Da tutte le valli risuonano appelli al Santo Padre Francesco: «Come la Chiesa finì», il nuovo libro di Aldo Maria Valli

Padre Giovanni

DA TUTTE LE VALLI RISUONANO APPELLI AL SANTO PADRE FRANCESCO: «COME LA CHIESA FINÌ», IL NUOVO LIBRO DI ALDO MARIA VALLI

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Pare che in un recente drammatico colloquio a quattrocchi, un Cardinale abbia detto a chiare lettere al Santo Padre: «tu stai sfasciando la Chiesa!». Se questo fosse realmente accaduto come si narra, il Santo Padre, dopo un momento di sdegno, si spera abbia avuto modo di riflettere, per invocare dallo Spirito Santo quella saggezza e quella forza che lo renderà capace di far avanzare la Chiesa verso il Regno.

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Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

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Mi percuota il giusto e il fedele mi rimproveri; ma l’olio dell’empio non unga il mio capo [Sal 141,5]                

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il vaticanista del TG1 Aldo Maria Valli, autore del libro Come la Chiesa finì – vedere QUI

Aldo Maria Valli, celebre giornalista del TG1 e amico dei Padri de L’Isola di Patmos, è molto noto ai cattolici italiani amanti della Chiesa e del Papa per la sua schietta e coraggiosa professione di fede, cosa rara nei pubblicisti di oggi; ma sebbene pochi, alcuni si salvano. Valendosi della libertà di opinione e di quella parresia, che lo stesso Pontefice regnante sollecita, anche tra i laici, il suo amore per il Papa non gli impedisce di esprimergli le sue difficoltà e le sue sofferenze, nonché di fargli delle rispettose critiche e di suggerirgli sommessamente rimedi o correzioni in quel campo della sua azione, che non tocca il magistero dottrinale, ma la sua condotta morale e il suo modo di governare la Chiesa.

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È così che egli ha pubblicato per le Edizioni Liberilibri di Macerata un agile libretto, dove ancora una volta egli mostra le sue doti di scrittore per il grande pubblico, capace di trattare con competenza, semplicità e chiarezza delicati temi e problemi di morale e della vita della Chiesa.

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Mi pare che il suo stile, i suoi interessi e il suo argomentare rendano Valli in qualche modo simile agli illuministi settecenteschi, ma con la grossa differenza che, mentre le critiche di questi alla Chiesa e al Papa erano distruttive e velenose, quelle di Valli, basate come sono sulla sua fede cattolica, per quanto severe, sono costruttive e benefiche. Per questo mi verrebbe voglia di definirlo come un ”illuminista cattolico”.

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Gli illuministi del Settecento erano dei sofisti saccenti e presuntuosi, con un linguaggio sarcastico, volgare, pettegolo ed oltraggioso. Valli si esprime invece con una fine ironia inoffensiva, tanto che ad ogni periodo del suo scritto  è impossibile trattenere una risata. Ma sia chiaro: Valli non prende in giro nessuno e non è un burlone: il suo è un nobile intento riformatore ed educativo in capite et in membris. È il classico castigat ridendo mores sulle orme di Giovenale, prezioso genere letterario che sorse nella classicità latina, ma che è raro nella letteratura cattolica. Valli lo recupera con tutta la signorilità che gli è caratterialmente propria. Il suo pamphlet sembra il racconto di un buon ragazzo, cristianamente educato, il quale, trovandosi in una chiassosa riunione di adulti che si stanno accapigliando tra di loro, mentre il presidente agitato non riesce a mantenere l’ordine, ingenuamente manifesta con semplicità e col suo buon senso, in base a quanto ha imparato dai suoi maestri dell’oratorio, cosa dovrebbero fare per creare l’accordo fra di loro, fiducioso di essere ascoltato.

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Valli conia egli stesso un termine apposito ― non l’ho trovato neppure nel vocabolario ―, chiamando questo suo racconto simbolico-parenetico “distopico”, ossia, se ben capisco non banalmente e offensivamente “fuori luogo”, come potrebbe apparire ad alcuni sedicenti “amici” del Papa, ma “al di fuori del luogo (topos) centrale”, un po’ come si parla della sede “dislocata” o di un distaccamento o una succursale di un’azienda industriale: non è la sede principale, anche se ha rapporto con essa e rimanda ad essa.

