Amoris Laetitia. Il fondamento della indissolubilità del matrimonio

Padre Giovanni

AMORIS LÆTITIA. IL FONDAMENTO DELLA INDISSOLUBILITÀ DEL MATRIMONIO

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La nullità del matrimonio quasi sempre emerge in modo drammatico dopo un certo tempo, più o meno lungo, possono passare anche anni ed esserci di mezzo dei figli, anche se ci è sposati in chiesa, e si è trattato di un matrimonio celebrato con grande solennità: tappeto rosso dall’ingresso della chiesa fino all’altare riccamente addobbato, mazzi di fiori esotici, lungo tutti i banchi della chiesa, fotografi e cine-operatori, folla entusiasta e commossa di gente della buona società, abbondante offerta al parroco. Eppure si è trattato di una semplice messa in scena. Nonostante la solenne Messa cantata e solenne benedizione, la grazia può esser scesa, ma non certo la grazia del matrimonio, dato che mancava la materia adatta. Il povero parroco, attorniato da concelebranti, si è preso, come dicono i romani, una bella buggeratura [o detta in romanesco: s’è pijato ‘na sola].

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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papa firma

Il Sommo Pontefice firma la esortazione post-sinodale Amoris Laetitia

Uno degli scopi che si prefisse Gesù Cristo nel suo insegnamento e nella sua opera fu quello di presentare, ripristinare e promuovere il piano originario divino sull’uomo, descritto nel Genesi, indicandolo come modello della condotta umana, compatibilmente alla condizione di natura decaduta dopo il peccato originale.

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Non si è trattato di un ripristino pieno e totale dello stato di innocenza, ma soltanto di alcuni elementi, che Cristo ha prospettato come realizzabili, col soccorso della sua grazia e mediante un’opportuna disciplina, in questa vita mortale, indebolita dal peccato, alcuni elementi di quella felice condizione originaria.

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“Indissolubilità del matrimonio” non vuol dire che di fatto il vincolo non possa essere sciolto, altrimenti non esisterebbe il divorzio. Indissolubilità vuol dire che non deve essere sciolto, ossia che non esiste un diritto a sciogliere il vincolo. Quindi, questo atto non può mai essere un bene. Infatti, è volontà di Dio che l’uomo si unisca alla sua donna, in modo tale che i due non son più due, ma una sola carne. Però non si crea un’unione che di fatto non possa essere spezzata, come invece è l’unione infrangibile che esiste per esempio tra il colore di un vaso e il vaso stesso, oppure l’unione che esiste tra l’anima e le sue facoltà. Uomo e donna sono fatti per unirsi tra loro, ma dipende dalla loro volontà attuare e mantenere questa unione. Dio vuole che siano uniti per sempre; ma a loro è possibile disobbedire a questa volontà e dividersi. Non devono mai sciogliere il vincolo; ma dipende da loro rispettarlo, conservarlo, mantenerlo; oppure spezzarlo, infrangerlo o scioglierlo, ossia dividersi. È chiaro che, se restano uniti, fanno la volontà di Dio; se si dividono, peccano.

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Qual è il motivo per il quale marito e moglie devono restare uniti per sempre in un amore unico, esclusivo, incomunicabile ad altri o non partecipabile o condivisibile da altri? Dio non dice “si unirà a una donna qualsiasi o a più donne”, ma “alla sua donna”.

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Perché Dio non permette l’amore di gruppo o la poligamia o l’amore occasionale o part-time o l’avvicendarsi delle donne? La volontà di Dio lascia invece intendere che ad ogni uomo deve corrispondere quella data donna e non altre, e viceversa. È un po’ come il fatto che ad ogni serratura occorre quella data chiave e non altre o a chi ha difetti di vista, occorrono quei dati occhiali e non altri.

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Col peccato originale questo piano divino si è offuscato nella mente degli uomini, la loro volontà ha cominciato a tendere al peccato, mentre le loro forze hanno cominciato ad essere insufficienti per realizzare questo alto ideale.

