Fare “esperienza di Cristo” nell’Eucaristia non è egocentrismo clericale, come il Cardinale Mario Grech e il gesuita Antonio Spadaro vorrebbero farci intendere, ma è nutrirsi di quella speranza cristiana che si è fatta carne

— attualità ecclesiale —

FARE “ESPERIENZA DI CRISTO” NELL’EUCARISTIA NON È EGOCENTRISMO CLERICALE, COME IL CARDINALE MARIO GRECH E IL GESUITA ANTONIO SPADARO VORREBBERO FARCI INTENDERE,  MA È NUTRIRSI DI QUELLA SPERANZA CRISTIANA CHE SI È FATTA CARNE.

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[…] Seguendo la trama del film Dogma, scopriamo come la figura del Cristo Compagnone è stata ideata da un uomo di Chiesa, da un rinnovatore diremmo oggi, un certo Cardinale Glick ― interpretato da George Carlin ― nell’ambito di una campagna denominata “Catholicism Wow!” che mira a rinnovare l’immagine della Chiesa Cattolica rendendola più “in uscita”, proprio a partire dalla riforma dell’immagine di Cristo.

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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non è più il futuro, ormai è il presente …

Dalle nostre colonne de L’Isola di Patmos ho ribadito più e più volte che, l’attuale tempo di pandemia, dovrebbe portare la Chiesa a riprendere in mano una riflessione teologica seria sulla virtù della speranza cristiana. Tale riflessione appare quanto mai necessaria perché la speranza è quella virtù che ci insegna a vivere nel mondo come credenti, conducendoci ― secondo l’insegnamento del beato Duns Scoto ― a desiderare Dio in ogni situazione della vita, sia essa favorevole o avversa, Lui che è il nostro bene supremo, dal quale riceviamo tutti i bene necessari alla nostra santificazione [cfr. A. Tanquerey, Compendio di Teologia Ascetica e Mistica, S. Paolo 2018, p 581].

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Quando nella vita siamo toccati da eventi che provocano la nostra fragilità è particolarmente triste vivere senza la virtù della speranza ma è ancora più triste vivere con una speranza privata del suo fondamento teologico, specie se questa speranza svuotata mette radici nel cuore di chi dovrebbe essere credente.

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Dice Benedetto XVI: «quando la Prima Lettera di Pietro esorta i cristiani ad essere sempre pronti a dare una risposta circa il logos ― il senso e la ragione ― della loro speranza (cfr 3,15), “speranza” è l’equivalente di “fede”» [cfr. Benedetto XVI, Lettera Enciclica, Spe Salvi, n.2]. Perciò il discorso è chiaro: la ragione per cui speriamo sta nel fatto che nella pienezza dei tempi [Gal 4,4], il Logos del Padre si incarna e, nell’assumere un corpo umano, risana tutti coloro che si trovano afflitti dal dolore della disperazione [cfr. 1Ts 4,13] o a causa di una falsa speranza.

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Tale speranza incarnata ― che è Cristo ― suscita la fede nel nostro cuore che ha nell’esclamazione dell’apostolo Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!» [Gv 20,28] la più bella sintesi della speranza ritrovata informata dalla fede.

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Partendo da questa constatazione dobbiamo segnalare come nella conseguente emergenza sanitaria, stiamo attraversando una ben precisa crisi di speranza che è il naturale corso di una crisi di fede verso la persona di Cristo visto non come il Logos di Dio incarnato ma come un palliativo privo di fondamento salvifico.

