Gli umani disordini sessuali, la sessualità e la felice colpa

lettere dei lettori 2

– Rispondono i Padri dell’Isola di Patmos –

GLI UMANI DISORDINI SESSUALI, LA SESSUALITÀ E LA FELICE COLPA

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La masturbazione è meno naturale dell’adulterio, in quanto qui c’è il rapporto uomo-donna, e quindi l’atto sessuale completo. Invece, dal punto di vista della colpa, la masturbazione è meno grave, perché coinvolge solo il singolo, mentre l’adulterio, oltre ad essere peccato in se stesso in quanto unione illegittima, è anche ingiustizia nei confronti del coniuge legittimo.

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Autore Giovanni Cavalcoli OP

Autore
Giovanni Cavalcoli OP

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Caro Padre Giovanni.

… ma ho capito bene che la masturbazione potrebbe essere più grave dell’adulterio? A me a prima vista sembrerebbe il contrario. Nel mio caso: mi masturbo da quando avevo 11 anni. Un tempo lo facevo, ma provavo gravissimi sensi di colpa. Per molti anni ho tentato in tutti i modi di smettere, senza mai riuscire a nulla, se non a ritardare l’atto di un’ora o due. Alla fine, verso i 50 anni, ho realizzato che i miei tentativi di non farlo più erano destinati al fallimento, per cui ho accettato e metabolizzato che la masturbazione è parte integrante della mia vita; da allora ogni volta che me ne viene voglia lo faccio immediatamente senza starci a pensare. Attualmente ho 61 anni e siccome sinora le pulsioni non mi sono diminuite, lo faccio in media 3 volte al giorno. A questo punto vorrei sapere se devo considerarmi sicuramente in peccato mortale o se, dato il fallimento dei miei numerosi precedenti tentativi di non farlo più, la gravità della colpa potrebbe essere attenuata. Dimenticavo, sono single non avendo trovato l’anima gemella, quindi nessuna possibilità di soddisfare almeno in parte le mie pulsioni con rapporti sessuali leciti.

Sandro

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Caro Sandro.

masturbazione

La masturbazione è meno naturale dell’adulterio, in quanto qui c’è il rapporto uomo-donna, e quindi l’atto sessuale completo […]

La masturbazione volontaria – salvo il caso in cui essa sia giustificata dall’esigenza di controlli medici sullo sperma – è un uso dell’organo sessuale che frustra la sua naturale finalità procreativa e che non può esprimere l’amore per la moglie, dato che nell’ipotesi ella è assente.

Ora, il peccato è un atto cosciente e volontario contrario alla legge morale naturale data da Dio all’uomo come regola del suo agire. E quindi è atto contrario alla volontà di Dio Legislatore della condotta umana. La masturbazione è atto che frustra volontariamente il conseguimento del fine dell’uso dell’organo sessuale. È quindi disobbedienza alla legge morale, quindi è disobbedienza alla volontà divina, quindi è peccato.    

La masturbazione è meno naturale dell’adulterio, in quanto qui c’è il rapporto uomo-donna, e quindi l’atto sessuale completo. Invece, dal punto di vista della colpa, la masturbazione è meno grave, perché coinvolge solo il singolo, mentre l’adulterio, oltre ad essere peccato in se stesso in quanto unione illegittima, è anche ingiustizia nei confronti del coniuge legittimo.

La materia della masturbazione è di per sé grave, perché comporta la soppressione, sia pur preterintenzionale e tuttavia oggettiva, di quel principio vitale – lo sperma – che consente il concepimento dell’uomo. Infatti si tratta della soppressione non certo della vita umana già costituita (dallo zigote in avanti, dove la materia è ancora più grave), ma di un principio biologico essenzialmente ordinato alla generazione.

È mortale il peccato che attenta alla vita umana e a ciò che è ad essa immediatamente ed essenzialmente ordinato. Ma la masturbazione ha questa caratteristica. E dunque in essa si rinviene la materia del peccato mortale. Tuttavia, il peccato, nella sua completezza morale  – la colpa – non è costituito solo dalla materia, ma anche dalla forma, la quale comporta la piena avvertenza (io so che è peccato) e il deliberato consenso (voglio farlo).

