Nella ricorrenza dei defunti, una riflessione sulla Chiesa Cattolica come pellegrina di speranza

Padre Gabriele

catechesi & pastorale —

NELLA RICORRENZA DEI DEFUNTI, UNA RIFLESSIONE SULLA CHIESA CATTOLICA COME PELLEGRINA DI SPERANZA

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Il punto di incontro fra la Chiesa terrena pellegrinante, noi mortali, e la Chiesa  Celeste trionfante costituita dai Santi in Paradiso, è la Chiesa purgante, cioè le   anime del Purgatorio che si stanno preparando alla visione beatifica. Proprio per questo possiamo approfondire e vedere qual è il rapporto fra la Chiesa e la Morte.

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Autore
Gabriele Giordano Scardocci, O.P.

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PDF  articolo formato stampa
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L’Isola di Patmos è lieta di presentare ai Lettori un suo nuovo Autore, il teologo romano Gabriele Giordano Scardocci, dell’Ordine dei Frati Predicatori, giovane confratello del teologo domenicano Giovanni Cavalcoli e co-fondatore di questa nostra rivista telematica. Padre Gabriele, valente maestro di catechesi, è particolarmente sensibile alle tematiche teologiche calate nella concretezza dell’apostolato e della realtà pastorale.

Ricordo sempre una forte esperienza apostolica a Napoli. Ero novizio: presso i quartieri spagnoli, in una casa di suore, noi fraticelli ci trovavamo con dei bambini per il dopo scuola. In uno dei primi incontri, uno dei piccoli accuditi delle suore, uno dei più bravi e diligenti a scuola, quel giorno non riusciva a concentrarsi. D’un tratto, col suo affettuoso accento napoletano, mi disse guardandomi negli occhi:

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«Frate, l’altro giorno mio nonno è morto».

«Mi dispiace».

«Ma adesso secondo te dove sta? È stato tanto buono con me».

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Questa fu una delle domande più belle sentite che il mio piccolo discepolo potesse farmi. Come fece quel bambino romano a Papa Francesco che replicò:

«Tuo nonno secondo me, se é stato buono sta in Paradiso!»

Risposi io sperante.

Prosegue il piccolo bimbo napoletano:

«Ma secondo te, lui vede quello che io faccio?»

risposi un po’ affrettatamente:

«Chi è con Gesù in cielo, vede tutti quelli a cui vuole bene».

Il piccolo sorrise, guardò di lato e non disse nulla. Poi, mentre con un po’ di fatica riprendeva il proprio quadernino disse:

«Speriamo sia contento che vado bene a scuola!»

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Su questo episodio pregai e meditai molto. Ricordo ancora il nome e tutta la situazione familiare di quel bambino. Dopo sei anni ancora quel tema mi ricorda che è anche importante riflettere, pregare e studiare il tema della Chiesa nella sua indole terrena e anche celeste, e col suo fine specifico: la meta oltre terrena ed escatologica.

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Anche in questi momenti di forte sofferenza per la Chiesa, ritengo che tornare su queste tematiche possa aiutare il popolo di Dio a riscoprire tutta la bellezza e spiritualità della nostra fede. Queste riflessioni inoltre possono essere una proposta di riflessione anche per offrire un panorama completo rispetto alla generazione del nichilismo attivo, così come l’ha definita Umberto Galimberti. Infatti, secondo questo filosofo e psicologo, la generazione del nichilismo attivo si contrappone a quella del nichilismo passivo. La prima è una piccola percentuale di chi «non misconosce e non rimuove l’atmosfera pesante del nichilismo senza scopo e senza perché, ma non si rassegna e si promuove in tutte le direzioni nel tentativo molto determinato di non spegnere i propri sogni». [1]

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Dunque accoglieremo l’idea galimbertiana che sussiste una generazione capace di portare avanti ideali e valori tendenti a superare il nichilismo classico e la mancanza di senso. Ma vorremmo anche aggiungere che a questi valori, il cattolicesimo, propone i valori di speranza e di vita eterna. Questi tendono a creare una forte tensione antropologica che a partire dalla esperienza di un vissuto concreto immanente, porti l’uomo a trascendersi per orientare il proprio senso in una condizione meta storica ed escatologica.

