Il mistero dell’Epifania ed i ricchi doni dei Magi: «A Dio si offre l’ottimo, il massimo, non gli scarti»

L’Angolo di Girolamo Savonarola: omiletica cattolica in tempi di vacche magre

IL MISTERO DELL’EPIFANIA ED I RICCHI DONI DEI MAGI: «A DIO SI OFFRE L’OTTIMO, IL MASSIMO, NON GLI SCARTI».

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Quando a Maria e Giuseppe i magi offrirono l’oro, essi non risposero: “No, grazie, l’oro datelo ai poveri”. Non dissero questo perché erano consapevoli che a Dio si offre sempre l’ottimo, il massimo. Gli scarti, a Dio, li offriva Caino, come ci narra il Libro della Genesi. Mentre nei Santi Vangeli il falso amore per i poveri ci viene indicato attraverso la figura di Giuda, che quando Maria di Bethania unse il Signore Gesù con prezioso olio di nardo, egli si mostrò falsamente scandalizzato per lo spreco e disse che quel prezioso olio poteva essere venduto per trecento danari e il ricavato dato ai poveri.

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Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Laudetur Jesus Christus !

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… purtroppo, nelle principali solennità dell’anno liturgico, è ormai pressoché impossibile non gettare tutti i sacri misteri nella melassa del politicamente corretto

La liturgia della solennità dell’Epifania è caratterizzata da una forte luce [testo della Liturgia della Parola, QUI] che raggiunge tutti gli uomini: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» [cf. Gv 1,9].

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Questa festa, che si celebra 12 giorni dopo Natale, prende nome dal greco ἐπιφάινω [epifàino] che significa “mi rendo manifesto”. Parola dalla quale deriva ἐπιϕάνεια [epifàneia] che significa apparizione, venuta, presenza divina. Conoscere il significato delle parole, come spesso spiego nelle mie omelie e nelle mie catechesi, è indispensabile per poter penetrare i misteri della fede, che hanno un proprio vocabolario, preciso e specifico; e se manca la lingua, non si può trasmettere il messaggio della verità, anzi si corre il rischio di falsarla. I misteri della fede hanno infatti un proprio linguaggio preciso che nasce e che si sviluppa nel corso dei secoli attraverso la sapienza dei Santi Padri e dai grandi concilî dogmatici della Chiesa.

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Con l’Epifania si celebra la prima manifestazione della divinità di Gesù all’intera umanità. Ciò avviene attraverso la visita solenne, l’offerta di doni altamente significativi e l’adorazione dei magi, che sono degli alti dignitari di un popolo estraneo al mondo ebraico e mediterraneo. La commemorazione della Epifania, che ha inizio nel III secolo, comprende le manifestazioni divine di Gesù. In particolare: l’adorazione dei Magi, il battesimo di Gesù [cf. Mc 1,9-11], ed il primo “segno” a Cana di Galilea attraverso il miracolo del vino [cf. Gv 2,1-12], anticipazione a suo modo del grande miracolo e sacrificio del Sangue di Cristo sposo della Chiesa.

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Nel tempo, la tradizione popolare, ha decorato con significati particolari le figure dei magi: anzitutto mutando questi maghi – termine oggi negativo – in magi. È stato anche precisato il loro numero, sono stati poi trasformati in Re, ed è stato dato loro un nome — Gaspare, Melchiorre e Baldassarre —, assieme a conformazioni fisiche diverse, così uno rappresenta il mondo occidentale, uno quello arabo e uno quello africano.

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Questi magoi, dalla descrizione che ce ne viene fatta, pare che siano degli astronomi, forse sono dei sacerdoti zoroastriani provenienti dalla Persia. Quello che comunque rimane certo è che dinanzi al Popolo di Israele sono degli “stranieri” che non conoscono la Sacra Scrittura e la Legge Mosaica. Eppure sono questi stranieri di altra cultura e religione che “rivelano” a Israele ed ai suoi sacerdoti e dignitari ciò che essi attendevano e sapevano, ma che si era nascosto nel loro intimo. La manifestazione del Messia a coloro che lo aspettavano è stata quindi possibile per l’intervento inaspettato di elementi estranei. Il mondo religioso e politico dell’epoca è stato “illuminato” dalla conoscenza e dalla sapienza di stranieri ritenuti dal mondo ebraico dei גוים [goijm] quelli che nella letteratura evangelica e in quella paolina sono indicati come gentili, termine che indica principalmente i pagani.

