Il sensus fidelium e quegli alabardieri cattolici custodi della vera fede che di fatto sono luterani e modernisti senza sapere di esserlo
— Attualità ecclesiale —
IL SENSUS FIDELIUM E QUEGLI ALABARDIERI CATTOLICI CUSTODI DELLA VERA FEDE CHE DI FATTO SONO LUTERANI E MODERNISTI SENZA NEPPURE SAPERE DI ESSERLO
Le teorie strampalate degli alabardieri cattolici giungono a conclusioni pratiche e pastorali terribili, ma soprattutto finiscono con l’essere, nei concreti fatti e nel loro approccio con la fede, dei perfetti luterani, senza rendersi conto di esserlo, inconsapevoli che molte delle loro ragioni critiche sono le stesse di Martin Lutero. Certi soggetti cadono nel luteranesimo per un verso, nel modernismo per altro verso, salvo sentirsi e credersi gli unici, soli e autentici custodi della vera fede e della autentica traditio catholica.
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Ultimamente sto leggendo diversi proclami teologici in giro per la rete. Un po’ è colpa mia, perché sono un frate cyber predicatore, dunque cyber teologo che naviga nella rete e si imbatte spesso in teorie teologiche alquanto strane. Tendenzialmente lascio correre, perché sono teorie divertenti e le leggo con la finalità di ridere un po’ dopo una giornata di attività di predicazione o di ricerca accademica.
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Di recente alcune teorie bislacche delle “legioni di incompresi unici portatori della vera fede cattolica, apostolica, romana” hanno suscitato dubbi anche nei fedeli laici più devoti ed equilibrati. Perciò ringrazio questi alabardieri unici detentori della fede cattolica, perché mi hanno fornito un assist per fare un breve ripasso di ecclesiologia e di fornire delle genuine riflessioni su un tema che forse è sfuggito un po’ di mano; proprio per questo si può proporre a chi magari lo vuole approfondire per la prima volta. Il tema in questione è il sensus fidelium.
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Con questa accezione latina, traducibile in “il senso dei fedeli”, si intende il sentire di tutti i fedeli, cioè loro fede soggettiva e dunque la loro reazione circa gli argomenti della fede proposta dai vescovi o dal papa o da un concilio che si esprimono nel Magistero. Ora, a detta degli alabardieri della autentica fede, io sarei un bugiardo e un ignorante su questo tema. Ma c’è di peggio: mentirei non sapendo di mentire. Così è stato necessario che questi super maestri, un bel giorno, si siano dovuti arrotolare le maniche, salire sulla cattedra dei loro personali blog, prendere il loro gesso virtuale e scrivere sulla lavagna della smart-saccenza per spiegarmi che il senso dei fedeli ha un ruolo pressoché genuino nella interpretazione del Magistero e del suo sviluppo. Questa considerazione è il fondamento per uno degli alabardieri per poter affermare che, in tutta questa genuinità, il suo sensus fidelium svolgeva quasi un ruolo decisivo fondamentale anche nella valutazione degli atti del magistero ordinario di Papa Francesco, tale che rifiutarli tutti insieme sarebbe ― udite, udite! ― un atto prudenziale, perché tutti quelli che obbediscono al Papa altro non farebbero che allinearsi su posizione anti-cattoliche.
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Queste frasi così scritte possono significare tutto e il contrario di tutto. Anche il richiamo al magistero del Concilio Vaticano II, più volte citato sia in questa occorrenza che in diversi scambi telematici, è così labile da sembrare inesistente. Insomma l’ambiguità di fondo dei teologi cibernetici alabardieri della vera fede consta propria nell’evitare di definire con precisione in cosa consista il sensus fidelium. Successivamente si riempie questo non-concetto di interpretazioni soggettive e, almeno per quello che leggo nella rete, cariche di un certo sentimento di sfida e di diffidenza nei confronti delle autorità ecclesiastiche quando esercitano il magistero autentico o ordinario. Dunque gli alabardieri catto-spaziali si avventurano in interpretazioni teologiche e liturgiche viziate da fallacie e pregiudizi di fondo, da dei veri e propri anti-dogmi. La teoria di base, insomma, sembra essere quella per la quale basta un gruppo di fedeli, anche cospicuo, che forti del loro essere a pieno titolo fedeli della Chiesa e di esercitare un corretto sensus fidelium, solo per questo siano in grado di offrire correttamente la giusta analisi dei documenti di Magistero, finanche a stabilire in forma definitiva e non più discutibile, quale documento del Romano Pontefice sia di Magistero ordinario, straordinario e autentico e quale no.
