Dieses Wort Gottes, das den Menschen von der weltlichen Angst vor sterilem Geschwätz und der hektischen Suche nach Erfolg befreit

Homiletik der Väter der Insel Patmos

QUELLA PAROLA DI DIO CHE SOTTRAE L’UOMO ALL’ANSIA MONDANA DELLE STERILI CHIACCHIERE E DELLA SPASMODICA RICERCA DEL SUCCESSO

Il disegno di Dio si compie sempre, weit über unsere Vorhersagen und unsere Ungeduld hinaus, wie er bereits durch den Propheten gesagt hatte: «La Parola uscita dalla mia bocca non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata»

 

 

 

 

 

 

 

 

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Im Heiligen Evangelium di questa XI domenica del tempo ordinario (Jahr B) Gesù pronuncia un lungo discorso in parabole che rivolge sia ai discepoli che alle folle richiamate dalla sua predicazione sul Regno veniente:

„Zu dieser Zeit, Gesù diceva [alla folla]: “Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Kommen, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, dann das Ohr, dann das volle Korn ins Ohr; und wenn die Frucht reif ist, sofort schickt er die Sense, perché è arrivata la mietitura”. Er sagte: “A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, wenn sie auf den Boden gesät werden, es ist das kleinste aller Samen, die auf dem Boden sind; ma, wenn es gesät ist, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra”. Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, im Vertrauen, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa» (MC 4,26-34).

All’apparenza enigmatico, il linguaggio metaforico delle parabole adoperato da Gesù è il suo modo privilegiato di rivolgersi a tutti, di seminare quel seme della Parola (MC 4, 14) che può diventare «mistero» per alcuni, coloro che lo seguono più da vicino, che usufruiscono delle sue spiegazioni. Ma altri, che pure «potevano intendere», sono destinati a rimanerne fuori (vgl.. «exo», in MC 3,31-32; 4,11), perfino i parenti più stretti di Gesù: «A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole».

Gesù parla in parabole perché gli ascoltatori modifichino il loro modo di pensare e diventino capaci di accogliere il nuovo che Egli sta annunciando, in termini di cambiamento del modo di vivere, di sentire, giudicare e operare. Lo fa cogliendo esempi alla portata di tutti o insospettabili paragoni, manifestando una non comune capacità di osservazione del reale e una conoscenza dell’uditorio che solo a tratti si meraviglia della incredulità o incapacità di cogliere l’aspetto nascosto del suo predicare. Nella pericope evangelica di questa domenica, dopo aver pronunciato la parabola del seminatore, spiegata in seguito ai soli discepoli come semina della Parola di Dio (MC 4,1-20), e i due brevi detti, uno sulla lampada «che viene» per essere vista e l’altro sulla misura dell’ascolto (MC 4,21-25), Gesù narra due ultime parabole che vogliono attestare l’efficacia della Parola seminata. Der Erste, presente solo in Marco, afferma che:

«Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Kommen, egli stesso non lo sa».

Gesù parla nuovamente del seme, un elemento che lo intrigava e sul quale aveva molto meditato. Il seme è sempre qualcosa che rimane dal raccolto precedente: è il frutto di una pianta che, raccolto, secca e sembra morto. Ma se viene piantato, allora nella terra marcisce, si disfa e scompare; in Wirklichkeit, Aber, genera vita, che diventa un germoglio, poi una pianta, e alla fine apparirà nei suoi frutti abbondanti, addirittura come una moltiplicazione e una trasformazione dell’originario singolo seme. Per questo motivo la vicenda del seme, nelle parole di Gesù, è adatta ad esprimere il mistero del Regno.

La venuta del regno di Dio, il suo apparire, è infatti paragonata da Gesù al processo agricolo che ogni contadino conosce bene e che vive con attenzione e premura: semina, nascita del grano, Wachstum, formazione della spiga e maturazione. Di fronte a tale sviluppo, occorre meravigliarsi, rimirando la virtualità celata in quel piccolo seme seccato, che appare addirittura morto. Così è il regno di Dio: piccola realtà, con in sé una potenza misteriosa, Leise, irresistibile ed efficace, che si dilata senza che noi facciamo nulla. Seminato il seme il contadino non ne ha un controllo speciale, sia che dorma o vegli per andare a controllare ciò che accade, la crescita non dipende più da lui. Andererseits, se il contadino volesse misurare la crescita e andasse a verificare cosa accade al seme sotto terra, minaccerebbe fortemente la nascita e la vita del germoglio.

Ecco allora l’insegnamento: occorre meravigliarsi del Regno che si dilata sempre di più, anche quando noi non ce ne accorgiamo e di conseguenza occorre avere fiducia in esso e nella sua forza. E il seme è la Parola che, seminata dall’annunciatore, darà frutto anche se lui non se ne accorge, né può verificare il processo: di questo deve essere certo. Nessuna ansia, ma solo sollecitudine e attesa; nessuna angoscia di essere sterili nel predicare: se il seme è buono, se la parola predicata è Parola di Dio essa darà frutto in modo insospettato.

Di seguito Gesù propone un’altra parabola, ancora su un seme, ma questa volta di senape:

„Das ist wie ein Senfkorn, wenn sie auf den Boden gesät werden, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno».

