Autore Padre Ariel

Maria Maddalena, la «apostola degli apostoli», da una meditazione per le Carmelitane scalze

MARIA MADDALENA, LA «APOSTOLA DEGLI APOSTOLI», DA UNA MEDITAZIONE PER LE CARMELITANE SCALZE

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Tra il II e il III secolo Sant’Ippolito di Roma definisce Maddalena «l’Apostola degli Apostoli». Ella è infatti la prima a vedere Cristo risorto, secondo il racconto del Beato Evangelista Giovanni. E dopo averlo riconosciuto è corsa a dirlo agli 11 Apostoli, nascosti e sconvolti da ciò che avevano visto pochi giorni prima sul Golgota. E da questo episodio si comprende quanto venerabile sia la figura della Maddalena, inviata da Cristo ad annunciare la sua risurrezione a quegli intimoriti che pochi giorni prima, durante l’Ultima Cena, aveva istituiti sacerdoti della Nuova Alleanza […]

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Nel corso di questa estate il Padre Ariel ha avuto il piacere e l’onore di andare ogni tanto a celebrare la Santa Messa in un Carmelo abitato da una comunità di monache con un piede su questa terra e con l’altro già in Paradiso. Oggi, di primo mattino, ha offerto alle Carmelitane Scalze una meditazione sulla figura di Maria di Magdala che la redazione offre anche ai Lettori dell’Isola di Patmos.

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Dilette Figlie del Carmelo, sia lodato Gesù Cristo!

carmelitane 3

una comunità di Carmelitane Scalze nel coro del carmelo

Rivolgendosi agli abitanti di Corinto l’Apostolo Paolo disse: «Se Cristo non fosse veramente risorto, vana sarebbe la nostra fede e vana la nostra speranza» [1].

Dinanzi al sepolcro vuoto di Cristo risorto, il legame tra ragione e fede, ancor più che stretto, è inscindibile. Perché, con la ragione, si arriva alla pietra rovesciata del sepolcro di Cristo Dio, con la fede, si entra nell’eterno mistero del Risorto.

Sulle parole del Beato Apostolo Paolo, che nella risurrezione del Cristo ci indica il mistero dei misteri sul quale la nostra fede può reggersi o può morire, sorge razionale la domanda: ma che cosa è la fede? E non uso certo a caso la parola “razionale”, perché il rapporto tra ratio e fides, ragione e fede è messo in luce da due Santi Padri e dottori della Chiesa, Sant’Agostino vescovo d’Ippona e San Tommaso d’Aquino. La costituzione dogmatica del Concilio Vaticano II, Dei Verbum, riprendendo quasi alla lettera il testo della costituzione Dei Filius del Concilio Vaticano I, ribadisce in una linea di perfetta continuità sia con il precedente magistero sia con il Concilio di Trento, il «Rapporto tra fede e ragione», attraverso queste parole: «La medesima Santa Madre Chiesa professa ed insegna che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza al lume naturale della ragione umana attraverso le cose create; infatti, le cose invisibili di Lui vengono conosciute dall’intelligenza della creatura umana attraverso le cose che furono fatte (cf. Rm 1,20) [2]». A un secolo circa di distanza, seguendo l’insegnamento dell’Aquinate, il Santo Pontefice Giovanni Paolo II ci donò la sua enciclica sulla fede e la ragione, la Fides et Ratio [3].

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Carmelitane novizie

novizie carmelitane alla grata del carmelo

Al grande quesito “cos’è la fede”, che in noi risuona grazie al dono divino della ragione, l’Autore della Lettera Agli Ebrei fornisce risposta dicendo: «La fede è certezza di cose che si sperano e dimostrazione di realtà che non si vedono»[4]. E per aprirsi alla fede, che è al tempo stesso «certezza » e «speranza», è necessario proiettarci in una dimensione di eternità, perché la fonte della fede è l’Eterno.

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Il Servo di Dio Anastasio Ballestrero soleva dire che «La vita presente è spazio di beatitudine nella misura in cui si radica in essa l’eternità».

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Questo racconto della risurrezione del Cristo, col quale si conclude l’intero Vangelo del Beato Apostolo Giovanni, si colloca nell’Eterno come porta aperta sulla via verso l’ ἔσχατον, il giorno glorioso nel quale Cristo tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti. E tutto questo è una sfida all’umana ragione per indurre l’uomo al grande passo della fede.