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Nell’Antico Testamento, Dio, con la legge di Mosè, mostra una certa tolleranza, permettendo la poligamia e il divorzio, soprattutto in alcuni personaggi importanti, patriarchi e sovrani. Ma con la Nuova Alleanza, stipulata da Cristo, Dio vuole che, in Cristo e con la grazia di Cristo, venga ristabilito il progetto primitivo, almeno nelle sue linee fondamentali, necessarie ad una conveniente riproduzione della specie umana.

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Cristo in tal modo istituisce il matrimonio come sacramento di salvezza e di santificazione. Si tratta sempre dello stesso vincolo coniugale naturale, già rivelato nel Genesi, nella sua unità, indissolubilità, esclusività e fecondità, ma purificato, arricchito, elevato e rafforzato dalla grazia soprannaturale, in modo tale che gli sposi, nonostante le loro debolezze e la loro peccaminosità, possano essere in grado, con l’aiuto di Dio, di esser fedeli al loro amore per tutta la vita e superare prove, difficoltà e tentazioni, assolvendo agli obblighi del matrimonio e della famiglia.

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Con l’istituzione di Cristo, la fedeltà e l’indissolubilità del vincolo per tutta la vita diventa di nuovo un obbligo per tutti. Adesso, però, Dio permette alcune condizioni di vita che rendono impossibile il pieno ripristino del matrimonio edenico. La prima di queste condizioni è l’esistenza della morte.

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Ciò consente la liceità delle seconde nozze. Questo fatto è connesso a sua volta alla seconda condizione, ossia che nella vita presente questa perfetta reciprocità è molto rara. Avviene allora, che le seconde nozze sono rese possibili e si giustificano con la suddetta possibilità assai rara dell’esistenza delle cosiddette “anime gemelle”, ossia di una perfetta corrispondenza o reciprocità, insostituibile ed esclusiva tra questo dato uomo e quella data donna.

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Nella vita presente, l’espressione la “sua donna” resta valida, ma perde di rigore e determinatezza.  L’esatta corrispondenza edenica resta solo un sogno o un’illusione per molti, i quali però sono chiamati ad accontentarsi di qualcosa di meno, che non rende comunque impossibile una fedeltà fino alla morte.

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Molti invece oggi purtroppo concepiscono il prender moglie come l’acquisto di un’auto o di un computer, per cui, se trovano un prodotto migliore, sono portati a lasciare il vecchio per il nuovo. Questa difficoltà a trovare il compagno adatto può giungere fino al punto che il soggetto resta solo. D’altra parte, Cristo introduce anche l’ideale della vita religiosa, che comporta la rinuncia al matrimonio. Ciò non vuol dire che nel regime della Nuova Alleanza non continui a valere il principio della reciprocità uomo-donna e della “sua donna”. È da notare, infatti, che, nel Genesi, Dio non dice «si unirà a sua moglie», ma «alla sua donna». Infatti il termine usato qui è ishà, che significa appunto “donna”, mentre per dire “moglie”, l’ebraico ha balàh.

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Queste parole del Genesi, come è noto, sono riprese da Cristo nel Vangelo di Matteo [cf. 19,5]. Ma qui, siccome il greco ha gynè, sia per dire donna che per dire moglie, il testo greco non rende esattamente quello ebraico. Tuttavia, siccome nel passo di Matteo Cristo parla del matrimonio, è giusto rendere gynè con “moglie”. Comunque sia, dal Genesi risulta che la reciprocità od unione o comunione uomo-donna, come la si voglia chiamare, non si riduce al rapporto marito-moglie, ma è un valore più ampio, che tocca l’essere umano come tale, e può e deve riguardare ogni essere umano, uomo o donna, laico o e religioso che sia.

