«Io sono il Signore, colui che ti guarisce». La vita cristiana è un percorso terapeutico alla luce dell’obbedienza alla Parola

— pastorale sanitaria —

«IO SONO IL SIGNORE, COLUI CHE TI GUARISCE». LA VITA CRISTIANA È UN PERCORSO TERAPEUTICO ALLA LUCE DELL’OBBEDIENZA ALLA PAROLA.

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Nella venerazione del nome di Dio si esprime la volontà dell’uomo a sperimentare la sua presenza salvatrice e risanatrice. Ecco perché sia nell’Antico Testamento sia nell’opera di Gesù nel Vangelo la guarigione è conseguente a un ascolto obbediente della Parola che salva

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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Miracolo della guarigione del cieco, narrato nel Vangelo di Giovanni: 9, 1-41

Oggi si fa un gran parlare di guarigione e metodi che conducono alla guarigione di diversi mali. Non è raro imbattersi in turlupinatori che millantano doti da guaritori a scapito di poveri ammalati che combattono con infermità gravi e invalidanti. C’è poi anche un certo mondo pseudo spirituale che dispone di un vasto arsenale di energie ed entità spiritiche che sono evocate per porre in essere guarigioni e risanamenti. Coloro che si sottomettono alla loro influenza e autorità, finiscono in un fitto ginepraio che presenta tutta una serie di terapie alternative che sono però slegate dal principio di causalità e conducono con molta sicurezza verso un sistema tecnico che sfocia nella mentalità magica e nel superstizioso [cf. Jacques Ellul, The Technological Society, 1954; Il sistema tecnico, 1977]. 

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DIO HA UN NOME CHE GUARISCE

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miracolo della guarigione del paralitico alla piscina di Betsaida, narrato nel Vangelo di Giovanni: 5, 1-18.

Per il fedele cristiano il discorso è assai diverso. Infatti, parlare di guarigione e di risanamento non è nient’altro che riconoscere la potestà di Dio sul mondo, quindi sulle leggi naturali che lo governano, ed esprimere così la sua autorità di creatore esercitata liberamente a beneficio di tutti i suoi figli:

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«Dice il Signore Dio: Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!» [cf. Ap 1,8]

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A questo proposito, voglio citare un passo del libro dell’Esodo che recita:

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«Se tu darai ascolto alla voce del Signore, tuo Dio, e farai ciò che è retto ai suoi occhi, se tu presterai orecchio ai suoi ordini e osserverai tutte le sue leggi, io non t’infliggerò nessuna delle infermità che ho inflitto agli Egiziani, perché io sono il Signore, colui che ti guarisce!» [cf. Es 15,26].

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La cosa che colpisce maggiormente in questo versetto è il nome di Dio che viene presentato in virtù di una chiara azione terapeutica di risanamento: «io sono colui che ti guarisce!»

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La terapeuticità del nome divino sottende un ascolto attento che conduce a un cammino di santità ben chiaro. Il riferimento alle infermità dell’Egitto attesta la conseguenza di una vita malsana che ha ripudiato Dio e si è staccata da lui. Dio non è solo il trascendente, il numinoso, l’onnipotente, l’esistente, ma è colui che si rende conoscibile e comunicabile proprio trasmettendo il suo nome. Egli dice infatti a Mosè nel roveto ardente:

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«Io sono colui che sono!» [cf. Es 3,14].

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che non è solo l’espressione indicante un mistero — nel senso teologico del termine — ma anzitutto garanzia di una presenza che accompagna il Popolo di Israele e che protegge da ogni sciagura e libera da ogni male [cf. Sal 20,2; Pr 18,8]. Dio, comunicando il suo nome, realizza salvezza [cf. Sal 124,8], garantendo così la salute a coloro che si rivestono di questo nome:

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«Fece uscire il suo popolo […], fra le tribù non c’era alcun infermo» [cf. Sal 105, 37].