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LA MORTE E LA CHIESA

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La Chiesa terrena o visibile, anche detta pellegrinante, ha una sua indole escatologica: cioè tende al Regno di Dio e a formare la Chiesa Celeste. Questo è il suo fine ultimo. La Lumen Gentium ribadisce nel capitolo VII che la Chiesa ha questa indole escatologica. Il Concilio Vaticano II non si è espresso moltissimo su questo: il capitolo in effetti è abbastanza breve. Allo stesso tempo però il tema è enorme e proficuo di riflessioni teologiche. Come vedremo a breve, già nel Medio Evo, San Giuliano di Toledo [642 – 690], compose il Prognosticum Futuri Sæculi, primo trattato di escatologia sistematica in cui sfatò tabù ed errori escatologici tipici del suo tempo. Fu lavoro teologico critico, perlopiù di ispirazione patristico-agostiniana. Proprio come San Giuliano demitizzò queste realtà, possiamo fare lo stesso con la Chiesa. Il dato dogmatico che la comunità cristiana abbia indole escatologica, non l’ha esclusa dall’uso di immagini letterarie per descrivere quelle ultraterrene. Queste realtà rimangono vere mentre le immagini — per esempio demoni col tridente, angeli con la tunica celeste, il Flegetonte, Orfeo ed Euridice e via dicendo — sono appunto immagini che evocano in noi questa realtà.

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Questo stesso discorso di conoscenza teologica certa ma ancora in progresso si può applicare a tutta la materia teologica. Per ciò anche la teoria di Karl Rahner, il Grund Axion, per cui Dio si rivela totalmente nella sua manifestazione [2], solleva molte problematiche trinitarie e cristologiche: per quanto in Cristo, vero Dio e vero Uomo, Dio davvero si è rivelato, tuttavia noi non conosciamo completamente Dio. Dunque le definizioni dogmatiche conciliari ci danno qualche piccola rivelazione — ripeto di nuovo —, vera e credibile, però l’intera realtà trinitaria ci sfugge. L’espressione videbimur totu Deo, sed non totaliter forse si può applicare anche allo stato di vita escatologico. Ecco perché l’escatologia è sempre stata molto sobria e “avara” di definizioni. Tutto questo d’altro lato apre il campo allo studio e alla ricerca teologica che aiuta la Chiesa nel suo cammino di ricerca e vita secondo l’insegnamento del Dio Uomo Gesù Cristo.

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Il Magistero in ogni caso si è espresso non troppo tempo fa in tema di escatologia. Un primo documento è quello del 1979: Lettera su alcune questioni concernenti l’escatologia [cf. testo QUI]. Citando il paragrafo 7 osserviamo che né Scrittura né Tradizione offrono luci sufficienti per la rappresentazione dell’al di là. Solo i poeti ed letterati — si pensi al solo Dante Alighieri —, ed un poco la liturgia, provano a descrivere qualche caratteristica escatologica. Mentre i teologi rifiutarono l’idea che la teologia escatologica fosse un reportage sull’al di là; si cercò invece di purificare la teologia dalle immagine favolistiche, come già detto. Perciò tutte le trattazioni teologiche hanno per base i concili e il Credo, e possono essere assemblati o rivisitati in maniera sistematica col fine di far crescere un senso escatologico nel popolo di Dio. In effetti, un cristianesimo che non sia escatologico, non è cristianesimo. Perché la Chiesa ha una meta escatologica: la Chiesa attuale, terrena o visibile, si concluderà e giungerà il Regno di Dio. Possiamo dire sin da ora che il punto di incontro fra la Chiesa terrena pellegrinante, noi, e la Chiesa Celeste trionfante, i Santi in Paradiso, è la Chiesa purgante, cioè le anime del Purgatorio che si stanno preparando alla visione beatifica. Proprio per questo possiamo dunque approfondire e vedere qual è il rapporto fra la Chiesa e la Morte.