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Perché Valli è ricorso a questo curioso espediente? Per una forma, credo di poter dire, di modestia, per non sembrare un saccente od un ficcanaso irriguardoso, benchè in ciò che dice vi sia la franchezza e il coraggio di chi sa quello che dice e lo dice per amore e non per altro. Valli guarda da un altro luogo, ma da quello sa vedere bene. Non s’intromette, ma partecipa.

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Un’altra chiave di lettura del ”racconto” è data, secondo me, dal fatto che in realtà, sotto il velo letterario del racconto che sa di favola o di apologo, non c’è un vero racconto, ma c’è l’accorata apertura d’animo di un fedele figlio della Chiesa al proprio Padre in Cristo e Fratello nella fede, il Papa, per esortarlo a compiere bene il suo dovere, dovere che il Papa conosce meglio di lui, per cui da tutto lo stile pacato e bonario dello scritto, traspare la ferma convinzione dell’Autore, basata sulla fede nel carisma del Destinatario, che egli lo ascolterà, considerando le terribili catastrofiche conseguenze, ossia nientemeno che la fine della Chiesa ― e qui l’Autore si compiace evidentemente del paradosso ―, alle quali porterebbe il suo comportamento di eccessiva preoccupazione di non dispiacere al mondo e di ottenerne il plauso, a scapito di una fedele sequela di Cristo.

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Si potrà anche non essere d’accordo, ma l’accusa velata di fondo che l’Autore fa al Papa Francesco, ed attorno alla quale gira tutto il racconto, è svolta con chiarezza e coerenza e, a mio modo di vedere, con fondatezza e plausibilità, ed è la tendenza eccessiva del Papa ad avvicinare mondo e Chiesa tra di loro, quindi  l’attaccamento al mondo e a se stesso, il che appare come la chiave ermeneutica per spiegare una serie di difetti di Papa Francesco, dei quali peraltro egli non può non essere consapevole e che egli stesso, probabilmente, potrebbe desiderare di correggere, benché frenato e lusingato da indegni ed incapaci collaboratori, che con i loro maneggi finiscono per danneggiarlo anziché aiutarlo.

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Papa Francesco, per le sue peculiari qualità umane e per la sua eccezionale e simpatica comunicativa ― fa capire Valli ― è indubbiamente molto gradito al mondo. Ma dovrebbe chiedersi che cosa vale in fin dei conti tale successo; dovrebbe chiedersi se il successo dipende dal fatto che sa attirare le folle a Cristo o solo a se stesso? Cristo gli interessa più delle folle? Cerca le folle per condurle a Cristo o Cristo è il mezzo per comunicare con le folle? Cristo gli basta o ha bisogno anche del successo nel mondo? Se Cristo gli basta, perché si preoccupa tanto di non ricevere critiche dal mondo, come capitava ai Pontefici precedenti? Come mai il mondo gli è così favorevole? Si sta forse convertendo, il mondo, a Cristo? Stando ai fatti non parrebbe proprio, anzi sembra che il mondo sia sempre lo stesso, se non peggio. E allora? Come mai i tradizionali nemici della Chiesa oggi lodano il Papa? Non pare che essi abbiano rinunciato ai loro errori, anzi tutt’altro. Nel contempo egli suscita perplessità e scandalo nella Chiesa. Certo ha il consenso dei modernisti; ma costoro sono falsi cattolici e falsi amici. Il Santo Padre Francesco sa parlare di Cristo alle folle? Quali sono gli effetti dei suoi incontri con le folle? C’è chi si avvicina a Cristo? Voler rendersi graditi al mondo in sé non è male, purché ciò non sia al prezzo di rendersi sgraditi a Cristo. Si aggiunga alla situazione personale di Papa Francesco il nefando e diabolico progetto massonico, oggi fatto proprio dagli ambienti dell’ONU, di una religione unica ed universale meta-cristiana, sincretistica e razionale, senza soprannaturale e senza dogmi rivelati, obbligatoria per tutti, che raccolga al livello paritario tutte le religioni nei loro elementi comuni, senza gerarchizzazioni, con il rifiuto a priori di una religione eccellente sulle altre.

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Tutto ciò non è un incubo notturno, o una fantasia morbosa e pre-conciliare di Valli, ma è un preciso disegno già a suo tempo elaborato da Emanuele Kant [1] e fatto proprio da teologi cattolici come Edward Schillebeeckx, Karl Rahner, Jacques Dupuis e Timothy Radcliffe.