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I teologi dibattono su questi temi ancora oggi, cercando di comprendere la valenza di un certo documento papale e conciliare, ma, al netto di poche esasperazioni, difficilmente proclamerebbero le loro personali opinioni come assolutamente vere e autentiche, e a partire da queste proclamarsi i cattolici, apostolici, romani rispetto agli avversari che sarebbero degli incompetenti, degli eretici che non capiscono niente. Insomma, senza che gli alabardieri se ne accorgano neppure: siamo al sistema liberal democratico della repubblica parlamentare, con tanto di elezioni a maggioranza e di referendum propositivi e abrogativi. Manca solo la solenne formula: “Nella Chiesa la sovranità appartiene al Popolo che la concede in delega al Supremo Pastore e ai vescovi”.
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Aggiungo anche che chiaramente, nel mondo di oggi in cui la libertà è anteposta a qualsivoglia altro diritto, ognuno pensa e dice quello che vuole, scemenze e falsità comprese. Il diritto a dire e pensare stupidaggini in materia di fede cattolica è uno di quei diritti inalienabili approvati e anzi incoraggiati dalla cultura laicista e atea. Anche gli alabardieri, su questa linea liquida e laicista, dicono e pensano quello che vogliono. Mi permetto di domandargli: per caso, sui vostri siti, state organizzando la fiera e il concorso delle supercazzole e voi gareggiate per il primo posto? Questo solo per chiarire, perché volentieri ve lo lascerei senza alcun dubbio.
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Finita la fase di ironia introduttiva (che ho tratto dalla lettura dello splendido Adversos Hereses di Sant’Ireneo, neo-dottore della Chiesa), passo un po’ a chiarire ai fedeli devoti cattolici che si intende per sensus fidelium che anch’essi hanno e offrono alla Chiesa come servizio e cammino nella verità.
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Già San John Henry Newman aveva dedicato un saggio teologico su questo tema dal titolo «Sulla consultazione dei fedeli in materia di dottrina». Il santo e teologo inglese, attento studioso dei padri e della storia della Chiesa antica, mostra alcuni esempi eroici di gruppi fedeli che nel loro senso della fede hanno trasmesso e predicato la corretta fede; ciò specialmente nei primissimi secoli, questi fedeli, resistendo all’arianesimo, fino al martirio, si sono ribellati a vescovi e sacerdoti contrari alla dottrina nicena. Ed ecco già che gli alabardieri suddetti staranno lì a sfregarsi le mani, sghignazzare davanti allo schermo e a dire “Ah! Vedi che avevo ragione io?”.
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Ovviamente il senso dello studio di Newman – convertito al cattolicesimo nel 1843 – era quello di un teologo cattolico che voleva fornire una dignità alla coscienza e alla professione coerente dell’intero corpo dei fedeli, e quindi anche dei laici. Perché infatti scrivere un saggio di polemica verso la Chiesa Romana, se Newman da 16 anni era attento apologista e studioso delle fonti della fede, in un ambiente anglicano sempre pronto a criticarlo e speranzoso a vederlo tornare di nuovo anglicano per dar prova della assurdità del cattolicesimo romano?[1] E soprattutto perché mai offrire argomenti contrari all’autorità sacerdotale e al suo insegnamento in seno alla sede romana, se anche lo stesso Newman dopo la conversione era stato consacrato validamente sacerdote cattolico 12 anni prima di quel saggio? La risposta va evidentemente cercata nelle parole dello stesso autore, quando afferma: «Non c’è dubbio che in questo caso non si chiedevano loro consigli, opinioni e giudizi, ma si voleva soltanto accertare una situazione di fatto, si faceva cioè ricorso alle loro credenze come ad una testimonianza di quella tradizione apostolica sulla quale soltanto si può fondare qualunque definizione dottrinale»[2]. Quello che Newman poi sottolinea è che:
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«Dicendo questo, quindi, senza dubbio non sto negando che la maggior parte dei vescovi fossero ortodossi nel loro credo interno; né che ci fosse un certo numero di clero che stava accanto ai laici e agiva come loro centri e guide; né che i laici ricevessero effettivamente la loro fede, in prima istanza, dai vescovi e dal clero; né che alcune porzioni di laici fossero ignoranti e altre porzioni alla fine corrotte dai maestri ariani, che si impossessarono delle sedi e ordinarono un clero eretico; ma voglio ancora dire che in quel tempo di immensa confusione il dogma divino della divinità di nostro Signore fu proclamato, applicato, mantenuto e (umanamente parlando) conservato, molto più dalla Ecclesia docta che dalla Ecclesia docens; che il corpo dell’episcopato fu infedele al suo incarico, mentre il corpo dei laici fu fedele al suo battesimo; che il Papa, a volte, il patriarca, il metropolita e altre grandi sedi, a volte i concili generali, dissero ciò che non avrebbero dovuto dire, o fecero ciò che oscurò e compromise la verità rivelata; mentre, d’altra parte, era il popolo cristiano che, sotto la Provvidenza, era la forza ecclesiastica di Atanasio, Ilario, Eusebio di Vercelli e altri grandi confessori solitari, che senza di loro sarebbero falliti»[3].
