Il Santo Padre Francesco arreca “una ferita al matrimonio cristiano”? Suvvia, cerchiamo di essere seri …
IL SANTO PADRE FRANCESCO ARRECA «UNA FERITA AL MATRIMONIO CRISTIANO»? SUVVIA, CERCHIAMO DI ESSERE SERI …
Durante le mie prediche nel deserto da anni vado dicendo che l’origine del problema è data dal fatto che il matrimonio sacramentale è concesso dai vescovi e dai loro preti con una leggerezza che grida vendetta al cospetto di Dio. Non sarebbe meglio prevenire, anziché cercare poi di curare in seguito ciò che non sempre è curabile?
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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo
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Raramente capita di leggere documenti giuridici improntati in maniera così profonda su criteri pastorali. Opera riuscita a meraviglia nella lettera apostolica in forma di motu proprio del Sommo Pontefice Francesco, Mitis iudex Dominus Jesus sulla riforma del processo canonico per le cause di dichiarazione di nullità del matrimonio [testo originale integrale, QUI]. Purtroppo nelle successive ore abbiamo assistito ad una diversa ridda di male informazioni ed all’Isola di Patmos sono giunte così molte lettere di lettori che hanno domandato spiegazioni sulle «nuove procedure» riguardo «l’annullamento del matrimonio» secondo le «nuove disposizioni del Santo Padre Francesco». Fatta eccezione per i presbiteri i lettori tendono a basare i propri quesiti su notizie giornalistiche di questo genere: «Francesco continua la rivoluzione: “Annullamento matrimonio rapido e gratis» [vedere QUI].
Ripetiamo ai lettori ciò che più volte abbiamo loro raccomandato: non bisogna mai basarsi sulle notizie riportate dai giornali o su estratti spesso male interpretati dalle agenzie di stampa; è sempre necessario andare alla fonte e leggere i documenti ufficiali, tutti reperibili sul sito della Santa Sede.
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Il titolo poc’anzi riportato è solo uno tra i tanti nei quali spiccano due parole fuorvianti e scorrette: «rivoluzione», lemma caro alla passionaria argentina Elisabetta Piqué [vedere QUI]; e quella ancora più scorretta di «annullamento». Come infatti spiegheremo nessun Pontefice, incluso il Santo Padre Francesco, può annullare un Sacramento. Fosse stato possibile i Pontefici Clemente VII e Paolo III, che scomunicarono Enrico VIII rispettivamente nel 1533 e nel 1538 per le sue vicende matrimoniali e la sua pretesa di piegare la disciplina dei Sacramenti alle proprie volontà, si sarebbero risparmiati volentieri lo scisma d’Occidente con tutte le persecuzioni che ne seguirono per la Chiesa Cattolica d’Inghilterra, per il clero ed i laici fedeli a Roma, come prova il martirio di Thomas More e quello del Vescovo e Cardinale John Fisher, entrambi decapitati e proclamati in seguito santi martiri.
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Chiariamo i termini facendo uso di parole corrette, perché nessuno, incluso il Romano Pontefice, può “annullare”, “cancellare”, “togliere” un Sacramento validamente celebrato o amministrato. Un Sacramento — in questo specifico caso il matrimonio – può essere nullo, che è cosa diversa dal concetto aberrante di “sacramento annullato”. Per esempio: io ho ricevuto validamente e lecitamente il Sacramento dell’Ordine i cui requisiti di validità richiesti sono minimi, come del resto lo sono per tutti i Sacramenti. Se però fosse appurato che non ho ricevuto il Sacro Ordine liberamente ma sotto minaccia e costrizione e che in verità non era mia intenzione diventare prete; se fosse appurato che sono giunto al Sacro Ordine per scopi malvagi e perversi, animato da sprezzo verso il deposito della fede, il Magistero della Chiesa e le verità di fede da essa custodite e annunciate … appurato il tutto verrebbe dichiarato che il Sacramento da me ricevuto è nullo. E, seppure consacrato sacerdote, il Sacramento da me formalmente ricevuto non sarebbe valido, perché l’imposizione delle mani e la preghiera consacratoria recitata dal vescovo su di me e la unzione dei palmi delle mie mani col sacro crisma, finirebbero col risultare solo segni fini a se stessi che non hanno potuto produrre alcuna efficacia sacramentale su una persona totalmente chiusa ai doni della grazia del Sacro Ordine.