Se uno non sa che quel dato atto è peccato; oppure lo sa, ma ha dei precedenti, cioè ha già il vizio, non lo ha cercato, non si è messo nell’occasione, ma l’impulso viene da sé, il soggetto è vinto o sopraffatto dalla passione o dalla concupiscenza o non riesce a controllarsi o a trattenersi, la colpa da mortale si abbassa a veniale.

Chi non ha un coniuge (celibi, vedovi, giovani, religiosi) deve, con la disciplina e l’aiuto della grazia, potersi controllare ugualmente, perché il matrimonio non è fatto per coloro che non riescono a controllarsi. La teoria paolina del matrimonio come remedium concupiscentiae, come ho scritto in un recente articolo su queste colonne dell’Isola di Patmos [cf. QUI], è stata superata dall’attuale Magistero della Chiesa. Non si sposa chi non sa trattenersi, ma al contrario chi sa così bene trattenersi, che sa trasformare in un libero atto d’amore l’impulso della passione. Tutti devono sapersi controllare, sposati o non sposati.

La produzione di sperma è fisiologicamente sovrabbondante. Per questo ogni tanto, durante il sonno, l’organo sessuale entra in orgasmo da sé ed emette l’eccesso di sperma. Dato che non si tratta di un atto volontariamente provocato, ma fisiologico, non c’è in ciò nessun peccato.

In una situazione come la sua, in base ai princìpi esposti, lei ha delle attenuanti. Secondo me, però, bisogna che lei, pur accettandosi nella sua debolezza, faccia uno sforzo maggiore di autocontrollo, anche se i fenomeni restano. Lo sforzo moderato, costante e metodico, sostenuto dalla grazia, rafforza la volontà. Ma bisognerebbe cercare di diradare questi fenomeni. Tre volte al giorno è troppo. Cerchi di arrivare ad una volta alla settimana, sperando di poter ulteriormente diradare. Mi pare infatti che lei la prenda troppo alla leggera e non ci metta tutta la volontà. Per adesso lei è al livello del veniale. Ma se non ci mette più impegno, rischia il mortale.

Ci sono molti mezzi, metodi ed espedienti ascetici tradizionali, molto sperimentati ed efficaci – le parlo anche per mia esperienza personale – per l’autocontrollo, che sarebbe troppo lungo qui elencare. Si informi in un buon trattato di ascetica e li metta in atto con perseveranza. Bisogna saper attendere i risultati e non aver fretta. Dio comunque si accontenta se siamo in movimento e non ci adagiamo né ci rassegniamo.

Comunque, brevissimamente, sono questi:

1. fuga dalle occasioni;

2. tenersi occupati;

3. frequenti giaculatorie, specie quando sorge la tentazione;  

4. Confessione e Comunione frequenti;

5. Santo Rosario;

6. controllo dei sensi e dell’immaginazione;

7. dopo la caduta, rialzarsi immediatamente, ottenendo il perdono divino con atti penitenziali personali. Non c’è bisogno di confessarsi tutte le volte.

Tenga presente che se ci si lascia andare agli impulsi, si diventa ancor più soggetti alla passione, come dice Cristo: «Chi compie il peccato, è schiavo del peccato» [Gv 3,34].

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dall’Isola di Patmos, 22 giugno 2016

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LA SESSUALITÀ E LA FELICE COLPA 

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[…] la castità non è quindi affare per uomini mancati ma un privilegio per maschi forti ed equilibrati, confortati dalla divina grazia e sempre alla ricerca della grazia divina, basata e retta su una forma d’amore esclusivo che Dio concede con la chiamata alla vita sacerdotale e religiosa. In caso contrario, anziché ritrovarsi con uomini motivati ed equilibrati nel corpo e nello spirito, si corre il rischio di mutare Santa Madre Chiesa in un triste refugium hybridorum

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Autore Padre Ariel

Autore
Ariel S. Levi di Gualdo

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Caro Padre Ariel.

