Un francobollo vaticano burlone per spedire una missiva sulla questione della Messa ecumenica

— Theologica —

UN FRANCOBOLLO VATICANO BURLONE PER SPEDIRE UNA MISSIVA SULLA QUESTIONE DELLA MESSA ECUMENICA

Occorre pertanto che la Chiesa respinga quel falso ecumenismo, del quale abbiamo qui tracciato i contorni, e che invece di condurre i fratelli separati all’unità cattolica, rischia di trasformare e frantumare l’unità cattolica attorno a Cristo in un guazzabuglio disordinato e caotico di fratelli separati sotto il «principe di questo mondo»

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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Giovanni Cavalcoli, O.P. usa questo francobollo ameno per spedire la missiva che segue … [vedere in Poste VaticaneQUI]

La cosiddetta Messa ecumenica, di cui da tempo si sente parlare, è espressione non chiara, perché non è sempre chiaro se ci si riferisce a una Messa compatibile con l’ecumenismo o a un rito facilone, sincretistico, confusionario ed equivoco, con ciò stesso invalido, illecito ed empio, che col pretesto dell’ecumenismo, auspichi un’ibrida concelebrazione fra cattolici e luterani.

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La questione è molto delicata, perché la celebrazione eucaristica rappresenta e realizza il vertice della comunione ecclesiale, è la fons et culmen totius vitae christianae, per esprimerci col Concilio Vaticano II.  E per questo è necessario che i celebranti, i concelebranti ed i fedeli che partecipano siano in piena comunione con la Chiesa, accogliendo integralmente la dottrina e la disciplina morale e giuridica della Chiesa cattolica, cosa che tanti fratelli cristiani non-cattolici, in particolare i luterani, dei quali qui adesso ci occupiamo, sono ancora ben lungi dall’accettare. Infatti, il Concilio Vaticano II, nel riformare il rito della Santa Messa, dà ad essa un taglio ecumenico: senza naturalmente sopprimere l’aspetto sacrificale. Quindi la Messa novus ordo presenta taluni aspetti, assenti nella vetus ordo, che sottolineano e riprendono gli aspetti propri della Cena del Signore di Lutero, come l’aspetto conviviale: si parla oggi correntemente del «banchetto eucaristico»  o della «sinassi eucaristica», come memoriale dell’Ultima Cena.

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Ad ogni modo, l’intendere la Messa ecumenica nel primo dei sensi accennato sopra, è cosa del tutto legittima e può esprimere bene proprio quello che il Concilio ha inteso fare con la riforma liturgica: avvicinare il più possibile il nuovo rito a quanto di valido c’è nella Cena del Signore luterana. Infatti, il Concilio, nel riformare il rito della Messa, dà ad essa un taglio ecumenico: senza naturalmente sopprimere l’aspetto sacrificale. Ma più di così il Concilio non poteva concedere ai luterani, senza tradire il significato essenziale della Santa Messa. Adesso tocca ai luterani avvicinarsi alla Messa cattolica, assumendo quegli elementi voluti da Cristo, che Lutero a suo tempo abbandonò, credendo di riformare, mentre in realtà ha solo deformato.

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La seconda concezione della Messa ecumenica, invece, è quella auspicata dai modernisti filo-luterani, come per esempio Andrea Grillo, il quale di recente, negando nella rivista Munera che la transustanziazione sia un dogma [1], sostiene che l’interpretazione cattolica e quella luterana sono due diverse interpretazioni possibili e legittime dell’Eucaristia, ma nessuna delle due può pretendere di essere l’unica vera condannando l’altra [vedere articolo, QUI], cui ne ha fatto seguito in secondo di precisazione, QUI]. È il metodo classico dei modernisti, intriso di opportunismo e di doppiezza, che, in nome del pluralismo o dell’aggiornamento, in riferimento a un dato passo o sentenza della Scrittura, affianca l’interpretazione cattolica a un’altra eretica, dando peraltro la preferenza a questa, mentre l’altra è detta “superata”.

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Il Comunicato cattolico-luterano

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Questo importantissimo argomento emerge dal Comunicato congiunto della Federazione Luterana Mondiale e del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani a conclusione dell’anno della Commemorazione comune della Riforma, del 31 ottobre 2017. In esso viene velatamente formulato l’auspicio che cattolici e luterani possano celebrare assieme l’Eucaristia, superando le divisioni attualmente esistenti. In esso si dice: «Con uno sguardo rivolto al futuro, ci impegniamo a proseguire il nostro cammino comune, guidati dallo Spirito di Dio, verso la crescente unità voluta dal nostro Signore Gesù Cristo. Con l’aiuto di Dio e in uno spirito di preghiera, intendiamo discernere la nostra interpretazione di Chiesa, Eucaristia e Ministero, sforzandoci di giungere ad un consenso sostanziale al fine di superare le differenze che sono tuttora fonte di divisione tra di noi».

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E come fare per «superare le differenze tuttora fonti di divisione»? Il Decreto conciliare Unitatis redintegratio lo dice chiaramente: occorre che noi cattolici, sotto la guida del Papa, padre comune dei cristiani, con l’assistenza dello Spirito Santo, aiutiamo i fratelli luterani a togliere quegli «impedimenti» e «carenze», che sono ancora di ostacolo alla piena comunione con la Chiesa Cattolica, affinchè essi «siano pienamente incorporati» in essa [n.3].

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Quanto al programma di «discernere la nostra interpretazione di Chiesa, Eucaristia e Ministero, sforzandoci di giungere ad un consenso sostanziale», in esso sono toccati tre punti della massima importanza, che riguardano il fine ultimo dell’ecumenismo, come risulta dall’Unitatis redintegratio: che la Chiesa, nella sua premura materna, per mezzo dei suoi ministri, chiamando tutti a sottomettersi al soave giogo di Cristo, possa ottenere, con una paziente, indefessa e saggia opera educativa, stimolante  e correttiva, assistita dallo Spirito Santo e guidata dal Papa, che chiama tutti alla pienezza della vita cristiana, che quei fratelli che non sono ancora in piena comunione con lei o si fossero allontanati, giungano o tornino alla pienezza della comunione, nella comune e fraterna celebrazione dell’Eucaristia, liberandosi gradualmente da tutti gli ostacoli ed impedimenti che si frappongono al conseguimento della nobile meta.

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La Chiesa deve sapersi presentare ai luterani con un volto attraente, così che essi si sentano invogliati ad entrare in essa in quella piena comunione che tuttora ad essi manca, perché essa realizza meglio di loro quegli ideali evangelici, che pur essi perseguono, ed è libera da quelle difficoltà dalle quali sono afflitti. Se noi cattolici ci mostriamo cedevoli nei confronti dei loro difetti e quasi verso essi ammirati, i luterani si sentiranno dei campioni del cristianesimo, penseranno di essere dalla parte della ragione e si asterranno dall’accostarsi a Roma.

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Indubbiamente Lutero mantiene il concetto di Chiesa, benchè a quel termine (Kirche) preferisca quello di “comunità” (Gemeinschaft). Egli, agli inizi, quand’era ancora cattolico, non intese affatto rompere con la Chiesa, ma riformarla; e qualche sua idea era anche buona. È al tempo della rottura col Romano Pontefice, capo della Chiesa, che egli cadde in un’idea errata di Chiesa, credendo di riformarla, per cui pensò sempre di aver ritrovato la vera essenza della Chiesa, deformata, a suo dire, dal papato, mentre il vero de-formatore era lui.

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Egli tuttavia mantenne della Chiesa alcuni elementi genuini. Così Chiesa era per lui la comunità dei battezzati, nella quale si predica il Vangelo e si amministrano i sacramenti. È il popolo di Dio guidato da Cristo e dallo Spirito Santo. Tuttavia i ministri non sono sacerdoti, ma pastori, addetti al culto ed alla guida della comunità, e teologi-esegeti, maestri di Sacra Scrittura.