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La Chiesa può dichiarare che un Sacramento è nullo, cosa sostanzialmente diversa dall’annullare un Sacramento. La Chiesa non ha alcuna facoltà di “annullare” un Sacramento perché non può disporre della sostanza dei Sacramenti in quanto beni non disponibili e quindi non variabili e non alterabili nella loro essenza, essendo appunto mezzi e strumenti di grazia d’istituzione divina dei quali noi ministri siamo solo custodi e dispensatori secondo le diverse potestà dei tre gradi del Sacramento dell’Ordine; dei Sacramenti non disponiamo e di essi non siamo padroni. Tutto questo non è un gioco di parole e neppure una questione di lana caprina, tutt’altro: chi afferma: «il Tribunale ecclesiastico ha annullato il matrimonio di Tizio e Caia» dice un’enorme stoltezza. Il Tribunale ecclesiastico ha solo dichiarato che quel matrimonio è nullo dopo avere appurata la mancanza di uno o più requisiti necessari a renderlo valido.
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Cercherò adesso di chiarire la questione: anni fa fui chiamato presso un tribunale ecclesiastico con un’altra persona a deporre per una sentenza di nullità matrimoniale. Il fatto sul quale resi testimonianza riguardava una vicenda accaduta anni prima che io divenissi prete; come infatti molti sanno sono divenuto sacerdote in età adulta. L’altra persona che depose con me era una mia ex fidanzata. Accadde infatti in passato che durante una cena, i due che poi divennero marito e moglie ebbero dinanzi a noi un colloquio che fu un vero patto scambiato alla nostra presenza come conditio sine qua non al matrimonio. Disse la futura moglie: «Io ti sposo ad una precisa condizione: sappi che non voglio figli e che userò sempre tutte le precauzioni per non averne. Io sono felice di vivere la mia vita con te, ma senza figli. Se quindi tu desideri avere figli è bene non sposarci». Replicai all’amica — che tra l’altro era pure una giurista — che a mio parere non era quello uno dei migliori presupposti per convolare a nozze. Due anni dopo ci perdemmo di vista e trascorsi altri 12 anni fui convocato presso il tribunale ecclesiastico, dinanzi al quale deposi — assieme a quella che in un’altra vita fu mia fidanzata — ciò che entrambi avevamo udito una sera di 14 anni prima.
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Non dimenticherò mai ciò che mi disse l’anziano confratello uditore [giudice ecclesiastico], prendendomi poi da parte a tu per tu. Se proprio devo raccontarla tutta mi fece anzitutto questa battuta: «Noto che prima di diventare prete avevi buoni gusti …», riferendosi in tal modo alla giovane bella Signora che aveva testimoniato assieme a me, accompagnata dal suo consorte che fuori dal palazzo del tribunale ecclesiastico mi abbracciò e mi disse: «Sono finalmente lieto di conoscerti di persona dopo averti conosciuto attraverso molti racconti di mia moglie» E mi chiese se potevo battezzare il loro secondo figlio in arrivo, cosa che feci in seguito con grande piacere …
… e dopo questa battuta mirata a rompere il ghiaccio, il confratello uditore [giudice ecclesiastico] passò con un sorriso a ben più serie battute: «Questa procedura andrà sicuramente a buon fine non perché c’è di mezzo un prete, ma perché c’è di mezzo un prete che ha fede, che crede davvero al giudizio di Dio e che per questo non proferirebbe mai il falso; cosa che ho percepito subito». E proseguì affermando: «Sai quanti avanzano richiesta di riconoscimento della nullità del matrimonio basando le loro istanze sul fatto che si erano promessi di non avere figli, che si sono sposati sotto costrizione o che non erano capaci di avere rapporti sessuali di coppia in quanto sessualmente incompatibili?». E concluse: «Le motivazioni più addotte sono quelle più difficili da dimostrare anche scientificamente, per questo facciamo spesso ricorso alle formule di giuramento solenne». Replicai io: «Stai dicendo che molti si sono compromessi la salute dell’anima proferendo spergiuri?». Sorrise e non rispose niente più, mentre io proseguivo dicendo: «… ma il sacerdote che li ha accolti, che ha parlato con loro e che ha accettato il consenso che si sono scambiati, che genere di prete è … come li ha conosciuti … che cosa ha ascoltato prima che si unissero in matrimonio … quale percezione ha questo prete dei Sacramenti di grazia? Perché a monte di queste situazioni, se proprio vogliamo essere onesti finiamo sempre con lo scoprire l’immancabile presenza di un cattivo prete, o di un prete superficiale al quale il proprio vescovo consente il pericoloso lusso di essere appunto un cattivo prete od un prete superficiale». E conclusi: «Ciò sul quale ho appena deposto sono di fatto le conseguenze della mancata applicazione della corretta disciplina dei Sacramenti da parte dei vescovi preposti alla vigilanza sui propri presbiteri».
