Il rinnegamento della fede cristiana in Emanuele Severino
– Theologica –
IL RINNEGAMENTO DELLA FEDE CRISTIANA IN EMANUELE SEVERINO
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Severino è convinto di essere andato oltre Dio. Il Cristianesimo per lui è un inganno del quale egli ha scoperto il perché. Eppure un giorno anche lui dovrà fare i conti con Dio.
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Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia
[Col 2,8]
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12.02.2016 Giovanni Cavalcoli OP — IL RINNEGAMENTO DELLA FEDE CRISTIANA IN EMANUELE SEVERINO
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Cari Lettori.
Vi ringraziamo per averci offerto il vostro prezioso sostegno grazie al quale possiamo provvedere alle spese di gestione dell’Isola di Patmos per l’anno 2016. Di tanto in tanto vi preghiamo di ricordarvi di noi e del nostro lavoro scientifico e pastorale che, come avete in concreto dimostrato, merita il vostro sostegno economico.
E di ciò vi siamo profondamente grati.
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Caro Padre, complimenti e sinceri profondi apprezzamenti per questa sua dotta dissertazione su Severino (sono un ex studente della Cattolica), e per la dotta esposizione su Gramsci del vostro giovane e brillante allievo Jorge Facio Lince, che ho anch’essa molto apprezzato.
Come in un’infinità di altri casi il succo della filosofia di Severino sta nella coincidenza di Essere e Divenire, o più precisamente, nella riduzione dell’Essere a Divenire, grazie alla quale il Divenire usurpa il posto dell’Essere e si pone come Essere. Il Divenire non è più Essere come partecipazione, non è più una forma inferiore e “corrotta” (ancorché in se stessa buona) di Essere. Il Divenire rivendica così la sua autosufficienza e compiutezza. Ma così facendo dovrebbe perfino negare la sofferenza esistenziale dell’uomo nel momento in cui, contraddittoriamente, la testimonia attraverso la ricerca filosofica. Se il Divenire è Essere la filosofia è un’aberrazione, anzi, non è nemmeno concepibile. Ma tutto ciò non è altro che una forma intellettuale del rifiuto della paternità di Dio da parte dei figli di Dio.
Reverendo Padre,
Il suo articolo impressiona per l’erudizione filosofico-teologica dimostrata. Allo stesso tempo, Le confesso che, alla lettura del suo testo, non posso impedirmi di pensare che il suo tiro manchi terribilmente il bersaglio. Il lettore accorto quale beneficio dovrebbe o potrebbe trarne, a meno che non cerchi la conferma di ciò a cui avesse già dato la sua approvazione ? Lei si prefigge, immagino, di portare avanti una critica del pensiero di Severino ; ora, ciò a cui si assiste qui non è altro che una riaffermazione sommaria delle tesi severiniane corredate con la semplice giustapposizione di tesi (neo-) tomiste, affermate in quanto apodittiche e automaticamente “confutanti” la loro antitesi. Purtroppo questo artifizio retorico non aiuta molto colui che cerca di comprendere il nucleo di razionalità o irrazionalità contenuto nelle posizione teoriche che si affrontano ; in altre parole, non serve a nulla affermare che la posizione altrui contraddice la propria, dato che nulla impedisce l’avversario di ritorcerci contro il medesimo argomento. La sola critica che possa dirsi filosofica, pertinente e non semplicemente polemica, è una critica immanente al sistema…
Ora, questo tipo di critica è ben più arduo di quello a cui si assiste nel articolo menzionato. Essa richiede infatti un approfondimento della posizione teorica altrui che può a prima vista ripugnare una mente saldamente attaccata agli appigli concettuali del suo pensiero. Non sia mai che si possa forse arrivare al punto di riconoscere che, in fin dei conti, le ragioni dell’altro (e soprattutto se questo altro è un intellettuale della statura di Severino – anche se personalmente non sostengo la sua filosofia) non sono poi così assurde e candidamente errate – come il testo sembra far intendere ; che il “realismo” di stampo più o meno aristotelico non è per nulla necessario alla stabilità concettuale della religione cristiana – anzi, sarebbe tragico se la Rivelazione divina avesse bisogno di sostegni così precari ; e che negare che dei cartesiani, degli scotisti, degli eckhartiani o dei fenomenologi contemporanei (solamente per dare un esempio tra mille) possano coerentemente essere cristiani è di gran lunga più assurdo delle tesi da Lei attaccate.