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Dobbiamo però rifuggire decisamente dall’uso magico del nome di Dio! Nel linguaggio della Sacra Scrittura il nome ha un rapporto intimo con la realtà significata, non solo si usa per designare la persona ma per esprime tutta la personalità, sicché possiamo dire che il nome  manifesta il cuore, il destino che quella persona è chiamato a compiere: il nome realizza la vocazione.

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La persona di Dio è inscindibilmente legata all’Alleanza sancita con i Padri del Popolo di Israele. Dio è anzitutto il dio di un popolo, di una nazione che si lega a lui con profondi vincoli di amore e fedeltà:

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«Dirai agli Israeliti: Il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione» [ cf. Es. 3,15].

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L’Alleanza con il Popolo di Israele che trova in Abramo, Isacco e Giacobbe gli interlocutori privilegiati di un rapporto di amore e fedeltà ci spingono a comprendere che solo nell’obbedienza a Dio — e quindi nell’ascolto attivo della sua Parola — l’Alleanza si compie, la salvezza trova concretezza e la salute diventa manifestazione di un cammino di grazia che ricrea l’uomo a partire da un rapporto nuovo con il suo Signore.

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L’obbedienza alla Parola e l’ascolto della stessa — nella pienezza dei tempi — si specificano con l’incarnazione di Gesù Cristo, Parola fatta carne [cf. Gv 1,3]. Dio attraverso l’opera del Figlio, ricrea l’uomo ristabilendo nel suo cuore un patto nuovo [cf. Ger 31,33], non più basato sulla debolezza dei Padri d’Israele ma sulla docile volontà del Figlio che si rende obbediente e risoluto alla volontà del Padre fino alla morte e alla morte di croce [cf. Fil 2,8].

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L’OBBEDIENZA ALLA PAROLA FATTA CARNE È PRINCIPIO DI OGNI RISANAMENTO NELLO SPIRITO

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miracolo della risurrezione di Lazzaro, narrato nel Vangelo di Giovanni: 11, 1-45

Nella venerazione del nome di Dio si esprime la volontà dell’uomo a sperimentare la sua presenza salvatrice e risanatrice. Ecco perché sia nell’Antico Testamento sia nell’opera di Gesù nel Vangelo la guarigione è conseguente a un ascolto obbediente della Parola che salva [cf. Sal 81, 12-16].

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Nel suo ministero pubblico Gesù annuncia il Regno di Dio, questo diventa il momento favorevole in cui la Parola proclamata diventa anche farmaco. Infatti molte delle guarigioni compiute da Gesù avvengono nella cornice della predicazione [cf. Mc 1, 29-32; Mc 1, 40-45; Mc 2,1-12; Mc 3, 1-6; Mt 9, 14-31; Lc 13, 10-17]. La Parola di Dio — così come all’origine della creazione — è generatrice di una condizione di ordine e di salute laddove il caos del peccato e della disobbedienza umana hanno causato infermità e morte.  Allo stesso modo, nella comunità cristiana post pasquale, l’obbedienza alla Parola è sottolineata dalla presenza ordinatrice dello Spirito Santo che scende con abbondanza sopra gli apostoli il giorno di Pentecoste e conferisce loro autorevolezza nel predicare e potenza di risanamento fisico e spirituale. Dice a tal proposito il Cabasilas:

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«Chi ha il dono di […] guarire gli infermi […] lo ha ricevuto dal myron» [cf. Nicola Cabasilas, La vita in Cristo, 3, 2].

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Ossia: dal sacro olio del Crisma che è segno liturgico e veicolo dell’effusione dello Spirito Santo conferita ai sacri ministri. In virtù della sacra ordinazione e della intima conformazione a Cristo, i Pastori della Chiesa non solo sono costituiti maestri autorevoli di fede ma anche medici esperti con il dovere di curare le pecore inferme del proprio gregge [cf. Ez 34,4].