Ho letto due suoi libri e da alcuni anni leggo suoi articoli, e credo d’aver capito che prima di diventar prete lei è stato uomo di mondo, diciamo … navigato. Guardando i video delle sue lezioni, emerge un atteggiamento virile che, con la talare indosso, risalta ancor più (lo han detto tre donne a me molto vicine). Ciò per spiegarle perché mi rivolgo a lei per una decisione importante. Perché nel seminario dove mi trovo, la virilità lascia a desiderare, formatori in primis, tutti sorrisetti, vocette argentine, occhi trasognanti … non esagero nel dirle che, più della metà dei seminaristi, hanno problemi evidenti di identità sessuale. Per questo chiedo, lei, avesse tra le mani seminaristi che si mettono a disputare se Gabriel Garko era più bello prima o dopo l’intervento di chirurgia estetica, come reagirebbe? E come reagirebbe davanti al vicerettore del seminario, che presa parte alla discussione afferma «a me Garko è sempre piaciuto perché ha un volto particolare che ha un po’ della bellezza dell’uomo e un po’ della bellezza della donna»?. Facile criticare gli altri, ma pure io ho le mie pecche, una di queste il ricorso frequente alla masturbazione. Siccome tra un anno dovrei essere ordinato diacono, è bene mi chieda se uno che non riesce a controllarsi, può diventare un buon prete. Non voglio giustificarmi e sono cosciente della gravità del tutto, ma mi sento di dire che nel cadere di frequente in questo peccato, almeno io penso alle donne, non a Gabriel Garko.  

Lettera Firmata

 

 

Caro figliolo.

Gabriel Garko

l’attore Gabriel Garko in una immagine tratta dal film Rodolfo Valentino (anno 2014), reso oggetto di amene disputatio in qualcuno dei nostri disastrosi seminari …

Parto dalla fine della tua lettera per dirti sin dall’inizio della mia risposta che fai bene a pensare alle donne, perché il presbìtero deve essere un uomo attratto dalle donne, verso le quali avvertire tutte le naturali pulsioni sessuali. Se infatti non c’è la stoffa dell’uomo, inclusa la naturale attrazione verso l’altro sesso, manca il requisito fondamentale per cucire con ottima stoffa l’habitus del buon prete.

In uno dei miei libri, spiego che votarsi per libera scelta e per un fine spirituale superiore alla castità, vuol dire essere l’esatto contrario di ciò che nei fatti è un castrato mentale o un represso psico-fisico mai uscito dalla pre-adolescenza, che come tale non ha mai meditato sul mistero del vero Dio e del vero Uomo.

Il presbìtero o il religioso, votato per sua scelta motivata e cosciente alla castità, deve essere uno spirito e un maschio che ha portato avanti con successo, dal giorno dell’accoglimento della sua vocazione sino alla fine della formazione teologica e al conferimento del Sacro Ordine, un processo di equilibrata “traslazione” della sua libido sessuale. Il presbìtero, colte tutte le ricchezze dalla dimensione erotica, le muta in una passione sessuale spirituale del divenire dell’essere, del suo amare per Cristo, con Cristo e in Cristo. Il presbìtero non si libera dai legami amorosi del proprio corpo perché disdicevoli, ma perché per amare e per donarsi a tutti non può essere legato a una donna in particolare, né avere responsabilità di paternità, chiamato com’è a essere sposo fedele della sua Chiesa e responsabile padre premuroso di tutti. Ecco allora che la Chiesa assume per il sacerdote consacrato come alter Christus l’immagine della sposa mistica e il Popolo di Dio diviene il popolo dei suoi figli.    

La castità non è quindi affare per uomini mancati ma un privilegio per maschi forti ed equilibrati, confortati dalla divina grazia e sempre alla ricerca della grazia divina, basata e retta su una forma d’amore esclusivo che Dio concede con la chiamata alla vita sacerdotale e religiosa. In caso contrario, anziché ritrovarsi con uomini motivati ed equilibrati nel corpo e nello spirito, si corre il rischio di mutare Santa Madre Chiesa in un triste refugium hybridorum preso d’assalto da gente che, non avendo numeri fisici, psicologici e risorse finanziarie per tentare altri generi di carriera nel mondo, si tuffano a pesce sui merletti delle cotte e sugli inebrianti fumi aromatici dell’incenso, dai più bassi ai più alti livelli, estetizzando vuotamente la fede, omosessualizzando la Chiesa e facendo di triste rigore grandi carriere ecclesiastiche.