Non esito a definire fuorviante fin dal titolo l’articolo firmato dallo storico Roberto de Mattei sull’agenzia Corrispondenza Romana: «Una ferita al matrimonio cristiano» [vedere QUI, QUI, QUI]. Temo infatti che l’insigne e da me sempre stimato storico – con il quale condivido e posso condividere molte perplessità – abbia forse frainteso il testo, perché l’incipit iniziale di questo motu proprio è il seguente:
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«Il Signore Gesù, Giudice clemente, Pastore delle nostre anime, ha affidato all’Apostolo Pietro e ai suoi Successori il potere delle chiavi per compiere nella Chiesa l’opera di giustizia e verità; questa suprema e universale potestà, di legare e di sciogliere qui in terra, afferma, corrobora e rivendica quella dei Pastori delle Chiese particolari, in forza della quale essi hanno il sacro diritto e davanti al Signore il dovere di giudicare i propri sudditi» [Cf. QUI].
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In quel testo non parla Jorge Mario Bergoglio, ma Pietro che si esprime nel più alto esercizio di quella potestà che egli ha ricevuto da Cristo Dio in persona che ha conferito a lui il potere di «legare e sciogliere» [cf. Mt. 16,13-20].
Sull’Isola di Patmos chiunque può leggere uno dei miei ultimi articoli nei quali ho dato al Santo Padre una filiale carezza con la mano rivestita di carta vetrata [cf. QUI] per una questione riguardante faccende di carattere pastorale; un testo accompagnato da altri due articolo che a loro modo hanno rincarato la dose [cf. QUI, QUI]. In quel mio articolo ho espresso la mia perplessità a concedere ai sacerdoti validi ma illeciti della fraternità sacerdotale di San Pio X di amministrare confessioni; e ribadisco che in questo, il Santo Padre, a mio parere, forse è stato pastoralmente inopportuno. Poi semmai un giorno emergeranno tutte le ragioni altamente opportune di questa sua scelta, ed in tal caso io sarò il primo a chiedere perdono per avere formulato un giudizio che a posteriori potrebbe risultare del tutto errato, ammettendo senza esitazione di avere sbagliato. In attesa di questo seguiterò a dissentire ogni volta che il Santo Padre, in veste di mediatico papa piacione o ricoprendo il ruolo tele-giornalistico di Sua Simpatia anziché di Sua Santità, esordirà come dottore privato in modo estemporaneo, a braccio o tramite messaggi privati su questioni e faccende non legate a tematiche strettamente connesse alla dottrina della fede e alla disciplina dei Sacramenti. O per meglio ancòra chiarire: io seguiterò a rivendicare la libertà dei figli di Dio ed il legittimo esercizio di critica rivolta sempre con dovuta devozione anche al Sommo Pontefice, limitatamente a ciò che concerne tutte quelle questioni nelle quali non ricorrano i tre diversi gradi della infallibilità pontificia indicati nella lettera apostolica Ad tuendam fidem redatta in forma di motu proprio da San Giovanni Paolo II [vedere QUI].