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Immagino ancora gli alabardieri sfregarsi di nuovo le mani, sghignazzare più forte di prima “Ah! Ho ancora ragione io perciò adesso farò l’atto di fede di riempire i social e tutti i miei discorsi di improperi e risposte sgarbate contro quei pretacci del post-concilio!” Che dire: una persona che possa dirsi sufficientemente a conoscenza delle basi della storia della Chiesa sa benissimo che nel corso dei secoli ci sono stati anche pontefici, vescovi e cardinali che non sempre si sono comportati in odore di santità, anzi, non pochi hanno avuto condotte morali riprovevoli. A volte anche a livello di esercizio del loro ruolo di pastori non sono stati perfetti, o per dirla tutta: furono dei veri e propri disastri quanto a prendere decisioni concrete e, in alcuni casi, anche nelle modalità di comunicare alcuni importanti dogmi della nostra fede, cosa questa di cui il Sommo Pontefice Onorio I e la questione monotelita del 634 è stato un classico esempio.
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Tutti questi esempi in nessun modo possono essere addotti come prove di una certa superiorità del sensus fidelium rispetto al Magistero ordinario. Infatti, quelle che Newman cita e che io riprendo, sono scelte pastorali e condotte di vita assolutamente deprecabili; ma il teologo inglese riconosce che, al di là di queste azioni riprovevoli, i fedeli sono formati nella fede dalla stragrande maggioranza di preti, vescovi e papi che sono del tutto ortodossi alla corretta dottrina della duplice natura. Perché nella loro consacrazione i vescovi hanno ricevuto il carattere della pienezza del sacerdozio apostolico, quindi la grazia di stato che gli permette di esprimersi, in determinate condizioni, luoghi e tempi, come autentici e certi maestri della fede. L’imposizione delle mani che conferisce il sacro ordine non conferisce un’aura di santità e di preservazione da futuri peccati gravissimi, neanche fosse una sorta di scudo spaziale sacramentale che parasse qualsiasi tipo di imperfezione morale e spirituale. Dunque questi maestri della fede hanno al contempo bisogno di consultare i fedeli, perché clero e fedeli insieme concorrano allo sviluppo e alla conoscenza del dogma e della dottrina cattolica. Lo stesso Newman – in barba alle strumentalizzazioni che l’indomito alabardiere può ancora fare di lui – scrive esplicitamente:
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«Penso certamente che la Ecclesia docens sia più felice quando ha intorno a sé partigiani così entusiasti come quelli qui rappresentati, che quando taglia fuori i fedeli dallo studio delle sue divine dottrine e dalla simpatia delle sue divine contemplazioni, ed esige da loro una fides implicita nella sua parola, che nelle classi colte finirà nell’indifferenza, e nelle più povere nella superstizione».