Il Regno è una realtà piccolissima, così come piccolissima era la presenza di Dio tra gli uomini in quell’uomo che era Gesù, da quel minuscolo villaggio di Nazareth Egli percorre le strade di una porzione terra, con un limitato gruppo di discepoli. Eppure questo piccolo seme donato alla nostra umanità diventa un albero grandissimo. Tutto questo in un modo misterioso che chiede semplicemente di accogliere il seme, di custodirlo in un cuore che attende. Non a caso Gesù parla in questa sua parabola solo della semina, mentre tace su tutto il lavoro che viene dopo per far crescere il seme. Tralascia tutto questo non perché non sia importante, ma vuole offrirci la lezione precisa sul fatto che il Regno cresce comunque e non sono gli uomini a dare forza alla sua Parola, né possono fermare la vita che porta in sé. Di nuovo richiama i discepoli a lasciare ogni ansietà per abbandonarsi a questo dono:

«…Viene seminato, es wächst und wird größer als alle Pflanzen im Garten und macht Zweige so groß, dass die Vögel des Himmels ihre Nester in seinem Schatten bauen können..

Così l’idea efficace di Gesù che paragona il Regno al seme, la quale aveva già le sue radici bibliche in quell’albero intravisto da Daniele, simbolo del regno universale di Dio (vgl.. DN 4,6-9.17-19), permane nell’immaginario dei futuri missionari della primissima generazione cristiana. Paolo ricorda che la Parola di Dio può sembrare piccola cosa, rivestita com’è di parola umana, fragile e debole, messa in bocca a uomini e donne semplici, non intellettuali, non saggi secondo il mondo (vgl.. 1Kor 1,26). Eppure essa è: „Kraft Gottes“ (RM 1,16). Ma di un’efficacia non mondana, non misurabile in termini quantitativi, perché la Parola del Signore è: «Parola della croce» (1Kor 1,18).

L’Apostolo Pietro sottolinea nel suo scritto che quella stessa Parola diventa un seme di vita immortale e fonte di amore:

«Amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri, rigenerati non da un seme corruttibile ma incorruttibile, per mezzo della parola di Dio viva ed eterna» (1Pkt 1,23).

La rivelazione dell’efficacia della Parola di Dio è decisiva per cristiani, perché li sottrae alle ansie mondane del risultato e del successo. Il disegno di Dio si compie sempre, weit über unsere Vorhersagen und unsere Ungeduld hinaus, wie er bereits durch den Propheten gesagt hatte:

«La Parola uscita dalla mia bocca non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Ist 55,11).

 

Aus der Eremitage, 15 Juni 2024

 

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Sant'Angelo-Höhle in Ripe (Civitella del Tronto)

 

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Die Väter der Insel Patmos

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Das Pfingstfest des „Nebenberufenen“ als Verteidiger, Retter und Tröster

Homiletik der Väter der Insel Patmos

Das Pfingstfest des „Nebenbeigerufenen“ als Verteidiger, RETTER, CONSOLATORE

I Vangeli sinottici dicono che Gesù aveva parlato dello Spirito Santo, stieg in der Taufe auf ihn herab, Dann versprach er es den Jüngern als Geschenk, insbesondere für die Stunde der Verfolgung, quando lo Spirito sarà la loro vera difesa: parlando in loro e insegnando loro ciò che occorre dire.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Il lezionario della Chiesa italiana presenta per questa Domenica di Pentecoste due brani tratti dal Quarto Vangelo che in verità sono costruzioni un po’ artificiali, in quanto costituiti da versetti appartenenti a contesti diversi. In questo anno B il testo è composto da due versetti dove Gesù promette ai discepoli lo Spirito Santo (GV 15,26-27) e da altri quattro nei quali egli specifica l’azione dello stesso Spirito nei giorni della Chiesa (GV 16,12-15). Gesù pronuncia queste parole mentre è ancora a tavola con i suoi discepoli dopo la lavanda dei piedi (vgl.. GV 13,1-20) e comunica parole di addio, perché è «venuta l’ora di passare da questo mondo al Padre» (GV 13,1). Ecco il brano evangelico della Solennità:

Pfingsten, affresco di Quirino De Ieso (1999)

„Zu dieser Zeit, Jesus sagte seinen Jüngern: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. Ich habe viel mehr zu sagen Sie, sondern durch die Zeit sind Sie nicht in der Lage, sie zu tragen. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà» (GV 15,26-27; 16,12-15).

I Vangeli sinottici dicono che Gesù aveva parlato dello Spirito Santo, stieg in der Taufe auf ihn herab (vgl.. MC 1,10), Dann versprach er es den Jüngern als Geschenk, insbesondere für die Stunde der Verfolgung (vgl.. MC 13,11 und par.), quando lo Spirito sarà la loro vera difesa: parlando in loro e insegnando loro ciò che occorre dire. La medesima promessa troviamo nel Vangelo secondo Giovanni (vgl.. GV 14,26-27). Verrà il Parákletos (παράκλητος) un termine non di immediata comprensione, deren Bedeutung ist: «il chiamato accanto» come difensore, Retter und Tröster. Lo Spirito santificatore che Gesù, salito al Padre, invierà. Allora lo Spirito darà testimonianza a Gesù, così come faranno i discepoli stessi, che sono stati con lui fin dall’inizio della sua missione. Questa è la funzione decisiva dello Spirito Santo che, come fu «compagno inseparabile di Gesù» (Basilio di Cesarea), dopo che Gesù lo ha inviato dalla sua gloria presso il Padre, diventa il compagno inseparabile di ogni cristiano.

Egli è quell’alito di Dio che Gesù soffia sui discepoli dopo la risurrezione e la vita stessa di Dio che è anche di Gesù diventa vita nei discepoli e li abilita ad essere testimoni suoi. Si produrrà una sinergia fra la testimonianza dello Spirito e quella dei discepoli. E questo riguardo al Cristo. Anche quando gli uomini sentiranno estranei i cristiani, nelle persecuzioni o nelle ostilità subite da parte del mondo, nella potenza dello Spirito i cristiani continueranno a rendere testimonianza a Gesù.

