Sui divorziati risposati. Continua la discussione: replica di Giovanni Cavalcoli alla risposta di Corrado Gnerre

Padre Giovanni

SUI DIVORZIATI RISPOSATI. CONTINUA LA DISCUSSIONE: REPLICA DI GIOVANNI CAVALCOLI ALLA RISPOSTA DI CORRADO GNERRE

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Viene oggi molto citato il n. 84 della Esortazione Apostolica Familiaris consortio di San Giovanni Paolo II, nel quale il Papa esprime la condizione della irregolarità dei divorziati risposati, in foro esterno o, come egli si e esprime, “oggettivamente”; ma il Santo Pontefice si guarda bene dal dire che essi sarebbero, soggettivamente o in foro interno, in un continuo stato di peccato mortale, perchè, questo, come ho già detto, sarebbe un giudizio temerario, che pretende scrutare l’intimo delle coscienze e le segrete operazioni della grazia. In secondo luogo, questo insegnamento del Santo Pontefice non va preso come fosse una dottrina di fede immutabile, ma solo come disposizione pastorale, come tale mutevole, per quanto di antichissima tradizione. Ma non si tratta di Sacra Tradizione, essa sola depositaria del dato rivelato, bensì solo di tradizione canonica. dagli anni nei quali questa Esortazione apostolica è stata scritta, la questione dei divorziati risposati si è alquanto estesa, complicata e aggravata, tanto che l’attuale Pontefice ha deciso di riprenderla in esame per vedere se mantenere l’attuale disciplina, oppure adottare soluzioni diverse dal passato.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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[Per leggere l’articolo del Prof. Corrado Gnerre, confutato negli otto punti che  seguono, cliccare QUI]

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l’accademico pontificio domenicano Giovanni Cavalcoli

Il prof. Riccardo Gnerre è nuovamente intervenuto contro di me sulla rivista telematica Riscossa Cristiana riguardo il tema della problematica morale e giuridica attinente ai divorziati risposati [cf. articolo,  QUI]. Credo che la nostra discussione possa offrire un modesto ma sincero contributo e forse un aiuto alle ben più autorevoli discussioni in atto dei Padri sinodali. Ma, trattandosi di gravi argomenti di comune interesse, credo che non sia male che noi due, comuni fedeli, esprimiamo il nostro parere in una dialettica costruttiva. Vediamo dunque le principali e più significative critiche ed obiezioni che mi fa il prof. Gnerre.

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1. Davvero ritenere che i divorziati risposati siano in uno stato di peccato grave è “giudizio temerario”?

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Rispondo: è un giudizio temerario, se si ritiene che essi siano necessariamente e continuamente in uno stato di colpa o di peccato, sì da essere permanentemente ed irrimediabilmente, ventiquattr’ore su ventiquattro privi della grazia, sicchè se dovessero morire dovrebbero precipitare nell’inferno.

Non è però questo il pensiero della Conferenza Episcopale Italiana la quale, già nel 1979, emanò un importante documento «Pastorale delle situazioni matrimoniali non regolari» [cf. QUI], nel quale si danno istruzioni, ancor oggi assai utili, sulla condotta cristiana, che queste coppie possono praticare. Dal che si deduce facilmente che esse possono essere in grazia e quindi non sono in uno stato continuo di peccato mortale. Infatti, si dice, per esempio, che i due possono fare la “Comunione spirituale”. Se avessero un peccato mortale sulla coscienza, potrebbero mai farla?

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2. Gnerre mi fa dire che io sosterrei che uno possa essere indotto suo malgrado a peccare. Infatti mi obietta dicendo che, se questo fosse vero, “Ognuno potrebbe addurre situazioni che lo avrebbero spinto, suo malgrado, a peccare: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato il frutto, e io ho mangiato!» [Gn, 3]. Adamo cerca di discolparsi inutilmente”.

