Rischio virale coronavirus: è giusto chiudere le chiese? Una cosa è certa: non è giusto né cristiano che certi fedeli aggrediscano in modo sfottente vescovi e sacerdoti, ergendosi a supremi giudici dei loro pastori in questo momento di tragica emergenza

— la Chiesa e la grave emergenza conoravirus —

RISCHIO VIRALE CORONAVIRUS: È GIUSTO CHIUDERE LE CHIESE? UNA COSA È CERTA: NON È GIUSTO NÉ CRISTIANO CHE CERTI FEDELI AGGREDISCANO IN MODO SFOTTENTE VESCOVI E SACERDOTI, ERGENDOSI A SUPREMI GIUDICI DEI LORO PASTORI IN QUESTO MOMENTO DI TRAGICA EMERGENZA

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[…] permettetemi di citare quell’atteggiamento canzonatorio di alcuni fedeli cristiani verso i loro vescovi. In questo momento la Chiesa non ha bisogno di divisioni, se è grave la situazione che stiamo vivendo è ancor più grave fomentare lotte interne. Le disposizioni date non sono certamente perfette, anzi avrebbero avuto bisogno di più assennatezza, ma questo non autorizza nessuno a trasgredirle e a ergersi a giudice dei vescovi e di noi loro sacerdoti, che per grazia o per disgrazia rappresentiamo ancora le guide riconosciute del Popolo di Dio. Come figli liberi, esprimiamo anche il nostro dolore e il nostro dissenso senza scadere però nella ribellione, cosa che ci farebbe più simili ai lupi famelici che a mansuete pecorelle.

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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Redazione: i divertenti ma molto efficaci spot di Luca De Matteis che invitano i recalcitranti a rimanere isolati nelle abitazioni per la sicurezza di tutti

Devo riconoscere che a primo acchito un interrogativo del genere rischia di lasciare molto spazio all’emotività. Confesso che anch’io, sono stato portato a considerazioni di carattere più emotivo che razionale, accusando il colpo, se non altro per la mia duplice veste di cristiano e sacerdote, nonché di cittadino italiano. Altrettanto vale per i miei confratelli de L’Isola di Patmos, con i quali ci siamo scambiati pareri e opinioni, consultandoci vicendevolmente e cercando spesso risposte gli uni negli altri. Tutti ci siamo infatti sentiti toccati nella più profonda essenza dell’esercizio del sacro ministero sacerdotale, in una situazione che non ha precedenti, nella storia della Chiesa, che pure ha conosciuto momenti di persecuzioni o emergenze date dalle varie pestilenze o pandemie.

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Giunge così repentina e inaspettata per la maggioranza dei fedeli, la notizia diramata dalla Conferenza Episcopale Italiana l’8 marzo scorso, che esigeva dai cattolici il rispetto del Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che prescriveva ― tra le altre cose ― la sospensione a scopo preventivo, fino al successivo 3 aprile, sull’intero territorio nazionale di tutte le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri. Dopo questa notizia, le conferenze episcopali regionali hanno iniziato a diramare decreti che sostanzialmente ribadivano l’orientamento del testo C.E.I. con qualche minimo adeguamento alle situazioni specifiche del territorio diocesano di appartenenza.

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by Luca De Matteis

Diciamo subito che il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri non parla esplicitamente di chiusura fisica dei luoghi di culto, ma di sospensione pubblica dell’esercizio delle funzioni civili e religiose. Quindi di fatto le chiese sono aperte ma senza fedeli, le messe continuano ad essere celebrate dai sacerdoti ma a porte chiuse e qualcuno poteva ancora recarsi in chiesa a pregare, rispettando le norme igieniche e di prevenzione del contagio, ma senza creare l’assembramento tipico di una messa.