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Nessuna successione apostolica e nessuna gerarchia ecclesiastica, quindi niente papato. Questione da affrontare, allora, come accenna il Comunicato, è quella dell’essenza del ministero, che coinvolge il concetto di Chiesa, perché la differenza essenziale tra il concetto cattolico di Chiesa e quello luterano, è appunto il fatto che nell’ecclesiologia luterana manca il ministero sacerdotale, sostituito da un ufficio meramente funzionale di insegnante, di sorvegliante o presidente d’assemblea, senza carattere soprannaturale; ma questa è una lacuna gravissima, perché manca il concetto di sacramento, manca il Magistero e manca il governo universale della Chiesa, ossia il papato.

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L’errato concetto luterano di sacramento, che ne rifiuta la natura di canale della grazia ― ex opere operato ―, ma lo vede solo come segno sensibile della grazia presente, porta con sé la difettosità e la miseria per non dire lo squallore del culto e l’assenza della santificazione e del progresso spirituale; l’assenza del magistero porta con sé l’incertezza e il relativismo dottrinali, il disordine etico e dottrinale, nonché la mancanza dell’apologetica e dello slancio missionario; la mancanza del papato, principio di moderazione, unità, concordia e pluralità e vero sviluppo ecclesiale, produce una sistematica conflittualità intra-ecclesiale, la violenza delle polemiche, i contrapposti estremismi, la mania del cambiamento e l’insofferenza per la tradizione, il moltiplicarsi delle sètte e la dipendenza dal potere politico.

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Ma il contrasto più profondo tra l’ecclesiologia cattolica e quella luterana ha la sua scaturigine prima proprio nel contrasto sul concetto dell’Eucaristia, e quindi nella negazione luterana del mistero della transustanziazione. A causa di questa negazione la Comunità luterana si riduce ad essere niente più che una semplice società di discepoli di Cristo. Invece la vera Chiesa è comunione soprannaturale di persone, che trae origine, culmine, fondamento e ragion d’essere dalla comunione eucaristica e dalla celebrazione eucaristica. ln tal senso la Chiesa è il Corpo mistico di Cristo. Significativo è il fatto che in Lutero sia totalmente assente l’ecclesiologia del Corpo mistico.

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La Messa cattolica e la Cena luterana

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Per noi cattolici la Messa non è solo un memoriale, ma anche sacrificio. Questo aspetto manca nella Cena luterana, perchè Lutero si rifiutò di collegare la Cena col Sacrificio della Croce, in quanto pensava che questo fosse sufficiente per la remissione dei peccati, senza bisogno di aggiungere opere umane, quale riteneva fosse la Messa.

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Noi cattolici abbiamo sempre risposto ai luterani che la Messa che Cristo stesso ci ha comandato di celebrare ― «fate questo in memoria di Me» ―, non pretende assolutamente di aggiungere nulla al valore infinito e più che sufficiente del Sacrificio del Signore, perché sarebbe veramente, come crede Lutero, assurdità ed empietà, ma è solo una partecipazione sacramentale, voluta da Cristo stesso, al suo unico divin Sacrificio, che ne prolunga ed applica la forza e l’efficacia nello spazio e nel tempo, fino alla fine dei secoli. Ma purtroppo da quell’orecchio i luterani non ci sentono.

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È comunque confortante la comune fede di noi cattolici con i luterani che in questo memoriale della Cena del Signore si verifica misticamente, ma realmente la presenza operante e confortante di Cristo crocifisso e risorto e del suo Spirito nella comunità costituita dal popolo sacerdotale, nel quale il ministro che presiede alla celebrazione, dopo la lettura e il commento della Parola, che conferma le promesse divine ed alimenta la speranza, ripetendo le parole del Signore, riconosce insieme con la comunità e nella comunità  la presenza operante dello Spirito, della grazia, del perdono e della misericordia di Dio sul suo popolo in preghiera ed in cammino verso la risurrezione.

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Tuttavia, la negazione luterana che il memoriale della Cena sia anche sacrificio sacerdotale, riattualizzante in modo incruento il Sacrificio della Croce per la remissione dei peccati e l’acquisto della vita eterna, è una grave disobbedienza e deroga alla volontà di Cristo, perché proprio nella Cena Cristo ha istituito il sacerdozio appunto come potere di dir Messa, ossia di transustanziare il pane in corpo e il vino in sangue, per offrirli appunto in sacrificio al Padre, al fine di compensare alla offesa del peccato e ottenere misericordia.

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È chiaro allora che sacerdozio, transustanziazione e Messa come sacrificio espiatorio e di riconciliazione, costituiscono un plesso di valori inscindibili e logicamente collegati, per cui il rifiuto o quanto meno l’insufficiente fedeltà che Lutero ha opposto ad essi hanno fatto sì che su questi punti importantissimi non abbia riformato, ma distrutto.

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L’interpretazione delle parole del Signore

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Quanto infatti alla presenza reale, è vero che Lutero la ammette, anche con forza contro il simbolismo di Zwingli e Calvino, ma non la intende pienamente nel senso che Cristo ha voluto. Tale presenza infatti non è solo spirituale, ma anche sostanziale e materiale, perchè un corpo umano è composto di materia. Ora nell’Eucaristia c’è il vero corpo del Signore, a modo di sostanza. E la sostanza corporea è materiale, anche se certo non è la stessa identica materia del corpo di Gesù in cielo, ma si tratta di un essere a modo di materia.

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Questa presenza tra noi, misteriosa ma reale, della materia del corpo di Cristo eucaristico, è salvata nel dogma della transustanziazione, perché, con le parole della consacrazione, la sostanza del pane si converte nella sostanza del corpo del Signore. Per cui, quando facciamo la Comunione, noi veramente ”mangiamo la sua carne”, materia del suo vero corpo, unita alla divinità del Signore. Qui è proprio il caso di parlare, come diceva Pierre Teilhard de Chardin, della «santa materia», materia salvifica, escatologica e immortale, quale sarà quella del nostro corpo risorto. Ecco allora il detto di Sant’Agostino: «Caro te obcaecaverat? Caro te sanat». E Santa Caterina: «“Le mie labbra sono rosse dello stesso sangue di Cristo».

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Invece, nella «impanazione» luterana, ossia «Cristo nel pane», o come pure la si suol chiamare, «consustanziazione», ossia la sostanza del pane insieme con la sostanza del corpo di Cristo, non si vede come possa salvarsi il senso del termine neutro “questo” [hoc, tutò] in «questo è il mio corpo», che evidentemente indica una sola sostanza, ovvero la transustanziazione in fieri, il momento nel quale essa sta avvenendo, ossia il passaggio dalla sostanza del pane alla sostanza del corpo. Al termine del processo transustanziatorio, sull’altare non c’è più il pane, ma c’è il solo corpo di Gesù. Se fosse invece vera la tesi di Lutero, Gesù avrebbe dovuto dire: “Io sto venendo in questo pane”.

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Dire che Cristo è nel pane, sia pur con la sua grazia nella comunità celebrante, non dice nulla di speciale, ma enuncia semplicemente il principio di teologia naturale che Dio è in tutte le cose ed è in tutte le anime in grazia, anche se non partecipano alla Cena o alla Messa. Dire che si tratta di una presenza speciale nel  pane  nel vino non è ancora sufficiente, come abbiamo visto, a spiegare le parole del Signore.

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Certamente, dopo la consacrazione noi continuiamo a vedere o a sentire fisicamente gli aspetti sensibili del pane e del vino, quelli che in filosofia si chiamano accidenti e in liturgia si chiamano specie. Ma sappiamo per fede nelle parole di Cristo che, dopo la consacrazione, quello che sembra pane, non è pane. Non è che, propriamente, i sensi siano ingannati: essi vedono oggettivamente dei veri accidenti.

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È la nostra ragione che, abituata a sapere che sotto gli accidenti del pane c’è il pane, da sola, se non fosse informata dalla fede, non immaginerebbe mai che possa accadere che degli accidenti sussistano senza la loro sostanza, benchè metafisicamente la cosa non sia impossibile, perché tra di loro c’è una distinzione reale e quindi una separabilità, per cui in tal caso, di per sé, anche se sostanza e accidenti compongono una sola cosa, gli uni possono esistere senza l’altra, anche se comunque essi hanno bisogno di un supporto ontologico, che sostituisca la loro sostanza naturale, e nel caso dell’Eucaristia, è Dio stesso, Che sostiene miracolosamente nell’essere le specie eucaristiche, fino alla loro corruzione, allorché la presenza di Cristo viene meno e ritorna la sostanza, ma questa volta corrotta, del pane.