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UN PO’ DI MAGISTERO E DI CATECHISMO SUL TEMA DELLA MORTE

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Il Catechismo della Chiesa Cattolica offre diversi spunti per la meditazione su questi temi. Innanzitutto da esso sappiamo che «La morte è il termine della vita terrena» [n. 1007] e inoltre che «La morte è conseguenza del peccato, e non era dunque un fenomeno previsto ordinariamente nella creazione» [n. 1008]. Ma la Morte non ha l’ultima parola perché Grazie a Cristo, la morte cristiana ha un significato positivo: «Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno» [Fil 1, 22]. Qui sta la novità essenziale della morte cristiana: mediante il Battesimo, il cristiano è già sacramentalmente «morto con Cristo», per vivere di una vita nuova; e se noi moriamo nella grazia di Cristo, la morte fisica consuma questo «morire con Cristo» e compie così la nostra incorporazione a lui nel suo atto redentore [n. 1010]. Quindi la morte stessa è trasformata perché Gesù ha subito la morte, in quanto uomo come noi. Cristo assunse su di sé la morte e la trasformò in modo totale. La morte di Gesù allora è stato il modo con cui Dio ci chiamò presso Cristo stesso. Quindi se moriamo in Cristo, riviviamo con Cristo: cioè obbediamo con Cristo al progetto di Dio e in tale obbedienza risorgeremo. Potremo quasi dire che la morte è uno dei “contatti intimi” con Dio stesso. Tuttavia solo alla luce del mistero pasquale si dischiude il senso cristiano della morte: c’è un esilio del corpo [Cf. II Cor 5,8] mentre l’anima va ad abitare presso Dio. Dopo l’avvenuta morte, l’uomo emette la sua decisione finale: si auto esclude o auto include alla presenza di Dio. Questo è l’ultimo atto, per usare una terminologia di Hans Urs von Balthasar, che spesso ricorreva nelle proprie esposizioni a delle efficaci figure tipiche del teatro greco [3].

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Proprio in questo momento delicatissimo, in cui l’uomo entra nella eternità, ecco che subentra la Chiesa: «La Chiesa ci incoraggia a prepararci all’ora della nostra morte a chiedere alla Madre di Dio di intercedere per noi “nell’ora della nostra morte” [Ave Maria] e ad affidarci a San Giuseppe, patrono della buona morte» [n. 1014]. Con i termini buona morte  si intende che la Chiesa prega affinché ognuno di noi muoia in stato di grazia.

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SAN GIULIANO DI TOLEDO E L’ESCATOLOGIA ECCLESIOLOGICA

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San Giuliano di Toledo anche lui ha voluto descrivere questo legame tra Chiesa e Morte, ed in particolare tra Chiesa Terrena, Purgante, Celeste. L’autore spagnolo introduce il tema della escatologia ecclesiologica per la prima volta nella sua storia nel suo trattato Prognosticum Futuri Saeculi.

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Innanzitutto Giuliano parla del cosiddetto Rimedio dei Morti [Lib. I. Cap. XXII], cioè della possibilità di suffragio per i morti, commentando il secondo libro dei Maccabei. Qui mostra che i Leviti offrono suffragi per i morti, dopo alcune impurità: è il Sacrificio del הכיפורים יום [Yom ha-Kippurim, giorno degli espiatori]. È già presente la possibilità che i morti migliorino la loro condizione di purganti. Inoltre, è una consolazione per chi rimane vivo, sapere di dare sollievo per i cari defunti. Giuliano parla della attuazione della dannazione dei dannati. [4] Per questo si può già parlare, in questo secolo, di sussistenza dell’anima: secondo Giuliano infatti, le anime purganti sono purificate attraverso il fuoco. Mentre le anime dei Beati vanno a Cristo nei cieli. Ecco dunque che l’anima separata dal corpo sussiste. [5] Ne ricaviamo certamente che l’anima ha una propria attività: in effetti, secondo il teologo di Toledo, i beati non vedono subito in modo totale Dio: si attende la resurrezione dei corpi: lo vedranno più perfettamente solo dopo. Le anime hanno cioè il desiderio di ricongiungersi col loro corpo. Dopo la discesa di Cristo agli inferi, le anime vanno subito in cielo. [6] Mentre le anime dei peccatori vanno subito all’inferno [7] e qui vi permangono in eterno.[8] Ora Giuliano può ribadire la propria posizione sull’anima post mortem. Egli, riprendendo Gregorio Magno, sostiene che l’anima dopo la separazione dal corpo mantiene comunque la sua sensibilità e non è dormiente. L’anima possiede una somiglianza col corpo morto: proprio per questo sente il riposo e i tormenti. [9] Riprendendo un po’ uno dei loci classici della teologia medievale, Giuliano sostiene che post mortem ci sia un fuoco purificatore [purgatorium ignem]. [10] Già nell’opera paleocristiana Ποιμὴν τοῦ Ἑρμᾶ [Il Pastore di Erma] risalente agli inizi del II secolo, è esposta la teologia del Purgatorio. Così le anime dei morti subiscono tale fuoco durante lo Stato intermedio, cioè prima del giudizio finale.  Dunque secondo il teologo di Toledo, la morte carnale fa già parte della Tribolazione che prevede il fuoco purificatore. [11] Ecco ora un punto che tratteremo sistematicamente a breve, e che già il nostro autore introduce: infatti Giuliano ritiene che i beati, se essi pregano per la salvezza dei loro cari viventi: vivono la comunione dei santi. [12] Forse la ricerca teologica sinora portata avanti giunge in Giuliano a domandarsi interrogativi estremi: ad esempio se i beati si rattristino o abbiano gioia per i cari viventi. [13] Certo è anche confortevole la certezza in Giuliano che, tutti coloro che sono già beati — e qui si fa menzione dei Patriarchi ed Apostoli —, aspettano che noi li raggiungiamo e si rattristano per i nostri errori e peccati. [14]