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Carmelitane Giovanni Paolo II e suor Lucia 1982-001

San Giovanni Paolo II in visita in Portogallo nel 1982 visita Suor Lucia Dos Santos nel suo carmelo

Il Beato Evangelista seguita a narrare che mentre i due discepoli tornavano a casa, Maria rimase «all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo» Gesù le disse: «Maria!» Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!». Gesù le disse: […] va dai miei fratelli e dì loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: “Ho visto il Signore!” e ciò che le aveva detto».

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Carmelitane di Quart Valle d Aosta Benedetto XVI-001

S.S. Benedetto XVI visita in Valle d’Aosta il Carmelo di Quart

Durante i sacri riti della Pasqua di risurrezione cantiamo un’antica sequenza di rara bellezza la Victimae Paschalis,  di cui una strofa recita: Mors et vita duello conflixere mirando ... [la morte e la vita si affronteranno in un prodigioso duello]. E da questo duello n’è uscita sconfitta la morte, perché la risurrezione del Cristo è un’esplosione di amore vitale senza inizio e senza fine che ci riporta alla dimensione eterna della nostra originaria esistenza nell’antico Giardino di Eden, perché con Cristo tutti siamo morti al peccato e con Lui tutti siamo risorti. Come infatti tutti siamo stati coinvolti nel peccato di Adamo, tutti siamo stati coinvolti e resi partecipi della risurrezione redentrice del Cristo.

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La morte ci tocca sempre in modo doloroso, specie quando ci priva di affetti preziosi, ce lo dimostra Maria Maddalena col suo tenero lamento. Ma per quanto dolorosa, la morte non ci tocca per sempre, ci coglie per un momento di passaggio verso l’eternità, come proclamiamo nella nostra professione di fede:  «… credo nella risurrezione dei morti e nella vita del mondo che verrà». E ancora, in modo diverso ma simile, lo proclameremo tra poco sulle Santissime Specie Eucaristiche di Cristo presente vivo e vero col Suo corpo, il Suo sangue la Sua anima e la Sua divinità, acclamando: «Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell’attesa della tua venuta».

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Carmelitane di Harissa (Libano) Benedetto XVI-001

S.S. Benedetto XVI visita le Monache Carmelitane del Carmelo di Harissa durante la sua visita apostolica in Libano

Per capire cosa Maddalena stesse provando in cuor proprio in quel momento, potrebbe esserci di aiuto San Giovanni della Croce, che come tutti i veri mistici viveva coi piedi saldi a terra, perché è dalla Gerusalemme terrena che siamo chiamati a proiettarci verso l’eterna Gerusalemme celeste. Esorta questo venerato dottore della Chiesa: «Chi agisce secondo la ragione è come colui che si nutre di cibi sostanziosi; chi invece si muove dietro al gusto della volontà è come chi si nutre di frutta fradicia»[5]. Per questo, a soli 49 anni, giunto alla pienezza in Cristo dopo avere volato sulle «due ali»[6] della fede e della ragione, San Giovanni della Croce accolse la morte calato nella spirituale coerenza che pochi anni prima lo portò a scrivere nella sua celebre poesia «Rompi la tela ormai al dolce incontro»[7]. E quella che egli raffigurò come «tela», era la raffigurazione mistico-poetica dell’ ultimo strappo attraverso il quale, passando per la pietra rovesciata del sepolcro vuoto del Risorto, si giunge alla contemplazione del Divino Agnello Vittorioso che trionfa sulla morte e che attraverso il mistero della sua risurrezione ci coinvolge nell’eternità; e chi è riuscito ad assaporare l’eterno, dirà assieme al Beato Apostolo Paolo: «Per me vivere è Cristo e morire un guadagno»[8].   

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Tenerissimo rimane nei secoli il quesito di Maria di Magdala, che spaurita dinanzi al sepolcro vuoto geme addolorata: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». E, detto questo, poco dopo si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi, alle sue spalle; ma la sua ragione non sapeva che era Gesù; fu però quella stessa ragione che la portò sùbito a compiere il salto della fede dinanzi al celeste corpo di luce del Risorto, che ella riconobbe dalla sua voce che pronunciò il suo nome: Maria …

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Carmelitane Giovanni Paolo II e suor Lucia 2000-001

San Giovanni Paolo II, già anziano e ammalato, durante la sua visita in Portogallo nel corso del Giubileo del 2000, torna a fare visita a Suor Lucia Dos Santos nel suo carmelo

Se distogliamo il nostro sguardo impaurito dalla pietra rovesciata dei nostri sepolcri vuoti, scopriremo quanto l’amore dell’Eterno va oltre la morte, basta che ci voltiamo indietro; e giorno per giorno scopriremo che l’alpha e l’omega, il Verbo di Dio, è alle nostre spalle, a chiamarci per nome, perché tutti noi siamo nel divino cuore del grande mistero del Padre, che ci ha voluti, amati e chiamati per nome prima ancora dell’inizio dei tempi.