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Un’altra interpretazione delle parole di Cristo, alla quale forse potrebbe essere ricondotta quella luterana, però questa volta assurda, è la seguente: «Io sono questo pane». In realtà, non si può predicare una sostanza di un’altra sostanza. Io non posso dire: «Paolo è Pietro», no. Paolo è Paolo e Pietro è Pietro. La sostanza o la persona non può essere predicato, ma è solo soggetto.

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Le tesi di Manuel Belli e di Padre Timothy Radcliffe

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Discutiamo adesso una recente interpretazione dell’eucaristia proposta da Manuel Belli, ospite il 17 gennaio scorso di Andrea Grillo sulla rivista Munera. Il Belli sintetizza le sue considerazioni in tre temi: la connessione dell’eucaristia con la corporeità, quella col pasto e quella con la sessualità [vedere articolo, QUI].

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Nella prima considerazione il Belli sostiene che il ritenere che dopo la consacrazione il pane non è più pane ma corpo del Signore, sarebbe un pensiero «semi-magico». Invece, secondo lui, come per Calvino, il pane resta pane, e diventa solo un «simbolo» del corpo del Signore.  Viceversa, bisogna dire con fermezza che per il credente il ritenere che dopo la consacrazione il pane non è più pane, ma corpo del Signore, non è «pensiero magico», ma è la sostanza della fede eucaristica.

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Le considerazioni semi-magiche sarebbero supposte da ciò che Belli fa dire al credente. Afferma il Belli:

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«La tradizione cattolica usa la nozione “transustanziazione” per esprimere che quel pane e quel vino non sono più tali, ma sono diventati il corpo e il sangue del Signore. Vorremmo però attenerci a un livello di costatazione: non è difficile naufragare in considerazioni semi-magiche: “Il prete dice questo è il mio corpo; io non vedo e non tocco nessun corpo ma solo del pane e del vino; prendiamola per buona!».

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Faccio notare che qui il Belli confonde innanzitutto il credente col non credente. Qui egli probabilmente ritiene di esprimere la considerazione del credente. In realtà si tratta di ciò che vede il non-credente. Infatti il credente dice: io vedo gli accidenti del pane e del vino, ma non ne vedo la sostanza, perché so che sotto quegli accidenti c’è la sostanza del corpo e del sangue del Signore.

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In secondo luogo il Belli, oltre a negare qui il mistero della transustanziazione, confonde empiamente e sacrilegamente l’operazione miracolosa prodotta dalle parole della consacrazione con un’operazione magica, dimostrando un’orribile confusione tra l’azione divina della transustanziazione e l’operazione magica, che è un prodigio ― questa seconda ― che avviene invece col concorso del Demonio. Infatti, in che consiste il miracolo della transustanziazione? Nel fatto che Dio, al fine di nutrire le anime del cibo della grazia, fa sussistere gli accidenti del pane e del vino senza la loro sostanza, cosa del tutto superiore alla legge naturale, che vuole che gli accidenti siano sempre soggettati nella loro sostanza. Viceversa, l’operazione magica, che di per sé è peccato mortale di superstizione, consiste nel fatto che il mago, mediante un patto implicito od esplicito col Demonio, opera effetti prodigiosi, ma in fin dei conti naturali, utilizzando leggi segrete della natura, al fine di danneggiare il prossimo. Se fosse vero della consacrazione eucaristica ciò che dice Belli, la Messa non sarebbe vera Messa, ma rito satanico.

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Non è vero, come dice Belli che, prima o dopo la consacrazione, «i sensi vedono solo pane e vino»”. Non è così. Non i sensi, ma l’intelletto vede e concepisce la sostanza delle cose; i sensi sentono solo gli accidenti del pane e del vino. È vero che se i sensi mi avvertono degli accidenti del pane e del vino, normalmente mi aspetto che il mio intelletto ne colga la sostanza. Ma nel caso dell’Eucaristia, io credente so per fede che quegli accidenti non nascondono la loro sostanza, ma la sostanza del corpo e del sangue del Signore. Diverso è il caso del non-credente. Egli dispone solo del potere naturale del conoscere (sensi ed intelletto), ma gli manca la luce della fede. Per questo, egli, guardando l’ostia consacrata, non è in grado di saper di vedere solo gli accidenti del pane, ma crede di vedere anche la sostanza del pane, ossia il pane stesso, perché gli manca la fede, che gli farebbe sapere che invece sotto quegli accidenti c’è il corpo del Signore. Il credere dunque che dopo la consacrazione il pane resti pane, denota una sostanziale mancanza di fede nell’eucaristia. Per il Belli, invece, il pane consacrato non è altro che pane, però è ricordo, traccia, reliquia e simbolo del corpo del Signore. Secondo lui il segreto dell’Eucaristia non sta nel credere che sotto le specie del pane c’è il corpo del Signore, pensiero, questo, che sarebbe magia, ma nel vedere in quel pane che resta pane, il simbolo del corpo del Signore. Dice infatti:

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«In questa prospettiva la celebrazione della messa non è solo una sorta di inspiegabile magia in cui si rende presente il corpo della divinità. Dipende tutto da come guardi quel pane. È tutto ciò che abbiamo del corpo di Gesù, e non è poco. Solo un vuoto intellettualismo potrebbe pensare che un simbolo è soltanto una realtà di serie B. Noi viviamo di simboli. E il corpo di Gesù non è altro rispetto a un buon pane spezzato. E il corpo di Gesù non è altro rispetto a un buon pane spezzato».

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In secondo luogo Belli propone l’Eucaristia come «pasto». Purtroppo Belli parte col piede sbagliato, cioè con una definizione falsa o quanto meno insufficiente della Messa: «La messa è un pasto ritualizzato. A messa prima di tutto si mangia». Assolutamente no. A Messa prima di tutto il celebrante, in unione col popolo, offre a Dio Padre, nello Spirito Santo, il divino sacrificio del corpo e del sangue del Signore per la remissione dei peccati.

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La Messa certamente si conclude, se ne siamo degni e se siamo pronti, con la Santa Comunione eucaristica con Cristo e con la Chiesa, che ci è concessa grazie al sacrificio di Cristo riattualizzato dal celebrante sull’altare. La Messa non è dunque solo «mangiare», ma è anzitutto offrire, ascoltare, impetrare, supplicare, chiedere e dare perdono, lodare, glorificare, adorare, contemplare, tacere, ringraziare. Il mangiare e gli schiamazzi lasciamoli alle osterie e ad Hermes Ronchi [vedere nostri precedenti articoli, QUI, QUI].

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La Santa Messa, per quanto possa paragonarsi a un banchetto, essendo certamente memoria rituale dell’Ultima Cena,  non va assolutamente omologata in tutto e per tutto, sic et simpliciter, a questa Memoria. È questa, l’eresia di Lutero, che ricordiamo non è una «preziosa diversità», come abbiamo sentito più volte definirla di recente, ma è proprio una grave eresia. Per questo è del tutto incongruo, per quanto seducente, il predicozzo fatto da liturgisti disonesti, i quali osservano che non avrebbe senso sedersi a tavola in un banchetto senza mangiare, quasi a voler insinuare che non avrebbe senso andare a Messa senza fare la Comunione. L’ossessiva insistenza con la quale alcuni pretendono ad ogni costo che la Comunione sia concessa ai divorziati risposati, dipende da questo concetto feticistico della Comunione. Ma il punto è proprio questo: che la Messa non è in primo luogo un banchetto, ma un sacrificio religioso e cultuale. L’essenziale della Messa è chiaramente indicato dalle seguenti raccomandazioni di San Pietro nella sua Prima Lettera. Indirizzandosi ai fedeli, egli infatti dice:

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«Rivolgendovi a Lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive, per la costruzione di un edificio spirituale, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo» (I Pt 2, 4-5].