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Ecco allora la cooperazione e collaborazione nella consultazione dei fedeli è il punto focale di tutto il saggio di Newman. Non esiste una Chiesa docens senza una chiesa docta: lo sviluppo della corretta fede dunque avviene sempre come cammino di unità ecclesiale, senza creare scismi, falsi dilemmi e chissà quali altre diavolerie, pur di farfugliare stupidaggini sul primato del senso comune contro il magistero “ereticoide” del Sommo Pontefice Francesco, del quale alcuni soggetti cerebralmente disconnessi giungono a sostenere invalida la sua stessa elezione al sacro soglio. Si perché gli alabardieri scrivono continuamente contro il magistero, stabilendo con argomenti fattuali e concreto che il sensus fidelium è superiore anche alle precisazioni offerte da esso. Cioè nella loro bislacca teoria mi sembra di poter evincere chiaramente che il sensus fidelium è una sorta di forza epistemologica che, legata alla grazia battesimale, può anche arrivare ad affermare autenticamente e in modo indiscutibile quale documento possa dirsi magistero autentico e debba perciò essere obbedito, e al contempo quale documento invece è pura opinione del papa o dei vescovi e che può essere disatteso se non anzi aggredita sui social.
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In tal modo, forse non accorgendosene, cadono nell’errore protestante del libero esame: solo che mentre i protestanti applicano questa teoria alla Sacra Scrittura, questi liberi difensori del cattolicesimo e della unica fede a colpi di alabarda spaziale, lo applicano alla Tradizione e ai testi di Magistero. Se queste sono tutte bufale in che modo, allora, i fedeli camminano con la Chiesa docente (che insegna le verità della fede) senza cadere negli estremismi sinora visti? Vediamo in sintesi proprio in che modo il Concilio Vaticano II definisce il senso dei fedeli. In particolare ne parla nella Lumen Gentium nella parte dedicata a Il senso della fede e i carismi nel popolo di Dio:
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«Il popolo santo di Dio partecipa pure dell’ufficio profetico di Cristo col diffondere dovunque la viva testimonianza di lui, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità, e coll’offrire a Dio un sacrificio di lode, cioè frutto di labbra acclamanti al nome suo (cfr. Eb 13,15). La totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dal Santo, (cfr. 1 Gv 2,20 e 27), non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando “dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici” mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale. E invero, per quel senso della fede, che è suscitato e sorretto dallo Spirito di verità, e sotto la guida del sacro magistero, il quale permette, se gli si obbedisce fedelmente, di ricevere non più una parola umana, ma veramente la parola di Dio (cfr. 1 Ts 2,13), il popolo di Dio aderisce indefettibilmente alla fede trasmessa ai santi una volta per tutte (cfr. Gdc 3), con retto giudizio penetra in essa più a fondo e più pienamente l’applica nella vita» (LG. N. 12).
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A partire da questo testo, vediamo bene di chiarire i grossolani errori di cui già detto in precedenza. Il primo errore commesso nella citata “teoria ecclesiologica” fu quello di distinguere i vescovi, i cardinali, il papa, insomma tutto il clero dai semplici fedeli laici. Errore che non fu commesso neanche da Newman come abbiamo visto. Insomma i fedeli laici non hanno un senso della fede diverso rispetto a quello del clero, che sarebbe più genuino o più vero, anche se il clero, nella sua totalità, ottemperasse continuamente ad azioni contrarie a morale cattolica. Ed ecco quindi come anticipavo, la bellezza della dottrina cattolica che quanto a ricezione della Verità dallo Spirito Santo pone sullo stesso livello l’intero corpo ecclesiale.
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Il secondo errore consta di opporre in contrasto Magistero e Senso dei Fedeli: ciò è fuori dalla logica e dalla teologia cattolica proprio per l’unica origine del dato rivelato: il Dio trinitario nelle sue missioni ad extra. Dio non offre la verità a pezzi, sbriciolandola a seconda delle persone, dei tempi e delle necessità, da cui ne conseguirebbe che Dio offre, al Santo Padre Francesco, tutta la verità cattolica circa la duplice natura di Cristo, mentre al signor Rossi della parrocchia di Tor Lupara insegna che Gesù è solo Dio o che è solo uomo, per cui il signor Rossi può opporre il suo personale senso della fede contro il Magistero del Papa. Il concilio insegna proprio che il senso dei fedeli viene dall’ascolto del sacro magistero, che offre una guida sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione. Perciò la dottrina cattolica quanto all’insegnamento autentico della fede e alla interpretazione dei testi biblici, proprio per il compito affidato da Gesù stesso agli apostoli e per il potere delle chiavi offerto a Pietro e ai suoi successori, pone i vescovi come primi maestri della fede, e non al pari livello dei fedeli laici. I quali ovviamente potranno rettamente formarsi, studiare libri di esegesi e teologia, ma mai potranno assumersi a interpreti definitivi e autentici di questi testi: non è il compito a loro assegnato da Dio.