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Tutti questi passi ci portano a concludere che non c’è escatologia senza ecclesiologia: la Chiesa è estensione della missione redentrice e salvifica di Cristo, compiuta nella potenza dello Spirito Santo. Per ciò la Chiesa è il raduno dei credenti che cammina in vista della consumazione finale e universale cioè la Parusia o Ritorno di Cristo alla fine dei tempi. Dunque ancora una volta con Giuliano confermiamo pure la dimensione verticale–trascendente della Chiesa: la Chiesa è fase iniziatica e irreversibile.

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Come anche ha scritto Yves Congar: «Dio si è come “vincolato” alla Chiesa, e la Chiesa è organo diffusore della salvezza, tramite i sacramenti che diffondono e attualizzano la Parola di Dio: entrambi vivificano la vita del credente».

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LA CHIESA COME POPOLO DI SPERANZA VERSO LA VITA ETERNA: LA CHIESA PELLEGRINA E LA VIRTÙ DI SPERANZA

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Anche il Concilio Vaticano II si è occupato di questa tensione escatologica della Chiesa, volendo a nostro avviso liberare il campo da idee errate che purtroppo però, sulla scia del Sessantotto e dei preti operai avrebbero comunque preso piede successivamente, quasi a voler trasformare la Chiesa in una realtà solo terrena, mai tendente al bene sovrannaturale.

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Il documento conciliare Lumen Gentium si occupa di questi temi al capitolo VII, intitolato proprio «L’indole escatologica della Chiesa». Il capitolo è composto da quattro paragrafi. Nel numero 48 ricordiamo che, tutto il genere umano ha una vocazione escatologica; la Chiesa trova il suo compimento proprio nella gloria celeste finale, e dunque accompagna l’uomo verso il suo perfezionamento. [15] La Chiesa fondata da Cristo come suo corpo apostolico, al quale ha donato il suo spirito vivificatore [16], è pensata per essere «sacramento universale di salvezza». Questa salvezza è già cominciata in Cristo, insieme con la Chiesa possiamo raggiungerla, mediante la fede, l’esercizio della carità e la virtù di speranza che pian piano e giorno dopo giorno ci porta fino alla vita eterna [17]. Ecco innanzitutto una prima certezza: la Chiesa è in cammino verso uno stato diverso rispetto a quello attuale. La Chiesa ci aiuta a sperare di passare dal temporaneo, dal momentaneo fino all’eterno. Tutto ciò che ci distrae dall’esercizio delle virtù cardinali e dalla vita sacramentale e dunque che ci fa camminare verso l’Eterno va assolutamente evitato e tolto di mezzo: «Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna» [Mc 9,47].

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Ma in questo cammino, non siamo soli. Infatti il paragrafo 49 di Lumen Gentium descrive una comunione profonda fra la Chiesa pellegrinante, cioè ognuno di noi viandanti su questa terra, e la Chiesa celeste, cioè coloro che sono già defunti e sono nella fase di purificazione o di beatitudine [18]. Fra noi però non c’è una partizione eterogenea: la nostra unione, nella fede in Cristo, non si è mai spezzata [19], anzi siamo ancora più uniti nel cammino di perfezionamento in particolare con la Chiesa che si purifica. In effetti, ancora oggi, durante le Sante Messe offriamo suffragi per le anime dei nostri cari defunti [20]; quando invece veneriamo specialmente Maria, gli Apostoli, i Santi Angeli, e tutti i Santi di Dio, anch’essi sono uniti a noi in Cristo [21]. Questo davvero può essere confortante: ogni morte e perdita di un amico e di un caro è uno shock che genera un lutto molto lungo e difficoltoso da   elaborare a livello psicologico. Solo con il tempo e l’aiuto della grazia si può riuscire a trovare un senso profondo a questo passaggio obbligato. Difficile, se non dunque impossibile, di nuovo, è pensare alla Chiesa solo come milizia terrena che non si occupa di questa guida verso la certezza della presenza dei cari defunti mediante la fede; la carità che poi operiamo verso di essi, ogni volta che offriamo un suffragio per loro, e la speranza un giorno di rincontrarci tutti insieme, nella domenica senza tramonto in Gesù risorto che riluce nei nostri cuori.

