"Ir além, tão perto você me deixa chateado …» Se um sacerdote retirar o crucifixo do centro do altar para que não cubra o “centralidade” do celebrante-protagonista, isso significa que chegamos ao fim da linha
"IR ALÉM, COSÌ VICINO MI FAI TURBAR …» SE UN PRETE TOGLIE IL CROCIFISSO DAL CENTRO DELL’ALTARE AFFINCHÈ NON COPRA LA “CENTRALITÀ” DEL CELEBRANTE-PROTAGONISTA, VUOL DIRE CHE SIAMO GIUNTI AL CAPOLINEA
Che dire se circolano video nei quali si vedono sacerdoti e perfino vescovi salire all’altare e rimuovere il crocifisso da sopra lo stesso perché evidentemente toglie visibilità, occupa lo spazio che poco dopo si prenderà il celebrante, brandendo talvolta mostruosi microfoni che, quelli si, possono benissimo rimanere dove sono?
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Ciò che è strano e bizzarro di solito fa breccia sui social, perché aumenta a dismisura le visualizzazioni e attira i commenti della gente. Nessun ambito umano può ritenersi alieno da quest’ansia di ricerca del particolare, dal ridicolo fino al mostruoso, perfino quello religioso.
Alcuni eventi davvero strani avvenuti nelle chiese hanno trovato fortuna sulle diverse più famose e usate piattaforme. Dal prete che canta dall’altare una canzone in voga o ne fa lo sfondo per piccoli risibili video, agli abiti sconvolgenti di alcuni sposi, a certe eccessive benedizioni con l’acqua santa. Qualcuno usa i social anche per stigmatizzare questi comportamenti che accadono nelle chiese o quei gesti che rasentano l’abuso sia del luogo, perché non consoni, che della liturgia usata a piacimento. Il mondo è diventato un gran palcoscenico e purtroppo anche i religiosi pensano che vi si possa salire sfruttando lo spazio dell’aula di una chiesa o di un presbiterio. È di pochi giorni fa la notizia di una stilista che ha disegnato un più che trasparente abito da sposa per un matrimonio in chiesa e non è mancato chi ha potuto commentare: «Una chiesa è solo un edificio, può indossare quello che vuole» (WHO).
Che dire però se circolano video nei quali si vedono sacerdoti e perfino vescovi salire all’altare e rimuovere il crocifisso da sopra lo stesso perché evidentemente toglie visibilità, occupa lo spazio che poco dopo si prenderà il celebrante, brandendo talvolta mostruosi microfoni che, quelli si, possono benissimo rimanere dove sono?
O Bishop de Arezzo-Cortona-Sansepolcro
Un presbitero dell’Arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno
Le bizzarrie del nostro tempo che intersecano anche il mondo religioso e come si vive e celebra la liturgia ci da il «La» per ricordare che i presbiteri non sono i padroni indiscussi delle celebrazioni e che in verità stanno agendo per un servizio che veicola un mistero più grande e profondo. A tal proposito mi vorrei soffermare proprio sull’altare perché alcune bizzarrie e storture sono avvenute lì, per mano di qualche celebrante o solerte “operatore pastorale”, per non parlare dei cosiddetti “animatori liturgici” che pensano di poter agire a loro piacimento o più probabilmente dimenticano che l’altare non è un arredo qualsiasi, un posto dove poggiare cose alla rinfusa.
Tanto per mettere subito le cose in chiaro, nel rito di dedicazione dell’altare si dice che:
«con l’unzione del Crisma [esso] diventa simbolo di Cristo, che fu detto Unto più degnamente di tutti; il Padre infatti lo unse con lo Spirito Santo e lo costituì Sommo Sacerdote, che offrisse il sacrificio della vita per la salvezza di tutti sull’altare del proprio corpo» (Ordo dedicationis Ecclesiae et Altaris, IV/22).
eu’altare dunque è simbolo di Cristo e questa dottrina è tradizionale. Sant’Ambrogio l’ha ricordata più volte:
«Cos’è l’altare, se non il segno del corpo di Cristo?» (Quid est enim altare, nisi forma corporis Christi?), (Comm. in Cant. eu,6: PL 15,1855; De sacram., V, 2, 7; cfr IV, 2, 7: PL 16, 447. 437).