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Il racconto dell’Epifania del Signore e dei tre Magi, non può che indurci ad una riflessione sul mondo di oggi che ci sembra sempre più invaso da “altri”, ma con una gran differenza: ieri, questi stranieri, questi “altri”, ossia i magi, seguendo la luce di una stella giunsero per indicarci la venuta del Messia, ed una volta che lo ebbero trovato si prostrarono dinanzi a lui e lo adorarono. Oggi, molti degli “altri” che spesso accogliamo senza alcun prudente buonsenso, non vengono affatto per adorare il Verbo di Dio fatto uomo né tanto meno per farcelo conoscere, ma per sostituire la luce del Cristo Dio – che per noi è inizio centro e fine ultimo del nostro intero umanesimo [cf. dich. Dominus Jesus] – con la loro falsa stella, affinch’essa si innalzi su quel poco che resta della fede cristiana in questa nostra Europa in stato ormai avanzato di scristianizzazione. O detta in altri termini: sarebbe come spalancare le porte di un asilo nido a Erode detto il Grande per facilitargli la strage degli innocenti [cf. Mt 2,1-16]. Si potrebbe però obiettare che il Verbo di Dio, invitando all’accoglienza, ci ammonisce: «Ero straniero e mi avete accolto» [cf. Mt 25, 31-46], espressione che richiede di essere però compresa, non stravolta. Infatti, a suffisso di questa espressione e di tutte le altre che seguono, c’è l’Ego Sum del Verbo di Dio, che in modo totale, esclusivo e assoluto si presenta come via, verità e vita [cf. Gv 14,16]. Perché è in questa ottica cristologica che va intesa la frase finale: «ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». Tenendo appunto conto che Cristo Dio parla tra l’altro di «fratelli», non parla di invasori desiderosi di sostituire e di distruggere la radice stessa del Suo Divino Essere unica, sola e assoluta via, verità e vita.

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Un discorso tutto a parte meriterebbero i doni portati dai magi, che oltre alla loro grande preziosità hanno un preciso significato, a partire dall’oro, un ottimo conduttore del calore che simboleggia come tale l’opera di Gesù, il quale ci ha trasmesso fedelmente il calore dell’amore del Padre. L’oro, considerato il metallo nobile per definizione, ha la caratteristica di non ossidare e di non corrodersi. L’oro rappresenta quindi sin dalla prima epoca apostolica la incorruttibilità della fede. Questo il motivo per il quale ai nostri Vescovi, maestri e custodi della fede, erano donate croci d’oro, segno appunto della incorruttibilità della fede, non certo di sfarzo e di opulenza principesca. Questo il motivo per il quale, le preziosissime specie del Corpo e del Sangue di Cristo, nella tradizione della Chiesa sono sempre state riposte dentro metalli preziosi. E a tal proposito sappiate che San Francesco d’Assisi, quello vero, ai suoi frati li mandava in giro anche scalzi, poteva persino accadere che non avessero da fare un pasto al giorno, ma quando i suoi frati sacerdoti li inviava a portare la Comunione agli ammalati, ce li mandava con le pissidi d’oro, perché – diceva il poverello di Assisi – «La povertà deve finire sotto i gradini dell’altare».

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Altro dono prezioso è l’incenso, che quando viene bruciato forma nubi bianche che salgono verso l’alto e che rappresenta le nostre preghiere e inni di lode che si innalzano al cielo a Dio Padre.

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Infine la Mirra, che si presenta sotto forma di grani tondi di colore rossastro con un gradevole odore aromatico. Questi grani rossastri ci ricordano le gocce di sangue che coprirono il volto di Gesù nel Getzemani, poi il suo capo coronato di spine e infine tutto il suo corpo flagellato e straziato dalla crocifissione. Questo מָרוֹר [maror, erba amara] nella sua simbologia ci ricorda le sofferenze di Cristo, la cui vita è stata contrassegnata da persecuzioni sin dall’infanzia, a partire dalla fuga in Egitto, per seguire con incomprensioni, tradimenti, abbandono, fino al culmine: la sua morte in croce.

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Quando a Maria e Giuseppe i magi offrirono l’oro, essi non risposero: “No, grazie, l’oro datelo ai poveri”. Non dissero questo perché erano consapevoli che a Dio si offre sempre l’ottimo, il massimo. Gli scarti, a Dio, li offriva Caino, come ci narra il Libro della Genesi. Mentre nei Santi Vangeli il falso amore per i poveri ci viene indicato attraverso la figura di Giuda, che quando Maria di Bethania unse il Signore Gesù con prezioso olio di nardo, egli si mostrò falsamente scandalizzato per lo spreco e disse che quel prezioso olio poteva essere venduto per trecento שְׁקָלִים [sheqel, plur. sheqelim, moneta della Giudea, latinizzata in siclo, sicli] e il ricavato dato ai poveri. Il Beato Evangelista Giovanni, narrando questo episodio, ci precisa che l’Iscariota non diceva questo perché amasse i poveri, ma perché era ladro. Ma soprattutto, nella memoria, dovremmo sempre portare viva la risposta data da Gesù: «Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me» [cf. Gv 12, 1-8].  