Aspettando la Sua gentile risposta, Le porgo i miei più cordiali saluti.
FP
Caro Lettore.
Non mi ripugna affatto studiare Severino, cosa che ho intrapreso a fare da 15 anni. Certi suoi scritti li trovo validi e interessanti. Non ho difficoltà a riconoscere nel suo pensiero un forte ed opportuno richiamo al valore di una metafisica centrata sull’eterno. Mi piace il suo ragionare per conto proprio, da vero filosofo.
Da parte mia, non desidero altro che stare saldamente attaccato alla verità, ed è in nome di questo attaccamento, che apprezzo la parte di verità che scopro in Severino. Ma è anche in nome del medesimo attaccamento che confuto i suoi errori.
Avendo alle spalle cinquant’anni di studi filosofici e trent’anni di insegnamento, so bene che il metodo della critica filosofica consiste nel porsi all’interno del pensiero dell’autore e, assumendo il suo punto di vista, far leva sulle verità che egli accoglie, per mostrare come i suoi errori consistano proprio in tesi o proposizioni che contraddicono a quelle verità. Se lei legge attentamente il mio scritto, si accorgerà che questo è esattamente ciò che ho fatto nel mio scritto.
Non cerco conferma a quello che affermo senza averlo dimostrato, ma dimostro quello che affermo confermandolo. Quindi io non “giustappongo” alle tesi severiniane argomenti estranei, che le lasciano intatte, ma penetro in esse, distruggendole dall’interno, pur riconoscendone la parte di verità.
Le tesi di Severino che attacco, sono notissime e chiare, non hanno bisogno di alcun “approfondimento”. Quello che non è immediatamente chiaro è la loro falsità, perché hanno un’apparenza di verità. Per questo svolgo un procedimento dimostrativo. Se la loro falsità fosse evidente, non occorrerebbe dimostrarla.
Mi valgo effettivamente di prove ricavate dalla gnoseologia e dalla metafisica d San Tommaso. Queste, in quanto prove, sono evidenti e non hanno bisogno di essere dimostrate. Esse si riassumono effettivamente nel realismo gnoseologico, il cui assioma fondamentale è molto semplice: “noi possiamo conoscere le cose come sono”, ovvero: “i nostri giudizi sono veri, quando sono conformi al reale”. Anche Severino è obbligato ad essere d’accordo su ciò nel momento in cui pensa. Eppure lo nega col suo idealismo. Da qui il fatto che egli si confuta da solo. La mia confutazione serve a far capire questo.
Il realismo non è una particolare concezione di San Tommaso, ma il funzionamento normale dell’intelligenza umana. Esistono varie forme di realismo, più o meno perfette. Quella tomista effettivamente è la più perfetta, e per questo è raccomandata dalla Chiesa.
Il realismo caratterizza la gnoseologia biblica. Per questo è presupposto necessario alla fede cattolica. L’idealismo è incompatibile con la fede, in quanto negazione del realismo. E per questo Severino perse la fede e fu allontanato dall’Università Cattolica di Milano e censurato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1970.
Severino è un idealista, in quanto identifica l’essere col pensiero e con l’apparire. Per lui non esiste il contingente, ma solo il necessario, essere identico al pensiero, per cui il divenire non è realtà, ma è fenomeno o un apparire o sparire al soggetto conoscente.
Io non dico che le tesi di Severino “contraddicono” alle mie. Io dico e dimostro che sono false. Per questo, non posso ricevere alcuna ritorsione, dato che il falso non può vincerla sul vero.
La fama di Severino non è dovuta fatto che egli sia di una “statura” particolarmente consistente, ma al fatto che egli, con argomentazioni apparentemente profonde e rigorose, viene incontro al bisogno di molti di avvertire il proprio essere come essere che non può non essere, sostanzialmente un desiderio di essere Dio.
Gentile FrancoisPst, concordo in tutto con i Suoi rilievi.
Affermare che la filosofia di Severino identifichi l’essere con l’apparire, asserire che filosofia di Severino neghi la molteplicità e il divenire (di cui afferma invece l’evidenza, rimodulandone però in senso antinichilistico l’interpretazione) significa o non averla studiata o non averla compresa (oppure volerla mistificare, ma non sarà questo il caso del Padre Cavalcoli). Chiunque abbia qualche minima dimestichezza con il pensiero severiniano non può che invitare il Padre Cavalcoli a ricompulsare più attentamente gli scritti maggiori del pensatore oggetto di questo suo intervento critico, a partire dalla “Struttura originaria” (e dall’impegnativo ma illuminante saggio che ne introduce l’edizione adephiana). Diversamente il carattere delle sue critiche al sistema severiniano rimarrà, quale qui appare, velleitario.