La Pentecoste allora è la pienezza della Pasqua. Con essa la Chiesa celebrando il dono dello Spirito, per un verso ricorda ciò che Dio ha già operato in Gesù di Nazaret e dall’altro invoca ciò che non ancora è, ovvero l’estensione universale e cosmica delle energie di vita e salvezza dispiegate da Dio stesso nella resurrezione di Gesù. La Pentecoste è simultaneamente celebrazione e invocazione. La prima lettura dell’odierna Solennità (Bei 2,1-11) mostra lo Spirito nel suo aspetto di dono dall’alto che rende i discepoli capaci di comunicare le grandi azioni di Dio nelle lingue degli uomini. È un’apertura ai linguaggi e alle capacità comunicative dell’altro. Lo Spirito è così all’origine di una missione che sia al contempo di inculturazione, per raggiungere l’altro là dove egli è; e di corrispettiva deculturazione, per non annunciare come Vangelo ciò che è semplicemente cultura. Così come dice la Scrittura:

«Lo spirito del Signore riempie l’universo e, abbracciando ogni cosa, conosce ogni voce» (vgl.. Saft, 1,7).

La seconda lettura presenta i frutti dello Spirito. Egli che è invisibile si rende riconoscibile dai frutti che produce nell’uomo se accoglie la sua presenza. Lo Spirito con la sua «inabitazione» fa passare l’uomo dall’essere una individualità chiusa e autoreferenziale, a questo allude Paolo parlando di «soddisfare i desideri della carne» (Gal 5, 16-21); ad essere aperto alla relazione con gli altri e con Dio. Paolo afferma: «Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, Tempo, magnanimità, benevolenza, Güte, fedeltà, Milde, dominio di sé… Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito» (Gal 5, 22.25). Così lo Spirito plasma il volto del credente a immagine del volto di Cristo guidandolo sulla strada della santità: frutto dello Spirito è l’uomo santo.

Nella seconda parte dell’odierno brano evangelico Gesù dice ancora alcune parole su questo soffio divino che è lo Spirito. Egli è consapevole di essere il rivelatore del Padre secondo quanto affermato dal prologo giovanneo: „Dio, niemand hat ihn gesehen: der einzige Sohn, wer ist Gott und ist am Vater, ist er es, der ihn bekannt gemacht hat " (vgl.. Exegese Von GV 1,18, der griechischen ἐξηγητής). Lo ha fatto con eventi e parole e soprattutto amando i suoi fino alla fine (vgl.. GV 13,1), ma sa anche che avrebbe potuto dire molte cose in più. Gesù ci avvisa che esiste una progressiva iniziazione alla conoscenza di Dio, una crescita in questa stessa conoscenza, che non può essere data una volta per tutte. In questo modo il discepolo impara a conoscere il Signore ogni giorno della sua vita, «di inizio in inizio, per inizi che non hanno mai fine» (vgl.. Gregor von Nissa). La vita del discepolo si apre ad una comprensione sempre più grande e tutto ciò che una persona vive, grazie all’azione dello Spirito Santo, acquista un senso nuovo in Dio. Ognuno di noi lo sperimenta; più andiamo avanti nella vita personale e nella risposta alla chiamata del Signore nella storia, più lo conosciamo: «Nell’illuminazione dello Spirito, noi vedremo la vera luce che illumina ogni uomo che viene nel mondo» (vgl.. San Basilio).

«Gesù Cristo è lo stesso ieri e oggi e per sempre» (EB 13,8), non cambia, ma lo Spirito ci guiderà alla verità tutta intera. Diese, inviato ai discepoli, ricorda loro le sue parole (vgl.. GV 14,26), le approfondisce e nuovi eventi e realtà sono illuminati e compresi proprio grazie alla presenza dello Spirito Santo. A Cristo non succede lo Spirito Santo, all’età del Figlio non segue quella dello Spirito, perché lo Spirito che procede dal Padre è anche lo Spirito del Figlio: «Tutto quello che il Padre possiede è mio». Dove c’è Cristo c’è lo Spirito e dove c’è lo Spirito c’è Cristo. Egli è la fonte perenne dello Spirito che mai si esaurisce e sempre rinnova la Chiesa, come lo stesso Giovanni ci ricorda: «Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Jesus, Kissen-Block-Füße, er schrie: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Wie die Schrift sagt: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva. Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato» (GV 7, 37-39).

Per questo la Chiesa continuamente invoca quest’acqua, lo Spirito del Padre e del Figlio, che è anche alito di vita sempre creante, secondo le parole del Salmo: «Manda il tuo Spirito, tutto sarà creato e rinnoverai la faccia della terra» (Soll 104, 30).

 

Aus der Eremitage, 19 Dürfen 2024

 

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Die Väter der Insel Patmos

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Die Kirche ist die Tochter der ersten zögerlichen Jünger

Homiletik der Väter der Insel Patmos

LA CHIESA È FIGLIA DEI PRIMI DISCEPOLI TITUBANTI

Le persone possono apprezzare molto la religione, aber dann kommen sie selten zum Glauben. Anlässlich Ostern haben wir uns gesehen, moltiplicate dai Sozial, manifestazioni religiose della tradizione popolare che chiamiamo “sacre” e che giocano molto sul filo dell’emozione e del sentimento, ma approdano poi davvero a Gesù Cristo e alla sua Parola?

 

 

 

 

 

 

 

 

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.HTTPS://youtu.be/4fP7neCJapw.