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Pochi giorni dopo, il presidente Giuseppe Conte, dichiara l’emergenza nazionale ed estende le misure stringenti delle regioni più colpite dall’epidemia a tutto il territorio italiano. Il risultato è che non si può più uscire di casa se non per commissioni urgenti e comprovate esigenze lavorative, pena l’ammenda o sanzioni più severe.

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Con l’aggiornamento delle disposizioni, la maggioranza delle chiese resta ancora aperta ma senza la possibilità di vedere un fedele tra le proprie navate. Ancora, giovedì scorso il Cardinale Angelo De Donatis, vicario generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma, ha stabilito con un decreto il divieto di accesso alle chiese parrocchiali e non parrocchiali esteso a tutti i fedeli dell’Urbe. Il giorno dopo De Donatis fa marcia indietro ed emana un nuovo decreto che corregge il precedente e interrompe la serrata: «Rimangono chiuse all’accesso del pubblico» ― si legge nel decreto ― «le chiese non parrocchiali e più in generale gli edifici di culto di qualunque genere, restano invece aperte le chiese parrocchiali».

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C’è chi vede come causa di questa brusca inversione a “U” del porporato le parole del Santo Padre, durante la messa del mattino presso la Domus Sacthae Marthae: «le misure drastiche non sempre sono buone».

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Grande fermento, grande confusione, grande paura… ma i fedeli che cosa pensano, che cosa fanno? Sui mezzi di comunicazione infuria la battaglia, si attaccano i vescovi, i sacerdoti vengono accusati di essere pavidi e novelli don Abbondio, i pareri divergenti espressi da alcuni intellettuali cattolici si sprecano sui social e sui blog, non mancano poi alcuni commenti che oltrepassano i limiti della decenza, insomma un gran guazzabuglio che non porta alcun beneficio alla Chiesa.

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by Luca De Mattei

Io mi sono fatto una mia idea in proposito, della quale ho parlato a lungo con i miei confratelli de L’Isola di Patmos e che adesso mi sento di condividere con voi: anzitutto, reputo che in questa vicenda la posta in gioco sia duplice. Da una parte la salute pubblica dei cittadini che deve essere sempre garantita dallo Stato. Dall’altra la salute dell’anima che la Chiesa ha ugualmente il dovere di tutelare per rispettare quel mandato divino ricevuto da Cristo e che rappresenta il bene più prezioso di ogni battezzato. Dico questo perché in situazioni simili è necessario essere uniti pur nella divisione dei compiti e nella separazione gli ambiti di competenza. Altrimenti si giunge ad antipatiche interferenze e incomprensioni.

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È chiaro che lo Stato non può disciplinare in materia spirituale, in quanto non gode di nessuna autorevolezza in materia e di nessun mandato divino. Di contro la Chiesa non può occuparsi di questioni che riguardano situazioni temporali, salvo il caso in cui può manifestare, come autorità morale, le sue opinioni in merito ad alcune questioni particolarmente gravi e di vitale importanza.

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La situazione d’emergenza che l’epidemia ha comportato, la necessità di prendere rapidamente delle decisioni utili ad arginare il contagio, ha di fatto impedito una riflessione seria e un sano dialogo, tale da salvaguardare le priorità di uno Stato laico senza ledere i beni spirituali della Chiesa.

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Fa molto riflettere che in un periodo storico come il nostro, attento ai diritti di tutti, garante delle minoranze, nemico di coloro che fomentano l’odio, una situazione di emergenza del genere mandi tutto all’aria, rivelando le falle di un sistema statale impreparato e di una Chiesa la cui preoccupazione è sbilanciata più verso il corpo che verso l’anima. Livellare ogni cosa, è apparsa la scelta migliore per risolvere la questione in modo veloce e quasi indolore.