Gentile Lettore.
Come ho già detto a un altro Lettore, sono un filosofo che conosce Severino da quindici anni. Pur apprezzandolo per certi aspetti, non mi rompo il cervello per cercar di capire le sue astruserie, inutile fatica, ma mi limito a commentare le sue tesi comprensibili ad un intelletto normale, tesi che egli espone con chiarezza, ripetutamente e con coerenza logica.
Queste tesi si oppongono ad evidenti princìpi di ragione e di esperienza, oltre che di fede, per cui non è eccessivamente difficile comprenderle e confutarle. Del resto, l’Autore, per dimostrarle, si aggroviglia in tali intricati ragionamenti, che alla fine sono più chiare le tesi che sostiene che non le prove incomprensibili, che egli pretende di addurre.
Divenire vuol dire apparire
Comincio dunque con l’osservare che, mentre il divenire, come attestano con evidenza l’esperienza e la ragione, appartiene all’orizzonte dell’essere, ossia al reale (essere in potenza), Severino, invece, nega formalmente l’esistenza e la stessa possibilità del divenire, ossia del passaggio dal non-essere all’essere (generazione, creazione) e dall’essere al non-essere (finitezza, corruzione), e sostituisce il divenire, da lui giudicato impossibile e contradditorio, con l’apparire-scomparire, e in questo senso egli identifica l’essere con l’apparire.
Ma il divenire non è affatto contradditorio. Il divenire è semplicemente il passaggio dalla potenza all’atto; e tanto l’una quanto l’altro appartengono al reale, in continuità l’una con l’altro; per cui non c’è bisogno di alcuna “rimodulazione”, che risolva il divenire nell’apparire, perché ciò vuol dire negarne la realtà e questo sì che è nichilismo.
Severino sostituisce dichiaratamente il divenire con l’apparire-scomparire, per evitare, a suo dire, il nichilismo e l’assurdo. Dice infatti che quello che a noi sembra divenire è in realtà un’alternanza di apparire e scomparire, “come le stelle della volta celeste”.
Ma il divenire inteso come reale non comporta nessun nichilismo o identificazione dell’essere col non-essere, dato che prima accade il non-essere (essere in potenza) e poi avviene l’essere (in atto). Contraddizione ci sarebbe, se li pensassimo assieme, simultaneamente, cosa che è precisamente esclusa della corretta formulazione del principio di non-contraddizione.
Credere all’esistenza del divenire, per Severino, è un’assurdità, perché infrangerebbe il principio di non-contraddizione, il quale, secondo lui, dice che l’“essere non può non essere” e quindi l’essere è necessario ed eterno.
Ma in realtà il principio di non-contraddizione dice che “non è possibile che l’essere sia e non sia simultaneamente”. Infatti, ciò che adesso è in potenza, non è in atto. L’essere in potenza, quindi, può coesistere senza contraddizione col non essere in atto. Contraddizione ci sarebbe se si affermasse che un essere può essere simultaneamente in potenza e in atto. Se il legno sta bruciando, non può simultaneamente essere bruciato.
Ma Severino sopprime irragionevolmente il “simultaneamente” dalla formula del principio, per cui scompare la giustificazione che il principio dà del divenire. Da qui la conseguenza che per Severino ammettere come reale il divenire, ossia porlo nell’orizzonte dell’essere, vorrebbe dire andare contro quel principio.
Il contingente, il molteplice, il possibile, la conoscenza
Dunque per Severino esiste solo il necessario. Egli nega formalmente l’esistenza del contingente, che è appunto sede del divenire ed è il principio della molteplicità. Infatti, una cosa diviene in quanto è questo, ma può essere altro. Ora, l’esser contingente è appunto esser tale, ma poter essere altro. Inoltre, molteplice vuol dire che questo non è quello. Un albero è distinto da una lampada. Severino certamente ammette la distinzione, e in tal senso ammette la molteplicità.