Il Vangelo di questa Terza Domenica di Pasqua racconta l’ultima apparizione di Gesù Risorto, secondo il piano narrativo del Vangelo di Luca. Siamo tra la scena di Emmaus e quella dell’ascensione e Gesù si mostra ai discepoli che hanno appena ascoltato ciò che due viandanti hanno riferito loro. Ecco il brano:

Risurrezione, opera di Quirino De IESO, 1996

„Zu dieser Zeit, [die beiden Jünger, die aus Emmaus zurückgekehrt waren] Narravano [an die Elf und an diejenigen, die bei ihnen waren] was auf dem Weg passiert war und wie sie es erkannten [Jesus] nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: "Friede sei mit dir!”. Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Aber er sagte es ihnen: „Weil du verärgert bist, und warum Zweifel in deinem Herzen auftauchen? Schau auf meine Hände und meine Füße: Ich bin es wirklich! Berühre mich und sieh; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho”. Indem ich das sage, er zeigte ihnen seine Hände und Füße. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, er sagte: „Du hast hier etwas zu essen?”. Sie boten ihm eine Portion gerösteten Fisch an; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: “Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi”. Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: „So steht es geschrieben: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, ab Jerusalem. Sie sind von Zeugen ". (LC 24,35-48).

Sempre nel medesimo giorno, «il primo della settimana» (LC 24,1), ma stavolta di sera, due discepoli tornati a Gerusalemme sono nella camera alta (vgl.. LC 22,12; MC 14,15), a raccontare agli Undici e agli altri «come hanno riconosciuto Gesù nello spezzare il pane» (LC 24,35). Ed ecco che, plötzlich, si accorgono che Gesù è in mezzo a loro e fa udire la sua voce. Non rivolge loro parole di rimprovero per come si sono comportati nelle ore della sua passione. Il fatto di menzionare che adesso sono in undici e non più dodici, come quando li aveva scelti, dice molto del loro stato d’animo. Piuttosto si rivolge loro così: «εἰρήνη ὑμῖν! (Friede sei mit dir!)»; un saluto all’apparenza abituale fra ebrei, ma che quella sera, rivolto a discepoli profondamente scossi e turbati dagli eventi della passione e morte di Gesù, significa innanzitutto: «Non abbiate paura!».

Le cose sembrano tornate alla normalità, ma è così davvero? La resurrezione ha radicalmente trasformato Gesù, l’ha trasfigurato, reso «altro» nell’aspetto, perché egli ormai è «entrato nella sua gloria» (LC 24,26) e può solo essere riconosciuto dai discepoli attraverso un atto di fede. Quest’atto di fede è però difficile, faticoso: gli Undici stentano a viverlo e a metterlo in pratica. Non a caso Luca annota che i discepoli «sconvolti e pieni di paura, credono di vedere uno spirito» (πνεῦμα θεωρεῖν), allo stesso modo che i discepoli di Emmaus credevano di vedere un pellegrino o Maddalena un giardiniere. In particolare il corpo di Gesù è cambiato, è ormai risorto, glorioso. Ci potremmo chiedere, in der Tat, come mai con un evento tanto grande come una risurrezione da morte il corpo del Signore non sia uscito dal sepolcro riparato, ma conservi i segni evidenti della passione. Gesù interroga i discepoli:

«Perché siete turbati, und warum Zweifel in deinem Herzen auftauchen? Schau auf meine Hände und meine Füße: Ich bin es wirklich! Berühre mich und sieh; uno spirito non ha carne e ossa, come vedete che io ho».

Nel dire questo, mostra loro le mani e i piedi con i segni della crocifissione. Il Risorto non è altro che colui che è stato crocifisso. Questa ostensione da parte di Gesù delle sue mani e dei suoi piedi trafitti per la crocifissione è un gesto che secondo alcuni sta a significare che ormai è possibile incontrare il Signore nei sofferenti, nei poveri e nei disprezzati che subiscono ingiustizie. Das ist wahr, ma è anche innanzitutto una domanda di fede che si basa su segni evidenti che rimandano a tutto quello che Gesù è stato e al significato di quello che ha subito: la resurrezione di Gesù non è un mito religioso, è un fatto reale, Physiker.

Aus diesem Grund, paradoxerweise, dobbiamo essere grati alla ritrosia dei discepoli conservata nei Vangeli. Nonostante le parole e il gesto di Gesù i discepoli non arrivano a credere, malgrado l’emozione gioiosa non giungono alla fede. Non è forse l’esperienza che ancora si perpetua nelle nostre comunità? Le persone possono apprezzare molto la religione, aber dann kommen sie selten zum Glauben. Anlässlich Ostern haben wir uns gesehen, moltiplicate dai Sozial, manifestazioni religiose della tradizione popolare che chiamiamo “sacre” e che giocano molto sul filo dell’emozione e del sentimento, ma approdano poi davvero a Gesù Cristo e alla sua Parola? In ciò che accadde agli Undici possiamo leggere la vicenda delle nostre comunità, nelle quali si vive la fede e la si confessa, ma si manifesta anche l’incredulità. Eppure il Risorto ha grande pazienza, per questo offre alla sua comunità una seconda parola e un secondo gesto.

Egli non risponde ai dubbi ― «perché sorgono dubbi nel vostro cuore?», LC 24,38 ― nel modo che ci aspetteremmo, ma si pone piuttosto su un altro piano, quello dell’incontro, e, cosa ancor più significativa, nella forma della convivialità. Gesù mangia coi suoi, come aveva abitualmente fatto nella sua vita terrena. Andererseits, questa volta è lui stesso a dire: «Avete qualcosa da mangiare?» (LC 24,41). Ci sorprende un gesto così semplice, quotidiano e normale, che tante volte Gesù ha compiuto. Andererseits, sembra proprio il gesto del mendicante che chiede del cibo e lo cerca umilmente entrando in casa, proprio mentre gli altri sono già a tavola. Con la medesima discrezione che avevamo visto nell’episodio di Emmaus. Jesus, si dirà nel libro dell’Apocalisse, è colui che sta alla porta e bussa: «Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, Ich werde kommen, Ich sup mit ihm und er mit mir " (Ap 3,20).