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La comunità apostolica post pasquale è comunità carismatica nel senso pieno del termine poiché proclamando nella predicazione che Dio opera salvezza nel Cristo risorto [cf. At 3] conferma con il carisma delle guarigioni la missione di nuova comunità ecclesiale illuminata dalla grazia, obbediente alla Parola e sempre rinnovata dall’azione vivificante dello Spirito Santo [cf At 2, 42 ss]. La Chiesa, perciò, memore di questa storia di salvezza è chiamata ogni giorno a predicare e a guarire.

         

Questo discorso lo ritroviamo affrontato dai Padri della Chiesa con il concetto teologico di rifusione ontologica, cioè di quella trasformazione di tutto l’uomo attraverso l’azione della grazia divina  che avviene — come per la Vergine Maria — in un cuore obbediente e disponibile all’azione dello Spirito Santo.

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Le virtù teologali che lo Spirito di Dio infonde in noi nel battesimo, realizzano un risanamento continuo e progressivo della nostra umanità: la fede ci guarisce perché libera l’uomo dall’angoscia dell’esistenza trasformandosi in fiducia [cf. Giovanni Crisostomo, Homilia in 1 Tm. 1,2,3; e Agostino, Enarrationes in Psalmos, 118,18,3]; la speranza ci guarisce dall’ansia della morte e anticipa un destino di immortalità in vista della risurrezione dei corpi che già opera in noi nei segni sacramentali; la carità è il grande medicamento offerto da Cristo, che guarisce ogni male e ogni dolore [cf. Barsanufio di Gaza, Lettera 62].

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VUOI ESSERE GUARITO?

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miracolo della guarigione del figlio unico della vedova, narrato nel Vangelo di Luca: 7, 11-17.

La domanda che apre questo III paragrafo appare quasi scontata, ma non è così. Anzitutto poiché essendo una domanda presente nel Vangelo non possiamo liquidarla come semplice e banale. Essa viene pronunziata, quasi come sferzata, da Gesù stesso nei riguardi del paralitico infermo alla piscina di Betzaetà [cf. Gv 5,6]. Infine perché tale domanda intende verificare il desiderio reale del malato di guarire, lasciando lavorare nella sua persona la grazia dello Spirito Santo.

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Nel Vangelo vediamo come diverse volte Gesù interroga il malato sulla volontà di voler essere collaboratore di Dio nel suo risanamento. Questa domanda interpella fondamentalmente la fede: «credi tu questo?» [cf. Gv 11,25]; «la tua fede ti ha guarito … salvato» [cf. Mt 9,22; Mt 15,28; Mc 5,34; Mc 10,52; Lc 18,42]. Avere fede per l’uomo biblico significa sostanzialmente credere nella fedeltà divina. L’avvento stesso del Messia è preceduto da promesse in cui Dio espone la sua credibilità realizzando definitivamente ciò che in diversi modi attraverso i tempi aveva annunciato  per mezzo dei profeti.

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Il cammino terapeutico di guarigione, che vediamo narrato dagli evangelisti e che resta valido anche per noi oggi, è possibile attraverso tre passi: il primo, è l’accettazione della propria condizione personale — di infermità o di peccato — alla luce del progetto salvifico di Dio [cf. Lc 7,36-50; Lc 18,13; Lc 18,39]. Il secondo, è la illimitata fiducia nella grazia divina e la volontà a collaborare con essa [cf. Mt 8,5-13; Mt 15,21-28]. Il terzo, è il concreto desiderio di conversione e di rottura definitiva con il peccato in tutti gli ambiti della propria vita [cf. Gv 4,16-19.29; 5,14; 8,11].

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Il cammino che conduce alla guarigione può esser poi più o meno veloce, istantaneo o a tappe [cf. Mc 8,22-26; Lc 17,11-19] ma quello che lo definisce è sempre l’obbedienza dell’infermo alla Parola proclamata e insegnata che diventa terreno fertile dentro il quale nasce una nuova esistenza risanata. Poiché l’uomo è un essere complesso, il suo risanamento è sempre duplice: Gesù guarendo il corpo risana l’anima e perdonando il peccato restituisce vigore al corpo [cf. Mc 2,1-12].