È spiritualmente formativo educare i giovani seminaristi in dimensioni artificiose dove il sesso è spesso rimosso con tacito timore? Se in una delicata fascia d’età destinata a influire sull’intera esistenza un giovane non sarà educato da maestri maturi, farà la fine di quel tale che fu allevato all’interno di una camera iperbarica alimentata a ossigeno puro; appena messo fuori il suo corpo risultò inadatto a reggere l’ambiente climatico e non avendo sviluppato i comuni anticorpi fu assalito subito da tutte le malattie di questo mondo. Per questo, capita con triste frequenza che dei giovani sacerdoti abbandonino il Sacro Ordine anche pochi mesi dopo l’ordinazione presbiterale; perché, catapultati dal mondo onirico del seminario al mondo del reale, scoprono d’improvviso che l’essere, l’esistere e il rapportarsi al prossimo in carne e ossa, è cosa del tutto diversa da ciò che pensavano, o che a loro è stato fatto pensare e credere.

Se un uomo passa dal seminario alla vita sacerdotale attraverso un celibato surreale costruito su virtù tanto belle quanto fittizie, potrà uscirne un prete sereno capace di condividere la sorte dei suoi fratelli che si dimenano in un mondo che a tutto stimola fuorché all’esaltazione evangelica della vita amorosa e del sesso vissuto come uno straordinario dono di Dio? A chi spetta educare sessualmente i futuri presbìteri, forse a certi giovani rettori e padri spirituali dei seminari, cui talora va il merito di trasferire sui discepoli i loro problemi irrisolti e le peggiori distorsioni psicologiche e sessuali delle proprie menti? Non si può creare un prete, senza prima avere creato un uomo e un maschio equilibrato nel corpo e nello spirito. Ma per creare un vero uomo-prete, occorre un vero uomo-vescovo, un vero uomo-rettore-di-seminario e un vero uomo-direttore-spirituale, non soggetti a loro volta cresciuti in questa triste produzione ittica in vasca.

Quante belle vocazioni, di uomini sani negli equilibri del corpo e dello spirito, incappando in certi formatori frustrati con mille complessi nascosti, anziché diventare preti, hanno preso la porta e se ne sono andati? E quando le belle vocazioni dei veri uomini come Dio comanda fuggono via, quale genere di merce avariata rimane, a riempire i seminari ed a rimpinguare le fila delle molli voci bianche? Ecco perché non dovremmo mai perdere di vista la meravigliosa natura dell’uomo, per tentare di tirar fuori dalla grande vasca ittica un prete destinato a non stare né in cielo né in terra.

Detto questo, tu capisci bene che il tuo quesito riguardo al cosa farei io ritrovandomi in certe situazioni, a contatto con certi soggetti per così dire ambigui, è una domanda del tutto retorica. Infatti, sapendo a monte come avrei agito in siffatte situazioni, posso garantirti che a nessun vescovo è mai passato per la mente di invitarmi a svolgere ruolo di formatore in uno di quei seminari da me additati più volte alla pubblica gogna come dei pretifici ; perché sanno benissimo che certi seminari, già di per sé semivuoti, io li avrei svuotati quasi per intero.

Padre Giovanni Cavalcoli OP, nella sua precedente risposta, ha trattato il tema sul piano teologico-morale, fornendo spiegazioni e chiarimenti applicabili anche al caso tuo, ecco perché ho articolato la mia risposta in altro modo, per evitare di enunciare con altre parole la stessa sostanza di fondo già espressa dal mio venerato confratello sacerdote e maestro teologo. Mi limito solo a suggerirti la lettura del Catechismo della Chiesa Cattolica, dove sul finire del n. 2352 potrai trovare queste illuminanti parole:

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«Al fine di formulare un equo giudizio sulla responsabilità morale dei soggetti e per orientare l’azione pastorale, si terrà conto dell’immaturità affettiva, della forza delle abitudini contratte, dello stato d’angoscia o degli altri fattori psichici o sociali che possono attenuare, se non addirittura ridurre al minimo, la colpevolezza morale».

