L’arte al servizio della fede: il mistero della crocifissione

Arte&fede

L’ARTE AL SERVIZIO DELLA FEDE: IL MISTERO DELLA CROCIFISSIONE

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I primi cristiani declinarono l’iconografia della croce, considerata come pena capitale per i furfanti e i malfattori; non a caso, il simbolo del primo cristianesimo delle origini era un pesce stilizzato. Tra l’altro il Crocifisso era qualcosa che lo stesso San Paolo definiva «scandalo e stoltezza». Infatti, la croce, era per i cristiani segno con cui venivano svergognati e derisi.

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Autore Licia Oddo *

Autore
Licia Oddo *

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michelangelo bozzetto

Michelangelo, bozzetto di una crocifissione

Il simbolo per antonomasia della fede cristiana è senza dubbio il mistero della morte di Cristo in croce, che lo stesso cristiano rileva ogni qualvolta si raccoglie in preghiera. Epilogo drammatico della missione terrena di Gesù ma anche una nuova alleanza con gli uomini espressa nel sacrificio cristologico, di quel supplizio chiamato Via Crucis contemplato nei Vangeli della passione, la Crocifissione diventa altresì l’iconografia più rappresentativa e speculativa della storia, sino ai nostri giorni, ed è il messaggio cristiano di natura catechetica alle masse.

La Croce quale peculiarità cristiana, rappresenta il binomio del bene e del male, da una parte il simbolo a cui si spinge la malvagità umana come strumento di tortura che giunga alla morte, simboleggiando la cieca violenza che irrompe nel cuore dell’uomo, ma, d’altro canto, essa mostra la resistenza e la forza del bene: sulla croce, infatti, nonostante l’inaudita violenza che gli viene inflitta ingiustamente, Gesù non risponde al male col male. E invocando il perdono per i suoi carnefici, vince il male, mettendovi fine: «Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno» [cf. Lc 23,43]. San Paolo esprime questo duplice aspetto della croce in una frase topica: «Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia» [cf. Rm 5,20]. Ed in effetti la giustizia divina, è in verità una giustizia riparatrice e non vendicativa; una giustizia che restaura e, per di più, perviene alla grazia [cf. dal sito della diocesi di Padova: “La Croce nell’arte” A. Fossion].  

I primi cristiani tuttavia declinarono l’iconografia della croce, considerata come pena capitale per i furfanti e i malfattori; non a caso, il simbolo del primo cristianesimo delle origini era un pesce stilizzato. Tra l’altro il Crocifisso era qualcosa che lo stesso San Paolo definiva «scandalo e stoltezza» [cf. 1 Cor 1,23]: infatti la croce era per i cristiani segno con cui venivano svergognati e derisi.

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crocifissione di san Pietro di carlo giuseppe ratti

Carlo Giuseppe Ratti, crocifissione di San Pietro

Bisogna anche fare una valutazione di carattere socio-giuridico. Nel diritto penale romano, la pena alla crocifissione era considerata una condanna a tal punto infamante che non poteva essere inflitta ai cittadini romani, neppure a quanti si fossero macchiati dei crimini più efferati e gravi. Il tutto è a suo modo sintetizzato nella morte dei due Santi Apostoli Pietro e Paolo. Pietro il galileo, che era abitante di una colonia romana, fu messo a morte attraverso la crocifissione sul Colle Vaticano; Paolo, che invece era cittadino Romano, originario di Tarso nell’attuale Turchia, anch’esso morto martire a Roma, fu giustiziato attraverso decapitazione alle Acque Salvie, sulla Via Laurentina, dove oggi sorge il complesso dell’Abbazia delle Tre Fontane.

All’inizio della vita della Ecclesia compare l’utilizzo del simbolo del “Chiro” [o Chrismon] già noto ai più perché le due lettere sono le iniziali della parola ‘Χριστός’ [Khristòs], l’appellativo di Gesù, che in greco significa “unto” e traduce l’ebraico “messia”.