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by Luca De Mattei

Così facendo, c’è il serio rischio di buttare con l’acqua sporca anche il bambino, considerando che in Italia, il numero dei fedeli cristiani cattolici rappresenta ancora la maggioranza e, sebbene il cristianesimo non sia più religione di stato, come un tempo, esso detiene un peso civile ancora importante. Personalmente ritengo che la Santa Chiesa attraverso i suoi pastori avrebbe dovuto subito avviare un dialogo franco con lo Stato affinché fosse garantita ai fedeli il diritto all’esercizio della fede e ai sacerdoti l’esercizio del ministero pur con le dovute cautele davanti alla situazione in atto.

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In una situazione di emergenza sanitaria come questa, la fede rappresenta ancora una speranza forte per tante persone, uno strumento interiore che attiva risorse e permette quella resilienza capace di andare avanti. La fede non attiene solo all’ambito religioso ma si lega alla virtù della speranza, e l’uomo senza speranza muore. Ecco perché, un provvedimento restrittivo di questo genere, malgrado le buone intenzioni, rischia di portarsi dietro degli effetti collaterali che vedremo con lucidità solo a pericolo cessato, comprendendo in un vicino futuro il genere di precedente che è stato creato.

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Il mio pensiero va ai tanti anziani che non sono abituati ad usare le nuove tecnologie e che non possono seguire la Messe in diretta Facebook. Per loro il conforto non passa solo attraverso la Messa trasmessa in tv o in radio, ma soprattutto attraverso la visita del sacerdote e la ricezione della comunione eucaristica. Questo mio pensiero trova riscontro nelle parole di questi giorni del Pontefice che dice: «i pastori non lascino solo il popolo di Dio, senza Parola, sacramenti e preghiera». Bene, ma come posso io sacerdote ascoltare una confessione se non mi avvicino, come posso amministrare l’unzione se non tocco con olio il corpo malato e morente. Decisioni difficili che impongono quasi una scelta tra corporeità e spiritualità? Giorni e giorni dopo, la Conferenza Episcopale Italiana ha emanato un documento nel quale entra nel merito di questo discorso dando delle direttive [vedere documento, QUI].

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by Luca De Mattei

Il corpo è dono di Dio ed è doveroso curarlo e salvaguardarlo dai pericoli e dalle malattie, ma questo nostro corpo è limitato non immortale. Quando non è possibile fare più nulla, si può ancora agire sull’anima, si può curare e salvare l’anima dalla morte eterna, e così facendo recuperare anche il corpo nell’attesa della sua risurrezione gloriosa, così come recitiamo nel Credo domenicale. Purtroppo, non sono mancati i casi in cui i fedeli malati non hanno potuto ricevere l’eucaristia, i penitenti non hanno potuto riconciliarsi e i sacerdoti impediti da vari fattori nel compiere il loro ministero. Dico questo non per tentare Dio o per veicolare un superstizioso sentimentalismo religioso, dico questo perché la mia esperienza di tanti anni come cappellano in ospedale mi ha portato a questa conclusione, e gli stessi operatori sanitari hanno riconosciuto il valore meritorio dell’assistenza spirituale durante la malattia.

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Quando l’emergenza sarà finita, tutti dovremmo rispondere alla nostra coscienza in riferimento ad alcune mancanze che interpellano il bene comune, che passa anche attraverso il rispetto della fede del mio prossimo.

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Per terminare, permettetemi di citare quell’atteggiamento canzonatorio di alcuni fedeli cristiani verso i loro vescovi. In questo momento la Chiesa non ha bisogno di divisioni, se è grave la situazione che stiamo vivendo è ancor più grave fomentare lotte interne. Le disposizioni date non sono certamente perfette, anzi avrebbero avuto bisogno di più assennatezza, ma questo non autorizza nessuno a trasgredirle e a ergersi a giudice dei vescovi e di noi loro sacerdoti, che per grazia o per disgrazia rappresentiamo ancora le guide riconosciute del Popolo di Dio. Come figli liberi, esprimiamo anche il nostro dolore e il nostro dissenso senza scadere però nella ribellione, cosa che ci farebbe più simili ai lupi famelici che a mansuete pecorelle.

