Il Verbo di Dio incarnato per la nostra salute: il Natale come percorso terapeutico alla luce dei Padri della Chiesa

L’angolo dell’omiletica dei Padri de L’Isola di Patmos

IL VERBO DI DIO INCARNATO PER LA NOSTRA SALUTE: IL NATALE COME PERCORSO TERAPEUTICO ALLA LUCE DEI PADRI DELLA CHIESA

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Appare chiaro, come il mistero della venuta di Cristo sulla terra, presenta una nuova strategia terapeutica che la provvidenza divina rende fruibile per ogni uomo. L’incarnazione conduce a una profonda affinità tra il Salvatore e l’uomo. L’affinità di Cristo nei confronti dell’uomo si costituisce nel rivestire una natura fragile e segnata dal peccato pur senza assumerne la colpa originaria.

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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il Verbo di Dio si è fatto uomo per divenire medico celeste sulla terra

La nascita di Cristo costituisce l’evento più grande dell’intera storia umana: in questa venuta, Dio si riveste della natura dell’uomo rendendosi con lui solidale. Tale serena immersione dell’Altissimo  nella nostra fragilità, attua il progetto di redenzione atteso da tutti i profeti.

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Conformemente a questa volontà di Dio «i Padri e tutta la tradizione ecclesiale vedono in lui un medico inviato dal Padre per guarire gli uomini malati dalle conseguenze del peccato originale e per far ritrovare alla natura umana la sua salute originaria» [cf. Jean-Claude Larchet, Terapia delle malattie spirituali, ed. San Paolo, 2003, pg 2699].

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In questo agire divino, dobbiamo scorgere chiaramente ciò che costituisce il fulcro della nostra dignità che non può essere offuscata da nessuna persona e da nessuna cosa, segno quanto mai eloquente del valore intrinseco di ogni persona, anche se inferma.

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Essere resi degni — per grazia — della natura divina del Figlio di Dio, costituisce nell’uomo la vera identità personale che il Santo Pontefice Leone Magno spiega proprio a partire dal mistero della natività:

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«Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna» [cf. Leone Magno, Discorsi, Omelia I per il Natale, 1-3; PL 54, 190-193].

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L’incarnazione di Cristo determina così una profonda liberazione di tutto l’uomo che diventa il paradigma della sympátheia divina [cf. Pietro Crisologo, Sermones, 50; PL 52, 340], attitudine che coniuga in sé la capacità che Dio ha di assumere la sofferenza umana insieme alla capacità di risanarla. 

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Questo concetto lo troviamo espresso in modo chiaro in diverse guarigioni compiute da Gesù e testimoniate dagli evangelisti. Abbiamo di fronte il paradigma del guaritore ferito, colui che è capace di risanamento perché si rende malato con l’infermo.

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Appare chiaro, come il mistero della venuta di Cristo sulla terra, presenta una nuova strategia terapeutica che la provvidenza divina rende fruibile per ogni uomo. L’incarnazione conduce a una profonda affinità tra il Salvatore e l’uomo. L’affinità di Cristo nei confronti dell’uomo si costituisce nel rivestire una natura fragile e segnata dal peccato pur senza assumerne la colpa originaria, dice il Concilio:

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«Seguendo i santi Padri, all’unanimità noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo, [composto] di anima razionale e di corpo, consustanziale al Padre per la divinità, e consustanziale a noi per l’umanità, “simile in tutto a noi, fuorché nel peccato”…» [cf. Concilio di Calcedonia, Symbolum: DS 301-302].

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Il principio di affinità tra Cristo e l’uomo, congiunge il divario tra il divino e l’umano e questo permette alla natura divina di guarire in profondità la natura umana attraverso una compromissione radicale e del tutto nuova, infatti: «un sano può curare chi non lo è solo se è anch’egli malato con il malato. È l’antica cura che offriva il centauro Chirone alla gente ferita che andava a visitarlo, di essere curante perché a sua volta ferito» [cf. Lucio Coco, a cura di: Io ti guarirò, ed. Abbazia di Praglia, 2013].