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Se però io leggo sull’intestazione di un documento pontificio «motu proprio», prima ancòra di leggere quanto segue nel testo ne ho già accettati i contenuti senza condizioni e discussioni, memore che Pietro ha ricevuto da Cristo il potere di «legare e sciogliere»; ed io ho prestato devota e filiale obbedienza al Vescovo che mi ha consacrato nel sacro ordine sacerdotale a sua volta in piena comunione col Vescovo di Roma; non ho certo prestato obbedienza alle mie opinioni né al mio modo di vedere e di sentire; non ho prestato obbedienza alla mia superbia e alla mia arroganza. È in questo modo che come sacerdote del clero secolare sono stato formato ad agire e rapportarmi verso l’Autorità Ecclesiastica, a partire anzitutto dalla auctoritas del Supremo Pastore della Chiesa universale, il Successore di Pietro e Vicario di Cristo in terra, al quale il Verbo di Dio ha dato potere di «legare e sciogliere».
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Non si capisce quindi da dove proverrebbe la mortal «ferita al matrimonio cristiano», a ben considerare che il motu proprio del Santo Padre Francesco parte dalla premessa della indissolubilità del matrimonio. Recita infatti il testo:
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«Nel volgere dei secoli la Chiesa in materia matrimoniale, acquisendo coscienza più chiara delle parole di Cristo, ha inteso ed esposto più approfonditamente la dottrina dell’indissolubilità del sacro vincolo del coniugio, ha elaborato il sistema delle nullità del consenso matrimoniale e ha disciplinato più adeguatamente il processo giudiziale in materia, di modo che la disciplina ecclesiastica fosse sempre più coerente con la verità di fede professata».
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Con questo motu proprio il Santo Padre cerca di porre rimedio a delle incontrollate e purtroppo incontrollabili derive legate alla disciplina dei Sacramenti. Egli non può essere presente in ogni diocesi del mondo a controllare ciò che di nefasto seguitano a fare molti preti sotto gli occhi indifferenti di numerosi vescovi, che con una leggerezza che spazia tra l’accidia e lo spirito dei mercanti del tempio concedono matrimoni a chiunque come se il Sacramento fosse un “diritto” dinanzi al quale non si possa dire no. Perché questo è il vero problema pastorale che cercheremo adesso di analizzare; un problema serio, anzi primario, che spero sia analizzato a tempo e luogo dai Padri Vescovi al Sinodo sulla famiglia tutt’oggi in corso di svolgimento. Se infatti non ammetteremo con cristiana onestà che molti dei problemi legati al matrimonio ricadono sotto la diretta responsabilità di vescovi e presbìteri, vale a dire che a monte sono generati proprio da noi e dalla nostra scarsa, a volte pressoché assente vigilanza, a poco vale parlare di matrimonio e di famiglia nei Sinodi dei Vescovi.
E poi, siamo onesti: quante volte ho udito miei confratelli dopo la celebrazione dei matrimoni fare battute di questo genere in sacrestia: «Scommetto che tra un paio d’anni questi divorziano». E quando io, in tono di rimprovero, ho replicato: «E tu, perché, seppure consapevole che per questo matrimonio non ci sono le basi cristiane, hai accettato il loro consenso?». Bell’è pronta la risposta del prete: «E che cosa devo fare?».
Domando allora ai Padri sinodali: di questi problemi reali, intendete parlare al Sinodo sulla famiglia, cercando e sanando anzitutto i problemi e le colpe nostre, prima di perdervi nella disamina dei problemi e soprattutto nella più comoda e agevole ricerca delle colpe degli altri, o per meglio dire di coloro che poi, divorziati e risposati, pretendono seconde nozze “pulite” e accesso ai Sacramenti come se le une e gli altri fossero un diritto anziché un’azione di grazia?»
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I problemi pastorali non si risolvono tentando l’impossibile impresa del raddrizzamento di un albero cresciuto storto; si cerca di agire all’origine impedendo che l’albero piantato sulla riva del fiume possa crescere storto. Se quindi viene diagnosticato un tumore, non si può lasciare che si sviluppi, tentando poi interventi inutili dinanzi alle metastasi diffuse, perché a quel punto si può intervenire solo con cure palliative per cercare di alleviare il dolore al malato, ma non certo per salvargli la vita. Oppure si può intervenire ponendo il malato che rifiuta la malattia e la morte di fronte alla realtà e alla sua gravosa responsabilità: la salvezza della propria anima.
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Durante le mie prediche nel deserto da anni vado dicendo che l’origine del problema è data dal fatto che il matrimonio sacramentale è concesso dai vescovi e dai loro preti con una leggerezza che grida vendetta al cospetto di Dio. Pertanto sarebbe necessario prevenire, anziché ritrovarsi poi a curare ciò che non sempre è curabile, il tutto per la superficialità con la quale a monte i sacerdoti amministrano certi Sacramenti.