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labaro costantiniano

bassorilievo marmoreo raffigurante il labaro costantiniano

Solo con l’epoca costantiniana, dopo il concilio di Nicea celebrato nell’anno 325, appaiono le prime raffigurazioni esplicite di Cristo, talvolta con la croce in pugno. Ma è il monogramma costantiniano il primo utilizzo pubblico della croce. Nel 312, secondo quanto racconta lo storico Eusebio nella Vita Constantini: la notte prima della battaglia contro Massenzio, l’imperatore Costantino I ha la visione di una croce luminosa con su scritto “In hoc signo vinces”. L’imperatore fece così stampare il simbolo cristologico, il cosiddetto labaro costantiniano, della croce sugli scudi dei soldati romani che, poco dopo, vinsero la famosa battaglia di Ponte Milvio.

Alla fine del secolo IV si assiste allo sviluppo del culto della Croce e delle reliquie. Nello stesso periodo si procede alla rappresentazione iconografica della etimasia, il trono vuoto con la croce gemmata, un cuscino sul quale è posto il mantello da giudice (riferimento al giudizio divino), un libro chiuso (il Libro della Legge), e gli strumenti della Passione simbolo della presenza del Cristo assente fino a quando non apparirà con la seconda venuta per il Giudizio Universale. Il IV secolo segna la diffusione del messaggio cristiano attraverso la decorazione musiva del trionfo pasquale di Cristo delle zone absidali e delle pareti delle navate laterali delle grandi basiliche romane quali vittoria del cristianesimo sulle altre religioni politeiste e quindi pagane (mosaico di Santa Pudenziana del 390).

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croce di mastro guglielmo

Mastro Guglielmo, Cristo Trionfante, Cattedrale di Sarzana

A questo punto è doverosa una considerazione di carattere iconografico i cui riflessi iconologici possono ricondursi alla osservazione preliminare della doppia accezione della croce. Mi riferisco al carattere vittorioso della croce del bene sul male nota con la prima apparizione di quest’ultima che vede il Christus Triumphans.  Il Cristo è in posizione frontale con la testa eretta e gli occhi aperti, vivo sulla croce e ritratto come trionfatore sulla morte, attorniato da scene tratte dalla Passione, e poteva altresì presentare agli estremi dei bracci della croce figurine di contorno, successivamente la Vergine e San Giovanni evangelista in posizione di compianto. Talvolta si incontrano anche i simboli degli evangelisti e, nel braccio superiore la cimasa, un Cristo in maestà. Tra gli esempi più antichi di Crocifisso triumphans si annoverano la Croce di Mastro Guglielmo nel Duomo di Sarzana, la Croce di San Damiano nella chiesa di Santa Chiara ad Assisi e la croce di un anonimo maestro pisano nel Museo Nazionale di San Matteo a Pisa. È con il periodo relativo alle rinascenze carolingia ed ottoniana, che si verifica l’inizio di una nuova iconografia del Cristo morto detto (Christus Patiens) nel X sec.; questa volta gli occhi sono chiusi e l’espressione è sofferente, ad indicare l’umanità di fondo di Cristo. In età Romanica prima e soprattutto nel Gotico poi, sotto l’influsso dei “mistici” assistiamo alla crescita dell’attenzione anatomica. La diffusione di questa iconografia avviene per opera degli Ordini Mendicanti domenicani e francescani secondo i quali il Crocifisso assume un ruolo centrale, quale vessillo della passio e quindi del sangue e del dolore. L’iconografia assume toni più forti o drammatici con i Crocifissi di Cimabue e di Giotto. La Croce ispirata alla scuola della spiritualità francescana del Cristo patiens evidenzia il tema della passione rispetto a quello della gloria e per questo i suoi colori sono il nero, il bianco e il rosso, colori che rappresentano la morte, la pura innocenza, il sangue e, appunto, la passione, attraverso l’intensificazione delle piaghe e del sangue dalla corona di spine, evidenziando così l’aspetto malvagio dello strumento di tortura praticato dai romani. Negli scomparti laterali della croce sono narrate per immagini la passione e la resurrezione.