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L’indissolubilità del matrimonio suppone che Dio crea ogni uomo ed ogni donna con una sua propria, precisa, inconfondibile ed immutabile identità, che resta immutata e immutabile nel tempo fino all’eternità. Se però nello stato edenico l’individuazione e il riconoscimento di questa identità non faceva alcuna difficoltà, nello stato presente di natura decaduta, questo discernimento diventa difficile, e richiede una speciale capacità intuitiva o introspettiva, che la fenomenologia husserliana chiama Einfühlung [1], parola che in italiano si traduce con “empatia” o “entropatia”. Nella gnoseologia del Beato Duns Scoto si ammette similmente la possibilità di cogliere la haecceitas di quella data singola persona.

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È chiaro che ben pochi possono valersi di simili metodi filosofici, mentre invece la vocazione al matrimonio è la vocazione della stragrande maggioranza della popolazione. Si deve dunque ammettere un metodo più semplice, che consenta a due giovani che si piacciono, di poter capire se sono fatti per unirsi in matrimonio. Per sapere questo, bisogna che entrambi si accorgano della suddetta reciprocità, ossia devono capire oggettivamente e gustare nell’intimo l’identità sostanziale l’uno dell’altro, il valore della sua persona, le doti del carattere, senza ignorare i difetti, andando al di là delle apparenze, oltre agli aspetti caduchi, superficiali e quelle che possono o potranno essere evenienze accidentali, per cogliere la sostanza della sua personalità. È questa la base sulla quale fondare un patto e stringere un vincolo indissolubile.

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Circa questa questione dell’identità immutabile della persona, da più di tre secoli, abbiamo a che fare con l’obiezione, che viene dall’empirismo inglese, soprattutto da Locke, seguìto poi da Hume, il quale, esagerando la parte dell’esperienza nella conoscenza umana, e trascurando di coltivare l’attività intellettuale, perde di vista questo nucleo sostanziale immutabile della persona, che sta a fondamento e ragion d’essere di ogni forma di contratto o pattuizione umana, che si intendono stabiliti per sempre.

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In queste visioni della realtà e quindi anche della persona umana non si danno verità definitive e assolutamente certe, ma ogni teoria o legge può sempre esser cambiata al sorgere di nuove esperienze. Le mutazioni accidentali invadono tutto il campo della conoscenza, per cui una cosa o una persona non viene definita con la pretesa di coglierne l’identità, l’essenza, la sostanza, o la haecceitas, come se essa si trovasse nascosta dietro gli accidenti o i fenomeni sensibili.

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La sostanza, secondo gli empiristi, non è altro che la collezione unitaria degli accidenti, che non rimandano ad altro che a se stessi, gli uni agli altri, in modo reciproco. La persona è come una nuvola del cielo o una goccia d’acqua o una fiamma: non c’è da distinguere una sostanza immutabile da accidenti mutevoli, ma tutto muta ed evolve, anche se la nuvola o la goccia o la fiamma può essere la stessa. Da ciò si capisce bene che, con questa concezione della persona, qualunque promessa vien fatta o qualunque impegno vien preso, e qui ovviamente cade la promessa di fedeltà coniugale, tutto ciò implica sempre la riserva di mantenere i patti, finché non capiterà qualcosa di previsto o imprevisto, che motivi il loro scioglimento o annullamento.

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Viceversa, una volta che i due si accorgono di esser fatti l’uno per l’altro, in vista della fondazione di una famiglia, sorge spontanea nel loro cuore la volontà di stare assieme per tutta la vita, appunto con l’intento di realizzare questo proposito [2]. Questa volontà fonda e condiziona la verità o validità del patto o vincolo coniugale, dà per cui, se ci si sposa per motivi diversi o contrari a questa volontà, che fonda, giustifica, garantisce e costituisce l’essenza del patto matrimoniale, tale patto non esiste, è invalido, è nullo. Similmente, sarebbe nulla un’ordinazione sacerdotale basata su di un concetto falso del sacerdozio, come è per esempio quello di Rahner.