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Ma io ho detto esattamente il contrario. Ho detto che il peccato è un atto libero e volontario, per cui non esiste un “peccare malgrado se stessi”. Certo, io posso fare un’azione oggettivamente cattiva, ma, se la compio involontariamente o perchè coatto o per inavvertenza o senza deliberato consenso, l’azione non mi può essere imputata a colpa, almeno davanti a Dio. Diverso è invece il caso di Adamo, paradigma di colui che ha peccato veramente e volontariamente e, in modo sleale, vuol scaricare la colpa sugli altri; benchè sia vero che Adamo è stato indotto in tentazione da Eva. Ma un conto è subire una tentazione e un conto è cedere volontariamente alla tentazione. Io invece mi riferivo al caso nel quale, come per esempio certi conviventi, in situazioni oggettive insormontabili, peccano certamente, ma hanno delle attenuanti, per il fatto che, per ipotesi, si trovano ogni giorno davanti all’occasione frequente, impellente ed inevitabile di cadere. Per questo, anche un peccato di per sè mortale per la sua materia, ma con attenuanti soggettive — mancanza di piena deliberazione a causa della violenza della passione —, può abbassarsi a livello di colpa veniale.

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3. I conviventi, dice Gnerre, hanno «l’obbligo di togliersi dalla condizione peccaminosa, altrimenti si corre il rischio di “mettere alla prova” Dio».

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L’obbligo c’è, ma se ci sono le possibilità effettive ed oggettive di interrompere il rapporto. Ma esistono casi complessi e complicati nei quali la separazione non è possibile — almeno momentaneamente — anche con tutta la buona volontà della coppia, che potrebbe anche essersi pentita della nuova unione, ma non sa come venirne fuori. In questi casi l’occasione di peccare è inevitabile ed ineliminabile, per cui, se è vero che l’occasione non è la causa propria, ma solo incentivo o stimolo esterno a peccare, e se è vero che la causa vera del peccato è solo la cattiva volontà, resta vero che valgono le attenuanti di cui al numero precedente. E se i due dovessero cadere nel peccato mortale, possono essere perdonati da Dio, anche senza il Sacramento della penitenza. È chiaro che però ogni volta che peccano, per rialzarsi, devono fare il proposito di non più peccare, nonostante il permanere supposto involontario o di forza maggiore della situazione, la quale spinge a peccare. Essa però non va mai detta «peccaminosa», bensì pericolosa. Ricordiamoci sempre che nessuna situazione è peccaminosa o colpevole in sé, ma che però può costituire occasione di peccato o tentazione al peccato. Se poi in certi casi la situazione può essere evitata, deve essere evitata.

La tentazione di Dio è un’altra cosa. Essa comporta il porsi volontario nell’occasione o il trascurare di fare il possibile per evitare il peccato, con la pretesa di godere della protezione divina o di scampare comunque al pericolo. Dio non ci può soccorrere se ci gettiamo volontariamente nel precipizio.

Il caso di certi conviventi è diverso. L’ipotesi è che non abbiano la possibilità di evitare l’occasione o la tentazione. Per questo, quando essa giunge, facilmente cadono nel peccato, ma la colpa diminuisce, in quanto si suppone che la volontà ceda alla violenza della passione. Se poi la colpa si abbassa al livello del peccato veniale, essi lo possono togliere con semplici pratiche penitenziali personali, ottenendo il perdono direttamente da Dio.

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4. “Due conviventi non mutando vita, dimostrano che la loro intenzione di non peccare è inesistente”.

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Si danno casi nei quali, almeno momentaneamente, è impossibile interrompere la convivenza, il che comporta l’esistenza di occasioni e tentazioni inevitabili e forse irresistibili di peccare. Ne conseguiranno peccati frequenti, più o meno gravi. Ma se la loro condizione di vita esternamente e giuridicamente è irregolare ed illegittima, ed è obbiettivamente riprovevole, che ne sappiamo poi noi di ciò che la grazia può operare nelle loro coscienze? È vero che la buona intenzione si dimostra coi fatti. Ma è anche vero che se ci si trova in una situazione come quella di certi conviventi, dalla quale sul momento è impossibile uscire, chi impedisce loro di rinnovare continuamente e sinceramente, con ogni sforzo, le buone intenzioni e i buoni propositi, nonostante le frequenti cadute?

Per verificare la bontà di un’intenzione non dobbiamo chiedere al prossimo azioni che sono al di sopra delle loro forze. Due conviventi obbligati a restare conviventi possono ugualmente compiere atti di buona volontà e quindi non essere affatto esclusi dalla divina misericordia, magari ancora di più di un coppia di sposi che vivono in una posizione regolare. Che ne sappiamo delle intenzioni dei cuori? Che ne sappiamo delle differenze e dei contrasti che possono sorgere tra le due coscienze? Che ne sappiamo della violenza con la quale certe spinte al male contrastano la buona intenzione e la buona volontà del soggetto? E se la buona intenzione non riesce ad esprimersi all’esterno, forse che Dio non la vede e non la premia? E che ne sappiamo di ciò che la grazia opera nelle anime?

