La Carità lava e rende puliti anche i soldi sporchi, ce lo insegnano nella storia della Chiesa proprio i grandi Santi della Carità

LA CARITÀ LAVA E RENDE PULITI ANCHE I SOLDI SPORCHI, CE LO INSEGNANO NELLA STORIA DELLA CHIESA PROPRIO I GRANDI SANTI DELLA CARITÀ

Certi vescovi di Migrantopoli e Pauperopoli sembra che vogliano presentarsi oggi più puri e immacolati della Beata Vergine Maria, pur di piacere al mondo e compiacerlo. Sino a non capire che la carità «tutto copre» e «tutto trasforma», cosa che però non possono cogliere e capire, se come loro Presidente si ritrovano un soggetto che afferma: «il Vangelo non è un distillato di verità».

— Attualità ecclesiale —

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Quando il Beato Apostolo Paolo compose la lode alla carità parlò anche ai giorni nostri. Questa è la caratteristica della Parola di Dio: un linguaggio eterno che comunica agli uomini di tutti i tempi e che nel corso dei secoli svela messaggi nuovi racchiusi in quelle stesse parole.

Le Sacre Scritture hanno uno stile e un linguaggio apocalittico nel senso etimologico del termine. Benché nel linguaggio corrente parlato il termine apocalisse, dal greco ἀποκάλυψις, sia erroneamente usato per indicare un evento catastrofico o la fine del mondo, il suo vero significato è “disvelare”, “togliere il velo che copre”, quindi scoprire. Tra il termine apocalisse e il termine epifania, derivante dal greco ἐπιφαίνω, che significa “mi rendo manifesto”, c’è uno stretto legame. L’epifania intesa come manifestazione della divinità è un continuo “disvelare” dei contenuti racchiusi sulle righe, dentro le righe e oltre le righe stesse delle Sacre Scritture che racchiudono la Parola di Dio.  

Nel brano in questione, anche noto come Inno alla Carità, il Beato Apostolo Paolo esprime:

«La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine. […] Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!» (I Cor 1, 1-13)

Confrontiamo questo brano paolino, facile e comprensibile solo all’apparenza, con un recente fatto di cronaca ecclesiale:

«”L’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma ha fatto bene a rifiutare la ricca donazione della società Leonardo” perché “è denaro sporco, sporco di armi, sporco di sangue, sporco di guerra”. Mons. Giovanni Ricchiuti presidente nazionale di Pax Christi e vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, prende una posizione più che netta dopo che La Repubblica ha scritto che sarebbe stato rifiutato un milione e mezzo di euro. “Finalmente” dice “Siamo in linea con una Chiesa che veramente si libera di questi condizionamenti, di queste elargizioni che vengono, come nel caso, da una industria che produce armi. Ha fatto bene il Vaticano a rifiutare questa offerta. Lo dico come vescovo: è una Chiesa che ama la verità”» (cfr. QUI e QUI).

Anzitutto una domanda. Dopo che il Presidente di Pax Christi ha annunciato che la nostra attuale «è una Chiesa che ama la verità», si renderebbe necessario chiarire due cose fondamentali. La prima: in precedenza, la Chiesa, per duemila anni quale verità amava, ammesso che la amasse? La seconda: che cos’è la verità?

Recentemente, il Presidente dei Vescovi d’Italia, nel totale silenzio del nostro episcopato nazionale ha affermato che «il Vangelo non è un distillato di verità» (cfr. QUI). Perlomeno, Ponzio Pilato, a suo tempo non fece una affermazione come quella del Presidente dei Vescovi d’Italia, in modo molto più elegante rivolse al Cristo una domanda: «Quid est veritas?», Cos’è la verità (cfr. Gv 18,38).

