Perdonare non è buonismo ma segno della carità e delle giustizia divina

Padre Gabriele

Omiletica dei Padri de  L’Isola di Patmos

PERDONARE NON È BUONISMO MA SEGNO DELLA CARITÀ E DELLA GIUSTIZIA DIVINA 

«Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto, perché ho amato». Con queste parole Eleonora Duse detta “la musa”, riassume la sua tormentata relazione con Gabriele D’Annunzio, suo unico amore della vita, da un punto di vista laico ed umanistico.

 

Autore:
Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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Cari Lettori dell’Isola di Patmos,

uno degli insegnamenti di Gesù più difficili da accogliere è quello sul perdono. Quando subiamo un torto, infatti, più facilmente ci ricordiamo della persona che lo ha commesso, generando una divisione e un distacco totale fra noi e lei. È un sentimento di rivalsa totalmente naturale. Per questo Gesù ci chiede di andare oltre. E c’è chi fa proprio questo insegnamento di Gesù. Ad esempio:

«Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto, perché ho amato».

Con queste parole Eleonora Duse detta “la musa”, riassume la sua tormentata relazione con Gabriele D’Annunzio, suo unico amore della vita, da un punto di vista laico ed umanistico.

Il perdono è uno dei nuclei principali del Cristianesimo, come abbiamo visto nelle domeniche estive; il Signore spesso decide di offrire parabole per trasmettere concetti importante. La parabola del servo malvagio esplicita in forma di narrazione un bellissimo tema del messaggio gesuano. Ne troviamo la sintesi all’inizio del brano evangelico di oggi.

«Gesù rispose a Pietro: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”».

Il numero sette evocato da Gesù e portato alla sua massimizzazione (settanta volte sette) non è un numero casuale per la mentalità ebraica in cui Gesù viveva. Esso rappresenta infatti la pienezza, il settimo giorno in cui Dio si riposò, le sette aspersioni rituali con il sangue (Lv 4,6-17; 8,11; Nm 19,4; 2Re 5,10); l’immolazione di sette animali (Nm 28,11; Ez 45,23; Gb 42,8; 2Cor 29,21), i sette angeli (Tb 12,15); i sette occhi sulla pietra (Zc 3,9). Ma Gesù cita specialmente il sette e il settanta in riferimento al profeta Daniele (Dn 9,2-24), in cui sono citate settanta settimane. Semplificando possiamo dire che secondo il profeta queste settanta settimane termineranno nel giorno della salvezza, perché a suo modo, settanta volte sette, è un numero infinito. Ecco dunque che Gesù, in sintesi, afferma la presenza della pienezza della salvezza del Signore, tramite il perdono che Lui, il Dio-uomo, porge agli uomini.

La parabola del servo malvagio narra una situazione di ingiustizia: lo stesso servo a cui era stato perdonato un debito enorme ― praticamente impossibile da coprire in una vita per gli standard del tempo ― non offre lo stesso perdono per un debito minore, dinanzi al quale il padrone diventa severo di fronte a una mancanza di amore e giustizia verso il suo prossimo. Il centro della dinamica di perdono si racchiude in questo: imparare ad offrire un atto d’amore ad un altro peccatore. Esattamente come noi siamo perdonati e chiediamo a Dio il perdono, nel confessionale e quando recitiamo il Padre Nostro.

Perdonare è l’atto estremo di amore e il più difficile: perché scioglie il peccatore dalla rabbia e dalla tristezza che possiamo portargli in seguito a un peccato subìto, sciogliendo noi stessi dal ricordo di quei torti. Ed è per questo che è difficile perdonare: esso è un cammino spirituale ed esistenziale che richiede al contempo tempo, pazienza, preghiera e soprattutto la grazia del Signore. La Grazia, infatti, ci aiuta a imitare Gesù che perdona i suoi aguzzini mentre è sulla croce.

Chiediamo l’aiuto del Signore per imparare a essere peccatori che chiedono e che concedono perdono, chiediamo i sette doni dello Spirito, perché nell’accoglienza del prossimo possiamo scorgere il senso stesso dell’amore di carità ed amare sino alla fine.

Così sia!

Santa Maria Novella in Firenze, 16 settembre 2023

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