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Maria di Màgdala è donna che cerca l’amato del suo cuore, ed a lei la Chiesa, in questa liturgia della Parola, rivolge le parole del Libro del Cantico dei Cantici nel quale è rivelato l’amore di Dio per l’uomo e dell’uomo per il suo Dio: «… ho cercato l’amore dell’anima mia […] trovai l’amore dell’anima mia».

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copertina Nada te Turbe

una meditazione teologica di Ariel S. Levi di Gualdo scritta sotto forma di romanzo storico e dedicata alla storia delle martiri carmelitane di Compiègne, ghigliottinata durante il periodo del terrore della Rivoluzione di Francia [il libro è attualmente in ristampa assieme a tutte le opere dell’Autore]

Tra il II e il III secolo Sant’Ippolito di Roma [9] la definisce «l’Apostola degli Apostoli». Ella è infatti la prima a vedere Cristo risorto, secondo il racconto del Beato Evangelista Giovanni. E dopo averlo riconosciuto è corsa a dirlo agli 11 Apostoli, nascosti e sconvolti da ciò che avevano visto pochi giorni prima sul Golgota. E da questo episodio si comprende quanto venerabile sia la figura della Maddalena, inviata da Cristo ad annunciare la sua risurrezione a quegli intimoriti che pochi giorni prima, durante l’Ultima Cena, aveva istituiti sacerdoti della Nuova Alleanza; gli stessi che pochi giorni prima, come narra un passo drammatico del Vangelo: «E tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono»[10]. E il primo degli Apostoli, rivestito da Cristo Dio di una funzione vicaria e da Egli definito come roccia edificante della sua Chiesa [11], dinanzi allo scenario sconvolgente della cattura e della condanna del Divino Maestro, non disse, come disse sul monte Athos durante la trasfigurazione di Cristo «… rimaniamo qui», anzi «facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia» [12]. Dopo che Cristo ebbe sudato sangue nell’orto degli ulivi andando poco dopo incontro alla sua dolorosa passione, Pietro lo rinnegò per tre volte. E anche l’abbandono di Dio da parte dei suoi apostoli e sacerdoti, fa parte, da sempre, del mistero della Chiesa; fa parte, da sempre, del mistero della fede. Per prendere infatti la nostra croce e seguirlo [13], non basta la sola ragione, perché occorre fare attraverso la ragione il salto della fede. Solo così potremmo riconoscere il Risorto che alle spalle ci chiama per nome, perché tutti, siamo chiamati a essere Maria. E, come Maria, annunciatori della sua Risurrezione.

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Sia lodato Gesù Cristo!

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[1] I Cor, 15

[2] Concilio Vaticano I: Denz. -Schönm., 3004; cf 3026

[3] Città del Vaticano, 14 settembre 1998.

[4] Lettera agli Ebrei: 11, 1

[5] San Giovanni della Croce, da Le orazioni dell’anima innamorata, n. 43.

[6] Cf. San Giovanni Paolo II, Fides et Ratio, preambolo introduttivo.

[7] San Giovanni della Croce, da O fiamma di amor viva.

[8] Cf.  I Fil 1, 21

[9] Ippolito Romano [170-235 d.C], teologo e presbitero. Fu il primo antipapa della storia della Chiesa, morì riconciliato con il legittimo Pontefice Ponziano, assieme al quale fu martirizzato nel corso delle persecuzioni anti-cristiane.

[10] Cf.  Mt 26, 56.

[11] Cf.  Mt 16, 13-20.

[12] Cf.  Mc 9, 2-8.

[13] Cf.  Mc 8, 27-35

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2 commenti
  1. Padre Ariel
    Ariel S. Levi di Gualdo dice:

    Caro Matteo,

    posto ovviamente che il modello al quale dobbiamo ispirarci è Nostro Signore Gesù Cristo, resta cosa pacifica che il Signore si è sempre servito e tutt’oggi si serve per istruirci di sapienti maestri; difficili da trovare, ma anche nei pagliai ci sono sempre gli aghi, semmai anche quelli che pungono a dovere.

    Come modello di predicazione e di predicatori, io conservo sempre vivo quello dei vecchi Domenicani, caratterizzati proprio dal carisma della predicazione, non a caso si chiamano Ordine dei Frati Predicatori.