Nel corso dei miei anni di sacro ministero, a quante coppie più o meno giovani ho rivolto la preghiera: «Non sposatevi in chiesa, perché mancate dei minimi requisiti richiesti per ricevere il Sacramento. Non sposatevi in Chiesa, perché non siete interessati alla vita cristiana, perché non accettate i principali fondamenti della nostra professione di fede». Ma le risposte sono sempre state: «Si, ammetto di non essere credente, ma lo faccio per lei … è vero, siamo favorevoli all’aborto, all’eutanasia, al divorzio, sosteniamo la cultura del gender … però dobbiamo sposarci in chiesa per fare contenti i genitori, perché loro ci tengono a certe tradizioni … ».
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Un trentenne al quale fu concesso di entrare in trionfo dentro una antica Chiesa cattedrale vestito in frac assieme a una sposa che pareva Lady Diana tra cascate di fiori, suoni d’organo e di violini, durante un colloquio privato avvenuto poche settimane prima alla presenza di undici persone nel corso di una cena in una casa privata, mi disse di non credere alla divinità di Cristo e tanto meno alla sua risurrezione fisica; che reputava cosa “infantile” credere che il pane e il vino potessero diventare realmente corpo e sangue di Cristo; che giudicava il Vangelo un bel libro di racconti leggendari e che fosse stato in suo potere avrebbe rinchiuso in galera il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana ― che all’epoca era il Cardinale Camillo Ruini ―, perché a suo dire cacciava il naso in faccende politiche che non riguardavano né lui né i vescovi italiani. Ovviamente informai di tutto questo il vescovo di quella diocesi, riferendogli anche che nel corso di questa cena la futura moglie era entrata nel tema dell’aborto per sostenere la piena legittimità della donna ad abortire, definendo l’aborto un «grande diritto acquisito» ed una «conquista sociale», ed a tal fine aveva portato la sua stessa esperienza, avendo ella stessa abortito a 19 anni, età nella quale ― disse ― «Non ero né pronta né tanto meno avevo voglia di avere un figlio in quel momento», ed affermò: «Tornassi indietro farei altrettanto». Informato del tutto, il vescovo di quella diocesi mi mandò, tramite un suo presbitero anziano, l’invito a essere «meno rigorista» perché «applicando le tue logiche avremmo forse dieci matrimoni l’anno in tutta la diocesi».
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Oggi questo Vescovo, alla luce del motu proprio Mitis iudex Dominus Jesus dovrà assumersi tutte le proprie responsabilità anche dinanzi a casi del genere, perché quando poi molti di questi matrimoni invalidi a monte naufragheranno, il buon pastore ed i suoi preti saranno posti dinanzi all’innegabile evidenza dei loro fallimenti, ed a loro spetterà metterci rimedio, a pena della salvezza o della dannazione eterna delle loro anime.
All’ateismo delle numerose coppie che si sposano in queste o in condizioni analoghe va aggiunto il ben peggiore ateismo di certi preti, soprattutto di quei preti preposti come parroci o rettori di chiese di prestigio storico e artistico che tirano molto per questi “matrimoni sceneggiata”. Nella Diocesi di Roma i peggiori mercatini sono gestiti da sacerdoti appartenenti alle varie famiglie religiose. Molti di questi sacerdoti si comportano di fatto come mercanti che previa riscossione anticipata della “parcella” non si fanno scrupolo ad essere i primi a far scempio del Sacramento: spose ammesse in chiesa mezze nude con spalle scoperte e seni mezzi di fuori, fotografi e cameraman che la fanno da padroni sul presbiterio, assemblee composte da amici e parenti totalmente disinteressati al sacro rito, non essendo per loro quello spazio un luogo sacro e ciò che all’interno si celebra un Sacramento, bensì un teatro suggestivo nel quale si recita una sceneggiata che serve solo per le foto ricordo o per il filmato … e davanti a tutto questo molti pii religiosi tacciono e incassano quanti più soldi possono per le loro provincie religiose, conservando spesso male le chiese storiche, dotate non di rado di sacrestie all’interno delle quali sono stipati paramenti sintetici, camici ingialliti e male odoranti, tovaglie per altare logore, suppellettili e vasi sacri ingiovabili e corrosi all’interno, perché la prassi tende a essere quella del “prendere” e al tempo stesso non investire un soldo in “manutenzione“.