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Dunque l’Eucarestia è quel luogo dove realmente possiamo essere in comunione con le anime dei cari defunti e dei santi, nel momento più importante di tutta la nostra esperienza di credenti. Ogni volta che infatti partecipiamo alla Santa Messa « [in essa] la virtù dello Spirito Santo agisce su di noi mediante i segni sacramentali, in fraterna esultanza cantiamo le lodi della divina Maestà tutti» [22]. Mi sembra il passaggio più bello e importante, con cui concludere queste mie riflessioni. Così come abbiamo visto nel primo paragrafo che l’atto conclusivo di unione fra Dio e l’uomo, in punto di morte, necessita per forza di cose della presenza della Chiesa, dunque anche tutti i nostri momenti di perfezionamento e di cammino di santità come essa stessa presenza di comunione in Gesù Cristo. Come ha scritto il padre Sergio Stancati, il soggetto finale della nostra comunione è Gesù Cristo stesso in quanto ἔσχατος [éskatos].  Con éskatos s’intende il modo in cui  in Cristo, che è il soggetto nel quale il fine ultimo del mondo e dell’uomo si è già compiuto, è già iniziato il nuovo assoluto della nuova creazione [23].

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Roma, 2 novembre 2018

Commemorazione di tutti i defunti

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Dei nostri Fratelli, antico canto popolare dei defunti per il suffragio delle Anime del Purgatorio. Coro di Santa Maria della Misericordia – Lastra a Signa di Firenze [testo dell’inno QUI]

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NOTE

[1] U. Galimberti, La parola ai giovani – Dialogo con la generazione del Nichilismo Attivo.

[2] K. Rahner, La Trinità.

[3] H. U. Von Balthassar, Teodrammatica L’ultimo atto.

[4] Si veda Giuliano di Toledo, Prognosticum futuri saeculi, Il preannuncio del mondo che verrà, EDI, Napoli 2012, Introduz., Traduz. e commento teologico di T. Stancati, O.P.

[5] Ibidem, Lib. II, Cap. VIII.

[6] Lib. II, Cap X.

[7] Lib. II, Cap. XIII.

[8] Lib. II, Cap. XIV.

[9] Lib. II, Cap. XV. Erroneamente Giuliano attribuisce a Cassiano una riflessione di Gregorio Magno, cfr. Moralia in Job, VIII, xv.

[10] LIb. II, Cap. XIX.

[11]Lib. II, Cap. XXI.

[12]Lib. II, Cap.  XXVI.

[13] Lib. II, Cap. XXVII.

[14] Lib. II, Cap. XXVIII.

[15] Lg 48, 1.

[16] Lg 48, 2.

[17] Lg 48, 3.

[18] LG 49, 1.

[19] LG 49, 2 – 3.

[20] LG 50, 1.

[21]LG 50, 2.

[22]LG 50,3.

[23] S. Stancati, escatologia morte e resurrezione, EDI.

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12 commenti
  1. Padre Ariel
    Alsan11 dice:

    Padre, la scorsa domenica ero alla Santa messa alla chiesa di S. Maria alla Minerva e ho sentito la sua omelia, se avessi avuto il coraggio le avrei chiesto gli appunti, ma non ce l’ho avuto.
    Perchè non pubblicate quelle omelie?

    Alessandra da Roma

    • Padre Ariel
      Alsan11 dice:

      Gentile Padre,
      forse Padre Ariel le ha detto che ieri, all’uscita dalla chiesa della Minerva, l’ho fermato sotto la pioggia?
      Non avrei immaginato di trovare Padre Ariel presso di lei alla Minerva per la Messa.
      E’ stata proprio una piacevole conoscenza, lo leggo da anni ma non l’avevo mai visto di persona.
      Grazie di nuovo.