Non è facile parlare di verità nella odierna Chiesa emozionale di Migrantopoli e Pauperopoli. Proviamo allora a rifarci a quel San Tommaso d’Aquino che nei salotti dei sempre più ignoranti clericali radical chic è variamente indicato come «vecchio» e «superato». Per il Doctor Angelicus o Doctor Communis La verità è Dio stesso ipsa summa et prima veritas (Summa theologiae, I q. 16 a. 5 c). La verità non si disvela mai pienamente, per questo motivo «verità ed opinione errata, verità e menzogna nel mondo sono continuamente mescolate in modo quasi inestricabile […] diventa riconoscibile, se Dio diventa riconoscibile. Egli diventa riconoscibile in Gesù Cristo. In lui Dio è entrato nel mondo, ed ha innalzato il criterio della verità in mezzo alla storia» (Joseph Ratzinger, in Gesù di Nazareth, la domanda di Pilato, pagg. 216-218).

Per volontà del suo divino fondatore la Chiesa di Cristo non è nata per piacere al mondo e compiacerlo, ma per combatterlo:

«Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia» (Gv 15, 18-19).

Se alla verità si sovrappongono opinioni errate che prendono vita da elementi emozionali soggettivi o collettivi, essa rimane completamente occultata nella emotiva Chiesa di Migrantopoli e Pauperopoli, dove non si esita ad affermare che «il Vangelo non è un distillato di verità», il tutto nel silenzio dell’intero l’episcopato italiano.

Rifiutando quella donazione si è cercato ancóra una volta di compiacere il mondo, in particolare quello composto da persone che lungi dall’andare alla Santa Messa per Pasqua e per Natale, non sanno farsi neppure il segno della croce. Questo il mondo al quale questa nostra Chiesa visibile dal sapore sempre più esotico desidera piacere a tutti i costi, dimenticando la propria storia, a partire da quella dei grandi Santi della carità.

Partiamo dai Gesuiti, ai quali nel momento storico presente è giusto conferire un meritato diritto di priorità: gli istituti faraonici costruiti in giro per il mondo, rasenti non di rado la megalomania, assieme alle chiese adiacenti i loro collegi, che in molte occasioni hanno fatto tanto irritare i vescovi diocesani, perché costruite volutamente più grandi, ricche e solenni delle loro chiese cattedrali, con i soldi e i contributi di chi furono costruiti? Perché gli spagnoli e i portoghesi che offrirono loro ampi finanziamenti erano gli stessi che gestivano il mercato della tratta degli schiavi o che all’occorrenza amministravano la giustizia in modo disinvolto, vale a dire: prima ti tagliavano la testa o t’impiccavano, poi eventualmente valutavano se avevi fatto veramente qualche cosa di sbagliato. I gesuiti odierni, che di Migrantopoli e Pauperopoli sono il motore ideologico propulsore, un minimo di memoria storia non ce l’hanno proprio?

Ai grandi Santi della Carità e ai grandi pedagoghi ai quali dobbiamo la fondazione di preziosi istituti assistenziali per orfani, anziani abbandonati, per l’istruzione dei fanciulli poveri e per l’accoglienza e la cura dei disabili, da San Filippo Neri sino a San Giovanni Bosco, passando per San Vincenzo de’ Paoli e giungendo ai più recenti San Giuseppe Benedetto Cottolengo, San Giovanni Calabria e San Luigi Orione, chi fornì i necessari fondi di danaro per la realizzazione delle loro opere? Quando nel 1980 fu beatificato Luigi Orione, poco dopo si levarono varie proteste da parte di circoli di persone che non conoscevano neppure le prime sei parole del Padre Nostro, inclusa la patetica protesta dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani Italiani) che lo accusò di essere stato un sostenitore del regime fascista grazie al quale ebbe fondi per la realizzazione delle sue opere; protesta che fu poi ripetuta nel 2004, quando il Beato Luigi Orione fu canonizzato.