Ma evidentemente c’è di più. Gesù mangia davanti a loro non perché ci sia una causa da continuare e il pasto diventa, come in occasione dei funerali, un modo per attenuare il dolore del distacco e rinsaldare la memoria di chi non c’è più. Gesù offre dei segni e compie dei gesti perché si creda che egli è veramente Risorto e che il suo corpo crocifisso è ora un corpo vivente, «un corpo spirituale» (1Kor 15,44), cioè vivente nello Spirito, dirà l’Apostolo Paolo. È per questo che ancora oggi la Chiesa incontra il Risorto nei Sacramenti e in particolare nella celebrazione eucaristica.

I discepoli, narra il Vangelo, restano in silenzio, muti, sopraffatti dalle emozioni della gioia e del timore, che insieme non ce la fanno ad accendere la luce della fede pasquale. Luca scriverà in seguito, all’inizio degli Atti degli apostoli, che Gesù «si presentò vivente ai suoi discepoli… con molte prove» (Bei 1,3). Allora Gesù, per renderli finalmente credenti chiede di ricordare le parole dette mentre era con loro e soprattutto come doveva trovare compimento tutto ciò che era stato scritto su di lui, il Messia, nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi, cioè nelle sante Scritture dell’Antica Alleanza. Quest’azione ermeneutica compiuta dal Risorto che noi riviviamo ogni domenica nell’Eucarestia è descritta dalle parole: «Aprì loro la mente (diénoixen autôn tòn noûn) per comprendere le Scritture».

Il verbo qui utilizzato (dianoígo) nei Vangeli ha il senso di «aprire e mettere in comunicazione». Così sono aperti gli orecchi dei sordi, la bocca dei muti (vgl.. MC 7,34) e gli occhi ciechi dei discepoli di Emmaus (LC 24,31). In questa circostanza indica l’operazione compiuta dal Risorto che come un esegeta aiuta i discepoli a capire che le Scritture parlavano di lui. Non aveva forse conversato con Mosè ed Elia proprio su quell’esodo pasquale che doveva compiersi a Gerusalemme (LC 9,30-31)?

La Chiesa è figlia di quei primi discepoli titubanti ai quali Gesù subito fa questa promessa: „Und siehe,, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto» (LC 24,49). Grazie al dono e alla forza dello Spirito del Risorto ancora oggi i discepoli ascoltano la Scrittura, sommamente nella Liturgia, che parla di Lui, si nutrono di Lui nell’Eucarestia e Lui testimoniano invitando alla conversione e al perdono che da Gerusalemme prese l’abbrivio. Da quel primo giorno i cristiani non hanno cessato di professare e poi testimoniare la loro fede condensata nel Simbolo: «Morì e fu sepolto. Am dritten Tag stand er wieder auf, nach den Schriften (resurrexit tertia die secundum Scripturas)» (vgl.. 1Kor 15,3-4).

Fröhlichen Sonntag euch allen!

Aus der Eremitage, 14 April 2024

 

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“Gesegnet sind wir” dass wir, obwohl wir es nicht gesehen hatten, an Christus, den wahren Gott und den wahren Menschen, glaubten

Homiletik der Väter der Insel Patmos

„Gesegnet sind wir“, die wir nicht gesehen haben, die an Christus, den wahren Gott und den wahren Menschen, geglaubt haben

Was Thomas vorgeworfen wird, ist, dass er Jesus nicht gesehen hat. Der Vorwurf beruht vielmehr auf der Tatsache, dass Thomas sich zu Beginn verschlossen und dem Zeugnis derer, die ihm sagten, sie hätten den Herrn lebend gesehen, keinen Glauben schenkte. Es wäre für ihn besser gewesen, seinen Freunden zunächst etwas Anerkennung zu zollen, Sie warten darauf, die Erfahrungen, die sie bereits gemacht haben, persönlich zu wiederholen. Stattdessen behauptete Thomas fast, die Bedingungen des Glaubens zu diktieren.

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Das Lied für diesen zweiten Ostersonntag, oder auch Göttliche Barmherzigkeit genannt, Es ist die letzte der Erzählkompositionen, die mit dem letzten „Ersten“ des Johannesevangeliums enden (vv. 30-31) und sind in vier kleine Quadrate teilbar: Maria Magdalena geht zum Grab; Danach sind es Petrus und der andere Jünger, die zum Grab gehen; Dann trifft Maria Magdalena den Herrn und glaubt, er sei der Gärtner; letzten Endes, das letzte Gemälde, sieht die Jünger und Thomas als Protagonisten.