Le vicende storiche che riguardano la presenza degli altari nelle chiese sono antiche e complesse e naturalmente esulano da questo modesto contributo. Si potrebbe cominciare dall’altare fisso che inizia a comparire nelle basiliche del IV secolo, fino all’adozione dell’altare lapideo per il quale non fu estraneo il simbolo biblico di Cristo «pietra angolare dell’edificio spirituale» (cf.. Vontade 118, 22; MT 21, 42; No 4, 11; 1CR 10, 4; 1PT 2, 4-8). Si potrebbe citare l’uso antico di celebrare l’Eucaristia sulle tombe dei martiri che trovò concreta traduzione nella costruzione di altari sopra i sepolcri degli stessi, come pure della traslazione delle loro reliquie sotto gli altari delle nuove basiliche. Al riguardo sempre sant’Ambrogio scrive: «Nel luogo in cui Cristo è vittima, vi siano anche le vittime trionfali. Sopra l’altare lui, che è morto per tutti; esses, redenti dalla sua passione, sotto l’altare» (Epistula 22, 13: pl 16, 1023).
Tra tutti i luoghi che sono presenti in una chiesa solo l’altare conosce un rito di dedicazione, a sottolinearne l’eccellenza:
«L’altare, sul quale si rende presente nei segni sacramentali il sacrificio della croce, è anche la mensa del Signore, alla quale il popolo di Dio è chiamato a partecipare quando è convocato per la Santa Messa; l’altare è il centro dell’azione di grazie che si compie con l’Eucaristia» (Institutio generalis Missalis Romaneu, 296).
Anche il Sommo Pontefice lo ha ricordato: «Verso l’altare si orienta lo sguardo degli oranti, sacerdote e fedeli, convocati per la santa assemblea intorno ad esso» (Discorso del 24 agosto 2017).
L’importanza dell’altare è ricordata naturalmente anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica:
«L’altare, em torno do qual a Igreja está reunida na celebração, Ele representa os dois aspectos do mesmo mistério: o altar do sacrifício ea mesa do Senhor, e tanto più in quanto l’altare cristiano è il simbolo di Cristo stesso, presente sia come vittima offerta per la nostra riconciliazione, sia come alimento celeste che si dona a noi» (n. 1383).
Per tali motivi la riforma liturgica risalendo la tradizione cristiana antica ha voluto che nelle chiese si costruisse un solo altare, staccato dalla parete per potervi girare attorno e celebrare verso il popolo, collocato in modo da attirare l’attenzione. Che fosse normalmente fisso e dedicato, con la mensa di pietra, ma non è esclusa altra materia degna, solida e ben lavorata. E sotto l’altare si possono porre reliquie di santi; che fosse coperto da una tovaglia e sopra o accanto a esso vi siano una croce e i candelieri (Institutio generalis Missalis Romani, 298-308).
La venerazione per l’altare ― che infatti si bacia, si incensa e davanti a esso ci si inchina ― è motivata dal suo legame col sacrificio di Cristo, a quem, nel Sacramento, si associa il sacrificio della Chiesa orante. Su di esso viene deposta l’offerta spirituale dei fedeli, significata nel pane e nel vino, porque o Espírito Santo, per il ministero del sacerdote, li renda sacramento del Corpo e Sangue di Cristo, così che quanti se ne nutrono diventino un solo corpo in Cristo, a lode di Dio Padre. Lo esprime bene la preghiera del prefazio nella messa di dedicazione: «Intorno a quest’altare ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio per formare la tua Chiesa una e santa».
Ed è proprio l’unicità del sacrificio redentore, sul Calvario e nell’Eucaristia, da parte di Cristo sacerdote e vittima, che ha portato la riforma liturgica conciliare a stabilire che in una stessa chiesa non si celebrino contemporaneamente più Messe e che nelle nuove chiese l’altare fisso sia uno solo. È chiara l’intenzione di educare il popolo cristiano con questa prassi e con questo segno, l’altare, il quale «rappresenta (significat) in modo evidente e permanente Cristo Gesù, Pietra viva, e rappresenta in mezzo all’assemblea dei fedeli l’unico Cristo e l’unica Eucaristia della Chiesa» (Institutio generalis Missalis Romani, NN. 298, 303).