      Alessandra (Roma)

  2. Padre Ariel
    Luciana Bianciardi dice:

    Grazie Padre e ben arrivato.
    L’Isola di Patmos è qualità alla quale lei aggiunge qualità.
    Grazie e un saluto dal suo convento domenicano di Siena che da molti anni frequento, e infatti mi domandavo … questo frate non è “faccia nuova”.
    Può essere che io l’abbia vista a Siena a San Domenico questa estate?

    • Padre Ariel
      Redazione de L'Isola di Patmos dice:

      Si, sicuramente lo avrà visto, perché tra la professione solenne e l’ordinazione diaconale trascorse in estate un periodo di tempo nel Convento domenicano di Siena.

  3. Padre Ariel
    Andrea Petitti dice:

    Ben arrivato Padre e grazie per questo suo articolo che in breve dice tutto ciò che purtroppo da tempo non ci viene più detto …

    Andrea Petitti (Ivrea)

  4. Padre Ariel
    Marcello Trasciatti dice:

    Reverendo Padre, credo di non essere eccessivamente vecchio, ho 60 anni, e desidero dirle che mi ha commosso con il canto dei defunti messo in fine di articolo.
    Circa mezzo secolo fa ho sentito da ragazzino più volte quel canto nella parrocchia di Roma che all’epoca frequentavo, e ricordo che quando lo sentivo cantare mi dava un senso istintivo di pace.
    Poi le cose sono cambiate e sono arrivati i canti sulla musica di When the Saints go marching in [Ndr. QUI] divenuti canti eseguiti nelle nostre chiese [Ndr. QUI].
    Non ho più sentito quel canto e non ne ricordavo neanche le parole, mi ha riportato piacevolmente indietro nel tempo, e di questo la ringrazio.

  5. Padre Ariel
    don Pino M. dice:

    Padre Gabriele, ben arrivato!
    Rimani, e prosegui come hai iniziato, te lo dice un vecchio prete “gloriosa” classe 1946. Pensa, cominciai la prima elementare sei anni dopo la fine dell’ultima guerra, con le maestre che ci narravano quanto eravamo stati fortunati a nascer dopo la guerra. di certo non immaginavo che sei decenni dopo mi sarei ritrovato (come molti altri) dinanzi ad una guerra forse molto peggiore, sotto vari aspetti. Nell’ultimo conflitto le bombe distrussero o danneggiarono gravemente molte città d’Europa, oggi, altri generi di bombe, le hanno rase moralmente al suolo. Molte chiese, durante quel conflitto, furono ridotte in macerie dalle bombe, oggi, sono ridotte in macerie da noi preti, ma di più ancora dai nostri vescovi socio-politologi.
    Non sono disilluso ma nemmeno illuso, non pessimista ma neppure surrealista. Poi, venissi meno alla virtù teologale della speranza, me la dovrei vedere con il mio confessore, che è un certo Padre Ariel S. Levi di Gualdo, che di certo tu conosci, e che martella spesso su due elementi: “la speranza” e “la libertà dei figli di Dio”.
    Stamattina ho già stampato e dato questo articolo al gruppo dei catechisti della mia parrocchia affinché ne possano trarre ottimi spunti.
    Le “versioni stampabili” dell’Isola di Patmos sono un gran bella e comoda trovata,
    Tanti auguri e buon lavoro!

    • Padre Ariel
      don Francesco Messina dice:

      Salve Don Pino !

      Anch’io diffondo spesso i testi stampati dell’Isola di Patmos, mentre invece non mi è mai capitato di fotocopiare e diffondere pagine dell’Avvenire o di Famiglia Cristiana, almeno nel corso degli ultimi cinque anni il primo quotidiano succitato, e nel corso degli ultimi vent’anni il secondo settimanale sempre succitato …

  6. Padre Ariel
    annalof.2010 dice:

    Gentile Padre,

    seguo assiduamente L’Isola di Patmos da metà di novembre 2014, se non ricordo male questo sito-rivista aprì verso la metà del precedente mese di ottobre.
    Non so quanti anni lei abbia ma vedo che è molto giovane.
    Sono una ex insegnante di filosofia, fino al 2013 ho fatto la catechista, poi dopo molti anni ho lasciato il posto a persone meno vecchie (ho 78 anni) ma soprattutto più misericordiose di me che … terrorizzavo (fu ripetutamente detto) i ragazzi della Cresima parlando loro di Paradiso, Inferno e Purgatorio, mentre pare che oggi si debba parlare solo del Paradiso, quindi di un Dio che non giudica, non castiga, non da a ciascuno secondo i propri meriti e secondo i talenti messi a frutto oppure sotterrati.
    Sicché mi sono rifugiata nell’angolo tutto sommato più bello: la preghiera.