Unglaube des heiligen Thomas, Werk von Michelangelo Merisi, bekannt als Caravaggio, Bildergalerie

Der evangelische Text lautet wie folgt:

„Der Abend dieses Tages, der Erste der Woche, während die Türen des Ortes, wo die Jünger waren, aus Angst vor den Juden verschlossen waren, Jesus kam, stand in der Mitte und erzählte es ihnen: "Friede sei mit dir!”. Sagte das, er zeigte ihnen seine Hände und seine Seite. Und die Jünger freuten sich, als sie den Herrn sahen. Jesus sagte es ihnen noch einmal: "Friede sei mit dir! Wie der Vater mich gesandt hat, Ich schicke dir auch ". Sagte das, er blies und sagte zu ihnen: „Empfange den Heiligen Geist. Jenen, denen du Sünden vergeben wirst, wird vergeben; denen wirst du nicht vergeben, ihnen wird nicht vergeben“. Tommaso, einer der Zwölf, namens Didymus, Er war nicht bei ihnen, als Jesus kam. Die anderen Jünger sagten es ihm: „Wir haben den Herrn gesehen!”. Aber er sagte es ihnen: „Es sei denn, ich sehe die Markierung der Nägel in seinen Händen und lege meinen Finger in die Markierung der Nägel und lege meine Hand in seine Seite, Das glaub ich nicht". Acht Tage später waren die Jünger wieder im Haus und auch Thomas war bei ihnen. Jesus kam, hinter verschlossenen Türen, Er stand in der Mitte und sagte: "Friede sei mit dir!”. Dann sagte er zu Thomas: „Legen Sie Ihren Finger hierher und schauen Sie sich meine Hände an; Streck deine Hand aus und lege sie in meine Seite; und sei nicht ungläubig, aber ein Gläubiger!”. Tommaso antwortete ihm: „Mein Herr und mein Gott!”. Jesus sagte es ihm: „Weil du mich gesehen hast, du glaubtest; Selig sind diejenigen, die es nicht gesehen und geglaubt haben!”. Jesus, im Beisein seiner Jünger, Er tat viele andere Zeichen, die in diesem Buch nicht geschrieben wurden. Aber diese wurden geschrieben, damit Sie glauben können, dass Jesus der Christus ist, der Sohn Gottes, und warum, glauben, habe das Leben in seinem Namen“ (GV 20,19-31).

Sogar ein unaufmerksamer Leser ist sich bewusst, dass in diesem Text so viele Themen zusammenkommen, dass es wirklich anmaßend wäre, sie in einem einzigen kurzen Kommentar zusammenzufassen. Denken Sie an die Zeitangabe, dieser erste Tag der Woche, der für Christen für immer das liturgische Gedenken an die Auferstehung Jesu markieren wird. Dann gibt es noch die drei Gaben des Friedens, der Sendung und der Vergebung, die vom Auferstandenen ausgehen, der „in der Mitte“ der Jünger ist und darüber Freude empfindet. Denken Sie an das Thema „Sehen“, das zum Synonym für Glauben wird, in der Sequenz mit Tommaso als Protagonist.

Es gibt auch die Gabe des Geistes von Jesus. Die Art und Weise, wie das Vierte Evangelium davon spricht, ist einzigartig im gesamten Neuen Testament. Nur Giovanni, in der Tat, und nur hier im Vers 22, Es heißt, dass Jesus die Jünger „anhauchte“.. Es wird ein Verb verwendet, emphysao, «Insufflare, füttern", erstmals im Buch Genesis verwendet, während der Geschichte der Erschaffung des Menschen. Alles hat die Realität geschaffen, es wird dort erzählt, es kommt aus dem Wort Gottes, aber um einen Mann zu machen, reicht das nicht aus: Gott muss atmen in seinen Nasenlöchern. Genau hinschauen, Aber, Jesu Handeln besteht nicht nur darin, „anzublasen“, aber es deutet auch auf das „Atmen“ Jesu hin: weil er wieder lebt! Es ist ein Beweis dafür, dass er kein Geist ist, und tatsächlich reicht es nicht aus, dass er seine Hände und seine Seite zeigt: Jesus atmet. Dieses Verb emphysao es kommt noch an anderen Stellen in der Bibel vor, zum Beispiel in 1Betreff 17,21 und in Dies 37,9. Im Text Hesekiels kann das Volk nur dann auferstehen, wenn der Geist aus den vier Winden kommt, um den Toten Leben einzuhauchen.

Es geht aus dem Gebrauch des Alten Testaments hervor unseres Verbs eine Konstante, die mit Johns Geschichte verknüpft werden kann. Diese „verkünden das symbolisch.“, So wie Gott in der ersten Schöpfung dem Menschen einen Geist des Lebens einhauchte, also jetzt, im Moment der Neuschöpfung, Jesus haucht den Jüngern seinen eigenen Heiligen Geist ein, ihnen ewiges Leben geben. In der Taufsymbolik von Johann 3,5, Den Lesern des Evangeliums wird gesagt, dass sie aus Wasser und Geist als Kinder Gottes geboren werden; Die gegenwärtige Szene dient als Taufe für die unmittelbaren Jünger Jesu und als Pfand der göttlichen Geburt für alle zukünftigen Gläubigen, vertreten durch die Jünger. Es ist kein Wunder, dass der Brauch, Täuflinge anzuhauchen, Einzug in den Taufritus gehalten hat.. Jetzt sind sie wahre Brüder Jesu und können seinen Vater ihren Vater nennen (20,17). Die Gabe des Geistes ist der letzte Höhepunkt der persönlichen Beziehungen zwischen Jesus und seinen Jüngern.“ (R. Braun).