Ma per lui non si tratta della molteplicità di due enti contingenti realmente distinti tra loro, ma solo di apparizioni diverse e necessarie dell’unico essere. Io vedo una lampada e tu vedi un albero, perché l’essere appare a me come lampada e a te come albero. Ma è sempre l’unico essere che appare a me e a te in modi diversi.
Inoltre, Severino, negando il contingente, nega anche il possibile (abbiamo visto che nega la potenzialità), perché il contingente è ciò che può non essere. Per Severino non c’è distinzione fra il possibile e il reale, e quindi neppure tra il reale e l’ideale, nonchè tra il reale e il razionale, ma tutto è reale e ad un tempo è ideale (necessario). E’ questo, un principio idealistico, come torneremo a vedere più sotto.
Intanto, per lui, tutto è in atto, tutto è adesso, tutto è eterno, tutto è attuato ab aeterno, tutto è in tutto, tutto durerà per l’eternità. E’ significativo che egli chiama le cose “gli eterni”, associando così il monismo dell’Essere Uno con il politeismo degli eterni, che sono diverse apparizioni dell’Eterno, che è come Giove che regna sugli dèi. Inoltre, gli enti non sono realmente distinti dall’Essere, ma sono l’Essere. Io sono l’Essere. Ego Sum Qui Sum. Abbiamo dunque il panteismo.
Ma ci sono anche conseguenze per quanto riguarda il conoscere. Per Severino io vedo immediatamente, sempre, dovunque e comunque l’Essere, quale che sia la cosa che conosco. L’Essere per lui è l’unico oggetto del sapere, perché esiste solo l’Essere. E’ quella che Severino chiama “Verità dell’Essere”. Le cose appaiono e scompaiono. L’Essere non compare e scompare, ma è sempre presente, sempre mi appare. E’ lo “Sfondo”, come lo chiama. E’ il cielo, nel quale appaiono le stelle, gli “eterni”.
Infatti, come abbiamo visto, essendo ogni cosa eterna, ciò che è stato, è semplicemente ciò che non mi appare più. Ciò che sarà, esiste già dall’eternità, ma non mi è ancora apparso. Le cose sono l’apparire dell’Apparire. L’essere dunque è ciò che appare a me, appaia o scompaia. In tal senso l’essere coincide con l’apparire. Ma questo apparire a me è l’essere-pensato-da-me, è il mio pensiero. E dunque l’essere coincide con l’essere pensato. Dunque, abbiamo una gnoseologia idealista.
Il problema di Dio
L’Essere severiniano sembrerebbe avere qualche somiglianza col Dio cristiano rappresentato dall’ipsum Esse tomistico, tratto da Es 3,14, ma in realtà, come abbiamo visto, abbiamo il panteismo, per il quale ogni ente è eterno, come lo è il mio io, ed inoltre non è un Essere che attua qualcosa di possibile a lui esterno, ossia non è un Essere creatore, perchè esso ha già attuato in se stesso tutto ciò che può essere.
In Severino tutto concorre a negare la possibilità stessa della creazione. Ricordiamo infatti che egli esclude il possibile. Ora, perchè possa esistere la creatura, occorre ammettere che Dio la abbia fatta passare dalla possibilità o dal poter-essere all’attualità o all’essere in atto. Ma se tutto è già realizzato in Dio, Dio non ha niente da creare e non può creare niente. A parte che, come abbiamo visto, per Severino un creare dal nulla implica contraddizione.
Dio non è onnipotente, cioè non può fare di più di quello che ha fatto, né può fare altre cose da quelle che ha fatto, ma ha già fatto ab aeterno tutto quello che può fare e che non poteva non fare, tutto avviene di necessità, tutto è necessario al Tutto, dato che “l’essere non può non essere”.
Ma anche la negazione del contingente esclude la creazione, giacchè l’ente contingente è l’ente causato. Ma se l’ente contingente non esiste, allora non c’è niente di causato e quindi non c’è niente di creato. Esiste solo l’Essere eterno, ma un Essere sommamente egoista e chiuso in se stesso, che guarda solo a se stesso, che manca del tutto di ogni libertà e generosità creatrice, un Essere tanto vorace, da ingoiare nel suo ventre infinito ed insaziabile tutto ed ogni essere reale e possibile. Per questo, Padre Fabro ritiene che il pensiero severiniano sia la forma più pericolosa di ateismo che sia mai esistita [1].
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[1] Vedi il suo studio critico L’alienazione dell’Occidente, Edizioni Quadrivium, Genova 1981.