Il Concilio Vaticano II si chiuse nel 1965, eppure su questo aspetto, come su altri del resto, la sensibilità di quei Padri che celebrarono l’importante assise e quella dei molti documenti che ne seguirono non sembra purtroppo acquisita o recuperata da tutti. Dentro 2002, per fare un esempio, a santa sede, ovvero la Congregazione per il Culto Divino, è dovuta intervenire per dichiarare «illecito» celebrare la Messa di Prima Comunione su un altare provvisorio in mezzo alla chiesa con l’ingenua intenzione di «evocare l’Ultima Cena», poiché inutile doppione del «segno già presente»; gesto atto a confondere il popolo distraendolo dall’essenziale. Ma anche ai nostri giorni in alcune Parrocchie, talvolta davanti l’altare, qualcuno pone un tavolo con sopra i simboli della Pasqua ebraica, ingenerando così una totale confusione liturgica e teologica, anche se l’intento sarebbe invece il contrario. Non è inconsueto che l’altare diventi un supporto per cartelloni esplicativi, per esempio di un particolare tempo liturgico e al di sotto vi si ponga di tutto, dal Presepe in tempo di Natale alle varie offerte, talvolta curiose, in alcune celebrazioni. Una volta ho visto un povero agnellino costretto a stare tutto il tempo dentro una cesta sotto l’altare mentre probabilmente avrebbe preferito brucare in un prato. Ad un certo punto si mise a belare, creando ilarità nei presenti all’Eucarestia. E sopra vi si pone di tutto un po’ e forse proprio per questo, como mencionado acima, qualche celebrante non trova niente di meglio che levare la Croce, ritenendola probabilmente una ridondante suppellettile, mentre invece è prevista e lì collocata per ricordarci verso chi dobbiamo volgere lo sguardo.
Come rimediare a tutto ciò? Sicuramente attraverso la formazione continua di tutti. Dei presbiteri per primi che devono curare le celebrazioni e quindi essere esperti conoscitori della materia. In questo caso della peculiarità e della centralità del segno dell’altare che rimanda a quella di Cristo. Dovrebbero ricordare, por exemplo, che anche al di fuori dell’azione liturgica, l’altare è invocazione e attesa della presenza di Colui, Cristo, che fa nuove tutte le cose (cf.. Ap 21, 5).
Por causa disso, attraverso le catechesi e i momenti educativi, devono aiutare i fedeli a formarsi spiritualmente e divenire consci che una liturgia ben celebrata con i suoi segni propri, trasparenti e più importanti, com’è appunto l’altare, è e deve essere per se stessa la prima scuola: «A lei da oração, Lex credendi».
Abbiamo iniziato ricordando gli orrori que o social sono pronti a riverberare finché non ne salta fuori uno nuovo ed eclatante. Fra questi alcuni hanno a che fare con quanto avviene in chiesa e nelle liturgie. Così è nato questo contributo che non ha lo scopo di far ridere o moltiplicare i commenti negativi, come avviene sul Web. Ma è solo un invito a cogliere, da questa circostanza, l’importanza e la bellezza dei contenuti della fede e come essi si esprimano nella liturgia. Se in questo ambito errori sono stati fatti e se ne faranno, vale sempre il principio: «Error corrigitur ubi deprehenditur»; che potremmo tradurre: gli errori si correggano appena ci si accorge di averli commessi.
Para concluir non possiamo omettere di ricordare a tutti quei cattolici ingenui, così preoccupati di scandalizzarsi e di gridare allo scandalo, non però altrettanto preoccupati di verificare con cura notizie e immagini, che molti video da loro postati sui social non hanno niente a che fare con la Chiesa Cattolica e il nostro clero. In giro per il mondo esistono infatti pseudo chiese che nell’apparato esterno liturgico si ispirano alla Chiesa Cattolica. A tal proposito basterebbe ricordare che dopo il Concilio Vaticano I (aperto nel 1869, terminato nel 1870, ma formalmente chiuso solo nel 1960) vi fu uno scisma che dette vita alla cosiddetta “chiesa” vetero-cattolica. Solo da questa aggregazione sono nate e a seguire si sono moltiplicate decine di sedicenti “chiese” gestite da personaggi alquanto esotici. Visto e considerato che nel nostro clero cattolico di abusi liturgici ne avvengono a sufficienza; visto e considerato che a volte si ha quasi l’impressione che certi nostri preti gareggino tra di loro a chi compie la stravaganza più eccentrica, che perlomeno non ci vengano attribuite le sceneggiate altrui, perché le nostre ci bastano e avanzano, oltre a imbarazzare a sufficienza quanti di noi seguitano a essere cattolici.
Florença, 20 julho 2024
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