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Questi sono i problemi da risolvere a monte partendo dal principio che i Sacramenti sono azioni della grazia soprannaturale, non un diritto, non un mercato, non uno scempio profano e sacrilego. Pertanto dentro le Chiese per unirsi in matrimonio devono essere ammessi solo i credenti, consapevoli che durante la celebrazione del Sacrificio Eucaristico i due sposi si scambieranno il consenso dinanzi al sacerdote e all’assemblea del Popolo di Dio; e quel consenso è un sacramento eterno e indelebile, a meno che domani non sia riconosciuto che a causa di un grave vizio il Sacramento, anche se formalmente celebrato, mancava di uno o più requisiti tali da renderlo effettivamente valido.
Questi gravi problemi a monte, ai quali va aggiunta la mancata preparazione degli sposi, i corsi di preparazione al matrimonio ridotti a due o tre incontri fatti da certi parroci con persone che non entravano in chiesa dal giorno che avevano ricevuto la Cresima, non si risolvono solo proclamando lo snellimento della procedura giudiziale canonica, ma facendo veramente pastorale e soprattutto catechesi, riservando i Sacramenti di grazia ai credenti e non ai miscredenti che usano le nostre chiese storiche come teatri di posa per le loro sceneggiate. Certi problemi si risolvono dicendo: no, tu non puoi sposarti in Chiesa, perché non hai i requisiti richiesti per farlo, ed i requisiti richiesti sono l’integrale e incondizionata accettazione di quanto contenuto nella Professione di Fede Cattolica e la concreta dimostrazione di avere una volontà tesa perlomeno a provare a vivere una vita cristiana.
Nel corso del tempo mi è capitato di assistere nelle Chiese più blasonate di Roma ― tanto per prendere la Diocesi del Romano Pontefice ― a matrimoni durante i quali il prete all’altare parlava a si rispondeva da solo; con gli sposi che non sapevano replicare neppure “amen ”, che non conoscevano le risposte da dare durante il rito di offertorio, che non conoscevano neppure il Padre Nostro … Tutti questi problemi si risolvono con decisa e seria fermezza pastorale dicendo: no, tu in chiesa non ti sposi, perché per quanto battezzato, pur avendo ricevuto i Sacramenti della iniziazione cristiana, nei concreti fatti non sei cristiano, perché non cristiano è il tuo pensare e il tuo vivere; e come tale noi vescovi, noi preti, noi Chiesa ti rispettiamo pure, ma non venire però nella Casa di Dio a prendere in giro Cristo ed i suoi santi perché, tutto tirato a lucido, con accanto a te la tua donna totalmente scollacciata e più simile nell’abbigliamento ad una sgualdrina agghindata a festa che ad una sposa cristiana, dovete farvi un album fotografico od un filmato ricordo dentro una suggestiva chiesa del XVI secolo.
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Per risolvere questi problemi difficili da gestire il Santo Padre ha scelto la giusta via di riconoscere ai Vescovi l’esercizio di una loro potestà, affinché dinanzi a certi danni prodotti provvedano poi loro a porci rimedio; e ad ogni rimedio che dovranno mettere in atto, sarà in qualche modo a loro chiaro il fallimento della loro pastorale, perché loro dovranno risolvere il problema senza più la possibilità di scaricarlo addosso ad altri.
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Il caro de Mattei riporta nel suo articolo una espressione del Cardinale Raymond Leonard Burke il quale ha affermato:
« […] esiste in proposito una catastrofica esperienza. Negli Stati Uniti, dal luglio 1971 al novembre 1983, entrarono in vigore le cosiddette Provisional Norms che eliminarono di fatto la obbligatorietà della doppia sentenza conforme. Il risultato fu che la Conferenza Episcopale non negò una sola richiesta di dispensa tra le centinaia di migliaia ricevute e nella percezione comune il processo iniziò ad essere chiamato “il divorzio cattolico” [Permanere nella Verità di Cristo. Matrimonio e comunione nella Chiesa cattolica, Cantagalli, Siena 2014, pp. 222-223]».