    Sono terziaria domenicana dal 1981 e le assicuro Padre carissimo le mie preghiere alla Vergine Maria di Pompei.

    Spero che questo sia solo il primo di una lunga serie di articoli, considerando che lei scrive e trasmette i misteri della fede con una chiarezza preziosa oggi più che mai.
    Infine mi immagino la contentezza di Padre Giovanni Cavalcoli, come me anziano, ad avere un giovane confratello domenicano in questa felice isola.

    Anna Loffredo
    Napoli

    • Padre Ariel
      don Ciro dice:

      Signora Anna,

      un domenicano che esordisce parlando di un bimbo napoletano che gli pone una domanda sulla vita eterna e implicitamente sul giudizio di Dio, promette proprio bene. Non tanto perché parla dei nostri bimbi partenopei, ma perché parla dei novissimi e della escatologia in maniera chiara e precisa.
      Purtroppo oggi pare si parli solo dei “modernissimi” e della più banale “scatologia”, o forse peggio “rompiscatologia”.
      Il giovane domenicano conferma la mia modesta teoria che la nostra speranza sono i trentenni divisi oggi in due categorie:
      1) i totalmente apatici ripiegati sull’edonismo, il narcisismo e l’egocentrismo;
      2) i fortemente motivati sul piano della fede, della morale e della tradizione perenne della Chiesa.
      Delle clerical-generazioni dei sessanta/settantenni bisogna attendere solo la natura estinzione, perché sono irrecuperabili! E con i loro feretri speriamo di seppellire dentro le bare anche le chitarrine, i tamburelli, i messali personalizzati, le preghiere dei fedeli spontanee improvvisate e tutte le dottrine annacquate che non disturbano l’uomo moderno ed il padrone di questo mondo alle cui dipendenze l’uomo moderno pare si sia messo.
      Scriva alla redazione dell’Isola di Patmos e si faccia dare i miei contatti, perché se non è molto lontana dalla mia parrocchia (zona Vomero), un incarico come catechista glielo do io, e pure molto volentieri. Poi semmai un giorno invitiamo anche Padre Gabriele a parlare ai nostri ragazzi del catechismo.

      don Ciro

      • Padre Ariel
        Paolo S. dice:

        … a proposito di preghiere dei fedeli spontanee, voglio proprio offrirvi alcune perle.
        Celebrazione in parrocchia presieduta dal vescovo diocesano che invita alla preghiera spontanea, ignorando che il parroco ha sempre evitato il tutto.
        Il mio parroco evita pure di usare le preghiere dei fedeli quelle riportate sui foglietti della messa, perché due o tre anni fa (ma la cosa non sembra migliorata oggi) diceva che parevano scritte dalla Boldrini e dalla Bonino.
        Bene bene … il vescovo apre alle preghiere spontanee con questo risultato: “… vorrei pregare per una coppia di ragazzi che hanno deciso di vivere assieme, uno dei quali soffre molto perché la famiglia non ha accettato il suo legame d’amore con questo compagno, che lo Spirito Santo illumini i suoi genitori, Preghiamo”, e tutta l’assemblea dice: “ascoltaci Signore!”.
        Aperta la diga ecco la donna di mezz’età che mette il carico da novanta: “Preghiamo per tutte le coppie gay affinché possano vivere serenamente senza discriminazioni sociali, preghiamo”. e tutta l’assemblea … “ascoltaci Signore!”. Poteva poi mancare … “Per i profughi, affinché non siano discriminati da questo governo razzista, preghiamo” …
        A quel punto il parroco che faceva da cerimoniere al vescovo ha fatto cenno con la mano all’organista, che però non capiva, allora lo ha guardato con gli occhi fuori dalle orbite e gli ha detto a bassa voce con un altro cenno della mano: “vai, vai!”.
        L’organista ha attaccato il canto d’offertorio prima che il vescovo recitasse l’orazione conclusiva.

        Io sono quell’organista.

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