    La predicazione è l’annuncio e la spiegazione del Santo Vangelo, del mistero della salvezza, dell’invito ad una sempre rinnovata conversione del cuore.

    La predicazione non è un’arte retorica né una recita teatrale. Beninteso, sia l’arte retorica sia anche una sana teatralità, intesa come spontaneo ed efficace modo di porgersi e di comunicare, può essere molto efficace, purché ciò sia solo un mezzo e non certo cosa fine a se stessa, perché noi dobbiamo portare il messaggio di verità del Cristo Dio incarnato, morto e risorto; non dobbiamo portare certo Marco Tullio Cicerone, al quale tributiamo ogni dovuto onore.

    Per imparare a predicare bisogna essere anzitutto dei veri credenti, cosa che non è detto che un prete o che un predicatore sia. Quindi bisogna cercare di calare quanto più possibile il nostro essere nelle virtù teologali [fede, speranza, carità], bisogna percorrere le virtù cardinali [prudenza, giustizia, fortezza, temperanza], bisogna mettere a frutto i doni dello Spirito Santo [sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà, timore di Dio].

    Una volta, ad uno dei confratelli più o meno simili a quelli da te descritti, messi di prassi e rigore dai nostri lungimiranti vescovi nei più importanti parrocchioni delle diocesi, rimproverai in privata sede di avere detto anzitutto una palese eresia durante l’omelia, poi dissi che non si poteva sottoporre il Popolo di Dio a 40 minuti di sproloqui.

    Non sapendo come rispondere dinanzi al fatto palese, egli reagì nel modo peggiore, dicendomi: «Anzitutto, ti ricordo che io ho conseguito un dottorato teologico alla Gregoriana».
    Feci una sonora risata e replicai: «Che detta in altri termini equivale a dire di avere apprese e studiate le virtù della castità all’interno di una casa di appuntamenti».

    E con commiserazione proseguii dicendogli: « … a che cosa ti giova, il tuo dottorato, posto che a Roma i dottorati li tirano dietro a chiunque, se domenica dietro domenica vieni bocciato dal Popolo di Dio che mentre predichi sbuffa e volta lo sguardo sul soffitto, per non parlare delle diverse persone che si alzano e che se ne vanno via?».

    Ecco perché dico: il primo presupposto del predicatore è anzitutto il credente, perché solo chi crede veramente, può trasmettere ciò in cui crede; e Dio gli metterà sempre in bocca alla buona occorrenza le parole giuste al momento giusto, dolci o severe, morbide o dure. Perché il fine primo e ultimo della predicazione è la salvezza delle anime, non gli sfoggi di improvvisazione di certi preti, o gli sfoggi di una cultura molto spesso del tutto presunta.

    Appena consacrati sacerdoti, prima di salire all’altare, in ginocchio dinanzi al Vescovo, riceviamo da lui il calice e la patena, con questa chiara e precisa ammonizione:

    Ricevi le offerte del Popolo Santo
    per il sacrificio eucaristico.
    Renditi conto di ciò che farai,
    imita ciò che celebrerai,
    conforma la tua vita
    al mistero della croce di Cristo Signore.

    Non mi risulta che a nessuno, inclusi preti e pretini di new generation, durante il sacro rito sia stato mai detto ad alcuno:

    ricordati che hai conseguito un dottorato alla Gregoriana.

    Semmai con la doverosa aggiunta da parte del vescovo ordinante:

    … e vedi bene, visto com’è ridotta quell’Università Pontificia, di non vantartene mai con nessuno, per il bene della Chiesa, per il bene tuo e soprattutto per il bene delle membra vive del Popolo Santo di Dio.

  2. Padre Ariel
    Matteo Leone dice:

    Caro Padre,
    ho 22 anni, non sono un autoreferenziale che ascolta solo se stesso, o ciò che solo potrebbe far comodo a se stesso, ho altri difetti forse peggiori, non questi, però.
    Allora … quando in una chiesa un prete ti fa venire attacchi di ansia quando predica, non c’è problema, si va in un’altra. Quando nell’altra c’è un prete che improvvisa un predicozzo senza capo e coda, pazienza, si va in un’altra. Quando in un’altra, eppoi in un’atra, eppoi in un altra … allora a quel punto si spengono le orecchie, o non si va proprio più in chiesa, come molti hanno scelto di fare.
    Le mie domande sono due, e sono rivolte a lei: dove ha imparato a predicare? Cosa bisogna fare per imparare a predicare?

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