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Laconi, 20 marzo 2020

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Per stare quanto più possibile vicini ai fedeli in questo momento di grave crisi ed emergenza, la redazione de L’Isola di Patmos informa i Lettori che il nostro autore Padre IVANO LIGUORI, dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, cura su Facebook la rubrica «LA PAROLA IN RETE», offrendo delle meditazioni tre volte a settimana. Potete accedere alla pagina curata dal nostro Padre cliccando sul logo sotto:

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8 commenti
  1. Antonello
    Antonello dice:

    Il mio messaggio era del tipo “proprio voi che…” E non era nè pieno di lavoro, nè anonimo, nè inviato da un indirizzo inventato, nè aggressivo. Eppure non lo avete pubblicato!

    • Padre Ariel
      Ariel S. Levi di Gualdo dice:

      Le rispondo, perché non lo abbiamo pubblicato: perché solo gli esseri disumani come lei, sedicenti pseudo e non meglio precisati “cattolici”, possono non trovare di meglio da fare che polemizzare sulla Chiesa e i suoi pastori oggi profondamente sofferenti, mentre la nostra Italia conta migliaia di morti.
      Ecco perché non diamo spazio a gente come lei e disumani affini.
      Sono stato chiaro?

      • Antonello
        Antonello dice:

        Caro padre Ariel,
        Io non ho polemizzato affatto sulla Chiesa di cui faccio parte come battezzato, nè contro i suoi pastori, bensì contro alcuni di loro, cioè voi. E poi cosa vuol dire che i pastori sono sofferenti, forse che i laici non lo sono e non hanno diritto di esserlo allo stesso modo? Inoltre non ho polemizzato, ma solo fatto notare la incongruenza di un tale pontificare da un pulpito che si è espresso con parole indecenti nei confronti di vescovo in passate occasioni. Ma daltronde che si puó pretendere da un pastore che si rivolge al sottoscritto dandogli gratuitamente del disumano? Si rende conto di ció che dice? Lei insulta perché non ha argomenti e afferma falsità (cioè che io mi invento l’indirizzo e-mail) parimenti perchè non ha argomenti. Il suo atteggiamento e il suo linguaggio sono degni di un abitante della Suburra, non di un ministro di Dio. Lei usa la sua talare come arma o come scudo, alla bisogna, anzichè servive l’abito che indossa. Sia serio e pubblichi il mio messaggio, questo e quello che ha censurato.

        • Padre Ariel
          Ariel S. Levi di Gualdo dice:

          «Lei usa la sua talare come arma o come scudo, alla bisogna, anzichè servive l’abito che indossa. Sia serio e pubblichi il mio messaggio, questo e quello che ha censurato».

          Lei è una vergogna di cattolico, punto e basta.
          Un laico non può osare rivolgersi a questo modo a un presbìtero. Se io fossi ciò che lei dipinge, il compito di riprendermi e di redarguirmi, all’occorrenza semmai anche di sanzionarmi, spetta al mio Vescovo, non certo a un emerito cafone come lei.
          Non si sostituisca quindi alla legittima Autorità Ecclesiastica, perché lei non ne ha né il grado d’ordine sacramentale né la potestà.
          E casomai il mio Vescovo dovesse decidere di redarguirmi, mi chiamerebbe in privato, non oserebbe mai, neppure lui al quale io debbo devota obbedienza e filiale rispetto, tirarmi un badile di fango addosso sulla pubblica piazza come ha fatto lei, che pure ha la presunzione di ritenersi persino un autentico cattolico.
          Sono stato pedagogicamente e cristianamente chiaro?