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Eccoci giunti alla conclusione del nostro ragionamento, se facciamo fatica a vivere la virtù della speranza è solo perché facciamo fatica a stare dentro la fede, adorando un Cristo svuotato dalla sua divinità, che propone una speranza ugualmente svuotata del logos divino. Egli non è più il Risorto portatore di speranza, così come recita l’antica Sequenza della liturgia pasquale: «Cristo, mia speranza, è risorto!», ma assume i tratti del Cristo Compagnone del film Dogma del 1999, in cui Gesù è caratterizzato da un aspetto allegro e cordiale, ampio sorriso e occhio ammiccante, indice della mano destra puntato e pollice della mano sinistra alzato in segno di approvazione. Insomma, una maschera grottesca di quel Salvatore che pur presentandosi al mondo in modo “inclusivo” resta però incapace di salvare gli uomini proprio perché troppo impegnato a dispensare calde pacche sulle spalle verso una modernità relativizzata e relativizzante. Per inciso: il libro che noi Padri de L’Isola di Patmos abbiamo dato da poco alle stampe, “La Chiesa e il coronavirus”, si apre proprio con un capitolo del nostro confratello domenicano Padre Gabriele Giordano M. Scardocci che fa un riferimento pertinente a questa pellicola cinematografica [visitate il nostro negozio librario, QUI].

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Seguendo la trama del film Dogma, scopriamo come la figura del Cristo Compagnone è stata ideata da un uomo di Chiesa, da un rinnovatore diremmo oggi, un certo Cardinale Glick ― interpretato da George Carlin ― nell’ambito di una campagna denominata “Catholicism Wow!” che mira a rinnovare l’immagine della Chiesa Cattolica rendendola più “in uscita”, proprio a partire dalla riforma dell’immagine di Cristo.

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Purtroppo, dalla finzione cinematografica si passa alla tragica realtà in cui ci troviamo a interagire non più con personaggi inventati ― come il cardinale Glick del film Dogma ― ma con altri ben più concreti, come il gesuita Antonio Spadaro e il Cardinale Mario Grech. Persone reali, corifei del pensiero di Yves Congar, che sono da lungo tempo impegnati nella corsa al restyling ecclesiastico che desidera per la Chiesa un nuovo modo di essere, di parlare, di agire e di impegnarsi. Così, attraverso una bella intervista a braccio, di quelle che in questi tempi vanno tanto di moda per preparare gli animi al cambiamento, ci danno da intendere che «durante la pandemia è emerso un certo clericalismo, anche via social» e che l’impossibilità di non poter celebrare l’Eucaristia coram populo abbia messo in evidenza quel «grado di esibizionismo e pietismo che sa più di magia che di espressione di fede matura» [Cfr. La Civiltà Cattolica, QUI]. In altre parole, ci stanno dicendo che dietro lo sforzo di numerosi sacerdoti che hanno celebrato la Santa Messa senza il popolo ― ma sempre pro populo ― attraverso le nuove forme di comunicazione si nasconde un bieco clericalismo e un pastoralismo ego centrato ed esibizionista, che assume le fattezze di un elegante voyeurismo liturgico per quei pochi irriducibili preti messaioli”. Insomma, oltre al danno, pure la beffa.

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Ci rendiamo conto della stravaganza e dell’assurdità di tali affermazioni solo se le confrontiamo alla luce dell’inclusivismo pastorale più radicale che abbiamo sperimentato un anno fa. Inclusivismo che ha messo a dura prova ― nei fatti legati all’apoteosi della Pachamama durante il Sinodo Panamazzonico ― ogni buon senso, con la conseguente mortificazione di diversi contesti liturgico-ecclesiali per niente distanti dalla Sede di Pietro.

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Insomma, in nome dell’aggiornamento, anche una pandemia può fare al caso dei novatori, se questa riesce di fatto a scalzare il dominio dei vecchi ministri sacri ordinati e promuovere la nuova ministerialità laica verso una frontiera in cui il sacerdozio comune e la soteriologia dell’immediato tracciano la nuova immagine della Chiesa. Per questo motivo è utile ricordare come la Spe Salvi metteva in risalto il pericolo di una speranza intesa come fede nel solo progresso umano, fondata sulla ragione e sulla libertà dell’uomo, ma svincolata dalla grazia di Cristo.