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5. «Prendiamo la Confessione. Questa, perché sia valida ha bisogno di alcune condizioni, fra cui l’essere sinceramente pentiti e il proposito di non peccare più. Nel proposito entra in gioco anche il comportamento futuro. Se ho rubato e sono convinto che una determinata occasione mi ha spinto a farlo, ho l’obbligo morale di evitare quella occasione prossima di peccato. Lo stesso vale se convivo con una donna come se fosse mia moglie non essendo questa mia moglie Lo ripeto: da un punto di vista formale il ragionamento di padre Cavalcoli potrebbe anche avere valore, ma non da quello sostanziale e intenzionale. Ecco perché Gesù dice le parole che ho citato prima: “Se si guarda una donna desiderandola …”».

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Nessuno impedisce ai conviventi di rinnovare continuamente il proposito di non più peccare ogni volta che peccano. È vero che nell’ Atto di dolore in confessionale esprimiamo al confessore tale proposito. Ma ciò non impedisce che la settimana dopo ricadiamo nello stesso peccato, almeno veniale, senza che ciò comporti alcuna recidività o leggerezza o ipocrisia, ma solo per la debolezza della natura umana. Il che non vuol dire che non esistano e non debbano esistere processi di guarigione, ma essi richiedono il loro tempo e il confessore deve saper attendere. Inoltre, il proposito dev’essere proporzionato alle proprie forze e alle proprie possibilità, compatibilmente alla condizione di vita nella quale ci si trova e dalla quale non si può uscire.

Ora, la nostra ipotesi è appunto quella di una coppia che, per motivi oggettivi gravi, di forza maggiore ed anche in parte ragionevoli, non può interrompere il rapporto. Certo, questo richiede il rinnovo continuo dei buoni propositi. Ma non dobbiamo credere che i due, per il semplice fatto di trovarsi in quella situazione, non possano formare propositi sinceri, che li aprono alla grazia di Dio.

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6. «I divorziati risposati non possono accedere all’Eucaristia perché la loro condizione è oggettivamente negativa. La Familiaris Consortio (n.84) [Ndr.  QUI] parla per i divorziati di condizione di vita che contraddice “oggettivamente” la verità naturale e cristiana sul matrimonio: “Sono essi (i divorziati risposati) a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia”».

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Il Papa esprime qui la condizione della loro irregolarità, in foro esterno o, come egli si e esprime, “oggettivamente”; ma si guarda bene dal dire che essi sarebbero, soggettivamente o in foro interno, in un continuo stato di peccato mortale, perchè, questo, come ho già detto, sarebbe un giudizio temerario, che pretende scrutare l’intimo delle coscienze e le segrete operazioni della grazia. In secondo luogo, questo insegnamento del Santo Pontefice non va preso come fosse una dottrina di fede immutabile, ma solo come disposizione pastorale, come tale mutevole, per quanto di antichissima tradizione. Ma non si tratta di Sacra Tradizione, essa sola depositaria del dato rivelato, bensì solo di tradizione canonica. Infatti dagli anni nei quali questa Esortazione apostolica è stata scritta, la questione dei divorziati risposati si è alquanto estesa, complicata e aggravata, tanto che l’attuale Pontefice ha deciso di riprenderla in esame per vedere se mantenere l’attuale disciplina, oppure adottare soluzioni diverse dal passato. Per questo egli ha convocato il Sinodo. La questione mette un gioco due valori di fede, che sta alla Chiesa connettere con saggia pastoralità: da una parte, il rispetto ai sacramenti, mezzi immutabili di grazia e di salvezza, istituiti da Cristo; dall’altra, la cura delle anime, nutrite dalla grazia sacramentale, amministrata dalla Chiesa.

A seconda di dove pende, per così dire, la bilancia, la Chiesa può far prevalere il Sacramento; ed allora da qui scaturisce l’attuale disciplina; oppure può mettere in maggior rilievo la salus animarum; e allora l’attuale disciplina potrà essere mutata. Attendiamo le decisioni del Santo Padre, quali che siano, senza l’allarmismo di un gretto conservatorismo e senza la faciloneria dei modernisti.

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7. «Padre Cavalcoli cade nell’eresia di oggi: il peccato di per sé non esiste, va piuttosto considerato come un bene dimezzato. Padre Cavalcoli dovrebbe sapere che se esiste il bene assoluto, non esiste il male assoluto, ma non per questo il male non è e non resta male».