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Il Cardinale Burke, come ex Presidente del Tribunale della Segnatura Apostolica dovrebbe essere informato del fatto che in quegli anni giunsero numerose istanze dagli Stati Uniti d’America alla Rota Romana da parte di persone che si erano viste negare la sentenza di nullità matrimoniale dai tribunali diocesani americani; basta fare una accurata e seria ricerca negli archivi. A parte questo, dinanzi a simile problema vero o parzialmente vero, rimane più che mai in piedi quanto in precedenza ho già affermato: mettere i Vescovi nella condizione di assumersi tutte le loro responsabilità senza più la possibilità di fare danni e scaricare i problemi e le soluzioni spesso anche difficili addosso ad altri.
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Vista infatti la oggettiva impossibilità di impedire a vescovi e preti di ridurre il matrimonio ad un redditizio mercatino de-sacralizzante e spesso veramente sacrilego, che allora si proceda a metterli nella condizione di assumersi tutta la responsabilità per i danni da loro stessi prodotti senza consentirgli di proseguire nella loro fallimentare pastorale matrimoniale.
Quando infatti i vescovi dovranno risolvere giudizialmente certi problemi, a quel punto verrà fuori la leggerezza dei loro preti: catechesi in preparazione al matrimonio ridotte spesso a due o tre incontri-farsa nel corso dei quali molti parroci si limitano solo a dire quanti soldi versare alla chiesa e presso quale fiorista e fotografo devono rivolgersi, affinché certi parroci lucrino ulteriore gabella in percentuale; la incapacità dovuta a ignoranza o peggio non di rado a vero e proprio dolo attraverso il quale, i preti, dimostrano di non saper distinguere neppure i credenti dai non credenti. E il problema principale, che è quello dei non credenti che rivendicano il “diritto” al Sacramento, spesso è risolto con svariate centinaia di euro lasciate in offerta al prete per la celebrazione del matrimonio. Quando però domani i Vescovi di questi preti dovranno risolvere spiacevoli problemi di inaudita leggerezza accogliendo le istanze di coppie che anche a pochi mesi dalle nozze domandano il riconoscimento della nullità del loro matrimonio, saranno costretti a raccogliere con le loro stesse mani ciò che di nefasto hanno permesso che fosse seminato nel campo del Signore.
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Questo motu proprio del Sommo Pontefice è un atto mirato a responsabilizzare i vescovi di una Chiesa contemporanea nella quale tutti vogliono diventare cardinali, ma nessuno pare però disposto ad assumersi neppure una minima responsabilità. Ebbene, che i Vescovi comincino ad assumersi le responsabilità tutte quante proprie del loro ufficio apostolico. Cosa questa di cui ringraziamo, con venerazione e devozione, il Sommo Pontefice Francesco, per averli messi, giustappunto, nella condizione di prendersi le loro responsabilità.
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«Pecunia non olet»*
DIO BENEDICA I PRINCIPI DELLA CHIESA E PADRI DELLA FEDE
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* «i soldi non puzzano», disse Vespasiano in risposta a dei membri del senato romano quando gli lanciarono contro delle monetine dopo che lui ebbe imposta la tassa sull’orina.
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Oggi più che mai per me, ma, credo, anche per molti altri fedeli, è cosa bella ed edificante, udire dei sacerdoti che rispondono in modo così sereno e amabile, e di questo vi ringrazio.
Come donna, non certo più giovane (ho 71 anni), rimango interdetta dalle foto delle spose messe nell’articolo, e, sinceramente, mi domando. a Roma, proprio a Roma, esistono preti che le fanno entrare in quelle condizioni?
Ma sono l’unico in grado di apprezzare in ugual misura sia un bel seno femminile (in altri contesti anche nudo, perchè no?) sia un pregevole bastone pastorale artisticamente lavorato?
Non sono incompatibili: l’uno non esclude affatto l’altro!
(senza dimenticare che il nudo, che non ha nulla a che vedere con la pornografia, è parte essenziale di tutte le arti figurative classiche).
Comincio a credere di essere l’unico a non capire che ha di speciale sto pastorale… 🙂
Nel nostro presbiterio (Bologna), è sempre viva la memoria storica del card. Prospero Lambertini, eletto al sacro soglio con il nome di Benedetto XIV, uomo non ultimo dotato anche di senso umoristico.