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Capiamo molto più chiaramente questo ragionamento se seguiamo il proseguo dell’intervista:

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«nella situazione che impediva la celebrazione dei sacramenti non abbiamo colto che c’erano altri modi attraverso i quali abbiamo potuto fare esperienza di Dio». Tra i servizi citati appare quello sanitario che ha «trasformato i reparti ospedalieri in altre cattedrali».

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Queste parole sembrano sensate ma nella complessità dell’intervista nascondono un sottile trabocchetto, infatti il Cardinale Mario Grech non ha in mente di citare ― e si guarda bene dal farlo ― i numerosi cappellani ospedalieri che hanno assistito i malati di Covid-19 con la grazia dei Sacramenti, impartendo l’assoluzione in articulo mortis e rappresentando in quel frangente una Chiesa presente, madre premurosa, che rimane sotto la croce della malattia e veglia là, dove tutti gli altri fuggono. Per il presule spicca solo il servizio umanitario dei sanitari in cui ragione e libertà assurgono a valori assoluti del nuovo sacerdozio, molto più vicino all’etica massonica che a quella evangelica.

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Sebbene il servizio del corpo sanitario sia altamente meritorio, necessario e determinante in contesti pandemici, resta però sempre un servizio vincolato dalla immanenza, che non riesce ad oltrepassare in alcun modo la trascendenza della morte corporale quando questa si presenta come il naturale esito di una malattia importante, qual è il Covid-19. Né tantomeno questo servizio umanitario può donare quella caparra di vita eterna che solo Cristo concede attraverso il ministero e l’opera dei suoi sacerdoti nella Chiesa.

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L’uomo nella sofferenza ha un estremo bisogno di percepire chiaramente quella speranza certa che gli fa dire:

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«Né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezze né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» [Rm 8, 38-39].

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Questa speranza certa e ricca di fede si contempla nel Cristo crocifisso che si dona alla misteriosa contemplazione dei fratelli ammalati e sofferenti attraverso il sacrificio giornaliero dell’altare. In ogni Santa Messa offerta e celebrata, il “pro vobis et pro multis” apre gli uomini alla speranza certa di redenzione mediante l’amore, in cui il sacrificio incruento dell’altare fa partecipare a quella «beata speranza» [cfr. Tt 2,13] che attende tutta quanta la Chiesa ogni qual volta obbedisce al comando del suo Signore: «Fate questo in memoria di me».

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Per questo motivo è necessario in ogni tempo di tribolazione ricorrere alla Santa Messa come rimedio divino, perché nella sua celebrazione fedele, “per ritus et preces” [Sacrosanctum Concilium, n. 48], gli uomini siano accompagnati costantemente dalla speranza divina che non abbandona mai l’uomo e dona forze nuove per andare avanti e sperare contro ogni speranza [cfr. Rm 4,18].  

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L’intervistatore di Civiltà Cattolica domanda al neo-cardinale: «Qual è dunque la sfida per l’oggi?». Risponde il Porporato:

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«Quando il tempio di Gerusalemme, dove Gesù pregava, fu distrutto, gli ebrei e i gentili, non avendo il tempio, si sono riuniti attorno alla tavola di famiglia e hanno offerto sacrifici con le loro labbra e la preghiera di lode. Quando non poterono più seguire la tradizione, sia gli ebrei sia i cristiani presero in mano la Legge e i Profeti e la reinterpretarono in modo nuovo [cfr. T. Halik, “Questo è il tempo per prendere il largo”, in Avvenire, 5 aprile 2020, 28] Questa è la sfida anche per oggi».

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Sinceramente non riesco a capire la frase: «[…] sia gli ebrei sia i cristiani presero in mano la Legge e i Profeti e li reinterpretarono in modo nuovo». Forse non comprendo questa frase perché, non solo, non è corretta né vera, ma perché Nostro Signore Gesù Cristo ammonisce:

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«In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli» [Mt 5, 18-19].