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La nullità del matrimonio quasi sempre emerge in modo drammatico dopo un certo tempo, più o meno lungo, possono passare anche anni ed esserci di mezzo dei figli, anche se ci è sposati in chiesa, e si è trattato di un matrimonio celebrato con grande solennità: tappeto rosso dall’ingresso della chiesa fino all’altare riccamente addobbato, mazzi di fiori esotici, lungo tutti i banchi della chiesa, fotografi e cine-operatori, folla entusiasta e commossa di gente della buona società, abbondante offerta al parroco. Eppure si è trattato di una semplice messa in scena. Nonostante la solenne Messa cantata e solenne benedizione, la grazia può esser scesa, ma non certo la grazia del matrimonio, dato che mancava la materia adatta. Il povero parroco, attorniato da concelebranti, si è preso, come dicono i romani, una bella buggeratura [o detta in romanesco: s’è pijato ‘na sola].

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Non è escluso che la coppia, accortasi della nullità del matrimonio, riesca, tutto sommato, ad andare avanti, soprattutto per amore dei figli. È bene che lo faccia. Ben altra cosa invece è il divorzio. Esso è una grave disobbedienza alla volontà di Dio, volontà che resta intatta e immutata, benché disattesa dai due. In tal senso il matrimonio è indissolubile. I due possono essere infedeli, ma Dio resta fedele e dà ad essi modo di pentirsi e di tornare assieme. Il divorzio è dunque il dividere ciò che Dio ha unito e che vuole che sia unito. Il divorzio è peccato grave contro la giustizia e la carità in chi, uno dei due o entrambi, pur avendo contratto un matrimonio valido, è infedele al patto sacro celebrato davanti a Dio e alla Chiesa. Certo, se i due regolarmente sposati, non ce la fanno più a vivere assieme, è bene che si separino. Tuttavia, resta valido il vincolo davanti a Dio e alla Chiesa, e non possono contrarre nuove nozze. Viceversa, se due si piacciono, non è questo un motivo sufficiente per andare a vivere assieme, soprattutto se sono legati a un matrimonio valido precedente. È possibile che questo sia nullo e che adesso abbiano incontrato il vero amore. Ma per mettersi in regola davanti a Dio, alla Chiesa e alla loro coscienza di cattolici, devono prima ottenere la dichiarazione di nullità, e poi potranno contrarre nuove nozze benedette da Dio.

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Quanto ai matrimoni misti, bisogna fare attenzione. Ci sono casi, per esempio, di unioni fra un cristiano e un musulmano, che non danno preoccupazioni. Si sta però verificando in altri casi, sembra più numerosi, che la parte musulmana vuol costringere quella cristiana a farsi musulmana. In questo caso, se la parte cristiana avverte che è messa in pericolo la sua fede, può ritenersi sciolta dal vincolo coniugale. Questoi caso fu già contemplato da San Paolo [cf. I Cor 7, 12-15], e perciò si  chiama “privilegio paolino” ed è stato recepito nel Diritto Canonico [Can.1143, §1].

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La Chiesa dunque distingue quattro casi, nei quali i due possono lasciarsi: tre leciti e doverosi e uno illecito. Casi nei quali devono lasciarsi: 

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1. Concubinaggio (convivenza more uxorio tra due non sposati); 

2. privilegio paolino; 

3. matrimonio nullo. Caso a parte, che sarebbe il quarto, è invece il caso del divorzio.

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Occorre fare attenzione a non confondere: annullamento, scioglimento e divorzio. Annullamento o dichiarazione di nullità è la sentenza del tribunale ecclesiastico, che dichiara che un vero vincolo non c’è mai stato, nonostante la pregressa convivenza e l’eventuale presenza di figli. Lo scioglimento è l’effetto della misericordia divina, la quale vuol proteggere il fedele o la fedele, benché il vincolo fosse valido. Il divorzio invece è la rottura di un vincolo valido. Stando così le cose, nel matrimonio valido e vero, i due si promettono reciprocamente di esser fedeli per tutta la vita a questo patto d’amore, che è il patto coniugale, in forza del quale essi diventano marito e moglie. Nel momento di questa decisione, Dio li unisce per sempre e li benedice con la sua grazia. Essi si uniscono coscientemente, volontariamente e liberamente. Ma questo stesso atto della loro volontà è adempimento della volontà di Dio, Che li ha voluti unire dall’eternità e per l’eternità ha progettato il loro matrimonio.  Purtroppo oggi, con la mentalità storicista ed evoluzionista che si è insinuata anche in ambienti cattolici, pochi riflettono sulla grandezza di questo amore, chiamato ad essere un amore eterno e addirittura, come sacramento, un amore salvifico, una via di salvezza.