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È vero tuttavia quanto aggiunge Belli:

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«Quando prendiamo cibo o quando non lo prendiamo, stiamo in un modo o nell’altro dicendo di noi, della nostra vita, del significato che vi intravediamo o che facciamo fatica a vedere. A messa non si mangia tanto, ma ciò che si mangia dovrebbe avere un potere nutriente. A cosa diamo il potere di saziare la nostra esistenza? Sedersi alla tavola dell’eucaristia richiede di rispondere con onestà alla domanda circa cosa stiamo davvero cercando nel nostro esistere».

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La collocazione, forma e disposizione dell’altare della Messa novus ordo rispecchia un saggio criterio biblico, per il quale il richiamo al sacrificio si sintetizza felicemente con l’immagine del banchetto. Non è più solo l’altare soltanto altare del vetus ordo, ma non è neanche la tavola di osteria di certi liturgisti sbracati, smaniosi di essere ammessi alla famosa Cena luterana. Ma pur tuttavia Belli perde di nuovo quota con i raggiri dialettici che seguono:

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«Nel Medioevo sono stati codificati i precetti fondamentali della Chiesa, tra cui l’andare a messa almeno la domenica. Il rischio è che nella storia sono divenuti ‘quello che bisogna fare’ per dire di avere la fede, addirittura un qualcosa da offrire a Dio. L’inversione sarebbe consumata: dall’invito a sedere alla mensa dove Dio si offre, l’eucaristia diverrebbe ciò che dobbiamo a Dio».

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Innanzitutto è falso che la Santa Messa festiva domenicale, memoria della Risurrezione del Signore, sia stata istituita nel Medioevo, mentre se ne ha notizia sin dagli Atti degli Apostoli [At 2,42; 20,7], dalla Lettera di Barnaba e da Sant’Ignazio di Antiochia del II secolo. In secondo luogo, la Santa Messa è esattamente, con buona pace di Lutero, un «qualcosa offrire a Dio», e nientedimeno che Cristo stesso al Padre, immolato sulla Croce per le mani del sacerdote, mentre Paolo invita i fedeli ad unirsi all’offerta del sacerdote:

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«Vi esorto, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» [Rm 12,1].

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Inoltre il culto divino dev’essere sì volontario e possibilmente attraente, piacevole e gioioso; in ciò la bella liturgia e l’arte sacra svolgono una funzione importante; ma ricordiamoci che ― e siamo sempre lì ― non si tratta tanto di partecipare a una bella mangiata tra amiconi, quanto piuttosto di adempiere a un severo dovere di giustizia – costato il sangue di Cristo – nei confronti del Padre, per riparare alle nostre colpe e per compensarLo in Cristo per l’offesa del peccato, per sdebitarci dei nostri peccati e quindi di unirci, a tal fine, al sacrificio espiatorio della croce.

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La gioia certo si addice alla celebrazione eucaristica. Dio non vuole dei musoni, ma apprezza chi dona con gioia [cf. II Cor 9,7]. Tuttavia, ricordiamoci che se la Santa Messa è memoria della Resurrezione di Cristo e pegno della nostra, più in radice è memoria e partecipazione di quella Croce, che conduce alla Resurrezione. Per crucem ad lucem. Invece, un pensiero di Belli utile ed interessante è il seguente:

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«Il corpo di Cristo cosa c’entra con il mio desiderare? Cosa voglio che succeda quando mi siedo alla tavola dell’Eucaristia? Se desideriamo l’incontro con Dio, allora questa mensa avrà un potere saziante. Se desideriamo meno di lui, e ci accontentiamo di una buona predica divertente, piuttosto che di un canto emotivamente coinvolgente o un gesto particolarmente stravagante, prima o poi parteciperemo all’Eucaristia affamati, e sarà una pratica che non ci dirà molto. Occorre essere un po’ mistici per vivere in pienezza l’Eucaristia».

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Infine, l’eucaristia come “eros”, e qui sorgono ulteriori perplessità. Il termine eros per designare la mistica eucaristica è del tutto infelice, fuorviante e inadatto, perché corrisponde a un concetto pagano dell’amore inteso come brama sessuale sfrenata, un termine che non esiste neppure nella Scrittura, tanto l’eros ripugnava all’Autore sacro, ma al quale eros corrisponde nell’AT yadàd, hafesh, e nel Nuovo Testamento ”concupiscenza” [epithymìa: Gc 1,14; II Pt 1,4; I Gv 2,16; Rm 7,7]. Il concetto dell’amore sano invece, di benevolenza, è espresso, nell’Antico Testamento con ahàb, ahabàh, raham e nel Nuovo Testamento dal termine agàpe o filìa. Naturalmente la Bibbia non ha nulla contro l’amore sessuale in se stesso, ché anzi esso è benedetto nel matrimonio. Tuttavia essa è realisticamente consapevole del fatto che nella natura decaduta l’istinto sessuale stimola al peccato.

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L’amore sessuale, nel Cantico dei Cantici assurge a vari significati mistici: l’unione di Israele col suo Dio, l’unione della Chiesa o della vergine o dell’anima con Cristo. Belli, invece, citando delle parole del Padre Timothy Radcliffe, vorrebbe trovare nell’unione sessuale una funzione simbolica anche per significare il valore mistico dell’Eucaristia. Belli premette allora alla citazione di Radcliffe le parole della consacrazione: «Prendi, questo è il mio corpo», e commenta:

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«è una  frase, che senza  nessuna  difficoltà potrebbe essere contestualizzata in quello che un uomo dice alla sua donna o viceversa. Scrive T. Radcliffe: “Vorrei parlare dell’ultima cena e della sessualità. Può sembrare un po’ strano, ma pensateci un momento. Le parole centrali dell’Ultima Cena sono state: “Questo è il mio corpo, offerto per voi”. L’eucarestia, come il sesso, è centrata sul dono del corpo. Avete mai notato che la prima lettera di san Paolo ai Corinzi si muove fra due temi, la sessualità e l’eucarestia? Ed è così perché Paolo sa che abbiamo bisogno di capire l’una alla luce dell’altra. Comprendiamo l’eucarestia alla luce della sessualità e la sessualità alla luce dell’eucarestia”».

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Continua Belli commentando Radcliffe:

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«C’è dunque una componente erotica dell’eucaristia che non deve essere trascurata. Tra due amanti c’è un codice del corpo che eccede l’ordine delle parole. Donare il corpo significa confidare all’altra persona che potrà contare su una fedeltà che le parole non sono sempre in grado di esprimere. Ci sono tempi e momenti dove addirittura le parole potrebbero essere fonte di fraintendimento: il reciproco dono del corpo esprime che l’altro è per me al di là della comprensione che io adesso potrei avere dal punto di vista verbale o intellettuale».

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Bisogna notare con tutta chiarezza alcune cose. Prima: non è affatto vero, come vorrebbe farci credere Radcliffe, che San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi connette l’Eucaristia con l’amore sessuale. In questa Lettera l’Apostolo parla bensì del matrimonio [cf. c.7] e dell’Eucaristia [cf. 11, 23-29], ma separatamente e insieme con molti altri argomenti, quali ad esempio la sapienza cristiana, [cf. cc.1-2]; la funzione del predicatore [cf. cc.3-4]; un caso di incesto [cf. c.5]; l’appello ai tribunali pagani [cf. c.6]; la verginità [cf. c.7], il problema degli idolotiti [cf. cc.8-9]; insegnamenti dalla storia di Israele [cf. c.10]; l’abbigliamento delle donne, [cf. c.11]; i doni dello Spirito [cf. cc.12-14]; la resurrezione [cf. c.15].