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A Dio si offre sempre l’ottimo, il massimo. E per inciso: per capire quanto quell’olio di nardo che l’Iscariota aveva stimato trecento sicli fosse veramente prezioso, basti dire che all’epoca la paga di un soldato romano era di un soldo. Il valore di quell’olio corrispondeva quindi a quasi un anno di paga di un soldato.

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Al vedere la stella, i magi provarono una gioia grandissima. Non è importante l’evento astrale in sé. Quello che a noi interessa è il senso: «Io lo vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da vicino: una stella spunta da Giacobbe» [cf. Nm 24,17]. La stella è Cristo stesso [cf. Ap 22,16], per questo non è visibile dai palazzi di Gerusalemme, perché i poteri umani hanno carenza di luce [cf. Mt 20,25] e i poteri religiosi dell’antica giudea con tutte le loro regole hanno mutata la religione in una schiavitù, sino a gravare gli uomini oltre misura: «Caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!» [Lc 11, 46].

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La Stella procede in avanti e guida i magi. Il Beato Evangelista Matteo descrive la gioia dei magi nel rivedere la stella: la luce del Messia ci illumina la strada, ci guida, si riflette nella nostra vita tanto da rivestirla di quella gioia che si muta in quel dono di grazia che trasforma l’uomo per riportarlo alla sua immagine e somiglianza con Dio. La luce di Cristo illumina ogni  aspetto della vita, o come dice il Profeta Isaia: «Sono stato trovato da quelli che non mi cercavano, mi sono manifestato a quelli che non chiedevano di me» [cf. Rm 10,20].

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Basta solo alzare gli occhi al cielo per vedere la stella e poi seguirla, senza far scendere mai il buio; e la luce di Cristo ci coglierà dall’ombra per avvolgerci nella luce del mistero del Verbo di Dio fatto uomo.

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In questa festa della luce, risuonano le parole del Prologo al Vangelo del Beato Apostolo Giovanni che parla del mistero del Verbo fatto carne: «La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno sopraffatta» [cf. Gv 1,5]. Anche se ieri, come purtroppo oggi, molti la luce «non l’hanno accolta», o peggio: tentano in tutti i modi di spegnerla, in un mondo nel quale, al cristocentrismo, è stato ormai da tempo sostituito l’uomocentrismo.

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Preghiamo affinché dinanzi a questa luce divina che manifesta e che rivela il mistero del Verbo di Dio incarnato, possa risuonare e poi radicarsi nei nostri cuori l’anelito paolino:

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«Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» [Gal 2, 20].

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dall’Isola di Patmos, 6 gennaio 2019

Epifania del Signore Gesù

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2 commenti
  1. Emanuele
    Emanuele dice:

    Lei, don Ariel, anche se posta la spettrale immagine di Savonarola non ha niente a che fare con i toni lugubri usati dal domenicano. Lei è un prete gaudioso, un uomo di mondo (per fortuna), un cattolico italico. Stupisce perciò vederla usare un termine inappropriato come “invasore” per quei poveracci che approdano vomitandosi l’anima alle nostre coste, con donne bambini e qualche straccio. Non sono profughi doc? non sempre fuggono una qualche guerra d’Africa, sono brutti, sporchi e cattivi? D’accordo. Magari sono migranti economici, scappano da una vita da miserabili e hanno sentito dire che qui c’è pure il superfluo: d’accordissimo. Ma ‘invasori’ no, lasci questa parola choc ai politicanti che sulle disavventure delle guerre tra poveri costruiscono le loro fortune elettorali. Forse il richiamo evangelico a intravedere negli ultimi la figura messianica vale per i pensionati italiani vecchi e impauriti dagli immigrati nelle borgate delle città italiane come per gli immigrati impauriti dai flutti marini che approdano da noi. Dove si legge il terrore negli occhi, nello sguardo della vittima, là c’è una eco cristiana. E la luce della Epifania, di cui lei dice bene, la…

    • Carlone
      Carlone dice:

      Anch’io nel suo commento vedo la luce dell’ Epifania , ma anche le tenebre dell ‘ invasore , dato che non corrisponde a ciò che ha scritto il Don.

I commenti sono chiusi.