  2. NonMetuensVerbum
    NonMetuensVerbum dice:

    Caro Padre Ivano, mi soffermo sul Catenaccio, nonché capoverso conclusivo del suo articolo, per notare in esso l’assunzione, spero involontaria, di uno stile oggi molto “ecclesialese”: Alcuni fedeli cristiani… Chi ? Dove ? Quando ?
    Smettiamola con codeste accuse generiche, piene di metafore sibilline, di aggettivi polivalenti, di allusioni a complotti e a deviazioni, senza che mai dal pulpito più alto e a cascata dai pulpitini di supporto sia chiarito né l’oggetto né l’obiettivo dell’accusa.
    Atteggiamento canzonatorio… che vuol dire ? Chi ha canzonato chi, e in che modo ? Magari ce ne sono stati davvero, ma senza chiarezza ognuno può pensare o di essere accusato a torto, o che altri siano accusati a ragione (dal suo punto di vista).
    Faccio un esempio qui circoscritto: anche padre Ariel, stimatissimo, in un suo recente articolo ha irriso agli “sgrana-rosari”. Perché ? Con quale autorità ? Sa forse riconoscere, a distanza , a pelle, senza dubbi, un fedele che prega, come può e come sa, e un superstizioso che si atteggia ? Chiamerebbe Padre Pio uno “sgrana-rosari” ?
    Indicate la meta, soccorrete le intelligenze, riscaldate i cuori, non soffocate il lucignolo con…

  3. Bruno
    Bruno dice:

    Gent.mo Padre Ivano,
    sul quotidiano dei vescovi italiani del 15 c.m. è stato pubblicato il seguente articolo:
    https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/luigino-bruni-oikonomia-10
    In esso si arriva a sostenere: “[…] il cristianesimo da subito ha interpretato la passione e morte di Gesù come un sacrificio, come l’«agnello di Dio» che con la sua morte toglie, definitivamente, il peccato dal mondo. […] Il sacrificio di Gesù, del Figlio, sarebbe stato il prezzo pagato a Dio Padre per estinguere l’enorme debito che l’umanità aveva contratto. Gesù il nuovo sommo sacerdote che offre in sacrificio non animali ma se stesso (Ebrei 7). Questa teologia sacrificale ha attraversato e segnato l’intero Medioevo, ribadita dalla Controriforma, e ancora oggi molto radicata nella prassi cristiana. […] Il sacrificio sta finalmente uscendo dalla teologia più recente (grazie a una comprensione più biblica del mistero della Passione), ma sta entrando sempre più nella nuova religione capitalista. ”
    Padre Cavalcoli ha così risposto: https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/unoffesa-al-sacrificio-di-cristo.html
    Secondo lei, criticare i vescovi per quell’ articolo, significa “ergersi a giudice dei…

  4. Iginio
    Iginio dice:

    D’accordo, ma restano due punti.
    1. La fede non è semplicemente qualcosa di “utile”, magari ai malati o ai deboli in generale. Senza Dio questo mondo non va avanti, semplicemente. Anche se il Mondo crede che i cristiani siano poveri sfigati.
    E coloro che vogliono andare in chiesa non sono “piccoli” e basta: sono persone che amano Dio. Nel definirli – come è stato fatto – “piccoli” si implicava che chi non reclama sia un “cattolico adulto”. Ne facciamo volentieri a meno. I “piccoli” di Gesù non si contrappongono a inesistenti “adulti”.
    2. Molti preti approfittano del divieto di messe pubbliche per non celebrare messa affatto, dicendo che senza il popolo non ha valore. Questa è una colossale eresia però molto diffusa grazie a teologastri e seminari di oggi. Occorre chiarire questo punto in maniera seria, autorevole e netta.
    Vietare, poi, come è stato fatto, anche la semplice ostensione del Santissimo, con la scusa che altrimenti si raduna gente, lascia francamente molto perplessi: c’è qualcosa che non quadra.

  5. hbgj
    hbgj dice:

    NON È GIUSTO NÉ CRISTIANO CHE CERTI FEDELI AGGREDISCANO IN MODO SFOTTENTE VESCOVI E SACERDOTI……
    parlate proprio voi che [CENSURATO]

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