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Il prof. Gnerre mi attribuisce cose orribili che non ho mai detto, né si possono assolutamente ricavare dalle mie affermazioni. Come mai un simile accecamento? Che gli è successo? Egli crede di poter ricavare questo giudizio da queste mie parole: «Il peccare dei conviventi, per quanto pecchino, non è necessariamente coestensivo al loro convivere. Non è che tutto il loro vivere sia peccato. Possono benissimo possedere buone qualità per altri versi, qualità che essi possono e debbono valorizzare, senza per questo peccare nel merito».

Per quanto riguarda il «bene dimezzato», bisogna intendersi. Se io faccio solo la metà del mio dovere, certamente faccio peccato. Ma se io taglio a metà una mela, per mangiarla non faccio niente di male, Dimezzare un bene è peccato, se quel bene deve essere intero: se taglio a metà una persona umana, certamente faccio male, ossia peccato.

L’adulterio è un male, è un peccato, perché distrugge un matrimonio, sorgente della vita umana. Ma la nuova coppia che sorge dall’adulterio, una volta commesso questo peccato, non è detto che nel corso della vita seguente essa sia sempre in peccato, priva della grazia, anche se perdura uno stato di vita riprovevole. Infatti, i due possono pentirsi ad ogni peccato commesso e riacquistare ogni volta la grazia, anche se resta l’unione illegittima o riprovevole.

Forse il prof. Gnerre, col suo riferimento al buonismo, intendeva riferirsi alla teoria del peccato come “imperfezione”, escogitata dai modernisti da applicare ai conviventi sotto pretesto che i due posseggono delle qualità umane, per minimizzare le loro colpe. Invece l’imperfezione morale è ben distinta dal peccato, in quanto l’imperfezione è nella linea del bene, è un’azione sostanzialmente buona, anche se priva della sua pienezza, ma non per cattiva volontà dell’agente, bensì solo per i limiti della sua volontà. È quindi frutto della buona volontà. Il peccato, viceversa, è un atto malvagio, effetto della cattiva volontà. È un’imperfezione volontaria, è un dimezzamento volontario del bene dovuto.

Dunque, io direi che il peccato di per sé non esiste? Esiste il male assoluto? Dico semplicemente che i conviventi, come qualunque essere umano figlio di Adamo, mescolano le opere buone con le azioni cattive. Ho ricordato altresì che, se non si è in grazia, anche le opere buone non servono per la salvezza. Ho detto e ripetuto, inoltre, che il peccato è un atto cattivo volontario compiuto con avvertenza e deliberato consenso.

Dove trova qui il prof. Gnerre motivo delle sue accuse farneticanti contro di me? Lui piuttosto, con la sua teoria del peccato a tempo pieno — «situazione di peccato» — si avvicina orribilmente alla concezione manichea del male e manda inesorabilmente all’inferno i poveri peccatori ignorando l’opera della grazia; un serio problema, questo, indicato anche da Ariel S. Levi di Gualdo sin dal sottotitolo del suo ultimo tuonante articolo [cf. L’Isola di Patmos, QUI].

Per quanto poi concerne la questione del bene assoluto ed il male assoluto, quello che io ho sempre sostenuto è che esiste il bene assoluto e non esiste il male assoluto, perché, mentre il bene può essere totalmente libero dal male, il male non è altro che una carenza o una privazione di carattere accidentale, perché ha bisogno di una sostanza o un soggetto, al quale inerire. Il male totale, assoluto o sostanziale, quindi, non esiste, perchè, nel momento cui viene distrutta tutta la sostanza, il male annulla stesso.

Il peccato però non è un male che distrugge se stesso, come pensa Karl Rahner; infatti nel caso del peccato, il soggetto è l’anima, la quale, per quanto il peccato sia grave, non può essere distrutta da questo male, che resta nell’anima. Come si toglie questo male? È Dio stesso che lo toglie in Cristo, suscitando il pentimento o donando la grazia, e questo avviene anche nei divorziati risposati, anche se non hanno la possibilità di interrompere il loro rapporto.

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8. Dire che il Papa non può mai parlare contro la Tradizione, pur dovendone essere custode, significa di fatto ritenerlo infallibile su tutto. Graziano nel suo Decreto scrive del Papa: “A nemine est judicandus, nisi deprehenditur a fide devius”, che significa: “non deve essere giudicato da nessuno, a meno che non si allontani dalla fede.”