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Molti ironizzano su ciò e lo credono una bella utopia, se non un inganno, guardando allo spettacolo desolante di tante separazioni, di tanti tradimenti, di tante delusioni, di tanti divorzi, di tanti amori estinti, di tante unioni fallite, di tante famiglie distrutte. Ma anche superato questo ostacolo e confutato l’empirismo, col mostrare come l’intelletto non possa fare a meno dell’idea di sostanza [3], sorgono altri problemi. Infatti, ancora tutto questo non è sufficiente per guardare con sicurezza e serenità al futuro, senza temere delusioni o brutte sorprese, per il fatto che, anche ammessa la possibilità di cogliere l’essenza dell’altro, l’indissolubilità del matrimonio non è la semplice fedeltà ad un dato fisso ed immutabile, quale può essere l’essenza della mia persona e di quella dell’altro, ma la fedeltà all’impegno quotidiano di entrambi, che si suppone continuativo, coerente e perseverate nel tempo per tutta la vita.

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Ora, sappiamo tutti quanti mutamenti avvengono nella nostra condotta. Come ci si può impegnare per tutta la vita con una persona che magari adesso è buona, ma poi diventa cattiva? E se mi tradirà? E se mi avesse nascosto certe cose cattive? E se avesse avuto un cattivo passato che può tornare? Domande angosciose, quando si ama una persona.

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La terza delle condizioni, proprie della natura decaduta, è la concupiscenza, ossia il fatto che il desiderio o impulso sessuale non è più conseguenza dell’amore e incentivo all’amore, non è più donazione di sé e disponibilità all’altro, non è più un far gioire l’altro e un gioire per il dono che l’altro fa di sé, ma è in gioventù brama incontrollata e godimento e sfruttamento egoistico dell’altro, mentre nell’anzianità e nella malattia il desiderio si illanguidisce nella frigidità e addirittura nella ripugnanza. Nella gioventù dev’essere frenato; nell’anzianità dev’essere potenziato.

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San Paolo, con la sua famosa teoria del matrimonio come remedium concupiscentiae [cf. I Cor 7,9] ha evidentemente sott’occhio solo i bollori della gioventù e non la debolezza dell’anzianità. Si ha l’impressione che egli non consideri cosa buona l’atto sessuale, per cui diventa scusabile e tollerabile nel matrimonio: «è cosa buona per loro rimanere come sono io; ma se non possono vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere» [vv.8-9]. Ma tutto ciò sembra sottendere in Paolo una dissociazione per non dire una contrapposizione fra amore ed unione sessuale. Purtroppo non ci si è accorti per molti secoli che qui Paolo non riflette autenticamente la visione del Genesi e neanche quella evangelica, dove l’essere “una sola carne” è visto come qualcosa di buono, sia in se stesso [Gen 2], sia in rapporto alla procreazione [Gen 1].

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Soltanto nel secolo scorso il Concilio Vaticano II, nella Costituzione Pastorale Gaudium et Spes, ha soppresso questo dualismo insegnando invece il nesso tra l’amore coniugale e l’unione sessuale con queste parole: “Questo amore è espresso e reso perfetto in maniera tutta particolare dall’esercizio degli atti, che sono propri del matrimonio; ne consegue che gli atti coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità, sono onorevoli e degni e, compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione, che essi significano ed arricchiscono vicendevolmente in gioiosa gratitudine gli sposi stessi” [n.49].