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Alla luce di questo dettato del Catechismo, proviamo adesso a leggere la frase in cui tu esprimi:

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«[…] nel seminario dove mi trovo, la virilità lascia a desiderare, formatori in primis, tutti sorrisetti, vocette argentine, occhi trasognanti … non esagero nel dirle che, più della metà dei seminaristi, hanno problemi evidenti di identità sessuale».

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Da questa tua frase si capisce anzitutto che lo stato di angoscia e di prova al quale tu sei sottoposto è notevole, con tutte le implicazioni psicologiche del caso. Pertanto, se dinanzi ad una amena disquisizione sulla bellezza di Gabriel Garko – alla quale lo stesso vice-rettore del seminario partecipa dichiarandosi suo ammiratore in quanto sintesi della bellezza della donna e della bellezza dell’uomo –, per umana reazione tu fossi uscito dal seminario e ti fossi precipitato tra le braccia della conturbante Svetlana Porkova, approdando il giorno dopo, al termine di una notte di sesso sfrenato, al mio confessionale, io ti avrei ascoltato, confortato e assolto. Ovviamente dopo averti ricordato ciò di cui tu per primo saresti stato consapevole, ossia che non avevi agito bene, ma trattandoti con tutta la paterna delicatezza con la quale un peccatore chiamato per mistero di grazia ad amministrare la misericordia e il perdono di Dio, deve sempre trattare un altro peccatore [cf. mio articolo «Quando dormi dove tieni le mani ?», QUI]. Quindi ti avrei spiegato perché, anche in virtù di quella notte di sesso sfrenato con la suddetta Svetlana Porkova, avevi invece i necessari requisiti richiesti per diventare un buon prete.

Nello stato in cui ti trovi e nell’ambiente non felice nel quale sei costretto a vivere ed a formarti, il tuo peccato – come insegna con cattolica sapienza il nostro Catechismo – è molto attenuato, se non ridotto al minimo; e con esso la colpevolezza morale.

Ricorda sempre che l’uomo non è nato per essere casto e che la castità, nell’ottica evangelica del «farsi eunuchi per il Regno dei Cieli» [cf. Mt 19, 12-13], è un dono di grazia, ed attraverso la grazia diviene nel tempo e col tempo una conquista umana e spirituale calata in quel naturale habitus strutturato sulla libertà, non certo sulla auto-repressione dei castrati psichichi usciti dalle nostre fabbrichette clerical-pretesche, o come qualsivoglia pretifici.

Ti sia quindi di conforto il Santo Padre della Chiesa Agostino Vescovo d’Ippona, che non mancava certo di virilità, di testosterone in esubero e soprattutto di grande attrazione verso la bellezza femminile. Diviso nel proprio animo per lungo tempo, Sant’Agostino giunse infatti a pregare così: «Signore, rendimi casto, ma… non subito!».

Non si nasce casti, nella stessa misura in cui non si nasce santi; casti e santi lo si diventa, spesso dopo una vita intera di lavoro duro e faticoso. E santi, sempre e di rigore, si è proclamati dopo la morte, mai durante la vita.

Certe tue cadute non sono un impedimento al Sacro ordine sacerdotale. Grande impedimento sarebbe se tu, all’età tua, non avessi naturali pulsioni sessuali verso le donne, preferendo semmai metterti a disquisire sulla bellezza maschile mista al femmineo di un attore, con tanto di partecipazione del vice-rettore del seminario a questa discussione da donnette al lavatoio, per non dire di peggio ancora. Se però io dicessi di peggio, coi tempi che corrono e coi Cardinali messi oggi alla pubblica gogna per “reati di opinione” [cf. QUI, QUI, etc.] sarei come minimo tacciato di omofobia da tutta la sinistra radical chic, da La Repubblica e da Micromega, che urlano fidenti «Viva Papa Francesco, el revolucionarioel castigador !», confondendo sempre più il Successore di Pietro con el compañero Ernesto Guevara detto el Che.