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Qui infine c’è una considerazione pratica e quotidiana da proporre. La penetrazione di tutta la Chiesa ai divini misteri, come scrive il concilio, clero e fedeli laici che sono guidati dal Magistero, non ha nessuna valenza militare o al contrario solo organizzativa: seguire infatti il Magistero è ciò che serve per trasformare la Parola di Dio in parola vissuta. Per passare dalla fede professata alla fede vissuta e quindi dunque alla Carità operante.
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Seguire il Magistero perciò non consiste nell’atto di scimmiottare le parole altrui, come delle marionette o come dei pupi siciliani, ma ascoltare con devota riverenza e spirito critico filiale la parola di Gesù da incarnarsi nell’oggi per donare il volto di Cristo ai sofferenti e ai lontani. Per questo che ancora una volta un sensus fidelium che si ergesse a definitivo interprete di tutto, creerebbe una parcellizzazione e una frammentazione dello stesso dato di fede, generando altrettanta confusione e visione caotica della carità. Infatti, di nuovo il signor Rossi potrebbe credere che siccome Gesù ha la sola natura divina e non è realmente risorto perché Dio non può morire, allora farebbe bene ad agire di conseguenza e quindi smettere di credere alla resurrezione dei corpi. Di conseguenza, anche a smettere di curare il suo corpo e a farsi del male, perché tanto se crede che il corpo non risorge, il signor Rossi può anche mutilarsi.
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Questa visione caotica che al contempo non aiuterebbe ad attualizzare e a concretare nemmeno le opere di misericordia spirituali, tra le quali quella di consigliare i dubbiosi. Infatti se il Magistero non è più fonte autorevole di Verità, il signor Bianchi nel suo personale sensus fidelium potrebbe ritenere doveroso anche invitare il suo migliore amico ad attuare uno scisma e un allontanamento della Chiesa e allontanarsi da Gesù, di fronte ad un dubbio ad esempio sulla natura trinitaria o anche su una singola e quotidiana azione morale.
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Le teorie strampalate degli alabardieri cattolici – per i quali prego molto affinché si convertano e tornino presto alla piena adeguazione personale con la dottrina – giungono a conclusioni pratiche e pastorali terribili, ma soprattutto finiscono con l’essere, nei concreti fatti e nel loro approccio con la fede, dei perfetti luterani, senza rendersi conto di esserlo, inconsapevoli che molte delle loro ragioni critiche sono le stesse di Martin Lutero. Per questo ho voluto dedicargli un articolo, per provare a scongiurare una forma della “dittatura del relativismo” mascherata da espressione più genuina della fede cattolica, per evitare che certi soggetti cadano nel luteranesimo per un verso, nel modernismo per altro verso, salvo sentirsi e credersi gli unici, soli e autentici custodi della vera fede e della autentica traditio catholica.
Roma, 17 febbraio 2022
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[1] Lo scrivo in nota come se fosse detto sottovoce. Ora mi sorge un dubbio dopo queste considerazioni: davvero i pretoriani della fede conoscono la figura e il contesto storico di Newman? O lo confondono col più noto attore e interprete de Lo Spaccone? A me onestamente il dubbio rimane.
[2] John Henry Newman, On Consulting the Faithful in Matters of Doctrine., [Rambler, July 1859.], Edizione eEook, paragrafo 1.
[3] Paragrafo 3.
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Rev. Padre Gabriele,
Grazie per questo articolo spumeggiante e tagliente. Per quello che vale, trovo tutt’affatto urgente sottolineare, come Lei ha fatto, che a voler stare troppo a destra (per usare metafore politicoidi), si finisce a sinistra. L’esasperazione della soggettività e l’uso di quest’ultima come metro veritativo non possono che condurre all’esatto opposto di dove si vorrebbe andare; in questo caso, pur partiti con sogni restaurazionisti, si finirà a fare il gioco del relativismo più bieco. Resta pur tuttavia la domanda: come uscire, noi poveri laici, dalla confusione che regna ovunque, senza ritrovarci con le ossa (o l’anima) rotte?
Grazie del servizio che voi Padri dell’Isola di Patmos offrite a noi lettori!
Che il Signore vi accompagni e la Madonna vi protegga.
Pietro