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Il Papa è infallibile come interprete della Tradizione, non in tutto? Chi lo ha mai sostenuto? Se il Papa parla della partita Milan-Inter, non è infallibile. Graziano fa un ragionamento ipotetico puramente formale e astratto, dove vale la conseguenza, non il conseguente. È come se io dicessi: se mi gettassi dal quinto piano, mi ucciderei. Ma non intendo affatto gettarmi dal quinto piano.

Il Papa, come Maestro della Fede, interprete supremo della verità salvifica immutabile, rivelataci da Cristo e contenuta nella Sacra Scrittura e nella Sacra Tradizione, come Vicario di Cristo nell’insegnarci la dottrina del Vangelo, i contenuti del dogma e della morale, le esigenze della legge divina e della legge naturale, anche se non pronuncia solennemente — cosa assai rara — una nuova definizione dogmatica, secondo le condizioni dell’infallibilità pontificia stabilite dal Concilio Vaticano I, nel suo insegnamento pubblico ordinario, orale o scritto, un’enciclica, un’esortazione o lettera apostolica, un motu proprio, un’udienza generale o un’omelia della Messa quotidiana o un discorso pubblico a chiunque o a qualunque livello o un’intervista a un giornalista o a personaggi di rilievo, fruisce del carisma di Pietro, al quale Cristo ha detto: «confirma fratres tuos» [«conferma i tuoi fratelli nella fede», cf. Lc 22,32] e quindi non si inganna e non ci inganna, non erra e non è fallibile, ma ci dice sempre con certezza il vero, che, se non è immediatamente verità di fede, è comunque connesso con la fede o discende dalla fede.

Il Papa invece non è infallibile ed anzi può sbagliare o ingannarsi o essere ingannato o peccare in tutto il resto, può essere ingiusto o imprudente nella sua condotta morale, nel prendere un provvedimento, nel governo della Chiesa, nell’emanare o abrogare o mutare una legge canonica o una norma liturgica, nell’esprimere un’opinione teologica, nei discorsi o comportamenti privati, nella scelta dei collaboratori, nella nomina o promozione o destituzione dei vescovi o dei prelati, nel trattare con le potenze politiche o nei giudizi politici. Può essere deposto o per indegnità o per incapacità o per gravissimi motivi che toccano il bene o la pace nella Chiesa, ma non può mai essere convinto di eresia, cosa che del resto non è mai successa. Egli stesso, come oggi ormai sappiamo bene, può fare atto di rinuncia al sacro ministero per gravi motivi, più o meno liberamente.

L’unica ipotesi valida del Papa eretico è il caso di manifesta demenza, cosa che peraltro non si è mai verificata, oppure di costrizione subìta, caso, quest’ultimo, che si è verificato; ma il Papa, tornato libero, ha annullato l’atto invalido, compiuto in stato di necessità.

È dunque un’idea vergognosissima ed inconcepibile quella di certi cattolici o sedicenti cattolici, i quali, falsi sostenitori della Tradizione, osano avanzare la possibilità del Papa “eretico”, con la trasparente intenzione di porre una base “giuridica”, per accusare l’attuale Pontefice, mentre alcuni arrivano all’audacia di accusarlo apertamente, prendendo occasione, un esempio tra i tanti, dalla sua decisione di permettere che al Sinodo si discuta la possibilità di ammettere alla Comunione i divorziati risposati, come se ciò costituisse un attentato alla “Tradizione” ed alla dignità dei Sacramenti.

Dall’altra parte abbiamo la più consistente e pericolosa fazione modernista, arrogante, scettica, liberale, soggettivista, storicista, evoluzionista e relativista, la quale, negatrice com’è di qualunque certezza o evidenza universale ed oggettiva – chiamata con disprezzo “astratta” – e quindi dell’immutabilità non solo del dogma, ma anche della verità di ragione, promuove, col pretesto del “progresso”, della “libertà”, della “misericordia” e della “modernità”, un mutamento della disciplina, non per adeguarla meglio al dogma o alla legge divina, onde attuarne una migliore applicazione, ma perchè non crede in nessun valore assoluto.