Negli affreschi è possibile ravvisare il tema della Crocifissione attraverso l’ostentazione del dramma alle folle, il dolore lancinante di Maria, la Maddalena, il Pianto degli Angeli etc…

beato angelico crocifissione

Beato Angelico, crocifissione

Il Rinascimento italiano quale espressione del naturalismo antropologico evidenzia la produzione delle grandi pale d’altare e viene evidenziato col Cristo, l’uomo virtuoso, perfetto, anche un ideale di umanesimo cristiano [cf. i Crocifissi dell’Angelico]. Si arriva così alla celebrazione del Cristo eroe, con i pittori della prima metà del cinquecento. La grande Crocefissione del Beato Angelico, conservata nella Sala capitolare del convento domenicano di San Marco a Firenze, presenta un’iconografia innovativa, poiché al posto dei personaggi consueti presenti al Calvario mostra tutta una serie di santi, vissuti nelle epoche e nei luoghi più disparati, secondo un complesso sistema allegorico che adombra vari significati. Si tratta di una raffigurazione mistica, invece della consueta scena narrativa, assimilabile a opere come il Compianto della Croce al Tempio, sempre dell’Angelico. Ciò che descrive l’immagine è il significato salvifico dell’evento: la Redenzione.

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Antonello da Messina, Crocifissione

La Crocifissione [1475] di Antonello da Messina è un esempio di quegli elementi anatomici e prospettici tipici del periodo. La tipologia iconografica rimanda a esempi fiamminghi, anche nel trattamento del paesaggio, che sfuma dolcemente in lontananza nei colori azzurrini delle colline avvolte dalla foschia. La linea intensa delle acque del lago isola maggiormente la figura del Cristo, con un cerchio formato dalla Vergine e da San Giovanni.

Il dramma della croce viene tradotto in immagine nei disegni di Michelangelo, e verrà ripreso con un’iconografia diversa, quella della Pietà che vede la Vergine disperata con in braccio il figlio cadavere nonché quello della deposizione ove significativa é la Pala Baglioni di Raffaello detta Deposizione Borghese. L’iconografia assume toni più teatrali e vivaci nell’epoca Manierista, col Pontormo.

Il Concilio di Trento contribuirà in maniera evidente al rilancio dell’arte cattolica in funzione propagandistica, proselitista, e morale tramite gli ordini religiosi. Le chiese si riempiono di effetti scenografici senza precedenti e lo stucco simula la cornice dipinta, i grandi altari sembrano realizzati su piani ascendenti, come il monte Calvario, con la Croce al centro. In pittura si alternerà il gusto e la preferenza ad artisti più legati al realismo caravaggesco o al classicismo, come gli spagnoli Rubens e Velazquez. Si procederà alla realizzazione di crocifissi agonizzanti, molto intensi e commoventi, come nell’arte pittorica di Guido Reni; crocifissi che sembrano interpretare il passo evangelico: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?», che Matteo mette al centro della sua presentazione apocalittica [Mt 27,46].

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Alla fine del settecento e l’inizio dell’ottocento è la tradizione che vince su tutto, si veda Francisco Goya, che finisce per esaltarla in un bellissimo Cristo che emerge radioso da uno sfondo cupo dominato totalmente dalle tenebre. L’impianto del corpo di Cristo, levigato e senza ferite, denuncia uno stile classicheggiante e accademico molto lontano dalla sensibilità del Goya più tardo: il suo Cristo crocifisso fu infatti dipinto nel 1780 come prova d’ingresso alla Real Accademia di San Fernando per compiacere gli accademici abbarbicati nella tradizione.

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Edgar Degas, Crocifissione

Altra grande novità si verifica alla fine dell’ottocento con gli artisti legati all’Impressionismo.

L’iconografia della Passione e della crocifissione permise a Degas di sperimentare il suo impressionismo in chiave religiosa, con copie degli artisti del passato. Il risultato fu una versione in cui la classicheggiante durezza dello stile del Mantegna cede il posto ad un aspetto fascinoso e diluito, dove il colore elimina dettagli e concretezza a cose e persone per lasciarvi solo l’energia, seppur tragica della morte, del dolore. Interessato poco al dettaglio folcloristico, che riporta in vita antichi usi e costumi, Degas non vede altro che colore per fondere lo spazio con i soggetti. La crocifissione impressionista diventa così la visione più completa e a noi comprensibile del dramma universale, simbolo iconografico della speranza.