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Cristo realizza veramente la speranza di risanamento totale che gli antichi hanno rappresentato nel mito del centauro guaritore Chirone, così

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«ogni cosa che Cristo aveva messo nel corpo umano di natura celeste, vedendo che era consumata da una malvagità corrosiva e che il sinuoso serpente era signore dei mortali, poiché voleva risollevare la sua parte, non lasciò il morbo agli altri medici – infatti è sufficiente per i gravi morbi un piccolo rimedio –, ma svuotandosi della sua gloria, essendo celeste e immutabile immagine del divino, da uomo e contro le leggi mortali, nelle viscere sante di una vergine donna si è incarnato, o miracolo incredibile per gli uomini sfiniti» [cf. Gregorio di Nazianzo, Pœmata moralia: 1,2,38 vv. 140-148; PG 37, 533].

         

La condizione dell’uomo, nei confronti del medico celeste, necessita di una quotidiana fiducia che è il sentimento umano che – illuminato dalla grazia – conduce alla virtù teologale della fede.

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Così, come l’infermo guarisce solo se ripone la sua fiducia in chi lo cura, la fiducia in Dio è necessaria per comprendere come l’intera vita cristiana è un percorso di risanamento in cui noi siamo condotti tra le braccia del Signore per riavere la salute. Senza questa fiducia, mai possiamo ritenerci del tutto al sicuro da qualche infermità.

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La fiducia in Dio è necessaria per non presumere di noi stessi e per non cadere nella patologica scontentezza lamentosa, che è figlia dalla vanità e dell’affanno mondano. Sant’Agostino approfondisce il tema dell’avvento di Cristo, in relazione alla fiducia e alla disponibilità che l’uomo dimostra verso Dio, affermando:

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«Al genere umano giacente infermo nel gran letto del mondo venne in soccorso quel nostro gran medico. Un medico valente osserva e studia il corso della malattia, fa una prognosi sui suoi sviluppi e, quando è ancora lieve la sofferenza del malato, fa intervenire i suoi aiutanti; allo stesso modo il nostro medico mandò prima a visitarci i Profeti che ci portarono la loro parola, la loro predicazione, ed egli guarì alcuni per mezzo loro. Essi annunciarono un aggravamento del male in prossimità della fase finale, che avrebbe richiesto l’intervento del medico in persona a cui potesse direttamente ricorrere il malato. Era stato annunciato che avrebbe consolato e sanato chi avesse avuto fede in lui: «Io percuoto e guarisco» [cf. Dt 32,39]: e così avvenne. Egli è venuto, si è fatto uomo assumendo la nostra condizione di uomini mortali perché noi possiamo condividere la sua immortalità. Ma gli uomini sono ancora travagliati dalla malattia e, riarsi dalla febbre, con il respiro affannoso, si lamentano che da quando è arrivato il medico, le febbri sono diventate più violente, più grave il tormento, insostenibili i patimenti. Da qualunque parte sia giunto il medico, non sembra loro sia stata salutare la sua venuta. Questi i lamenti di chi è ancora immerso nella malattia delle vanità mondane, avendo rifiutato di ricevere dal medico, la medicina della sobrietà» [cf. Sant’Agostino, Sermones: 346/A,8; NBA 34, pg 101].

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Ogni anno il Natale è preceduto da un congruo tempo di preparazione affinché la nostra vita cristiana si renda sobria da tante distrazioni e ubriacature che ci distraggono dalla fiducia in Dio. La venuta di Cristo nel mondo è motivo di grande gioia [cf. Lc 2,10], proprio perché il Padre

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«nel corso del tempo ha convinto la nostra natura della propria impotenza nell’ottenere la vita; ora egli ci ha mostrato il Salvatore che ha la potenza di salvare anche ciò che non poteva esserlo: attraverso questo duplice mezzo, ha voluto che noi avessimo fede nella sua bontà e che vedessimo in lui […] un medico» [cf. Lettera a Diogneto, IX, 6].

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Rinfrancati da questa certezza, accogliamo il Natale del Signore come la visita del medico celeste e accantoniamo la paura e la vergogna di farci visitare, presentando anche quelle piaghe più nascoste e infette che ci fanno orrore. I nostri occhi così, come quelli del santo vegliardo Simeone, contempleranno la salvezza e con il salmista saremo lieti di cantare «Signore, mio Dio, a te ho gridato e mi hai guarito» [cf. Sal 30,3].

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Cagliari, 24 dicembre 2018

Vigilia di Natale

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