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Il Radcliffe costruisce la sua mistica dell’Eucaristia su di un fondamento falso. Secondariamente, c’è da dire che l’accostamento che egli fa tra Eucaristia e unione sessuale è totalmente estraneo alla Scrittura e al Magistero della Chiesa. In terzo luogo, è un accostamento forzato, sconveniente e sacrilego, perché il dono che Cristo fa del suo corpo nella Messa non ha assolutamente niente a che vedere col dono di sé reciproco che avviene nell’unione coniugale ― come invece vorrebbe sostenere Radcliffe ―, perché Cristo nell’Eucaristia non si dona in questo modo, ma solo come cibo.

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I discorsi aberranti di Andrea Grillo.

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Su questa delicatissima questione, nel corso di questi ultimi due mesi, Andrea Grillo è intervenuto tre volte nella Rivista Europea di Cultura, con discorsi ingannevoli, che nascondono il tentativo di relativizzare il dogma della presenza reale di Cristo sull’altare, dopo la consacrazione del pane e del vino. Questa operazione sleale e subdola lascia chiaramente trasparire l’empio progetto, portato avanti da alcuni infausti sostenitori della cosiddetta Messa ecumenica, di creare un pasticcio sacrilego di cattolicesimo e luteranesimo, che Roma non accetterà mai. Infatti, Grillo vorrebbe darci da bere che ciò che avviene sull’altare dopo la consacrazione del pane e del vino, è semplicemente un’indeterminata o non meglio definita presenza reale, senza ulteriori precisazioni o chiarimenti. Sicché non si sa in che consista questa presenza reale e di chi o di che cosa essa sia presenza reale. E Grillo sta nel vago di proposito ― misero espediente ―, perché sa benissimo che, se chiarisse, scoprirebbe le carte ed apparirebbe in piena luce il trabocchetto nel quale egli vorrebbe farci cadere.

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Spieghiamo dunque il suo procedimento. Innanzitutto, egli, con incredibile sfrontatezza, contro l’esplicito insegnamento del Concilio di Trento [cf. Denz. 1642], nega che la dottrina della transustanziazione sia un dogma. Egli afferma ciò nel suo articolo Presenza reale e transustanziazione: congetture e precisazioni, pubblicato il 17 dicembre scorso nel suo blog di Rivista Europea di Cultura. [cf. QUI]. Dice infatti: «Transubstantiatio non è un dogma e come spiegazione ha i suoi limiti. Ad esempio contraddice la metafisica». Questa mia affermazione, nella sua brevità, non intende in alcun modo negare che la Eucaristia realizzi la presenza del Signore nella sua Chiesa, ma vuole soltanto distinguere il dogma fidei – ossia la affermazione della presenza reale – dalla sua spiegazione in termini di transubstantiatio.

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A questa distinzione conduce un lungo dibattito che soprattutto nella teologia tedesca ― in particolare in J. Auer ― ha permesso di distinguere accuratamente tra “oggetto della fede” e “giustificazione teorica di tale oggetto”. A questa medesima conclusione giungeva, tra gli altri, anche Giuseppe Colombo [cf. Teologia sacramentaria, Milano, Glossa, 1997], quando affermava che la transustanziazione «è considerata […] non una verità distinta dalla presenza reale, nel senso di proporsi come oggetto proprio e a sé stante della fede cattolica; ma più semplicemente come una spiegazione possibile, ma in ogni caso non necessaria, della presenza reale».

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L’errore di Grillo in tutto questo sofistico argomentare sta nel considerare il dogma della transustanziazione come fosse una semplice, relativa, possibile e non obbligatoria “spiegazione della presenza reale” senza precisare di che cosa, mentre invece in realtà, secondo il dogma del Concilio di Trento, la transustanziazione è un fatto miracoloso, in forza del quale avviene la presenza reale, che non è una vaga e non meglio precisata ”presenza reale”, come fosse un assoluto chiuso in se stesso, e non è neanche la presenza di Cristo come tale, ma è presenza reale e sostanziale del suo del corpo e del suo sangue sotto le specie del pane e del vino, anche se indubbiamente, per concomitanza, abbiamo anche la presenza della sua anima e della sua divinità.

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Per ottenere una certa presenza di Cristo tra di noi, non c’è bisogno della Santa Messa, basta invocare il suo nome. Ma non è ancora la sua presenza reale, propria della Santa Messa, per la quale Cristo non è semplicemente presente con la sua grazia, in modo spirituale ed invisibile, ma è realmente qui ed ora sull’altare sotto le specie visibili del pane e del vino, benchè il suo corpo glorioso trascenda lo spazio e il tempo e noi vediamo il  Signore non con gli occhi del corpo, ma con quelli della fede.

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La presenza reale, pertanto, è certamente oggetto della fede. Ma non è primariamente o esclusivamente il contenuto dogma da credere, come se la transustanziazione ne restasse fuori, quasi facoltativa e relativa spiegazione o interpretazione teologica della presenza reale, come se si potesse scegliere anche un’altra ― evidente accenno alla ”impanazione” di Lutero ―, mentre la presenza reale sarebbe l’unica cosa oggetto del dogma. Niente affatto. Il dogma da credere invece è che al momento della consacrazione avviene la transustanziazione, che è la causa divina della presenza reale e niente affatto una semplice e relativa, umana o metafisica spiegazione della presenza reale.

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Al riguardo, bisogna fare a Grillo un altro appunto gravissimo: negare, come fa lui, che il dogma della transustanziazione metta in gioco la metafisica, è semplicemente insensato e denota in Grillo ― che pure è persona d’indubbia cultura e intelligenza ―, una spaventosa ignoranza della metafisica [2], giacché è noto dai tempi di Aristotele che i concetti analogici di sostanza e accidente sono precisamente nozioni fondamentali della metafisica, noti del resto alla semplice ragione naturale, sulla quale la Chiesa fa leva per la definizione del dogma della transustanziazione.

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Stonatissime, inoltre, e del tutto insipienti sono le parole con le quali Andrea Grillo, in un suo precedente articolo, sotto pretesto di «allargare» il significato della transustanziazione ai suoi effetti e al suo contesto rituale, orante, liturgico ed ecclesiale, finisce invece per sostenere che per valorizzare quegli aspetti, occorre accantonare la considerazione della transustanziazione, troppo «intellettualistica», quando invece è vero tutto l’opposto, essendo tale devota ed affettuosa considerazione proprio la sorgente intellettuale ed esistenziale inesauribile di fede della comunione personale ed ecclesiale con Cristo, pane di vita eterna e pegno della vita futura.

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Il Grillo infatti formula le seguenti tesi, una più sconcia dell’altra:

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  1. La concentrazione sulla «presenza sostanziale sotto le specie» ha distratto profondamente dalle altre forme di presenza del Signore, nella Parola, nella preghiera, nella assemblea [cfr. SC 7];
  2. La «presenza sostanziale sotto le specie» ha ridotto il peso della «presenza ecclesiale» del corpo di Cristo, che rimane sempre l’effetto primario della celebrazione eucaristica;
  3. L’attenzione alla «sostanza» ha condotto ad una pratica degli accidenti che oscilla tra indifferenza e ritualismo, rischiando di smarrire la logica simbolica delle sequenze rituali;

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Aggiungiamo queste altre sconcezze, con relativa confutazione, tratte dall’articolo Il campanello alla consacrazione e la transustanziazione del 6 novembre scorso, sempre in Rivista Europea di Cultura.[vedere articolo, QUI].

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  1. Una consistente parte della dottrina teologica dell’ultimo secolo si è resa conto che la «teologia della transustanziazione», pur salvaguardando con grande precisione il «contenuto» della fede in un contesto polemico, non riesce a salvaguardarne la «forma» e determina un progressivo divorzio tra forma e contenuto, causando ricadute negative anche sul piano strettamente contenutistico.

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Rispondo. La «forma» del rito della Santa Messa, per Grillo, sarebbe l’insieme delle parti del rito come assemblea liturgica in preghiera, mentre la consacrazione sarebbe la «materia» o «contenuto» della Santa Messa. Ora, è vero il contrario: è la consacrazione ad essere la forma e il centro originario e creatore della Santa Messa, il punto culminante e il vertice della celebrazione del rito, anche se è vero che la celebrazione è a sua volta finalizzata ad offrire il santo sacrificio al Padre in Cristo e nello Spirito Santo e ad edificare la comunità e la comunione ecclesiale. La materia umana del rito, che è formata, vivificata, edificata, santificata e spiritualmente ed eucaristicamente plasmata dalla consacrazione, è la stessa comunità composta dal celebrante dai fedeli.

