In un mondo che fugge la realtà della malattia, della disabilità, della vecchiaia e della morte, urge l’impegno dei cattolici nel mondo della salute per un nuovo umanesimo

– pastorale sanitaria –

IN UN MONDO CHE FUGGE LA REALTÀ DELLA MALATTIA, DELLA DISABILITÀ, DELLA VECCHIAIA E DELLA MORTE, URGE L’IMPEGNO DEI CATTOLICI NEL MONDO DELLA SALUTE PER UN NUOVO UMANESIMO

Praticando l’assistenza al malato, io vengo reso partecipe delle sofferenze di Cristo nella carne dell’infermo, del disabile o del malato terminale, questo mi conduce a operare salvezza solo quando saprò farmi strumento di cura consegnandomi nelle mani di Dio. La Chiesa, che si diversifica in base a ruoli, ministeri e carismi, ha la possibilità di essere strumento di cura e sollievo in tanti settori della vita che richiedono un risanamento. Nel mondo della sanità in particolare […]

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Autore
Ivano Liguori, Ofm. Capp.

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Uno dei fiori all’occhiello della Chiesa nei secoli passati è rappresentato dall’assistenza dei malati, degli indigenti e dei disabili. Fiore che costituisce in sé una vera e propria pro-vocazione. All’epoca, l’unica speranza reale per avere un pasto caldo, un letto pulito o cure dignitose veniva dalla comunità cristiana. E si noti: non solo ieri. Sebbene oggi facciano più notizia i preti affetti da gravi disordini morali legati soprattutto alla sfera sessuale.

È stato il Medioevo cristiano a dare un fondamento etico alla hospitalitas. Nome conosciuto sì dagli antichi, però solo come attitudine od opzione individuale e obbligo giuridico nei confronti dell’ospite, si affermava nella bassa latinità come comandamento condiviso, come servizio reso al bisognoso e al sofferente nell’ambito di un cristianesimo che si proclamava religione dei poveri» [cf. G. Cosmacini, L’arte lunga. Storia della medicina dall’antichità a oggi, Laterza Bari, 2009, pp. 11-118].

L’epoca della cosiddetta Contro-riforma e l’onda lunga del Concilio di Trento rispondono generosamente all’azione dello Spirito Santo non solo con la confutazione delle tesi luterane, ma anche generando un nuovo vigore all’interno della Chiesa davanti alle innumerevoli emergenze che vedevano nei poveri e nei malati i soggetti privilegiati di una risposta ecclesiale capace di annunciare la salute e la salvezza. Assistiamo così alla nascita di nuove congregazioni religiose e associazioni che hanno impiegato il loro carisma per l’affrancamento dell’uomo da diverse forme di povertà e di infermità. Inoltre è storicamente dimostrato l’impegno profuso dalla Chiesa Cattolica «nell’età moderna, nei secoli delle grandi carestie e delle nuove malattie infettive come vaiolo e colera. Istituzioni cattoliche furono attivamente presenti nella cura e nel sollievo delle sofferenze dei malati ma anche nella ricerca, nell’innovazione, nella formazione di una vera e propria scienza medica e nella tecnica chirurgica» [cf. Ospedali, in G. Barra, M.A. Iannaccone, M. Respinti (a cura di) Dizionario Elementare di Apologetic ed. IdA, Milano, 2015 p. 379].

La comune vocazione della Chiesa a prendersi cura del malato, del disabile e del povero ― sulla scorta del Buon Samaritano ― ha generato nei secoli autentici eroi che sono stati una sfida continua e una provocazione quotidiana all’indifferentismo del mondo sempre più secolarizzato e distante da Dio. Purtroppo però, da diverso tempo, stiamo assistendo a una progressiva stringente autonomia del mondo della salute che vuole emanciparsi dalla tutela della Chiesa, col conseguente scivolamento di quei valori etici, antropologici e religiosi che hanno contraddistinto il servizio sanitario – medico ed infermieristico – per tanti secoli. Questo fenomeno avviene nel pregiudizio e nella nullificazione di quei valori fondamentali dell’uomo che manifestano la loro dignità ontologica solo se visti in riferimento alla persona del Creatore. Tale scenario ― ben documentato dai casi di cronaca su suicidio, eutanasia, aborto e fine vita ― conduce a ben precise scelte nichilistiche che mortificano la vita e alimentano la cultura dello scarto all’interno del tessuto sociale. Davanti a queste storture, gli stessi fedeli cristiani rischiano di abituarsi e dimostrare una certa indulgenza a realtà moralmente inaccettabili che si verificano anche nel territorio diocesano e parrocchiale.