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cristo giallo

Paul Gauguin, Crocifissione

Qualche decennio più avanti l’espressionismo vede nell’opera di Gauguin una singolare rappresentazione: il Cristo Giallo. Rappresenta Gesù crocifisso, ma con una trasposizione di luogo e di tempo, infatti Gauguin lo ambienta nel suo tempo e nella sua terra francese della Bretagna. Le donne indossano i tipici costumi bretoni e sullo sfondo si notano le case con i tetti aguzzi, anch’essi tipicamente bretoni. Il quadro è tagliato in due, le linee di Gesù sono più angolari e spigolose e ricordano i quadri medievali, mentre per il resto dominano linee curve. L’opera è composta da contorni netti e c’è un’assenza di ombra, è bidimensionale con colori irreali. La figura di Gesù è magra e nel paesaggio sullo sfondo spiccano gli alberi rossi che ricordano il suo sangue, che non mette invece sul suo corpo. Per il corpo di Cristo e il suo colore particolare, Gauguin s’ispirò ad un crocifisso, tuttora in loco, esposto nella Cappella di Tremalo, non lontano da Pont-Aven, in Bretagna. Ciò ad indicare che il tema cristiano del martirio per antonomasia, così come l’artista lo traspone nel tempo e nello spazio resta e resterà sempre attuale.

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Il Golgota - 1956 olio su tavola - cm. 80x120

Quirino de Ieso, Il golgota (1956)

Nel Novecento l’arte si divincola dalla propaganda ecclesiastica e concretizza nel mistero della crocifissione sul male dell’umanità e dell’inizio del secolo: le malattie nevrotiche tipiche del nuovo progresso tecnologico ed industriale, le guerre mondiali, lo sterminio nazista. Un grande contributo all’iconografia della Croce è quello di Chagall con la sua rilettura biblica della storia, in cui il Cristo è lo stereotipo del sacrificio violento. Tra gli altri artisti spiccano le creazioni autorevoli di Picasso, Guttuso, e Dalì.

«Il mistero della Crocifissione» che da il titolo ad alcune opere, rivive nella produzione sacra del maestro Quirino De Ieso, dagli anni cinquanta sino all’epoca odierna. Il Golgota, opera cubista recensita dallo stesso Pablo Picasso nel 1961, è un’opera in cui il colore degli oli e la linea segnano più che il soggetto umano il valore simbolico ricco del sacrificio cristologico. Il Golgota trasmette l’atmosfera carica di dolore, rievocata nel calore delle varie tonalità di un rosso sfaccettato, rappresentazione dell’ultimo istante della passione di Cristo, che precede l’oscurità dell’ora più infausta, esaltata in una prospettiva tridimensionale che colpisce lo spettatore attraverso la forma geometrica. Ciò che risalta all’occhio del contemplatore è però la differenza di colore dei due ladroni, colui che chiese a Gesù di ricordarsi di lui nel Regno dei Cieli, per questo raffigurato in bianco come il Salvatore.

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La croce di Manhattan - 2001 olio su tela - cm. 60 x 100 Edito Cam Mondadori n. 51

Quirino de Ieso, La croce di Manhattan (2001)