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  1. La trasformazione del rito eucaristico ha sostituito con la «formula sulla materia» ― ossia le parole della consacrazione su pane e vino ― la sequenza «prex / ritus» che è costituita da «anafora eucaristica/rito di comunione». In tal modo alla centralità della dinamica ampia tra preghiera/ sacrificio/ comunione si è sostituita la relazione stretta tra parole di consacrazione e materia eucaristica.

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Rispondo. Il primato tradizionalmente dato del momento della consacrazione sull’intero insieme del rito, non ha affatto «trasformato» un’inesistente originario primato ― al dire di Grillo ― dell’insieme del rito [“forma”] sul momento della consacrazione [“materia”], ma rappresenta precisamente la centralità propulsiva del momento della transustanziazione, dalla quale irraggiano e profluiscono abbondantissime  acque salutari, che sgorgano dall’altare e fertilizzano, con la loro grazia, tutta la terra circostante [cf. Ez 47, 1-12], ossia la comunità del celebrante e del partecipante.

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  1. Questa trasformazione è risultata accentuata dalle polemiche sulla messa come «sacrificio/comunione»: avendo nettamente separato la dimensione di sacrificio da quella di comunione – in risposta alla netta separazione luterana della comunione dal sacrificio – abbiamo creato le premesse teoriche per questo isolamento della «consacrazione» non solo dalla «preghiera eucaristica», ma anche dal «rito di comunione».

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Rispondo. La Chiesa, col Concilio di Trento e col Vaticano II non ha affatto «nettamente separato», ma strettamente congiunto «la dimensione di sacrificio» con quella di «comunione», giacché la transustanziazione, operata dl celebrante in persona Christi con le parole della consacrazione eucaristica, ha precisamente come effetto proprio e immediato, quello di preparare il dono celeste ― Gesù sacramentato ― da offrire al Padre per la remissione dei peccati e il cibo di vita eterna per il celebrante e per i fedeli.

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È proprio vero il contrario. È dalla concentrazione credente, devota ed adorante della mente e del cuore del singolo e della collettività in questo augustissimo mistero, che sgorgano «le altre forme di presenza del Signore, nella Parola, nella preghiera, nella assemblea» ed è dalla sua fruizione vuoi nella Santa Comunione, vuoi nell’azione eucaristica, che nasce la presenza ecclesiale del corpo di Cristo, sbocciano i più elevati sentimenti ed  affetti cristiani, e la mente riceve luce ed energie celesti, per compiere le grandi imprese della carità, mentre gli accidenti eucaristici, elementi toccanti dell’evento mistico, suscitano la logica simbolica delle sequenze rituali.

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Bisogna dire però, ad onor del vero, che la conclusione di Grillo, dopo gli spropositi sulla transustanziazione, è sorprendentemente benevola; il che, se da una parte ci fa piacere, dall’altra ci lascia fortemente perplessi circa la sua capacità di ragionare con coerenza, dato che avrebbe dovuto mettere in esclusione reciproca, e non congiungere due tesi che fanno a pugni a vicenda; il tutto sempre ribadendo quanto Grillo sia comunque dotato di brillante intelligenza. Egli dice infatti:

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«Per concludere: transustanziazione è un termine che storicamente ha avuto la funzione di “salvaguardare un contenuto” in contesto polemico. Tale funzione deve oggi essere coniugata con una istanza diversa, ossia quella di recuperare le “forme più adeguate e più ricche” di quel contenuto. Per questo recupero la nozione di transustanziazione appare non solo come una antica ricchezza, ma anche come una nuova povertà».

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Un’ultima considerazione di carattere pastorale. Indubbiamente, ci si potrebbe chiedere che senso possa avere la Santa Comunione ai bambini, introdotta da San Pio X, considerando la necessità di usare, per spiegare il mistero, di una parola così inusuale come transustanziazione e di categorie così astratte e filosofiche, come quella di sostanza e accidente e cose del genere, che cosa essi possano capire della transustanziazione, se qui è caduto persino Lutero, che pure non mancava di fede, di intelligenza e di cultura biblica. Ebbene non mi dilungo qui in indicazioni pedagogiche, note a tutti i catechisti dei fanciulli. Dico solo che ― e questo dovrebbe essere evidente ― non è assolutamente necessario usare o insegnare in ogni caso e con tutti quel termine tecnico con la relativa spiegazione metafisica. Per capire questo, basterebbe ricordare che il termine è stato coniato solo nel medioevo e non c’è stato bisogno di quel termine, perché già gli Apostoli nel Cenacolo e la Chiesa di molti secoli seguenti avessero capito benissimo che cosa, in quella solennissima circostanza, Gesù aveva fatto e che cosa per comando del Signore, gli Apostoli avevano il potere di fare. Esistono pertanto parole e concetti adatti alle menti indotte e semplici, per far loro capire, secondo la loro capacità intellettuale, ciò stesso che è significato dal termine tecnico. Basterebbe per esempio dire che dopo la consacrazione, quelli che erano pane e vino, non sono più pane e vino: sembrano tali, ma in realtà sono Gesù. L’essenziale è far capire e credere al bambino che si nutre del corpo del Signore.

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Da tutte queste considerazioni emerge chiaramente la conclusione che recitare assieme con i fratelli luterani nella celebrazione eucaristica, come pare voglia un ecumenismo scriteriato e blasfemo, delle formule canoniche identiche, ma dando ad esse significati diversi, falsi od opposti o senza che alla parola o al concetto corrisponda la realtà o senza il potere spirituale necessario in tutti i concelebranti a dare efficacia salvifica alle formule, o senza che tutti credano ortodossamente a ciò che  dicono, non sarebbe accordo ecumenico, non sarebbe comunione eucaristica, non sarebbe esperienza salvifica, non sarebbe liturgia o culto divino, ma attentato all’Eucaristia, contravvenzione alla volontà di Cristo, offesa alla Tradizione della Chiesa, parole senza senso, vuota recita, finzione, menzogna, fraintendimento, equivoco, empietà, sacrilegio, profanazione, buffonata, reciproca presa in giro, orribile reciproco inganno nel momento più sacro e sublime della comunione fraterna e  con Dio, magari con la sfacciataggine di invocare lo Spirito Santo. Ma c’è allora piuttosto il rischio che intervenga un altro spirito, contrario, malvagio e mortifero. Non c’è bisogno che ne faccia il nome.

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Il mistero della transustanziazione, sorgente della pietà cattolica

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Messe da parte queste stoltezze sacrileghe, facciamo adesso un discorso serio sullo sguardo devoto ed amoroso di fede, che dobbiamo avere, sul mistero della transustanziazione, al quale vogliamo invitare anche i fratelli luterani, è sorgente e garanzia di copiosissimi frutti in ordine all’apprezzamento del mistero della comunione ecclesiale, come vertice e fonte di tutta la vita cristiana personale e comunitaria, principale sorgente della pietà cristiana,  che forma la mente e il cuore dei Santi [3], come dolce ristoro della loro anima, spingendoli a un continuo progresso spirituale e alle più belle imprese della carità.

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La transustanziazione è anche il motivo per il quale la Chiesa conserva nel tabernacolo le sacre specie per l’adorazione eucaristica. Infatti, esse, finchè non si corrompono, contengono sotto di sé il corpo del Signore. Viceversa, l’insufficienza della concezione luterana della presenza reale è testimoniata dal rifiuto luterano dell’adorazione eucaristica, perché secondo Lutero, il rito della Cena è un semplice banchetto, nel quale è logico consumare tutto il pasto.  È evidente, allora, che per Lutero, dato che la presenza reale è l’impanazione, ossia la presenza di Cristo nel pane da essere consumato, cessata la Cena, non avrebbe senso conservare il pane, dal quale del resto Cristo si è allontanato, essendo stato presente solo nella Cena.