Già Giovanni Paolo II esprimeva questa preoccupazione il 30 dicembre 1988, in occasione della festa liturgica della Sacra Famiglia:

«Pensiamo, inoltre, alle molteplici violazioni alle quali viene oggi sottoposta la persona umana. Quando non è riconosciuto e amato nella sua dignità di immagine vivente di Dio [cf. Gen 1, 26], l’essere umano è esposto alle più umilianti e aberranti forme di «strumentalizzazione», che lo rendono miseramente schiavo del più forte. E «il più forte» può assumere i nomi più diversi: ideologia, potere economico, sistemi politici disumani, tecnocrazia scientifica, invadenza dei mass-media. Di nuovo ci troviamo di fronte a moltitudini di persone, nostri fratelli e sorelle, i cui diritti fondamentali sono violati, anche in seguito all’eccessiva tolleranza e persino alla palese ingiustizia di certe leggi civili: il diritto alla vita e all’integrità, il diritto alla casa e al lavoro, il diritto alla famiglia e alla procreazione responsabile, il diritto alla partecipazione alla vita pubblica e politica, il diritto alla libertà di coscienza e di professione di fede religiosa» [cf. Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Christefideles laici, n°5].       

Giocoforza è necessaria una risposta vigorosa e ben chiara da parte della Chiesa che attraverso i suoi membri si attivi con appassionato impegno nei campi della politica, della società e della comunità ecclesiale affinché all’uomo venga restituita l’immagine primitiva che Dio aveva in mente nel crearlo. Quella stessa immagine che Cristo ha elevato e trasfigurato con la sua risurrezione.

Davanti alle molteplici emergenze che toccano la salute totale di ogni individuo non è possibile optare per un comportamento simile ai tanti organismi socio-umanitari che vedono nella lotta e nella rivendicazione politica il miraggio per una sconfitta di povertà, ingiustizia e malattia. Certe ideologie utopistiche del ‘900 si sono dimostrate ampiamente fallimentari e hanno lasciato dietro a sé una maggiore crisi che ha aumentato il tasso di povertà e infermità nel mondo. Solo sotto l’azione dello Spirito Santo e nella docilità del cuore alla grazia che può condurre finanche al martirio, si può costruire una strada per ricondurre l’uomo alla sua originaria bellezza, additando un nuovo concetto di uomo che ha nel Cristo – il Ecce homo – la sua realizzazione più completa e riuscita: «Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, sulle tue labbra è diffusa la grazia, perciò Dio ti ha benedetto per sempre» [cf. Sal 45,3].

Il primo passo per un nuovo umanesimo, inizia dall’accoglienza senza riserve di Cristo nella sua umanità e divinità. È ciò che possiamo vedere realizzato nella vita della Vergine Maria nel momento in cui essa stessa si rende premurosa nel servizio offerto per la gravidanza della cugina Elisabetta in conseguenza dell’annuncio ricevuto dall’angelo. Proprio dalla contemplazione e dall’accettazione del piano di Dio sulla propria persona, Maria diviene la nuova Gerusalemme in cui lo sposo divino prende stabile dimora. Questa stabilità del Verbo di Dio nel grembo della Vergine, si trasforma in azione premurosa verso i bisogni di Elisabetta. Perciò, l’accoglienza del Verbo fatto uomo mi conduce alla contemplazione e conseguentemente all’azione efficacie.

L’umanesimo che ha come centro e fondamento Gesù uomo Dio, non ha paura di fare verità sulle proprie origini e tradizioni e riconoscere con oggettiva schiettezza le fondamenta cristiane di un mondo che ha avuto nel grembo del cristianesimo il suo sviluppo più florido. La stessa assistenza in campo sanitario realizza una sollecitudine missionaria ad agire solo per il bene degli uomini e non per mantenere strutture che, il più delle volte, inseguono il profitto e interessi personali, o di singoli gruppi di potere. Solo se abbiamo uno sguardo sul mondo e sulle cose del mondo alla maniera di Dio, le strutture di peccato si possono convertire in strutture di redenzione.

Proviamo a chiarire il concetto «affinché Cristo nasca in voi». Qualcuno forse ora storcerà il naso, ma è mia convinzione profonda che per praticare l’assistenza al malato è indispensabile uno sguardo sul mistero di Dio, non posso prescindere da questo, in quanto Dio è amore [cf. 1Gv 4,9], e amo seriamente solo nello stile di Dio. Per questo Cristo può solo nascere in coloro che desiderano essere compagni di viaggio nella sofferenza, poiché è l’esempio più concreto e stabile di amore portato fino alla fine [cf. Gv 13,1]. Inoltre, la componente stessa di mistero che la malattia contiene in sé, e che l’uomo non è capace di spiegare con le sue sole forze [cf. Gb 38,2-4; 42,3], può essere illuminata esclusivamente dal mistero di Dio.     

Praticando l’assistenza al malato vengo reso partecipe delle sofferenze di Cristo nella carne dell’infermo, del disabile o del malato terminale, questo mi conduce a operare salvezza solo quando saprò farmi strumento di cura consegnandomi nelle mani di Dio. La Chiesa, che si diversifica in base a ruoli, ministeri e carismi, ha la possibilità di essere strumento di cura e sollievo in tanti settori della vita che richiedono un risanamento. Nel mondo della sanità in particolare, c’è tanto bisogno di avere laici che attraverso il loro sacerdozio battesimale offrano a Dio – nell’altare della quotidianità – il loro lavoro e il loro servizio specializzato per la salvezza di tanti fratelli in vista di una guarigione globale.