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La de-costruzione della Chiesa

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Valli immagina di porsi in un futuro nel quale la Chiesa, per una cattiva interpretazione del rinnovamento e dell’ammodernamento promossi dal Concilio Vaticano II, avrà condotto, sotto la pressione della massoneria, alle estreme conseguenze l’attuale processo modernistico di «auto-demolizione», come lo chiamava il Beato Paolo VI, quindi di soppressione dell’identità propria della Chiesa, in direzione di una piena  sua omologazione al mondo, sotto il pretesto del «dialogo col mondo» e dell’ «immersione nel mondo». La Chiesa annega nel mondo.

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Come paradigma di questa operazione dissolvente, Valli avrebbe avuto a disposizione diversi progetti ereticali, come per esempio quello di Rahner o quello di Schillebeeckx o lo storicismo relativista di Kasper o il progetto della teologia della liberazione o il teilhardismo o la “religione globale” inventata dalla massoneria. Invece sceglie un autore, del quale oggi nessuno parla, noto solo agli eresiologi: il progetto di Marcione, eretico del II secolo. Ma Valli, con fine intùito, ha colto l’enorme attualità di questo abile seduttore, ed immagina che nella futura Chiesa mondana e modernista avverrà la riabilitazione di Marcione [cf. pagg. 99-102]. Naturalmente ciò avverrà ― vuol dire Valli ― non a livello ufficiale, perché la Chiesa non potrà mai approvare un eretico, tuttavia il Papa lascerà che questa eresia si diffonda, trascurando di confutarla e di proteggere i fedeli. Sta qui la gravissima negligenza pastorale di questo Sommo Pontefice, in contrasto in ciò coi suoi Predecessori. Questo è ciò che Valli vuol dirci: pur essendo il Sommo Pontefice esente da eresia, né diversamente potrebbe essere, tuttavia lascia che il lupo faccia strage del gregge e non si cura di guarire i mali dell’intelligenza cristiana, dell’intellectus fidei.

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Ma in che cosa consiste il marcionismo, oggi rivivo nella teologia di Rahner? Lo espone Valli in 13 tesi, simili ai canoni di un concilio maledetto [cf. pagg. 101-102]. In sintesi: il Dio buono e misericordioso, il vero Dio, è il Dio del Vangelo, in contrasto col Dio punitore e crudele dell’Antico Testamento. Il Dio cristiano, al contrario del Dio truce ebraico ― continua Marcione ― è il Dio che ci accoglie e che ci approva in tutto quello che facciamo e che ci permette di godere à gogo di questo mondo, perché il mondo è buono, nella certezza di essere sempre e comunque perdonati, senza condizioni, anche se non siamo pentiti, giacché in fondo in fondo, molto in fondo ― «nell’esperienza atematica, ineffabile e trascendentale» ―, tutti siamo buoni. Il peccato non è quella tragedia cosmica colpevolizzante inventata dall’Antico Testamento col mito del cosiddetto ”peccato originale”, mito crudele, pessimista ed offensivo della dignità e della libertà umane. Il peccato, ammesso che esista, come dice saggiamente Teilhard de Chardin, non è che un inevitabile e normale incidente di percorso nell’inarrestabile ascendente evoluzione cosmica verso il Cristo cosmico, il quale non attua alcuna ”riparazione” o ”soddisfazione” a Dio per il peccato, ma Cristo è semplicemente il modello supremo dell’evoluzione dell’umanità fino al punto Omega.

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La Chiesa è la Lumen gentium.   