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IL FINE DELLA GUARIGIONE È LA SEQUELA CHRISTI.

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miracolo della guarigione del servo del centurione, narrato nel Vangelo di Luca: 7, 1-10

L’uomo divenuto obbediente alla Parola e che è stato da essa risanato è pronto per essere apostolo del Regno, affinché le opere di Dio vengano proclamate al mondo intero. Prendiamo come esempio questo passo evangelico:

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«In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni [cf. Lc 8, 1-3].

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La guarigione ristabilisce l’uomo perché esso diventi il testimone del Regno e perché l’umanità si accorga che esiste un Dio che mantiene le promesse. Consapevolizzarsi in quest’ottica è fondamentale, perché l’evento cristologico assume tutta la concretezza della vita vissuta. Un conto è seguire una dottrina filosofica bella e accattivante, altro è donarsi per una ideologia che si considera vincente, altro ancora è testimoniare con la propria vita e con le proprie ferite che Cristo ha fatto irruzione nella mia quotidianità è mi ha trasformato toccando le mie fragilità fisiche e spirituali.

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Come abbiamo avuto modo di vedere con l’aiuto dei Padri della Chiesa, assistiamo a una trasformazione dell’essere dell’uomo che non ha eguali. Il seguito di Gesù — includendo anche la comunità apostolica — è sostanzialmente composto da discepoli risanati, da persone ferite a cui è stata fatta grazia e che hanno trovato la forza di annunciare la gioia della guarigione: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te» [cf. Mc 5,19ss]. Solo la gratuità della Parola e dell’insegnamento di Cristo può attivare la riconoscenza che si esprime nel dono di sé al Signore.

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L’uomo donato a Dio, così come capirà bene il beato apostolo Pietro, è capace di amare anche con la debolezza, l’imperfezione e l’infermità [cf. Gv 21,15ss], e se apparentemente alcune guarigioni appaiono come parziali, esse rimandano alla grande guarigione escatologica che avverrà alla fine dei tempi, perché solo lì, in Paradiso, sanità e santità coincideranno nel mistero del Cristo crocifisso e risorto.

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Cagliari, 17 dicembre 2018

III Settimana di Avvento

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1 commento
  1. Padre Ariel
    abi2015 dice:

    Padre Ivano,

    pensavo che il suo primo articolo pubblicato fosse di un Autore occasionale, noto invece con grandissimo piacere che lei è uno degli autori, come il padre domenicano che mi ha fatta subito simpatia perché gioca come me a pallacanestro … a dire il vero ci giocavo, perchè mi sono gravemente fratturato una gamba in cinque punti durante un incidente, addio pallacanestro e tante altre cose.
    Lei è giovane, però mi ricorda un padre cappuccino, nell’epoca in cui sono stato ricoverato in ortopedia, era molto anziano, per educazione non gli chiesi mai l’età, ma sull’ottantina e passa …
    Un uomo eccezionale.
    Si dice che i giovani escono di chiesa dopo la cresima, io non ero giunto manco a quella.
    Feci la cresima nella cappella dell’ospedale.
    Poi quel meraviglioso frate, mi venne a trovare anche quando ero al centro di riabilitazione, ricordo che mi portò una medaglietta di San Padre Pio dicendomi … “ogni tanto ricorda di confessarti, almeno due volte all’anno”. Seppi poi che era venuto con il pulman, che è roba, per un ottantenne.
    Vede, padre Ivano, mi sento un po’ in colpa, perché lui fu tanto premuroso con me, poi morì, io però lo seppi solo dopo 10 giorni, e non sono potuto andare nemmeno al funerale del mio padrino di cresima … si, perché il caro padre mi fece da padrino.
    Rimango con questa amarezza, non essere stato nemmeno al suo funerale.
    Vede però, quante cose, si guadagnano in un ospedale se incontri un santo frate?
    Allora, padre Ivano, ringrazio tanto lei, come se ringraziassi questo padre cappuccino ormai nel paradiso.

    Andrea Bianciardi

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