Sempre Giovanni Paolo II ci ricorda che:

«anche negli stessi ospedali e case di cura cattolici si fa sempre più numerosa, e talvolta anche totale ed esclusiva, la presenza dei fedeli laici, uomini e donne: proprio loro, medici, infermieri, altri operatori della salute, volontari, sono chiamati ad essere l’immagine viva di Cristo e della sua Chiesa nell’amore verso i malati e i sofferenti» [cf. Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Christefideles laici, n°53].     

Ma è necessario, anzi urgente che, in tutte le strutture sanitarie di questo mondo, i fedeli laici cristiani diventino profeti e testimoni della potenza risanatrice di Cristo risorto.

Paolo VI il 23 marzo 1965 incontrando un gruppo di professionisti della salute ebbe modo di dire:

«Assistere, curare, guarire il dolore umano, assicurare e restituire all’uomo vita sana ed efficiente, quale altra attività può essere per dignità, per utilità, per idealità – dopo, ma a fianco di quella sacerdotale – superiore alla vostra».

Il medico cattolico, l’infermiere cattolico, l’operatore socio sanitario cattolico e via dicendo, non possono che orientare la loro coscienza di professionisti anzitutto al Signore e sapere che a lui dovranno rendere conto di ogni fratello. Così, l’agire in scienza e coscienza, significa proprio che il mio intelletto illuminato dalla grazia divina, guida le mie opere affinché nel paziente che accudisco sia visibilmente espressa la mia responsabilità di uomo e di cristiano. In tal caso la testimonianza di un santo medico, Giuseppe Moscati, ai suoi allievi medici è quanto mai illuminante:

«Ricordatevi che, seguendo la medicina, si assume la responsabilità di una sublime missione. Perseverate, con Dio nel cuore, con gli insegnamenti di vostro padre e di vostra mamma sempre nella memoria, con amore e pietà per i derelitti, con fede e con entusiasmo, sordo alle lodi e alle critiche, tetragono all’invidia, disposto solo al bene».

Il laicato cattolico, che opera nel mondo della sanità, deve chiedere costantemente luce e forza allo Spirito Santo affinché si spezzino le catene della convenienza, dell’utilitarismo, della paura, dei compromessi, dei ricatti, delle discriminazioni, della cultura di morte e dello scarto così spesso presenti dentro i nostri ospedali e luoghi di cura. Giacché a volte, la soggezione timorosa verso il proprio primario o caposala – oggi direttore di struttura e coordinatore – inibiscono la testimonianza di fede e rendono diversi professionisti cattolici della sanità pavidi davanti al potere del mondo. Ricordiamoci sempre di Cristo e delle sue parole: «Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!» [cf. Gv 16,33]. E le tribolazioni ci donano la pazienza [cf. Rm 5,3] e la lungimiranza per sapere che alla fine, il Signore sarà il vincitore e noi con lui.

Voglio citare nuovamente San Giuseppe Moscati che ci sprona sulla via del bene:

«In tutte le vostre opere, mirate al Cielo, e all’eternità della vita e dell’anima, e vi orienterete allora molto diversamente da come vi suggerirebbero pure considerazioni umane, e la vostra attività sarà ispirata al bene».

Il mondo della sanità è il terreno su cui spargere il buon seme della Parola di Vita e gli operai di questa messe sono i tanti fedeli cristiani che con la loro professionalità sono chiamati a bonificare questo campo dalla cattiva erba che cresce vicino al buon grano. L’attività dei laici cristiani nel mondo della salute è a volte più determinante di quella del clero. Essi rappresentano il lievito del bene [cf. Mt 13,33] e il sale che dona sapore [cf. Mt 5,13] in tutti quei contesti e ambiti lavorativi in cui i ministri ordinati ― per diverse ragioni ― non possono arrivare e questo rappresenta un buon motivo che conduce alla speranza per l’evangelizzazione. Infatti «alle numerose sfide presenti nel mondo della salute, la Chiesa risponde anzitutto con un messaggio di gioiosa speranza, fondata sulla certezza della risurrezione di Gesù Cristo e, quindi, dell’amore e della fedeltà sanante e salvatrice di Dio. Di tale speranza vuole rendere ragione [cf. 1Pt 3,15] attraverso un dialogo rispettoso, un confronto onesto e una fattiva collaborazione» [cf. Nota Pastorale Predicate il Vangelo e curate i malati. La comunità cristiana e la pastorale della salute, n°19].

La voce di tanti laici credenti all’interno del mondo della sanità può rappresentare la differenza ai tanti possibili scenari catastrofici in cui il corpo dell’uomo e la sua salute può naufragare quando perde definitivamente il legame con Dio.

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Sanluri, 28 settembre 2023

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