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Per questo, nella concezione cattolica dell’Eucaristia, la transustanziazione, comportante la permanenza della presenza del Signore sotto le specie eucaristiche  nelle ostie eventualmente avanzate dopo la Messa, sorge un’ulteriore questione che Lutero, in forza delle suddette premesse, non si è posto, ed è la questione del luogo, ossia del tabernacolo, nel quale si conserva Gesù sacramentato.

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Anche in tal caso si può esprimere questo fatto o con una formulazione dotta o in forma popolare. Nel linguaggio popolare si può senz’altro dire che Gesù è nel tabernacolo, ed è lo stesso Gesù che ora è in cielo. Invece, se vogliamo esprimerci in modo tale da rispondere a chi eventualmente si domandasse come è possibile che Gesù sia nel tabernacolo, se è vero che il corpo di Cristo, oltre ad essere in se stesso in cielo, si trova in tutti i tabernacoli del mondo. Allora, occorre precisare che propriamente, nel tabernacolo, ci sono solo le sacre specie del corpo. Ma il corpo eucaristico di Cristo non è contenuto in un luogo, perchè allora non potrebbe essere in tutti i luoghi della terra. Tuttavia, siccome sotto le specie c’è il corpo, per cui le specie e la presenza del corpo a modo di sostanza concorrono a formare l’ostia consacrata contenuta nella pisside del tabernacolo, in forma dotta si deve dire che nella pisside ci sono solo le specie in quanto collocate, mentre il corpo non è collocato.  Invece, in forma popolare si può dire semplicemente che nel tabernacolo c’è Gesù [4].

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Un ecumenismo vagante nella nebbia

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Una cosa che desta grande meraviglia è la conduzione delle attività ecumeniche del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani dalla sua fondazione nell’immediato post-concilio ad oggi. Essa infatti persegue una linea opportunista ed inconcludente, che contrasta in modo evidente con quella saggia e precisa indicata dall’Unitatis redintegratio. La responsabilità di questa cattiva conduzione va certamente al Cardinale Walter Kasper, teologo influenzato dallo storicismo hegeliano, che per lunghi anni è stato a capo di quell’organismo pontificio. Ma anche adesso che la direzione è stata affidata da alcuni anni al Cardinale Kurt Koch, le cose non cambiano. Ma di che si tratta? Si tratta dell’ostinato e inconcludente, anzi dannoso persistere in una serie di sbagli e contravvenzioni alle direttive dell’Unitatis redintegratio. Facciamone l’elenco:

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  1. sostituzione del paradigma «separazione dalla Chiesa» col paradigma «separazione reciproca». La nascita del luteranesimo non è stata una separazione reciproca tra la Chiesa e Lutero: Lutero si è separato dalla Chiesa, ma la Chiesa non si è separata da Lutero, e detto questo va ricordato che la vera Chiesa di Cristo è una, non sono molteplici 
  2. Attenzione esclusiva alla carità ed accantonamento del problema della verità. Invece il problema ecumenico è sostanzialmente un problema di verità. Lutero stesso si è opposto al Romano Pontefice non tanto per motivi di riforma dei costumi, quanto piuttosto perchè egli riteneva di aver riscoperto contro Roma la verità del Vangelo;
  3. Mancata distinzione fra comunione imperfetta e piena comunione. I luterani devono passare da una comunione imperfetta alla comunione piena;
  4. Silenzio sulla necessità che i protestanti rimuovano gli ostacoli alla piena comunione con la Chiesa. Invece questo è uno dei compiti essenziali dell’ecumenismo;
  5. Sostituzione della categoria della «riunificazione», come se la Chiesa una fosse divisa ― l’immagine del vaso spezzato ― alla categoria del cammino dei protestanti verso l’unità cattolica secondo il paradigma della parabola del figliol prodigo;
  6. Emarginazione della seguente dichiarazione della Unitatis redintegratio: «solo per mezzo della cattolica Chiesa di Cristo, che è lo strumento generale della salvezza, si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza. In realtà al solo collegio apostolico con a capo Pietro crediamo che il Signore ha affidato tutti i beni della Nuova Alleanza, per costituire l’unico corpo di Cristo sulla terra, al quale bisogna che siano pienamente incorporati tutti quelli che già in qualche modo appartengono al popolo di Dio» [cf. n. 3].
  7. Dato che si tace circa la superiorità del cattolicesimo sul luteranesimo e sugli errori di Lutero, fede cattolica e fede luterana sono considerate da molti come due diversi modi, reciprocamente complementari ed allo stesso livello, parimenti legittimi, di concepire la fede cristiana;
  8. il parlare genericamente di «divisioni» non basta. Occorre precisare di quali divisioni si tratta, se si vuole realmente rimediarvi. Il restare sempre sul vago e il non metter mai le carte in tavola, non serve a niente. Non bisogna stancarsi di ricordare ai fratelli luterani, sia pure in modo più motivato, caritatevole ed evangelico, come la Chiesa sta facendo da cinquecento anni, quali sono gli errori che essi devono abbandonare, senza disperare di convincerli. Come diceva San Tommaso d’Aquino, «la verità è invincibile». Prima o poi trionfa. Secondo San Paolo, gli Ebrei accoglieranno Gesù come Messia solo alla fine del mondo.

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Per questo relativismo o navigare sul vago o pescare nel torbido, oggi da molte parti non si parla più di fede,  ma di ”fedi”. Non c’è una sola fides, ma più fedi, come se si trattasse di diverse opinioni, nessuna delle quali può pretendere alla verità ed alla certezza, escludendo il falso. Ognuno coltiva il suo orticello. Quello che al cattolico appare ”falso” nel luterano, è semplicemente un ”diverso” e viceversa. In tal modo il cattolico, sentendosi autorizzato a scegliere tra cattolicesimo e luteranesimo, può essere spinto ad optare per questo, avendo un’etica più facile e permissiva, con la salvezza assicurata e il peccato sempre perdonato, mentre il luterano, non sentendosi correggere dal cattolico, è portato a restare nei propri errori.

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C’è poi il cattolico che difende apertamente le eresie di Lutero, continuando a considerarsi e ad essere considerato cattolico ed anzi avanzato, progressista e conciliare. Le conversioni di luterani al cattolicesimo si sono fatte rarissime e certi preti o vescovi insipienti arrivano addirittura al punto di sconsigliarle. Altri cattolici avanzati o se preferiamo adulti, ci assicurano che gli ultimi studi hanno appurato  che le condanne di Lutero pronunciate dal Concilio di Trento non sono più attuali o sono frutto di malintesi o, come dice S.E. Mons. Nunzio Galantino, di «pregiudizi».

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Qualche altro esempio della contravvenzione alle direttive dell’Unitatis redintegratio. Troviamo sul sito Settimana news del 30 ottobre scorso nell’articolo non firmato: «Riforma. Ma le differenze rimangono», le seguenti considerazioni:  

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«Dal punto di vista cattolico, lo scopo di tutti i dialoghi deve essere in ultima analisi “la piena unità visibile”. Ciò non significa che i protestanti debbano semplicemente rinunciare a tutte le loro tradizioni e riti ed entrare nella Chiesa cattolica. Ma vuol dire che cattolici e protestanti formano, anche dal punto di vista istituzionale, una Chiesa. Resta tuttavia aperto il discorso, anche da parte cattolica, su come in pratica un’unità del genere debba essere declinata. È sempre valido ciò che disse il vescovo ecumenico tedesco Gehrard Feige nel 2014: oggi nell’ecumenismo non abbiamo ancora un’dea chiara di come la piena unità visibile in concreto possa manifestarsi. È ovvio tuttavia che unità non significa semplicemente uniformità. Da parte dei protestanti negli anni scorsi si è preferito parlare ripetutamente di “differenza riconciliata”, per descrivere lo scopo del dialogo ecumenico. Una tale unità sarebbe pensabile anche senza un’unità visibile» [cf. articolo, QUI].

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Alcune osservazioni.