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Ora però, ci lascia comprendere Valli, le cose non stanno affatto così. Cristo non è semplicemente un santone tra gli altri. Il marcionismo-rahnerismo è un droga che addormenta la coscienza e, come diceva il Catechismo di San Pio X, ci illude di poterci salvare senza merito. La vera Chiesa, quella che non finirà, è tutt’altra cosa ed è mostrata dalla dottrina del Concilio Vaticano II. Così il libro di Valli potrebbe altrettanto bene intitolarsi “Come la Chiesa deve ricominciare”, tanto con chiarezza si intravvede, tra le righe della sua finissima ironia, il suo grande amore per la Chiesa, logicamente accompagnato dal dolore e dallo sconcerto, così come quando si ama una persona, non si può non essere addolorati per i suoi mali. Ma nel caso della Chiesa, sappiamo che essa ha la forza di vincere il potere delle tenebre. Infatti, uno dei grandi documenti del Concilio Vaticano II, è la sua Costituzione Dogmatica ― il che vuol dire dottrina infallibile ― sulla Chiesa Lumen Gentium, voluta dal Beato Paolo VI, per cui a quel punto gli insegnamenti del Concilio, fino ad allora solo pastorali per volontà di San Giovanni XXIII, acquistarono anche un aspetto dogmatico. Questo è il punto di riferimento di Valli. Chi non ha capito questo, allora del suo libro non ha capito nulla.

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«Il Concilio», dice l’esordio della Lumen Gentium [cf. n. 1] «ardentemente desidera che la luce di Cristo, splendente sul volto della Chiesa, illumini tutti gli uomini, annunziando il Vangelo ad ogni creatura». Ed è la certezza che Valli ha di questo indefettibile compito della Chiesa, che ne fonda l’esistenza per l’eternità, che gli consente paradossalmente di parlare di una Chiesa che “finisce”, quasi a sfidare e a prendersi gioco di quel potere satanico, oggi incarnato dalla massoneria, che egli è certo che sarà sconfitto. Ma questo potere, nel quale Satana è maestro, non è altro che quello del mondo, o meglio di «questo mondo», di cui Satana è il «principe» [cf. Gv 12,31; 14,30; 16,11]. Infatti, secondo la Scrittura, non è il mondo come tale che è cattivo, tutt’altro; esso è immensamente buono, in quanto creato da Dio; e se non fosse tale, quindi amabile, Gesù non avrebbe detto: «Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio Unigenito» [Gv 3,16]. Invece è cattivo, questo mondo, in quanto schiavo del peccato, della morte e di Satana. In tal senso Giovanni ci comanda di «non amare il mondo» [I Gv 2,16]. È questo il mondo, del quale il cristiano non può essere amico [cf. Gc 4,4], mondo dal quale è odiato [cf. I Gv 3,13], perché egli non gli appartiene, mentre sarebbe da esso amato, se gli appartenesse [cf. Gv 15,19] e da esso si lasciasse ingannare, se cedesse alle sue attrattive, alle sue lusinghe e alle sue seduzioni o si spaventasse per le sue minacce. Questo mondo dev’essere fuggito [cf. II Pt 2,20], combattuto [cf. I Tm 6,12] e vinto [cf. Gv 16,33]. E proprio in vista di essere luce e salvatori del mondo. La “fine del mondo”, quindi, non è altro che la fine di questo mondo. Ma il mondo vero e sano è destinato a risorgere e a vivere per l’eternità.

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Chiesa e mondo

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Per questo il n. 40 della Gaudium et spes [2], che parla di una «Mutua relazione fra Chiesa e mondo» ― dobbiamo dirlo con franchezza e cognizione di causa ― è un discorso monco e ingannevole, perché sembra che Chiesa e mondo siano come le due parti dell’umanità, allo stesso livello, con reciproche qualità, chiamate solamente a dialogare e a collaborare tranquillamente tra di loro per il bene della stessa umanità. Questa visione, spinta alle estreme conseguenze, porta alla identificazione della Chiesa col mondo, che è la concezione sciagurata del modernismo [3]. Purtroppo il Concilio trascura nel suddetto capitolo ― e solo qui in tutto il Concilio, sia chiaro ― di parlare della corruzione del mondo, della trascendenza della Chiesa nei confronti del mondo, della superiorità del suo fine rispetto a quello del mondo, del potere e del dovere che la Chiesa ha di essere luce e salvezza del mondo, nonché della sua capacità di donare al mondo una pace che il mondo non può dare. Dimentica, insomma, la Lumen Gentium. Questa è stata la fessura dalla quale è penetrato il ”fumo di Satana”, ossia sono sorti quel deleterio secolarismo e quella progressiva perdita del senso del sacro e del Trascendente, che sono all’origine del fascinoso, disastroso e devastante modernismo che, sotto pretesto del progresso e della riforma, sta scuotendo la Chiesa dalle fondamenta. In tal modo la Chiesa non è più al servizio di Dio, ma servizio del mondo, perché un al di là di questo mondo non esiste. Il potere che interessa non è quello spirituale, della carità, ma quello mondano, l’affermazione di sé nel mondo.