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Il Beato Paolo VI ha ripreso questo insegnamento nell’enciclica Humanae vitae [n.11], e San Giovanni Paolo II lo ha ulteriormente sviluppato, come ricorda l’attuale Pontefice nell’Esortazione Amoris laetitia, quando afferma che «nelle sue catechesi sulla teologia del corpo umano, San Giovanni Paolo II ha insegnato che la corporeità sessuata è “non soltanto sorgente di fecondità e di procreazione”, ma possiede “la capacità di esprimere l’amore: quell’amore appunto, nel quale l’uomo-persona diventa dono”» [n.152].

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Se l’uomo non riesce a dominare l’istinto sessuale prima o fuori o dopo il matrimonio, non ci riuscirà neanche nel matrimonio. Il rimedio alla concupiscenza non è il matrimonio, ma è l’educazione all’autocontrollo. Se si cerca il matrimonio per soddisfare la concupiscenza, si resta schiavi dell’istinto, si scarseggia nella lucidità mentale, nella forza della volontà e nel senso di responsabilità, che sono necessari per mantenere la fedeltà coniugale e si mette in pericolo la tenuta del vincolo matrimoniale. Oppure, non ci si accontenta della propria moglie, ma si cercano altre occasioni per soddisfarsi, soprattutto quando l’avvenenza della sposa sfiorisce con l’avanzare dell’età. L’atto sessuale nel matrimonio dev’essere libero atto d’amore e non lo sfogo di una passione, che non si riesce a trattenere. Questo è il modo giusto per conservare la fedeltà. Ma l’indissolubilità del matrimonio si giustifica anche col fatto che l’educazione della prole richiede una presenza premurosa dei genitori, che non ha mai termine, e risulta normalmente dalla collaborazione reciproca dei genitori. Si sa come il pensare ai figli è un forte incentivo alla fedeltà coniugale. Inoltre, l’anzianità vissuta assieme nel reciproco aiuto è anch’essa un poderoso fattore di fedeltà ad un unico amore.

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A questo punto allora vediamo come una fedeltà coniugale seriamente pensata e veramente vissuta non può prescindere da un rapporto con Dio. Per questo, presso tutti i popoli, il rito del matrimonio è sempre un rito sacro. Dovevamo arrivare alla nostra società secolarizzata, per ridurre il rito del matrimonio o il contratto matrimoniale ad una profana cerimonia in Comune, come se si trattasse di stipulare un contratto d’affitto o di registrare un passaggio di proprietà. Ma purtroppo vediamo come spesso anche i matrimoni religiosi entrano in crisi. Si stanno moltiplicando i matrimoni nulli.

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La crisi dei matrimoni dipende, fondamentalmente, a mio giudizio, da una crisi della fede tra i credenti. Non si avverte più l’importanza, l’altezza e l’arduità dei valori e degli elementi che ho esposto sopra. Si considera il matrimonio non come una realtà trascendente, che dipende sì da noi, ma soprattutto dalla grazia divina. Si vede il matrimonio come un qualunque contratto terreno, in potere delle nostre decisioni, come pensò erroneamente Lutero, quando negò la sacramentalità del matrimonio.

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Se si medita seriamente sul valore dell’indissolubilità del matrimonio, come ho cercato di proporre in questo articolo, ci si accorge subito che non è possibile affrontare l’impresa senza affidarsi a Dio e contare sulla sua grazia.

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Un fenomeno che oggi fa riflettere è quello di quei divorziati risposati, che vorrebbero fare la Comunione e, stando anche all’Esortazione Amoris laetitia, non ne hanno il permesso. Alcuni vorrebbero confessarsi. Vien fatto di chiedersi: ma nella condizione irregolare e scandalosa, nella quale si trovano, cosa li spinge a desiderare i sacramenti? Possono essere pentiti o almeno uno dei due, ma non aver modo di interrompere la loro relazione. E d’altra parte, è possibile che non ce la facciano a vivere come fratello e sorella. Il Santo Padre ha detto che possono essere in grazia. Dunque non si sono dimenticati di Dio e della Chiesa. E Dio e la Chiesa non si sono dimenticato di loro.