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Fa eco a queste parole il Beato apostolo Paolo:

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«[…] vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il Vangelo di Cristo. Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un Vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema!» [Gal 1, 7-9].

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Qualcuno, intende veramente … reinventare la Chiesa? Forse come già in passato dichiarò un altro sapiente gesuita, Federico Lombardi, che dalla Sala Stampa della Santa Sede, il 3 maggio 2013, affermò: «Enzo Bianchi ci aiuta a reinventare la Chiesa»? [cfr. QUI]

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Laconi, 8 novembre 2020

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Ricordiamo ai  Lettori che è in vendita il libro dei Padri de L’Isola di Patmos, che potete ordinare sin da ora e riceverlo entro pochi giorni. Basta entrare nel nostro negozio librario: QUI.

 

 

 

 

 

 

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5 commenti
  1. Francesco Paolo Vatti
    Francesco Paolo Vatti dice:

    Nella fatica di un tempo senza la possibilità di partecipare a una vera Messa dal vivo, ho sentito un ulteriore peso nelle parole di quegli uomini di Chiesa che -forse nel buon intento di consolarci- lodavano la Messa virtuale, mettendola al pari, se non al disopra, di quella vera. I risultati si vedono da quando si è potuti tornare a Messa: moltissimi, soprattutto giovani, hanno abbandonato e non sono ancora tornati. Questi che attaccano i sacerdoti che hanno trovato un modo per alleviare questa pena per noi laici sono ancora peggio. Temo che questa strada porterà al deserto nelle nostre chiese…
    Grazie per questo articolo!

  2. Andrea
    Andrea dice:

    Il signore della “lettera firmata” dovrebbe veramente scuotere gli animi dei sacerdoti.
    Tantissime persone oggi, spesso fragili, o semplicemente ignoranti (nel senso etimologico del termine) delusi e smarriti come pecore senza pastore, finisco per incappare in blog e siti che, tagliando un po’ qua e un po’ là, tra un enciclica di Pio X e un versetto di San Paolo, inducono la gente a lasciare la chiesa, “la falsa chiesa apostata vaticanosecondista” come la definiscono loro, movimenti entrati particolarmente in voga con il pontificato di Francesco e la rinuncia di Benedetto. Don Minutella ne è un esempio lampante. Quello che sembrava essere un fenomeno da baraccone (e tale è) è riuscito ad attrarre intorno a sé migliaia di fedeli. E non mi pare che le autorità ecclesiastiche stiano facendo qualcosa per porre argine a tutto ciò.

  3. Padre Ariel
    Lettera firmata dice:

    Grazie Rev. P. Ivano: grazie!

    Siete veramente tre angeli su un’isola sulla quale chi approda è liberato da tanta confusione e trova veramente ristoro.
    Ho reagito alla gran confusione che oggi ammorba la chiesa finendo prima dai sedevacantisti, poi, peggio, nel girone infernale del Minutella, che è un vero demonio annegato nella menzogna e nell’odio.
    Se non firmo la lettera è perché sono stato tartassato dal braccio armato dei suoi cecchini sui social (che poi sono sempre i soliti dieci stronzi con decine di nik diversi) che lo laudano e lo incensano.
    E’ grazie a voi, padri stimatissimi, e ai vostri scritti, compreso il memorabile video di P. Ariel nel quale chiama il Minutella “Frate Cipolla”, che sono tornato nel seno della chiesa stravolta e sconvolta, ma pur sempre e sola chiesa di Cristo.
    Vi porterò sempre nel cuore con gratitudine per quello che avete fatto per me.
    Dio vi ricompensi!

      • Padre Ariel
        Ariel S. Levi di Gualdo dice:

        firmato: Idiota che non sei altro!
        “quanno ce vo’, ce vo’…”
        Nessuno può taroccare un indirizzo di posta elettronica reale, una trasmissione di dati reale, un IP reale.
        Idiota!

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