T’invito anche a meditare sulla lode del cero cantata nel Preconio Pasquale, anch’essa nata dal Doctor Gratiae Sant’Agostino: «O felix culpa, quae talem ac tantum meruit habere Redemptorem» [«Beata sia la colpa, che ci fece meritare un tale e così grande Redentore»]. Questa espressione agostiniana fu così commentata dal Doctor Angelicus San Tommaso d’Aquino: «Nulla si oppone al fatto che la natura umana sia stata destinata ad un fine più alto dopo il peccato. Dio permette, infatti, che ci siano i mali per trarre da essi un bene più grande. Da qui il detto di San Paolo: “Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” [Rm 5,20]. Per questo motivo, nella lode di benedizione del cero pasquale, si canta: “O felice colpa, che ha meritato un tale e così grande Redentore!”» [Cf. Summa Theologiae, III, q.1, a.3, ad3].

E la colpa si può “benedire” solo quando della colpa si è anzitutto consapevoli, quando si ha l’innato senso della misura del bene e del male, certi che Dio – e che Dio solo – può mutare per mistero di grazia il male in bene, se incontra la nostra apertura alla sua azione di grazia redentrice. E una volta capito questo e calati in questa dimensione cristologica, ci sarà molto più chiaro il profondo mistero racchiuso nella frase: «Beati gli invitati alla cena del Signore, ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo».

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Nota

visto che in queste righe è stato nominato a puro titolo di esempio l’attore italiano Gabriel Garko, è doveroso precisare che il diretto interessato smentì a suo tempo di avere mai fatto ricorso alla chirurgia estetica e di avere avuto problemi di tiroide che gli avevano causato il gonfiore del volto [cf. QUI].

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3 commenti
  1. Dante95
    Dante95 dice:

    In verità perché ci sia peccato mortale formale riguardo alla piena avvertenza non occorre per forza che uno sappia che quello è peccato basta che si renda conto che quell’ atto e’ gravemente disordinato.

  2. piertoussaint dice:

    …incidentalmente, mi piace segnalare al lettore Sandro, che ha posto uno dei quesiti segnalati in questo articolo, e a coloro che possono trovarsi in situazioni affini alla sua, che ho scoperto che esistono siti di “Christian dating”, per facilitare, “God willing”, un matrimonio cristiano. Vedi qui

    http://latin-mass-dating.com/

    e qui

    https://www.catholicmatch.com/

    E’ vero che i siti sono operativi più che altro nel mondo anglosassone…. però non mi pare che per l’uso ci siano limitazioni geografiche, anzi. Mai dire mai. Mi pare una così buona idea, che mi auguro venga diffusa anche in Italia!…

  3. piertoussaint dice:

    Esprimo la mi affettuosa stima ai Padri dell'”Isola”, per i loro profondi interventi, anche personali come in questo caso, a favore di un popolo in sensibile difficoltà.
    Vorrei aggiungere che, nei casi in esame, è ormai noto che le problematiche esposte vengono dalla crisi della virilità (e specularmente della femminilità) indotte nella persona dal modernismo massonico, per distruggerla.
    La cosa è ben spiegata in questo intervento http://www.rassegnastampa-totustuus.it/cattolica/?p=31963 del prof. Roberto Marchesini, anche se non concordo con lui sul fatto che l’uomo virile debba idealmente morire in guerra. Anzi, se l’uomo è davvero virile, dovrebbe essere anche abbastanza furbo da prendere in mano le leve della politica ed evitarle, le guerre: attraverso la “società partecipativa” secondo D.S.
    Detto questo, a mio parere la maggior espressione di misericordia che la Chiesa potrebbe esercitare verso il suo gregge, sarebbe appunto quella di far crescere l’uomo in virilità!… Devo dire con dispiacere che, invece, a mio parere la pastorale espressa da Francesco in AL, con le note ambiguità connesse, vada in senso opposto… la CEI, poi, non pare sussistere…

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