Maria Maddalena «La apostola degli apostoli», da una meditazione mattutina per le Carmelitane scalze

MARIA MADDALENA, LA «APOSTOLA DEGLI APOSTOLI», DA UNA MEDITAZIONE MATTUTINA PER LE CARMELITANE SCALZE

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Tenerissimo rimane nei secoli il quesito di Maria di Magdala, che spaurita dinanzi al sepolcro vuoto geme addolorata: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». E, detto questo, poco dopo si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi, alle sue spalle; ma la sua ragione non sapeva che era Gesù; fu però quella stessa ragione che la portò sùbito a compiere il salto della fede dinanzi al celeste corpo di luce del Risorto, che ella riconobbe dalla sua voce che pronunciò il suo nome: «Maria!».

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Meditazione sulla figura di Maria di Magdala offerta alle Carmelitane Scalze nella mattina odierna.

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Nella festa di oggi la Chiesa universale celebra la memoria liturgica di Santa Maria Maddalena, una figura femminile straordinaria nell’esperienza cristologica che ci richiama al Beato Apostolo Paolo che, rivolgendosi agli abitanti di Corinto, chiarisce in poche e brevi parole il fondamento della nostra fede:

«Se Cristo non fosse veramente risorto, vana sarebbe la nostra fede e vana la nostra speranza» (I Cor, 15).

Dinanzi al sepolcro vuoto di Cristo risorto, il legame tra ragione e fede, più che stretto è inscindibile. Perché con la ragione si arriva alla pietra rovesciata del sepolcro di Cristo Dio, con la fede si entra nell’eterno mistero del Risorto.

Monica Bellucci nel ruolo di Maddalena nel film The Passion, 2004.

Sulle parole del Beato Apostolo Paolo, che nella risurrezione del Cristo ci indica il mistero dei misteri sul quale la nostra fede può reggersi o morire, sorge razionale la domanda: ma che cosa è la fede? E non uso certo a caso la parola “razionale”, perché il rapporto tra ratio e fides, ragione e fede, è messo in luce da tre Santi Padri e dottori della Chiesa che costituiscono le colonne della speculazione teologica: Sant’Agostino vescovo d’Ippona, Sant’Anselmo d’Aosta prima Abate de Le Bec e poi Arcivescovo di Canterbury,  San Tommaso d’Aquino.

La costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II, Dei Verbum, riprende quasi alla lettera il testo della costituzione Dei Filius del Concilio Vaticano I, ribadendo in una linea di continuità con il precedente magistero e col Concilio di Trento il «Rapporto tra fede e ragione» espresso con queste parole:

«La medesima Santa Madre Chiesa professa ed insegna che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza al lume naturale della ragione umana attraverso le cose create; infatti, le cose invisibili di Lui vengono conosciute dall’intelligenza della creatura umana attraverso le cose che furono fatte (cf. Rm 1,20) [1]».

A un secolo circa di distanza dal Vaticano I, seguendo l’insegnamento dell’Aquinate il Santo Pontefice Giovanni Paolo II ci donò la sua enciclica sulla fede e la ragione, la Fides et Ratio.

Al grande quesito “cos’è la fede”, che in noi risuona grazie al dono divino della ragione, l’Autore della Lettera Agli Ebrei fornisce risposta dicendo: 

«la fede è certezza di cose che si sperano e dimostrazione di realtà che non si vedono» (Eb 11, 1).

Per aprirsi alla fede, che è al tempo stesso «certezza » e «speranza», è necessario proiettarci in una dimensione di eternità, perché la fonte della fede è l’Eterno.

Il Servo di Dio Anastasio Ballestrero soleva dire che «La vita presente è spazio di beatitudine nella misura in cui si radica in essa l’eternità».

Questo racconto della risurrezione del Cristo, col quale si conclude l’intero Vangelo del Beato Apostolo Giovanni, si colloca nell’Eterno come porta aperta sulla via verso l’ἔσχατον, il giorno glorioso nel quale Cristo tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti. E tutto questo è una sfida all’umana ragione per indurre l’uomo al grande passo della fede.

Il Beato Evangelista seguita a narrare che mentre i due discepoli tornavano a casa, Maria rimase piangente all’esterno del sepolcro:

«Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”. Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: “Donna, perché piangi?” Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo”. Gesù le disse: “Maria!”. Ella si voltò e gli disse in ebraico: “Rabbunì!”, che significa: “Maestro!”. Gesù le disse: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e dì loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”. Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: “Ho visto il Signore!” e ciò che le aveva detto (Gv 20,1-2 e 11-18).

Durante i sacri riti della Pasqua di risurrezione cantiamo un’antica sequenza di rara bellezza il Victimae Paschalis, di cui una strofa recita: Mors et vita duello conflixere mirando ... (la morte e la vita si affronteranno in un prodigioso duello). E da questo duello n’è uscita sconfitta la morte, perché la risurrezione del Cristo è un’esplosione di amore vitale senza inizio e senza fine che ci riporta alla dimensione eterna della nostra originaria esistenza nell’antico Giardino di Eden, perché con Cristo tutti siamo morti al peccato e con Lui tutti siamo risorti. Come infatti tutti siamo stati coinvolti nel peccato di Adamo, tutti siamo stati coinvolti e resi partecipi della risurrezione redentrice del Cristo.

La morte ci tocca sempre in modo doloroso, specie quando ci priva di affetti preziosi, ce lo dimostra Maria Maddalena col suo tenero lamento. Ma per quanto dolorosa, la morte non ci tocca per sempre, ci coglie per un momento di passaggio verso l’eternità, come proclamiamo nella nostra professione di fede:

«… credo nella risurrezione dei morti e nella vita del mondo che verrà».

