacco al predecessore di Papa Leone XVI ma solo una lettura oggettiva. Con Papa Francesco abbiamo visto il successore del Beato Apostolo Pietro presentarsi al capolinea della sua esistenza terrena in carrozzina, con un poncho sdrucito, con dei pantaloni approssimativi (forse anche con il catetere vescicale) così come uno dei tanti anziani della peggiore Residenza Sanitaria Assistita. Che cosa ha detto questo modo di apparire a quel mondo fatto della gente che piace? Nulla, semplicemente nulla, non ci sono state levate di scudi perché l’obiettivo è apparso molto chiaro fin da subito, destrutturare l’anima del papato, normalizzarlo e forse portarlo ai minimi termini e Francesco è stato in questo l’uomo giusto al momento giusto, pedina inconsapevole (forse?) ma anche uomo fragile che non ha avuto la capacità di farsi tutelare, guidare e difendere.

Penso che nessuno di noi gradirebbe portare in giro il proprio genitore anziano in condizioni di trasandatezza e di fragilità. Io che ho servito per diversi anni come cappellano ospedaliero conosco bene la realtà degli ambienti sanitari e assistenziali e posso garantire che l’ammalato, anche se allettato o terminale, non ha piacere di manifestare la sua fragilità fisica agli estranei, spesso anche con alcuni familiari, ma cerca sempre di conservare la propria dignità; eppure, con Francesco è accaduto l’esatto contrario e di questo dobbiamo dispiacerci. 

Altra particolarità di Leone XIV è stato presentarsi al mondo con le parole del Cristo risorto: «La pace sia con tutti voi», è la parola di Cristo che vince il mondo e il Papa non può che appoggiarsi sul Risorto e lasciare a lui la supremazia. Basterebbe questo saluto per poter individuare già un possibile cammino pastorale per il nuovo pontificato di Leone XIV. Un pontificato di rappacificazione che deve toccare diversi fronti: dalla più immediata Curia Romana insieme al presbiterio di Roma — ampiamente bistrattato — fino alle relazioni internazionali tra i popoli in cui la Santa Sede con il suo capo non può che dimostrare quella autorevolezza morale e materna per ricondurre l’uomo alla ragionevolezza.

Una riappacificazione necessaria, dicevo, che non può che partire dal riconoscimento di quelle ferite che sono presenti anche in seno all’immagine del papato attuale. Del resto, lo stesso Beato Apostolo Pietro iniziò il suo ministero con ferite evidenti e un passato personale da ripacificare, questo è bene ricordarlo per sfuggire la mania della papolatria sempre in agguato.

Auguriamo al Beatissimo Padre Leone XIV di essere sé stesso, non più Robert Prevost ma Pietro, un guaritore ferito, di ricostituire in salute la figura del dolce Cristo in terra e di saper guarire la Chiesa che vive in una situazione traumatizzata. Bisogna almeno provarci, anche senza riuscirci, ma provarci. Questo costituirà già un merito di grazia e di salvezza, attraverso quella logica del cristologico fallimento che nella gloria della croce risplende e vince il mondo. Chissà che la figura della Chiesa come ospedale da campo non si realizzi in pienezza nell’attuale pontificato. C’è chi vuole vedere il novello Pontefice come colui che ricondurrà alla tradizione, c’è chi lo vuole vedere come un continuatore dell’opera di Francesco, chi un conservatore nella forma ma un novello Bergoglio nella sostanza.

Per il momento vogliamo esercitare il dubbio inteso come esercizio della prudenza e sospendere il giudizio dentro la cornice di un sano realismo. Certo di piacerebbe rivivere quello che nel libro apocrifo degli Atti di Pietro è conosciuta come la tradizione del Quo Vadis. Gesù insegna a Pietro che a Roma un Papa ci può stare solo e soltanto se si lascia crocifiggere. E con questa consapevolezza noi vogliamo fin da ora piegare le nostre ginocchia e pregare per il Santo Padre. Viva il Papa!  

Sanluri, 27 maggio 2025

 

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1 commento
  1. lydia2005
    lydia2005 dice:

    L’ho letto tutto d’un fiato e poi riletto, come mia abitudine! Condivido tutto! Bellissima l’analisi della prima parte, profonda ed obiettiva. Ho molto apprezzato la visione rispettosa, ma assolutamente equilibrata di Bergoglio. Ho avuto spesso gli stessi sentimenti di sconcerto, sorpresa e talvolta, lo ammetto, fastidio – mi dispiace – per poi raggiungere, alla fine del suo papato, una sincera umana “compassione” per un papa che non avevo quasi mai approvato nei comportamenti e nelle esternazioni e per il quale non avevo nutrito nessun trasporto, seppure – negli ultimi tempi – lo avessi un po’ “rivalutato” per affermazioni più “inequivocabili”, per altro inascoltate e spesso ignorate. Tardi, a mio avviso! Il danno era fatto. Ora, come lei, caro padre, sono prudentemente speranzosa. Anche se temo che saranno estremamente duri e difficili i percorsi che si presenteranno a questo papa che – di primo impatto – mi è piaciuto per la sensazione di un ritorno – me lo conceda😊 – al “normale”. Io credo che molti siano i fedeli che auspicavano un simile ritorno. Credo che si richiedesse un rappresentante di Pietro che mettesse il “Creatore” al centro della sua missione e predicazione prima della “creatura”. Personalmente anelavo a risentire un’omelia papale che mi parlasse di Dio e del regno promesso e di come poterci arrivare nonostante il mondo di oggi. Temo che per Leone XIV questo “ritorno” alla centralità di Cristo nella sua missione sarà faticoso e doloroso. Preghiamo perché gli sia data la forza e la tenacia per farlo. Grazie ❤️

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