Ma l’arte è la più significativa e manifesta espressione della società, in particolar modo della Chiesa e quello che va sottolineato in questa breve storia della iconografia della croce è un’opera del maestro De Ieso, di cui, la sottoscritta ne è la curatrice, in cui il Calvario di Cristo è ripercorso a distanza di cinquant’anni nell’opera “La Croce di Manathan targata 2001. Il parallelismo ai fatti che hanno riscritto la storia solo un quindicennio or sono, rivissuto nel martirio di Cristo è di gran lunga attuale più che mai ai fatti accaduti sino a qualche giorno fa a causa del nuovo clima di terrore che sta invadendo il mondo. La goccia di sangue versata sulla croce duemila anni addietro, si rinnova nel sacrificio di tutte le persone che sono state immolate nel luogo definito “Punto zero” che come il monte Calvario è il luogo ove è terminato il martirio e si è accesa la speme fiduciosa nel futuro per un mondo migliore. La croce rappresenta il patto con gli uomini presenti nelle quattro figure contemplanti, le personificazioni della teologia, letteratura, scienza, e arte, a cui hanno attentato i figli dei demoni della nuova era, mentre uno stuolo di ghirigori inesplicabili, dai colori accesi, evoca l’attesa misteriosa nella salvezza, come embrioni relativi alle nuove generazioni future, ad indicare che nulla è perduto. In questa speme, che gli artisti di tutti i tempi hanno rappresentato nei modi e nei luoghi più singolari, si cela il messaggio di Cristo, che attraverso il supplizio della crocifissione a causa del male più incondizionato ricevuto dall’uomo, ha restituito bene chiedendo ed ottenendo da Dio Padre il perdono dell’umanità.

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* storica dell’arte

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Licia Oddo – Jorge A Facio Lince QUIRINO DE IESO TRA ARTE E KOINE

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2 commenti
  1. Padre Ariel
    Salvatore dice:

    Attraverso un ampio e articolato excursus, l’autrice conduce per mano il lettore comune come anche l’uomo di fede o il critico d’arte in un viaggio affascinante nei duemila anni di storia della Chiesa e del suo simbolo per eccellenza: la croce.
    Arte e fede, d’altra parte, sono inscindibili nella storia della cultura occidentale, come suggerisce l’autrice stessa che, acutamente, coglie di ogni epoca le opere “figura Christi” degli artisti più rappresentativi, mettendo in risalto anche i tratti caratteristici della loro poetica.
    Noi occidentali, d’altronde, come Benedetto Croce ha affermato, “non possiamo non dirci cristiani”, pur laici e magari non praticanti, anche in un’epoca secolarizzata come la nostra: ecco che questo studio, oltre ad avere una chiave di lettura catechetica, si rivolge anche al non credente, ma sensibile alle molteplici suggestioni dell’arte cristologica. Il continuo richiamo alle Sacre Scritture offre, poi, al lettore la possibilità di un confronto puntuale con il Verbo di Dio che, appunto, si fa carne nell’esperienza salvifica del Cristo crocifisso. Di particolare interesse risulta, inoltre, il riferimento alle opere sul tema in questione di un artista come Quirino De Jeso, che nella “Crocifissione a Manhattan” rappresenta un’umanità dolente, l’umanità del nostro tempo che, solidale, riconosce sé stessa attorno alla croce dopo l’immane tragedia dell’11 settembre. Antico, moderno e contemporaneo rivivono, quindi, nella sintesi armonica e suggestiva di questa “parabola della croce”.

    Salvatore

  2. ettore dice:

    Gentile signora,
    desidero ringraziarla per la sua acuta disquisizione sul tema della croce: simbolo e fondamento della nostra fede. Sono rimasto colpito dalla scelta sapiente delle immagini ed il linguaggio elegante da lei impiegato, sono stati un rinfrescante esercizio per la mia pigra, declinante elasticità mentale. Le riconosco questo indubbio merito: alcuni lemmi da Ella usati mi hanno costretto a ricorrere al vocabolario per scoprirne ed apprezzarne appieno il significato.
    Non potrebbe essere diversamente, conoscendo un pochino le “qualità” degli autori dell’Isola.

    Aspetto di leggere presto altri Suoi contributi sul connubio tra fede ed arte, sulle diverse, multiformi rappresentazioni artistiche, a Suo giudizio riuscite o meno che siano.
    Ho appena letto questo pezzo, che evidenzia alcune perplessità interpretative sugli stili correnti:
    http://www.ilcorrieredelleregioni.it/index.php option=com_content&view=article&id=8557:volto-del-nostro-redentore&catid=97:arti-figurative&Itemid=125
    Posso chiederLe un Suo qualificato approfondimento, di carattere generale se non specifico naturalmente previo consenso di P. Ariel.
    Grazie.

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