E ancora, in modo diverso ma simile, lo proclamiamo durante la Santa Messa sulle Santissime Specie Eucaristiche di Cristo presente vivo e vero col Suo corpo, il Suo sangue la Sua anima e la Sua divinità, acclamando:

«Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell’attesa della tua venuta».

Per capire cosa Maddalena stesse provando in cuor proprio in quel momento, potrebbe esserci di aiuto San Giovanni della Croce, che come tutti i veri mistici viveva coi piedi saldi a terra, perché è dalla Gerusalemme terrena che siamo chiamati a proiettarci verso l’eterna Gerusalemme celeste. Rifacendosi al Beato Apostolo Paolo (cfr. Rm 14, 3) egli esorta:

«Chi agisce secondo la ragione è come colui che si nutre di cibi sostanziosi; chi invece si muove dietro al gusto della volontà è come chi si nutre di frutta fradicia»[2].

Per questo, a soli 49 anni, giunto alla pienezza in Cristo dopo avere volato sulle «due ali»[3] della fede e della ragione, San Giovanni della Croce accolse la morte calato nella spirituale coerenza che pochi anni prima lo portò a scrivere nella sua celebre poesia «Rompi la tela ormai al dolce incontro»[4]. E quella che egli raffigurò come «tela», era la raffigurazione mistico-poetica dell’ultimo strappo attraverso il quale, passando per la pietra rovesciata del sepolcro vuoto del Risorto, si giunge alla contemplazione del Divino Agnello Vittorioso che trionfa sulla morte e che attraverso il mistero della sua risurrezione ci coinvolge nell’eternità; e chi è riuscito ad assaporare l’eterno, dirà assieme al Beato Apostolo Paolo: «Per me vivere è Cristo e morire un guadagno» (I Fil 1, 21).   

Tenerissimo rimane nei secoli il quesito di Maria di Magdala, che spaurita dinanzi al sepolcro vuoto geme addolorata:

«Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».

E, detto questo, poco dopo si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi, alle sue spalle; ma la sua ragione non sapeva che era Gesù; fu però quella stessa ragione che la portò sùbito a compiere il salto della fede dinanzi al celeste corpo di luce del Risorto, che ella riconobbe dalla sua voce che pronunciò il suo nome: «Maria!».

Se distogliamo il nostro sguardo impaurito dalla pietra rovesciata dei nostri sepolcri vuoti, scopriremo quanto l’amore dell’Eterno va oltre la morte, basta che ci voltiamo indietro; e giorno per giorno scopriremo che l’alpha e l’omega, il Verbo di Dio, è alle nostre spalle, a chiamarci per nome, perché tutti noi siamo nel divino cuore del grande mistero del Padre, che ci ha voluti, amati e chiamati per nome prima ancora dell’inizio dei tempi.

Maria di Màgdala è donna che cerca l’amato del suo cuore, ed a lei la Chiesa, in questa liturgia della Parola, rivolge le parole del Libro del Cantico dei Cantici nel quale è rivelato l’amore di Dio per l’uomo e dell’uomo per il suo Dio:

«… ho cercato l’amore dell’anima mia […] trovai l’amore dell’anima mia».

Tra il II e il III secolo Sant’Ippolito di Roma[5] la definisce «l’Apostola degli Apostoli». Ella è infatti la prima a vedere Cristo risorto, secondo il racconto del Beato Evangelista Giovanni. E dopo averlo riconosciuto è corsa a dirlo agli undici Apostoli, nascosti e sconvolti da ciò che avevano visto pochi giorni prima sul Golgota. E da questo episodio si comprende quanto venerabile sia la figura della Maddalena, inviata da Cristo ad annunciare la sua risurrezione a quegli intimoriti che pochi giorni prima, durante l’Ultima Cena, aveva istituiti sacerdoti della Nuova Alleanza; gli stessi che pochi giorni prima, come narra un passo drammatico del Vangelo: «E tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono» (cfr. Mt 26, 56). E il primo degli Apostoli, rivestito da Cristo Dio di una funzione vicaria e da Egli definito come roccia edificante della sua Chiesa (cfr. Mt 16, 13-20), dinanzi allo scenario sconvolgente della cattura e della condanna del Divino Maestro, non disse, come disse sul monte Athos durante la trasfigurazione di Cristo «… rimaniamo qui», anzi «facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia» (cfr.  Mc 9, 2-8). Dopo che Cristo ebbe sudato sangue nell’orto degli ulivi andando poco dopo incontro alla sua dolorosa passione, Pietro lo rinnegò per tre volte. E anche l’abbandono di Dio da parte dei suoi apostoli e sacerdoti, fa parte, da sempre, del mistero della Chiesa; fa parte, da sempre, del mistero della fede. Per prendere infatti la nostra croce e seguirlo (cfr.  Mc 8, 27-35), non basta la sola ragione, perché occorre fare attraverso la ragione il salto della fede. Solo così potremmo riconoscere il Risorto che alle spalle ci chiama per nome, perché tutti, siamo chiamati a essere Maria. E, come Maria, essere annunciatori della sua Risurrezione.

dall’Isola di Patmos, 22 luglio 2024

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NOTE 

[1] Concilio Vaticano I: Denz. -Schönm., 3004; cf 3026

[2] San Giovanni della Croce, da Le orazioni dell’anima innamorata, n. 43.

[3] Cf. San Giovanni Paolo II, Fides et Ratio, preambolo introduttivo.

[4] San Giovanni della Croce, da O fiamma di amor viva.

[5] Ippolito Romano [170-235 d.C], teologo e presbitero. Fu il primo antipapa della storia della Chiesa, morì riconciliato con il legittimo Pontefice Ponziano, assieme al quale fu martirizzato nel corso delle

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