Le grandi opere di questi Santi della carità sono tutt’oggi attive, alcune delle quali costituiscono centri clinici e di assistenza considerati di vera eccellenza a livello europeo: l’opera torinese di San Giovanni Benedetto Cottolengo, le enormi opere assistenziali di Genova di San Luigi Orione, l’Ospedale Sacro Cuore di Verona di San Giovanni Calabria … qualcuno, si è mai domandato da dove e da chi provenissero i soldi? Più che altro viene da chiedersi se oggi, specie a fronte di certe assurde proteste, la Chiesa visibile avrebbe avuto il coraggio di beatificarli e canonizzarli, o se invece avrebbe ceduto a gruppi di persone che non conoscono neppure le prime sei parole del Padre Nostro ma che pretendono pur malgrado di dettarci legge, con le nostre Autorità Ecclesiastiche che piegano il capo e cedono a capricci politici e ideologici da parte di ambienti non cattolici e non cristiani. A tal proposito rimando alle mie opere Erbe Amare e Pio XII e la Shoah nelle quali spiego le influenze esterne esercitate da certi agguerriti gruppi che tentarono con ogni mezzo sleale, sino a ricorrere alla fabbricazione di veri e proprio falsi storici, di bloccare la causa di beatificazione di Pio XII e la cerimonia della beatificazione di Padre Leon Dehon per la quale era già stata fissata la data al 24 aprile 2005 in Piazza San Pietro, ma che fu annullata per improbabili accuse di antisemitismo a lui mosse da alcuni circoli ebraici. Posto che mai e in alcun caso la Chiesa può prendere ordini dal moderno Gran Sinedrio e accettare le sue proteste, la domanda da porsi era la seguente: ammesso che il Padre Leon Dehon abbia scritto alcune frasi critiche sugli imprenditori ebrei — che andavano di rigore lette e contestualizzate storicamente nell’ambito della Rivoluzione industriale —, posto che il suo processo di beatificazione durò quasi mezzo secolo, perché certi circoli ebraici attesero pazienti fino a cerimonia di beatificazione fissata per dare vita a quella pubblica polemica sulla stampa mondiale? Semplice: anche se quegli scritti li conoscevano da sempre, dovevano dimostrare, con una vera e propria prova di forza, che loro erano in grado di dare ordini alla Chiesa e indurla a retrocedere non solo da una decisione presa, ma addirittura da una cerimonia di beatificazione ormai già ufficializzata e fissata. Questo era il vero scopo, che fu ampiamente ottenuto per la prepotenza loro e la debolezza nostra. Il problema non era la beatificazione in sé e di per sé di Padre Leon Dehon, la Chiesa può beatificare chi vuole e non deve mai accettare a tal fine proteste, dato che gli ebrei non hanno alcun genere di obbligo a venerare i nostri Beati e Santi nelle loro sinagoghe, proprio come certe frange del sionismo politico, nato e sviluppatosi dal seno dell’Ebraismo, non accettano critiche rivolte all’Esercito Israeliano quando rade al suolo interi centri abitati sulla Striscia di Gaza, salvo gridare come prefiche all’antisemita verso chiunque osi dissentire verso azioni che non costituiscono legittima difesa ma veri e propri crimini contro l’umanità.

Questi grandi Santi della Carità non hanno esitato ad accettare soldi provenienti dai patrimoni di soggetti noti e conosciuti per la loro immoralità e per il modo alquanto disinvolto col quale portavano avanti i propri affari senza farsi troppi scrupoli. Li boni gesuiti che furono, la cui rigida morale era ben nota e che per lungo tempo hanno tentato di trasformare gli adolescenti in preda a crisi ormonali in un casto esercito di San Luigi Gonzaga, non si sono mai fatti particolari scrupoli nell’accettare cospicui donativi da parte dei più grandi puttanieri e fedifraghi delle corti spagnole. Puri e casti dovevano essere solo gli adolescenti, ai quali si imponeva nei loro collegi, sino a tempi tutt’altro che remoti, di dormire con le mani fuori dalle lenzuola del letto onde evitare il rischio di commettere “abominevoli atti impuri”, mentre al tempo stesso, sotto le lenzuola di coloro ai quali dovevano grandi elargizioni di danaro per la costruzione delle loro strutture faraoniche, si poteva fare invece di tutto e di più, in atti impuri veramente abominevoli.