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Così, all’Eterno, si è sostituita la Storia, alla contemplazione si è sostituita l’azione; alla liturgia la festa della comunità; la religione si è trasformata in politica, la spiritualità in psicologia, la morale in sociologia. È scomparsa la carità verso Dio ed è rimasto uno scipito, arbitrario e non meglio precisato “amore del prossimo”, il quale, essendo privo del riferimento a Dio, pecca o per eccesso o per difetto, mentre il mondo ultraterreno del divino è scomparso e l’unico mondo è questo mondo. Non più il timore di Dio, ma il timore degli uomini. Quel che interessa non è più la gloria che viene da Dio, ma quella che viene dal mondo. Non più il successo presso i buoni, ma il successo mondano. Il sacro è stato profanato e il profano è stato sacralizzato. Il dialogo ― spesso ipocrita e inconcludente ― è stato assolutizzato e messo al posto dell’affermazione della verità, mentre la legge morale perde la sua assolutezza e viene relativizzata.

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Come già osservava Jacques Maritain nel 1966 in Le paysan de la Garonne: «ci si è messi in ginocchio davanti al mondo». Si vive sotto il terrore di essere “superati”. Ed è sorto l’idolo del “mondo moderno”, un nuovo dio, al quale Satana vuole che ci prostriamo. Il nuovo diventa buono per il semplice fatto di essere nuovo; il tradizionale, il perenne, il voler conservare il buono ed esser fedeli ad esso è fondamentalismo maledetto. Per i modernisti conservare il Vangelo è conservatorismo, mentre essi tengono più che mai a conservare il proprio lauto conto in banca. Oggi, il modernismo, in gran forze e più spavaldo che mai, dopo un’indefessa scalata durata mezzo secolo, è ormai giunto alle soglie stesse della Sede di Pietro. Gli manca solo un passo ― così esso crede ― per instaurare un papato modernista e far finire così la Chiesa. Ma Valli giustamente ha i suoi dubbi che ciò possa mai avvenire.

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Che la Chiesa oggi sia tranquilla ― si se esclude un gruppuscolo di disturbatori ― ed anzi non sia mai andata così bene come oggi, come opinava il Cardinale Carlo Maria Martini, è l’illusione dei modernisti, che hanno in mano larghe fette del potere. Infatti è appunto illusione tipica di chi detiene il potere, credere che le cose vanno bene, perché vanno  come vuole lui, almeno finché dura. A questo punto si pone la necessità di una vera riforma della Curia Romana. Il Papa, agli occhi dei modernisti, passa per essere un grande Papa riformatore, ma la sua idea di riforma non sembra chiara: è ancora quella del 1968, quando si gridava «evviva il  cambiamento»,  «abbasso la conservazione!». Ma oggi, dopo cinquantanni di cambiamenti spesso scriteriati, le persone sagge sentono il bisogno di recuperare tanti valori non negoziabili stoltamente abbandonati. Quindi la riforma oggi ― la vera riforma conciliare ― si impone come recupero di questi valori. E invece, purtroppo, il Papa insiste in questa mentalità sessantottina.

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Ai modernisti, naturalmente, non pare il vero; e allora si sono gettati a pesce su questo Papa per convincerlo a creare un papato modernista-luterano-massone, che nulla ha a che vedere con la riforma conciliare, se non per il possibile aggancio all’infelice n. 40 di Gaudium et spes poco prima richiamato tra queste righe. Il Papa, infatti, avrebbe dovuto correggere il trend utopistico e troppo ottimista di quel capitolo, mentre invece, purtroppo, ne esagera la portata, e ciò spiega la sua tendenza mondana, che giustamente Valli gli rimprovera nel  suo libro.