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Varazze, 4 maggio 2016

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NOTE

[1] Vedi lo studio di Edth Stein, Il problema dell’empatia, pp. 157-158, Edizioni Studium, Roma, 1985.

[2] Parlando del matrimonio tra San Giuseppe e la Madonna, San Tommaso dà questa notevole definizione: «la forma del matrimonio consiste in una certa indivisibile congiunzione degli animi, per la quale i coniugi sono tenuti a mantenersi indivisibilmente fedeli l’uno all’altro», Summa Theologiae, III, q.29, a.2.

[3] Cf M. D.Philippe, Essai de Philosophie – L’etre – Recherche d’une philosophie première – I, Téqui, Paris 1972, chap.III; T.Tyn, Metafisica della sostanza. Partecipazione e analogia entis, a cura di G. Cavalcoli, Edizioni Fede&Cultura, Verona, 2009.

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3 commenti
  1. andre@ dice:

    Il commento dell’utente Matteo e’ grossolano e non caritatevole.
    Padre Cavalcoli, in un suo articolo del 1980 intitolato “La condizione della sessualita’ umana nella resurrezione secondo S. Tommaso”, reperibile qui (http://www.arpato.org/testi/studi/Cavalcoli_n92-1980.pdf ) ha affrontato il problema in maniera dettagliata e approfondita. By the way, il sito che ho segnalato e’ una autentica miniera di “oro teologico”. Poi vedra’ il diretto interessato se c’e’ il tempo e la voglia per rispondere alle “cortesi e pertinenti” osservazioni del cafonesco Matteo (che, se invece di sbraitare, avesse consultato lo zio Google avrebbe fatto meglio).
    Lasciando passare questo e altri simili interventi, i moderatori dell’Isola di Patmos danno a padre Giovanni e a noi tutti una splendida occasione per mettere in atto la sesta opera di misericordia spirituale… che dire, troppa grazia..!

  2. matteo dice:

    “Purtroppo non ci si è accorti per molti secoli che qui Paolo non riflette autenticamente la visione del Genesi e neanche quella evangelica”.

    Ecco, ci voleva Giovanni Cavalcoli per dire che S. Paolo, l’Apostolo delle genti, il più grande missionario ed evangelizzatore della storia della Chiesa “non riflette autenticamente la visione del Genesi e neanche quella evangelica”.
    E allora chi, di grazia, la riflette autenticamente?
    Chi, dopo 2000 anni, si è accorto che S. Paolo non era ispirato dallo Spirito Santo ma dalla foia quando scrisse le sue epistole?
    Ma Giovanni Cavalcoli, ovviamente! Più dotto di S. Girolamo, più profondo di S. Agostino, più arguto più di S. Tommaso, più sottile di S. Bonaventura. Più ispirato dello Spirito.
    Ecco, ho una proposta.
    Propongo di modificare una rubrica del messale secondo il rito romano della Santa Messa. Quando si darà lettura di 1Cor 7,9, anziché “Parola di Dio”, si dirà “Qui Paolo non riflette autenticamente la visione del Genesi e neanche quella evangelica” oppure “Parola della foia”. Al che i fedeli risponderanno con giubilo “Rendiamo grazie a Cavalcoli!”.

    • Padre Ariel
      Redazione dell'Isola di Patmos dice:

      «Ma Giovanni Cavalcoli, ovviamente! Più dotto di S. Girolamo, più profondo di S. Agostino, più arguto più di S. Tommaso, più sottile di S. Bonaventura. Più ispirato dello Spirito».

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      … sicuramente più colto e più intelligente di lei lo è.
      In questo momento è fuori sede per delle predicazioni, quando rientrerà, se ha tempo e voglia, le risponderà sicuramente.

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