Gli anziani sacerdoti, quando noi eravamo seminaristi, ci narravano che al segretario del card. Lambertini, nel palazzo nobiliare di una famiglia bolognese, durante una cena caddero gli occhi sulla generosa scollatura di una bella signora, contenente altrettanti generosi seni. Il cardinale se ne accorse.
Rientrando in carrozza, il segretario si giustificò dicendo … “quella signora aveva al collo una croce molto bella”. Rispose il cardinale … “e altrettanto belli erano i due colli sui quali essa si poggiava”.
Non sia clericale, gentile amico catholico.1980, ci sforziamo tanto di non esserlo noi preti …
Benedetto XIV Lambertini (reso famoso dalla magistrale interpretazione di Gino Cervi) fu uno dei Pontefici (e prima di allora uno dei Cardinali) più grandi di tutta la Storia della Chiesa.
Meriterebbe di essere riscoperto… anche per il suo uso abituale di una certa imprecazione troppo spesso bollata come “parolaccia”!
… mettiamola in questi termini: mi si presentano due aspiranti seminaristi, e io, a scopo conoscitivo, gli metto sotto gli occhi la foto “incriminata”. Uno dei due aspiranti, si lascia sfuggire di bocca una frase del tipo … “però, per diventare prete, devo rinunciare (mi si passi il termine) a queste belle tette” , l’altro invece, con aria estasiata, sussurra … “ah, che bel bastone pastorale!”
Non so, il nostro amico catholico.1980, chi dei due prenderebbe e chi dei due respingerebbe, ma potremmo chiedere però un dotto parere al nostro caro don Ciro …
… naturalmente io ammetterei subito nel seminario quello che rispondesse che quei materni seni incantevoli pongono ancor più in risalto la paternità del pastorale.
Ariel,
i’ te voglio bene assaje … i’ te vurria vasà !
don Ciro
Caro Stefano.
Le confermo di avere scritto e ammesso che nel vedere quella foto sono rimasto ammirato dal seno della sposa e non dal bastone pastorale che impugna il Cardinale.
La prego solamente, a onore del vero, ma se vuole anche a onore del cristiano senso morale, di non confondere lo spirito ammirato con lo spirito della concupiscenza lussuriosa, perché sono due cose nettamente diverse, almeno per chi conosce la morale cattolica, fondamento e sostegno delle nostre virtù, la quale è tutt’altra cosa, rispetto al moralismo selvaggio.
Il Vescovo, per adesso, non ha alcuna ragione canonica e teologica per mettermi in riga, essendo io divenuto prete sulla base di un presupposto imprescindibile per ogni presbìtero, vale a dire questo: ogni candidato al sacerdozio deve essere attratto dalle donne e devono piacergli le donne, perché, in caso contrario, è bene non farlo prete.
Io ho scelto il celibato e la castità sacerdotale, sino ad oggi rispettata per grazia di Dio, perché sono stato chiamato a vivere, attraverso il sacerdozio, un’altra dimensione di amore e di vita affettiva che è strutturata su una donazione totale e totalizzante.
La invito pertanto a scandalizzasi – se vuole – per quei non pochi preti infelici e spesso forieri di scandali immani, che senza affatto ammirare un simile decoltè, si metterebbero invece ad ammirare subito il bastone, o se preferisce la verga del vecchio Cardinale.
Costoro, sono i soggetti che i vescovi devono mettere in riga, anzi: non li devono proprio fare preti.
Scusi, mi faccia capire, nel caso avessi capito male io … mi sbaglio o lei, che è un sacerdote, e suppongo cattolico, dinanzi alla foto di una sposa scollata oltre decenza, ha scritto testualmente, e quindi ha ammesso, che “Il Reverendo Firmatario di questo articolo, ammette di essere rimasto ammirato dal seno della sposa e di non avere prestato invece alcuna attenzione al bastone pastorale” del cardinale?
Perché se lo stile la fraseologia dei preti della nuova chiesa postconciliare è questo, possiamo anche chiudere bottega!
Ma un vescovo che per certe cose la rimetta in riga, lei non ce l’ha?
Stefano Lucidi (Roma)