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Nel suo recente discorso alla Curia Romana, il Papa ha deprecato la formazione di complotti. Ebbene, è questo di cui sopra il complotto, del quale pare che il Papa non sappia. È il tentativo diabolico di secolarizzare, decurtare, rimpicciolire, profanare, svuotare e dissacrare la Chiesa al fine di ridurla alle misere misure del mondo, sul tipo di Amnesty International o Green Peace o dei Boy Scouts. È questo il complotto dal quale il Papa dovrebbe guardarsi per proteggere se stesso e la Chiesa da queste trame di Satana. Il pericolo vero, per la Curia Romana, per il Papa e per la Chiesa; il vero ”cancro”, i veri ”traditori” e gli ”infedeli”, diciamo pure gli eretici e gli apostati, non sono tanto i rumorosi e irrequieti lefebvriani e tanto meno i conservatori, che devono collaborare con i progressisti; il pericolo sono i modernisti, che sono la longa manus della massoneria, dei comunisti e dei luterani all’interno della Chiesa e della Curia Romana.

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Pasce oves meas

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Il dovere di accogliere i valori del mondo non dev’essere pretesto per mondanizzare la Chiesa; Il dovere di essere moderni non dev’essere un pretesto per favorire il modernismo; il dovere di favorire il progresso non dev’essere pretesto per offendere i conservatori; il dovere di evitare il conservatorismo, la rigidità e la stagnazione non dev’essere pretesto per denigrare chi vuol essere fedele alla verità immutabile e all’assolutezza della legge morale; il dovere dell’accoglienza non può scompagnarsi dal distinguere chi la merita da chi non la merita: un conto è accogliere in casa un bisognoso e un conto è accogliere un ladro. Il dovere di apprezzare il diverso non dev’essere pretesto per non correggere l’eretico. Il rispetto per le altre religioni, non esime dal dovere di correggere i loro errori. Il dovere di soccorrere la miseria materiale, non deve far dimenticare il più importante dovere di curare le malattie dello spirito. Con i miseri, gli umili e i pentiti si dev’essere misericordiosi, ma con i furbi, gli ostinati e gli arroganti si dev’essere severi. Il dovere di praticare l’ecumenismo non dev’essere un pretesto per favorire il sincretismo, il relativismo e l’indifferentismo. Il dovere di apprezzare il pluralismo non dev’essere pretesto per trascurare l’unità e l’universalità ― katholikòs ― della fede. Il dovere di procurarsi collaboratori fedeli deve accompagnarsi al discernimento tra quelli sinceri e gli impostori e adulatori.

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Eppure il Papa conosce il suo dovere. È solo attratto dalla vertigine del successo e del potere. Bisogna allora che glielo ricordiamo e gli diciamo: sic transit gloria mundi! “Passa la scena di questo mondo!” [I Cor 7,31]. Ravvèditi e metti in opera i talenti che Dio ti ha dato, in special modo il tuo ufficio petrino, che Cristo ti ha dato non per rappresentare te stesso, ma per rappresentare Lui, non per creare la tua Chiesa, ma per servire, proteggere e custodire la Sua Chiesa.

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Nei suoi prossimi scritti suggerirei a Valli di proporre i termini di una vera riforma, che consiste nel ri-orientare la Chiesa dallo sguardo rivolto verso la terra ad uno sguardo rivolto verso il cielo. Dallo sguardo delle galline allo sguardo dell’aquila. In questa ottica dobbiamo fare un richiamo alla coscienza del Santo Padre ed aver fiducia che egli ci ascolti. Un Papa dovrebbe infatti imitare i Santi Pontefici che lo hanno preceduto e non i teologi alla moda od i profeti che «annunziano la pace se hanno qualcosa tra i denti da mordere» [Mi 3,5]. E non è a dire che Papa Francesco non abbia modelli attuali davanti a sé. Si potrebbe dire, scherzando, che non ha che l’imbarazzo della scelta, potendo egli scendere, per non andare ancor più indietro, fino ai Pontefici dell’Ottocento.

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Il rapporto del Papa con Cristo

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Papa Francesco sembra aver allentato il suo rapporto con Cristo, rispetto ai Papi precedenti. Da qui la trascuratezza nel compiere il suo dovere di Vicario di Cristo. Sembra invece molto preoccupato di mantenere ed incrementare un rapporto con la gente e col mondo, non importa quale, purché questo rapporto ci sia. Ma il mandato di Cristo non è questo. Egli ci manda sì, in tutto il mondo, ma non per proclamare un messaggio che piaccia al mondo, anche se altamente sociale, ecologico o umanistico, ma per insegnare chiaramente e senza equivoci, tutte le cose precise che Egli ci ha comandato di insegnare, non una di più e non una di meno, senza tirar fuori la scusa che allora non c’erano i registratori, o che oggi i tempi sono cambiati.