Spacciarsi per cattolici e non esserlo è una grave truffa o un’operazione puramente politica, molto peggio di chi pretende curare i malati, senza titolo adeguato. Il cattolico non è né uno che si incarica di vigilare sull’ortodossia del Papa, per controllare che sia fedele alla Tradizione, né uno che, credendo di avere il filo diretto con lo Spirito Santo o con la Bibbia, agisce secondo la sua coscienza soggettiva, in assoluta autonomia, come fosse il fichtiano “Io assoluto”, piaccia o non piaccia al Papa, che per lui è un credente alla pari di tutti gli altri, con le sue proprie discutibili ed anzi arretrate opinioni, come ebbe a dire il Cardinale Carlo Maria Martini, poco prima di morire, che «la Chiesa di Benedetto XVI è indietro di due secoli», e che per fortuna «oggi abbiamo grandi teologi come Rahner» [ Cf. sul Cardinale Carlo Maria Martini si rimanda ai nostri articoli passati: QUI, QUI].

Il cattolico si distingue tra tutti gli altri cristiani — e se ne vanta — proprio per la sua leale obbedienza al Papa, che non è l’obbedienza supina, ma quella di persone intelligenti e responsabili, che godono della libertà dei figli di Dio, e che quindi sanno quando il Papa dev’essere obbedito e quando può essere criticato, sulla base di criteri di discernimento che il Papa stesso fornisce, e non quelli che ci vengono da Mons. Marcel Lefebvre o da Hans Küng.

Anche se il Papa non fosse perfettamente imparziale tra i due partiti in lotta, non dobbiamo turbarci più di tanto: è una di quelle cose dove egli non è infallibile e può correggersi. Esprimiamo lealmente il nostro dissenso, laddove ci è consentito, ma guardiamo soprattutto in lui il Successore di Pietro. Siamogli vicini nella lotta e nella sofferenza, invochiamo per lui l’assistenza dello Spirito Santo e l’intercessione della Madonna, affinchè “si faccia un solo gregge con un solo pastore”.

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Varazze, 22 ottobre 2015

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5 commenti
  1. Giorgio M.G. Locatelli dice:

    Diciamo che il professor Gnerre sembrerebbe affetto da lefevrite acuta, che consiste principalmente nel dare, con estrema non chalance, dell’eretico a chiunque non rientri nei propri canoni di conoscenza dottrinale … nel caso dei lefevristi piuttosto ristretta. Il buon Padre Giovanni Cavalcoli ha semplicemente redatto degli articoli dove son stati posti dei quesiti e dei ragionamenti teologici molto interessanti sul caso in questione … apriti Cielo! Comprendo che oggi ci sentiamo tutti “dottori in teologia”, ma forse sarebbe meglio pensare, in primo luogo, al farsi santi sul piano personale e a non fare le pulci agli altri su tutto facendosi prendere dal panico inutilmente.

    • Padre Ariel
      vittodon.89 dice:

      Gentile Sig. Giorgio M.G.
      la “lefebvrite acuta” è una “malattia” grave che ha fatto soffrire molto, e soprattutto inutilmente, molti di noi sacerdoti, quando abbiamo avuto la sventura di ritrovarci attorno a soggetti che, pari pari ai neocatecumenali, pretendono di stabilire le regole ecclesiali e liturgiche alle quali, il parroco per primo, si deve attenere, proprio come se fosse un loro dipendente subalterno.
      don Vittorio

  2. Padre Ariel
    donmarc11 dice:

    Carissimo Padre, possa Dio benedirti settanta volte sette!
    Letto d’un fiato, e poi riletto ancora.
    Grazie per tutto quello che state facendo dall’Isola di Patmos, soprattutto per informare noi sacerdoti, e per sostenerci con l’autentica dottrina della Chiesa, perché noi parroci e viceparroci, che viviamo sul “campo di battaglia”,abbiamo sempre più difficoltà a rispondere alle domande dei fedeli, con la confusione che circola, specie in rete. Grazie!

    don Marco

      • Padre Ariel
        vittodon.89 dice:

        Anch’io condivido, approvo sottoscrivo e complimento moltissimo l’insigne teologo domenicano Padre Giovanni Cavalcoli. Aggiungendo un particolare ringraziamento, come parroco di una grande parrocchia: questi articoli (quelli del Padre Giovanni e quelli del Padre Ariel), mi sono tanto serviti per dare molte risposte specifiche, perché non vi dico, di questi tempi, quante domande, e quanto articolate, spesso ci sentiamo fare dalla gente sia sulle nuove procedere canoniche per le sentenze di nullità matrimoniale, sia per le varie questioni legate ai divorziati risposati.
        Per me, questi articoli, sono stati una grazia illuminante.
        don Vittorio

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