Il grande problema ― posto che «il Vangelo non è un distillato di verità» ― è dato dalla incapacità di leggere le parole del Beato Apostolo Paolo sulla carità, per esempio l’affermazione che essa «tutto copre». Se le sue parole fossero lette e comprese nella loro profondità, si giungerebbe a comprendere che per la realizzazione di opere di carità si dovrebbe accettare non solo il danaro delle aziende che fabbricano armi, ma persino i soldi donati dai narcotrafficanti messicani. Perché se quei soldi sporchi sono interamente usati per opere di carità a favore di poveri, deboli, oppressi, disabili e ammalati, diverranno comunque puliti, perché la carità «tutto copre», o se preferiamo: «tutto trasforma», perché solo la divina carità, che è Cristo, può mutare il male in bene, quindi i soldi sporchi in soldi puliti. In caso contrario potrebbe subentrare un problema teologico di non poco conto: negare che la grazia di Dio possa mutare il male in bene. Come però risaputo, una delle cose che di questi tempi va meno di moda nella Chiesa dell’emozionale e del politicamente corretto è proprio la teologia.

Certi vescovi di Migrantopoli e Pauperopoli sembra che vogliano presentarsi oggi più puri e immacolati della Beata Vergine Maria, pur di piacere al mondo e compiacerlo. Sino a non capire che la carità «tutto copre» e «tutto trasforma», cosa che però non possono cogliere e capire, se come loro Presidente si ritrovano un soggetto che afferma: «il Vangelo non è un distillato di verità».

dall’Isola di Patmos, 23 gennaio 2024

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4 commenti
  1. Mario Voltaggio
    Mario Voltaggio dice:

    Conosco il contesto del passo di Isaia. Lo meditavo in piazza del Plebescito a Napoli dove 600 anni fa San Francesco di Paola rifiuto’ l’elemosina del Re di Napoli. Forse, dico forse, aveva presente questo testo.

    • Padre Ariel
      Padre Ariel dice:

      Ripeto: c’è un esercito di Santi e Sante della carità che hanno accettato donazioni per le loro opere da persone poco oneste che portavano avanti i loro affari in modo disinvolto e che vivevano vite altamente immorali. Non è una mia ipotesi, è un fatto storicamente provato.
      Questo è spiegato nel mio articolo, con estrema precisione, ma lei seguita imperterrito a fingere che il tutto non sia stato spiegato.
      Si chiama: prevenzione ideologica.

    • Padre Ariel
      Padre Ariel dice:

      Il frammento al quale lei si riferisce è questo:

      «Chi cammina nella giustizia e parla con lealtà,
      chi rigetta un guadagno frutto di angherie,
      scuote le mani per non accettare regali,
      si tura gli orecchi per non udire fatti di sangue
      e chiude gli occhi per non vedere il male […]»

      Ma è appunto un frammento isolato dal contesto. La cosa peggiore che si possa fare è prendere un frammento della letterature vetero e novo testamentaria per cercare di fargli dire quel che non dice.
      Se così funzionassero le cose, secoli e secoli di esegesi, molte delle quali opera dei grandi Santi Padri e dottori della Chiesa andrebbero letteralmente in fumo.
      E’ quello che noi teologi chiamiamo “effetto-Lutero”, che pensò di poter dare una Bibbia, da lui personalmente mal tradotta, in mano a tutti, affinché tutti la potessero interpretare, nella migliore delle ipotesi fraintendendo il testo.

      Il frammento da lei citato si colloca in una complessa esposizione del Santo Profeta Isaia che non dice propriamente quello che forse lei intende, perché inserita in un complesso racconto di carattere sia bellico che politico e socio-politico. Basterebbe leggere tutto quanto il brano.

      In altre parole: sarebbe come citare Gesù che dice alla pubblica peccatrice salvata dalla lapidazione «neppure io ti condanno», però omettendo di dire che la frase si conclude con il monito «e adesso vai e e non peccare più».

      Una mezza citazione de-contestualizzata, nella migliore delle ipotesi, stravolge completamente un testo.

I commenti sono chiusi.