     

Il Papa è dunque incaricato da Cristo, con l’assistenza dello Spirito Santo, di insegnare il Vangelo a tutte le genti, di interpretare infallibilmente la Parola di Dio, di custodire, spiegare e difendere il deposito della fede, di convertire e chiamare i popoli a Cristo, di insegnare agli uomini di buona volontà i doveri inderogabili della legge morale naturale e i diritti umani. Egli ha inoltre ricevuto da Cristo il potere di «legare e di sciogliere» (potestas clavium), ossia di comandare e legiferare, vale a dire permettere o proibire nel campo dei sacramenti, del diritto canonico e della condotta dei fedeli in nome della Legge di Cristo. Ha il potere di sommo sacerdote, ossia di santificare e purificare il popolo santo di Dio, di governare e guidare a nome di Cristo la Chiesa verso il Regno di Dio, e l’ufficio sacro di «instaurare omnia in Christo», secondo il motto del Santo Pontefice Pio X. Ha il dovere di essere pieno di carità per tutti, giusto e misericordioso, di essere «servo dei servi di Dio», secondo il motto del Santo Pontefice Gregorio Magno, di ascoltare umilmente i profeti o i veggenti, ispirati dallo Spirito Santo, che umilmente lo richiamano ai suoi doveri, ci fosse pure tra di loro una povera giovane indotta e popolana come una Caterina da Siena, ed il dovere infine di offrirsi con Cristo in sacrificio di soave odore al Padre nella Santa Messa e nelle croci quotidiane per la salvezza dell’umanità.

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Questo Papa, che agli occhi del mondo e dei modernisti appare un «grande riformatore» (Walter Kasper), un Papa «rivoluzionario» (Eugenio Scalfari), un Papa ”profetico” (Marco Tarquinio), il Papa che «risolve i conflitti vecchi di secoli e millenni» (Alberto Melloni), il «padre dei popoli» (Nicolàs Maduro), il «Papa della modernità» (Raniero La Valle), «l’apologeta della coscienza» (Arturo Sosa); il «Papa della libertà» (Bianchi), il Papa della «Chiesa spontanea e rilassata» (Timothy Radcliffe), il «protettore degli omosessuali» (Andrea Grillo); il «patrono della famiglia» (Vincenzo Paglia), il «difensore dei profughi» (Nunzio Galantino), il «leader della sinistra internazionale» (Oscar Madariaga), «il nemico di Trump e dei capitalisti» (Antonio Spadaro); il «Papa della misericordia» (Raniero Cantalamessa), il «fratello dei massoni» (Gianfranco Ravasi), «l’amico dell’Islam» (Al-Fayyed) … Ma in realtà, a prescindere da tutti i suoi meriti, è il Papa che, trovandosi a dover governare una Chiesa agitatissima e soggetta ad una crisi di fede di una gravità mai successa nella storia, sembra che non riesca a controllare la situazione, tanto che, un degnissimo Cardinale che ha occupato posti altissimi alla Santa Sede, pare che in un recente drammatico colloquio a quattrocchi gli abbia detto a chiare lettere: «tu stai sfasciando la Chiesa!». Al che ― se questo fosse realmente accaduto come si narra ― il Santo Padre, dopo un momento di sdegno, si spera abbia avuto modo di riflettere, per invocare dallo Spirito Santo quella saggezza e quella forza che lo renderà capace di far avanzare la Chiesa verso il Regno.

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Varazze, 1° gennaio 2018 – Beata Vergine Maria Madre di Dio

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NOTE                                                                                    

[1] La religione entro i limiti della pura ragione, Laterza, Bari 1985.

[2] Da notare che la Gaudium et spes, a differenza della Lumen Gentium, è una semplice costituzione pastorale, quindi non esente da errore, non dottrinale, ma pastorale.

[3] Questa visione tendenzialmente massonica, forse di ispirazione rahneriana, dev’essere corretta con la dottrina dogmatica della Lumen Gentium.

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1 commento
  1. orenzo
    orenzo dice:

    Dai servi sciocchi più realisti del re, Valli è stato ormai arruolato tra le soldataglie tradiprot e modernoprot che stanno mettendo in atto, affermano loro, la demolizione del Magistero, e della Chiesa: non temete, dopo questo vostro elogio del Valli, di essere ora considerati collusi col nemico?

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