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  1. Precisiamo: occorre la piena unità visibile nella piena comunione con la Chiesa cattolica. I protestanti non devono rinunciare affatto a quei valori che già li legano alla Chiesa cattolica, ma solo ― ed è ben comprensibile ― a quelle carenze ed impedimenti, ossia errori ed eresie, che sono di ostacolo alla piena comunione.
  2. Dice l’articolo: «Cattolici e protestanti formano, anche dal punto di vista istituzionale, una Chiesa». Non è esattamente così: i protestanti sono sì nella Chiesa, ma non in piena comunione con essa, come lo sono i cattolici, perché la Chiesa in senso pieno e perfetto è solo la Chiesa cattolica. Ai protestanti, per essere in piena comunione con la Chiesa, manca la cattolicità.
  3. «Resta tuttavia aperto il discorso, anche da parte cattolica, su come in pratica un’unità del genere debba essere declinata». La risposta sarebbe facile, se si consultasse l’Unitatis redintegratio nell’esposizione che ho fatto.
  4. «È sempre valido ciò che disse il vescovo ecumenico tedesco Gehrard Feige nel 2014: oggi nell’ecumenismo non abbiamo ancora un’idea chiara di come la piena unità visibile in concreto possa manifestarsi». Per nulla. È Feige che non ha un’idea chiara. La cosa è molto semplice: che i fratelli luterani, abbracciando la professione cattolica della fede, entrino nella piena comunione con Roma.
  5. «È ovvio tuttavia che unità non significa semplicemente uniformità». Se per «uniformità» si intende la comune accettazione della verità della fede cattolica, è ovvio che occorre l’uniformità: una fides. Se invece questa uniformità la si vuole estendere al di là di questo confine, dove invece vige la libertà di opinione e il pluralismo teologico, si cadrebbe nell’uniformismo, che non è l’ambiente della Chiesa cattolica, ma delle dittature politiche o religiose.
  6. «Da parte dei protestanti negli anni scorsi si è preferito parlare ripetutamente di “differenza riconciliata”, per descrivere lo scopo del dialogo ecumenico. Una tale unità sarebbe pensabile anche senza un’unità visibile».

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Rispondo che il problema di fondo dell’ecumenismo non è quello di riconciliare le differenze e le diversità: qui non c’è da riconciliare nulla, perché esse per loro essenza sono in armonia le une con le altre. Quindi qui si tratta semplicemente di valori arricchenti da riconoscere e rispettare. Quanto all’unità visibile, essa è l’espressione normale e obbligatoria della fede, la quale nasce certo nel cuore, ma dev’essere proclamata con le labbra.

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Il problema dell’ecumenismo è invece quello della persistenza di fratelli, che errano circa le verità di fede e per questo sono portati ad avere un atteggiamento ostile verso la Chiesa Cattolica, «colonna e sostegno della verità» [I Tm 3,15], con la quale non sono in piena comunione. La riconciliazione suppone l’accettazione comune della verità. Tra vero e falso non ci può essere conciliazione. Il falso è principio di divisione e di ostilità; il vero è principio di unione e di conciliazione.

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L’ecumenismo è in se stesso certamente una benedizione donata alla Chiesa e ai fratelli separati col Concilio Vaticano II. Ma esso, per portare i frutti che promette, dev’essere inteso e messo in pratica nel senso preciso indicato dal Concilio, ossia sostanzialmente come appello della Chiesa ai suoi figli dispersi nelle disavventure e nelle tragedie di questo mondo a tornare da quella Madre accogliente, premurosa e generosa, dalla quale si sono allontanati, credendo di cercare una libertà e una felicità che non hanno trovato.

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Occorre pertanto che la Chiesa respinga quel falso ecumenismo, del quale abbiamo qui tracciato i contorni, e che invece di condurre i fratelli separati all’unità cattolica, rischia di trasformare e frantumare l’unità cattolica attorno a Cristo in un guazzabuglio disordinato e caotico di fratelli separati sotto il «principe di questo mondo».

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«Come pensaste di allontanarvi da Dio, così ritornando decuplicate lo zelo per ricercarlo, poiché, chi vi ha afflitti con tante calamità, vi darà anche, con la salvezza, una gioia perenne» [Bar 4 28-29].

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Varazze, 12 febbraio 2018

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NOTE

[1] Cosa del tutto falsa, come risulta chiaramente dalla definizione del Concilio di Trento contro Lutero: Denz.1642, insegnamento ribadito dall’enciclica Mysterium Fidei del Beato Paolo VI del 1965, nn.24-25 e dal Catechismo della Chiesa Cattolica, n.1376.

[2] Povera cultura europea!

[3] Un esempio tra i tanti che si potrebbero addurre, lo troviamo nelle infuocate parole che il Venerabile Padre Giocondo Pio Lorgna, domenicano (1870-1928), usa per esprimere la sua intensissima devozione a Gesù sacramentato. Cf il mio articolo P.Lorgna: sacerdozio, eucarestia e vita, in Sacra Doctrina, 6,nov.1988, soprattutto le pp. 710-714.

[4] Una buona analisi e spiegazione teologica di come nell’Eucaristia si possa e si debba parlare della presenza di Cristo sacramentato nel luogo, cf le Lezioni sull’Eucaristia tenute dal Servo di Dio Padre Tomas nel sito arpato.org.

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4 commenti
  1. orenzo
    orenzo dice:

    Anche le parole dell’udienza generale del 21 c.m,, a mio parere, aprono all’intercomunione… e non solo: «La celebrazione della Messa… è ordinata alla Comunione, cioè a unirci con Gesù. La comunione sacramentale: NON LA COMUNIONE SPIRITUALE, CHE TU PUOI FARLA A CASA TUA dicendo: “Gesù, io vorrei riceverti spiritualmente”. No, la comunione sacramentale, con il corpo e il sangue di Cristo. Celebriamo l’Eucaristia per NUTRIRCI DI CRISTO, CHE CI DONA SE’ STESSO SIA NELLA PAROLA CHE NEL SACRAMENTO dell’altare, per conformarci a Lui».

  2. orenzo
    orenzo dice:

    Oggi, 7 marzo, nell’udienza del mercoledì, il Santo Padre ha parlato dell’Eucarestia: se non ho capito male quello che detto, le porte per la messa ecumenica non solo aperte ma spalancate.

  3. non metuens verbum dice:

    Se due “corporazioni di funzionari dell’ecumenismo” dichiarano di avere “lo sguardo rivolto al futuro”, è chiaro che guardano dalla parte sbagliata: Non videbunt in Quem transfixerunt.
    Il punto chiave è semplice: Satana odia la Presenza Reale di Gesù Cristo nel Pane Eucaristico, e con la complicità dei suoi servi sciocchi fa di tutto per eliminarla il più possibile da tutta la faccia della terra. E’ vero che l’unico Sacrificio di Cristo basta e avanza per redimere tutta l’umanità e tutta la storia, ma per la nostra insufficienza umana abbiamo bisogno di molte Messe e di molti Tabernacoli per presidiare la città terrena contro l’ossessivo assedio delle infestazioni demoniache. E se appaio un superstizioso medievale, guardiamoci attorno, e chiediamoci se oggi tutta l’umanità in tutte le sue declinazioni compresa la Chiesa è o no sotto attacco maligno.
    La Comunione dei bambini, prezioso tesoro donatoci di nuovo da San Pio X. Ma oggi l’innocenza dei bambini è insidiata e violata quasi fin dalla culla, con l’avallo e l’impulso fin dello Stato. E chi vuole che i bambini siano santi e preghino da santi, è perseguitato (padre Andrea d’Ascanio, colpevole ?) .

  4. orenzo
    orenzo dice:

    Sono curioso di ascoltare, dopo come il Santo Padre ha trattato i miracoli eucaristici di Buenos Aires, le parole che pronuncerà il mercoledì nel quale tratterà dell’Eucarestia nella Santa Messa.

    Riguardo ad “eros ed Eucarestia”, Dio è Amore che si dona all’Uomo e l’Uomo, dopo aver ricevuto l’Amore dentro il proprio ventre, lo porta a frutto “partorendolo” ai fratelli.

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