L’epicità della tradizione, che non è estetica né ideologia, ma forza viva con cui la Chiesa rende partecipe tutto il mondo del messaggio di Cristo

il blog personale di Padre Gabriele

L’EPICITÀ DELLA TRADIZIONE, CHE NON È  ESTETICA  IDEOLOGIA, MA FORZA VIVA CON CUI LA CHIESA RENDE PARTECIPE TUTTO IL MONDO DEL MESSAGGIO DI CRISTO

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A noi rimane una responsabilità importante; non stravolgiamo il senso della Tradizione: essa non si può né distruggere ideologicamente né altrettanto ideologicamente sventolare come bandiera. Siamo cattolici, figli della Tradizione e figli della Chiesa, servitori di Gesù Cristo. Questo è quello che ho sempre creduto, amato e difeso della Tradizione.

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Gabriele Giordano M. Scardocci, O.P.

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La conversione di San Paolo, Caravaggio, collezione Odescalchi

Se vogliamo parlare della tradizione, o di ciò che veramente essa è nel lessico cristiano, bisogna partire dalle Lettere Apostoliche Paoline:

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Carissimi, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga [I Cor 11, 23 – 26].

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Quello di San Paolo, è ciò che sul piano compositivo ed espressivo potremmo chiamare “racconto epico”. E l’epica — per ricordare il vero senso etimologico della parola —, non è il racconto di “fiabe” o “fantasie”, ma è un genere espressivo di tipo elevato, poetico o letterario, che narra una storia reale.

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la caduta di San Paolo lungo la via di Damasco, Caravaggio, opera conservata nella chiesa romana di Santa Maria del Popolo

Per questo spesso mi emoziono quando ascolto storie epiche. Amo la letteratura, il teatro e il cinema proprio per questo motivo. In quarta ginnasio ho amato i versi eterni dell’Iliade, dell’assedio della città di Troia. In quel caso la grecità classica ha tramandato a voce anche lo scontro violento fra Achille, iracondo, ed Ettore. Al cinema, mi sono commosso dinanzi l’amore fraterno di Raymond e Charlie Babbit, interpretati da Dustin Hoffman e Tom Cruise, nell’indimenticabile RainmanL’uomo della Pioggia. A teatro mi hanno dato gioia, le argomentazioni scaltre dell’innamorato Ernest in Import of being Ernest.  Le “epopee” di guerrieri, fratelli e uomini col cuore che battono sono doni che porterò sempre con me.

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L’epicità è uno dei mille motivi per cui ho aderito e continuo ad aderire alla fede in Cristo e per cui sono entrato nell’Ordine dei Frati Predicatori. La fede in Gesù Cristo, nel suo annuncio essenziale, dice epicità: annuncia cioè l’amore di un Dio talmente grande per l’umanità decaduta e sofferente tanto da morire in croce per redimerla. Ma l’epicità del cristianesimo è sottolineata da San Paolo all’inizio del brano che ho voluto citare. L’epicità si racchiude nella coppia verbale «ho ricevuto […] ho trasmesso».

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San Paolo parla in effetti di un tradere, una Tradizione. Cioè un dato che, oltre i secoli, ininterrottamente viene comunicato e giunge sino a noi: questo dato è l’annuncio essenziale di Cristo. Anche la liturgia, notiamo, si sofferma sulla Tradizione. Nel Canone Romano possiamo ascoltare infatti questa frase:

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«[…] et ómnibus orthodóxis, atque cathólicæ, et apostólicæ fidei cultóribus [E con tutti quelli che custodiscono la fede cattolica trasmessa dagli apostoli».

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il martirio di San Paolo, opera di Mattia Preti [XVII sec.]

Diverse volte, anche forse nei momenti più bislacchi e meno opportuni, ho meditato su questo passaggio del canone romano. È di nuovo il messale a sottolineare l’epicità e l’amore di tutti quelli che si sono prodigati nel custodire e donarci integro quell’annuncio. Dunque ripenso con gioia a coloro che nella mia vita hanno custodito e trasmesso il messaggio di Gesù: in primis le mie due nonne. Davvero mi hanno donato un deposito della fede inestimabile.

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La Tradizione è la danza trinitaria che volteggia sul mondo. È la forza viva, unitamente alla Sacra Scrittura, con cui la Chiesa rende partecipe tutto il mondo del messaggio di Cristo. Un messaggio, insegna la Lettera a Diogneto, che non è inventato tramite una riflessione filosofica. Quel messaggio è essenzialmente l’Incontro con Gesù Risorto.

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Trasmettere, essere parte della Tradizione significa in ultima istanza far incontrare al povero e al bisognoso, materiale come spirituale, il volto di Dio che lo ama e lo custodisce.

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A noi rimane una responsabilità importante; non stravolgiamo il senso della Tradizione: essa non si può né distruggere ideologicamente né altrettanto ideologicamente sventolare come bandiera. Siamo cattolici, figli della Tradizione e figli della Chiesa, servitori di Gesù Cristo. Questo è quello che ho sempre creduto, amato e difeso della Tradizione. Provo allora a fare un passo avanti.

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interno della tomba di San Paolo, nella omonima basilica romana maggiore di San Paolo fuori le mura

Il padre Yves Congar [1904-1995], nel 1975 ha scritto:

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«La tradizione (è) tutt’altra cosa che una affermazione meccanica e ripetitiva del passato: essa è la presenza attiva di un principio a tutta la sua storia».

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Siamo noi stessi chiamati ad entrare nella dinamica della Tradizione, come chierici, laici e religiosi. Chiamati ad essere presenza viva con la Tradizione. Anche l’ordine a cui appartengo, l’Ordine dei Predicatori fondato da San Domenico di Guzman, è nato dalla sete della verità che gli uomini del XIII secolo anelavano affannosamente; quel Medio Evo che, desertificato da catari e valdesi, implorava ai nostri confratelli: «Portate l’acqua dissetante della fede cattolica».

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Questo desiderio profondo non si è fermato alla Media Aetas. Ha superato i secoli ed è giunto fino ad oggi. Perciò tutti noi, non solo i frati domenicani, oggi continuiamo a predicare e trasmettere l’integrità della dottrina e a sforzarci di viverla ogni istante, nonostante i nostri peccati e le nostre debolezze. Ripensando alla benedizione matrimoniale, si attuerà negli sposi la richiesta del celebrante: «Padre santo, concedi a questi tuoi figli che, uniti davanti a te come sposi, comunicano alla tua mensa, di partecipare insieme con gioia al banchetto del cielo». Ripensando alla professione religiosa e alla ordinazione sacerdotale si attuerà la formula: «E Dio che ha iniziato in te questa opera, la porti a compimento». Diventiamo tutti quanti umili ferventi cattolici, carichi di santa Tradizione, e il compimento del capolavoro di Dio si attuerà in noi.

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«Gesù dolce, Gesù amore» [Santa Caterina da Siena]

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Roma, 7 febbraio 2019

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