Dann ist da noch die Episode von Tommaso Das ist sehr wichtig und es ist kein Zufall, dass es nicht nur eine Möglichkeit darstellte, das Evangelium zu übersetzen, aber vor allem die Art, die Worte Jesu an Thomas zu verstehen, insbesondere im Vergleich zwischen Katholiken und Reformierten. Uns fällt sofort auf, dass das Verb im griechischen Original im Aorist steht (Gläubige) und selbst in der lateinischen Version wurde es in der Vergangenheitsform geschrieben (Sie glaubten): „Du hast geglaubt, weil du gesehen hast“, sagt Jesus zu Thomas, „selig sind diejenigen, die nichts gesehen haben.“ [das heißt, ohne mich gesehen zu haben, direkt] Sie glaubten". Und die Anspielung bezieht sich nicht auf die Gläubigen, die später kommen, dass sie „glauben, ohne zu sehen“, sondern an die Apostel und Jünger, die als erste erkannten, dass Jesus auferstanden war, trotz des Mangels an sichtbaren Zeichen, die dies bezeugten. Insbesondere bezieht sich der Verweis auf John, der andere Jünger, der mit Petrus zuerst zum Grab gelaufen war (Evangelium vom Ostertag). Johann, trat nach Petrus ein, er hatte Hinweise gesehen, das leere Grab und die Bandagen, die vom Körper Jesu leer blieben, ohne gelöst zu werden und, trotz des Mangels an solchen Beweisen, er hatte begonnen zu glauben. Der Satz Jesu: „Selig sind diejenigen, die es nicht gesehen haben.“ [mich] sie glaubten" bezieht sich genau auf "er sah und glaubte» bezog sich auf Johannes im Moment seines Eintritts in das leere Grab. Wir schlagen Thomas noch einmal das Beispiel von Johannes vor, Jesus meint, dass es vernünftig ist, dem Zeugnis derer zu glauben, die Zeichen gesehen haben, Zeichen seiner lebendigen Präsenz. Es handelt sich also nicht um eine Bitte um blinden Glauben, sondern der Segen, der denen versprochen wird, die seine Anwesenheit demütig erkennen, selbst bei kleinen Zeichen, und den Worten glaubwürdiger Zeugen Glauben schenken. Was Thomas vorgeworfen wird, ist, dass er Jesus nicht gesehen hat. Der Vorwurf beruht vielmehr auf der Tatsache, dass Thomas sich zu Beginn verschlossen und dem Zeugnis derer, die ihm sagten, sie hätten den Herrn lebend gesehen, keinen Glauben schenkte. Es wäre für ihn besser gewesen, seinen Freunden zunächst etwas Anerkennung zu zollen, Sie warten darauf, die Erfahrungen, die sie bereits gemacht haben, persönlich zu wiederholen. Stattdessen behauptete Thomas fast, die Bedingungen des Glaubens zu diktieren. In der CEI-Version liegt ein Übersetzungsfehler vor. Als Jesus seine Wunden der von Thomas geforderten empirischen Prüfung unterzieht, Begleitet dieses Angebot mit einer Ermahnung: „Und werden Sie nicht ungläubig, aber es wird (werden) Gläubige". Das bedeutet, dass Thomas immer noch weder das eine noch das andere ist. Er ist noch nicht ungläubig, aber er ist noch nicht einmal ein Gläubiger. Die CEI-Version, wie viele andere, übersetzt stattdessen: „Und seien Sie nicht ungläubig, aber ein Gläubiger“. Jetzt, im Originaltext, Das Verb „werden“ suggeriert die Idee einer Dynamik und einer Veränderung, die durch die Begegnung mit dem lebendigen Herrn hervorgerufen wird. Ohne die Begegnung mit einer lebendigen Realität kann man nicht anfangen zu glauben. Erst nachdem er Jesus lebend gesehen hat, kann Thomas beginnen, ein „Gläubiger“ zu werden.. Stattdessen die falsche Version, welches am beliebtesten ist, Ersetzen des Verbs sein durch das Verb werden, es eliminiert die Wahrnehmung dieser Bewegung und scheint fast zu implizieren, dass der Glaube aus einer a priori zu treffenden Entscheidung besteht, eine ursprüngliche Bewegung des menschlichen Geistes. Es ist eine totale Umkehrung. Thomas sieht Jesus und wird aufgrund dieser Erfahrung aufgefordert, das Zögern zu durchbrechen und gläubig zu werden. Wenn das Werden durch das Sein ersetzt wird, es scheint fast so, als ob von Thomas vorläufiger Glaube verlangt wird, Das allein würde es ihm ermöglichen, den Herrn zu „sehen“ und sich seinen Wunden zu nähern. Wie der Idealismus es wollte, Daher ist es der Glaube, der die zu glaubende Realität schafft, aber das steht im Widerspruch zu allem, was die Heilige Schrift und die Tradition der Kirche lehren. Die Erscheinungen von Maria Magdalena, an die Jünger und an Thomas sind das normative Bild einer Erfahrung, zu der jeder Gläubige in der Kirche berufen ist; wie der Apostel Johannes, Auch für uns kann „Sehen“ ein Tor zum „Glauben“ sein. Genau aus diesem Grund lesen wir weiterhin die Geschichten aus den Evangelien; die Erfahrung derjenigen zu wiederholen, die vom „Sehen“ zum „Glauben“ übergegangen sind: Denken Sie an die Betrachtung der evangelischen Szenen und die Anwendung der Sinne auf sie, nach einer langen spirituellen Tradition. Das Markusevangelium endet mit dem Zeugnis, dass die Predigt der Apostel nicht nur eine einfache Geschichte war, aber es war von Wundern begleitet, damit sie ihre Worte mit diesen Zeichen bestätigen könnten: „Dann gingen sie weg und verkündeten überall das Evangelium, während der Herr mit ihnen handelte und das Wort mit den Zeichen, die es begleiteten, bestätigte. (MC 16,20). Viele Kirchenväter, vom westlichen Augustinus bis zum östlichen Athanasius, Sie bestanden auf dieser Beständigkeit der äußeren sichtbaren Zeichen, die die Predigt begleiten, die kein Zugeständnis an die menschliche Schwäche sind, aber sie hängen mit der Realität der Inkarnation zusammen. Wenn Gott Mensch würde, mit seinem wahren Körper auferstanden, er bleibt für immer ein Mann und handelt weiter. Jetzt sehen wir nicht den herrlichen Körper des Auferstandenen, aber wir können die Werke und Zeichen sehen, die er tut. «Codes in unseren Händen, in den Augen getan», sagt Augustinus: „In unseren Händen liegen die Codes der Evangelien.“, die Fakten in unseren Augen“ (WHO). Während wir die Evangelien lesen, Schauen wir uns die Fakten noch einmal an. Und Athanasius schreibt im Inkarnation des Wortes:

"Kommen Sie, unsichtbar sein, es ist aufgrund der Schöpfungswerke bekannt, also, einmal wurde er ein Mann, auch wenn es nicht im Körper sichtbar ist, Aus den Werken lässt sich erkennen, dass derjenige, der diese Werke ausführt, kein Mensch, sondern das Wort Gottes ist. Wenn man einmal tot ist, ist man nicht mehr in der Lage, etwas anderes zu tun, als dass die Dankbarkeit für den Verstorbenen bis zum Grab reicht und dann aufhört – nur die Lebenden, in der Tat, Sie handeln und agieren gegenüber anderen Menschen – wer auch immer sehen und urteilen will, indem er die Wahrheit auf der Grundlage dessen bekennt, was er sieht.“. Die gesamte Tradition bewahrt nachdrücklich die Tatsache, dass der Glaube nicht nur auf dem Zuhören beruht, sondern auch auf der Erfahrung externer Prüfungen, wie der Katechismus der Katholischen Kirche erinnert, unter Berufung auf die dogmatischen Definitionen des Ersten Vatikanischen Ökumenischen Konzils: "Trotzdem, damit die Einhaltung unseres Glaubens der Vernunft entsprach, Gott wollte, dass die innere Hilfe des Heiligen Geistes mit einem äußeren Beweis seiner Offenbarung einhergeht.“ (CCC, Nein 156).

 

Aus der Eremitage, 07 Marsch 2024

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Sant'Angelo-Höhle in Ripe (Civitella del Tronto)

 

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Die Väter der Insel Patmos

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Die Angst vor Frauen: „Sie haben den Herrn aus dem Grab genommen und wir wissen nicht, wo sie ihn hingelegt haben.“

Homiletik der Väter der Insel Patmos

Der Schrecken der Frauen: «HANNO PORTATO VIA IL SIGNORE DAL SEPOLCRO E NON SAPPIAMO DOVE L’HANNO POSTO»

Sant’Agostino con l’acutezza che lo contraddistingue legge con onestà quello che queste parole dicono: «Era entrato e non l’aveva trovato. Er hätte glauben sollen, dass er auferstanden sei, non che era stato rubato»

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Mentre nella notte di Pasqua abbiamo letto il racconto evangelico più antico sulla risurrezione di Gesù, quello di Marco, oggi viene proclamato l’inizio del capitolo ventesimo di Giovanni, probabilmente l’ultimo testo dei Vangeli sulla risurrezione di Gesù ad essere scritto. Siamo, Also, davanti a una parabola che prende l’avvio da quello che è contenuto e ripreso da Marco, ovvero un resoconto «pre-marciano» della passione e risurrezione di Gesù e arriva fino all’ultimo racconto, quello giovanneo, risalente alla fine del primo secolo. Die Liturgie, nello spazio di una sola notte, dalla Veglia Pasquale alla messa del giorno di Pasqua, raccoglie fonti e tradizioni che si sono sedimentate nell’arco di alcuni decenni e ci permette di gustare le differenti prospettive degli evangelisti. Questo il testo proclamato:

Salvador Dali, L’aurora, 1948

„Der erste Tag der Woche, Maria Magdalena ging am Morgen zum Grab, als es noch dunkel war, Und er sah, dass der Stein vom Grab entfernt worden war. Dann lief er und ging zu Simon Petrus und dem anderen Jünger, was Jesus liebte, und sagte es ihnen: "Sie haben den Herrn aus dem Grab weggenommen, und wir wissen nicht, wo sie hingelegt haben!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario ― che era stato sul suo capo ― non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti» (GV 20,1-9)

Leggendo questo brano ci coglie una profonda emozione, la stessa provata dai primi testimoni della Risurrezione, una donna e due discepoli. Questa sembra proprio l’intenzione dell’evangelista. Ci aspetteremmo, in der Tat, una confessione matura e convinta circa l’evento, invece nel nostro testo non abbiamo ancora l’annuncio pasquale, eher, ciò che Maria di Magdala corre a dire ai due discepoli è: „Sie haben den Herrn aus dem Grab genommen und wir wissen nicht, wo sie ihn hingelegt haben.“. Maria, preda della paura e dello sconforto, dà per certo che il corpo di Gesù sia stato trafugato e la sua preoccupazione verte sul «dove» ora si possa trovare la salma. Il racconto evangelico mostra dunque la genesi della fede pasquale presentandone il momento incoativo, lo sprigionarsi della scintilla che presto diverrà un incendio. L’itinerario interiore che condurrà al grido e all’annuncio «È risorto» passa attraverso la presa di coscienza delle evidenze di morte costituite dalle bende e dal sudario che avvolgevano la salma e dal sepolcro in cui essa era stata deposta. Il Santo Vangelo ci fa sentire così questi discepoli molto vicini a noi, al nostro graduale cammino verso una fede salda nella Risurrezione di Gesù. Fede piena sarà quella di Tommaso che dirà: „Mein Herr und mein Gott“ (GV 20,28); ma non senza esser dovuto passare anche lui per la tentazione del non credere e della sfiducia.

L’assenza di fede nella Risurrezione viene simbolicamente anticipata dall’annotazione che fuori «era ancora buio» (GV 20,1) quando Maria di Magdala si recò al sepolcro. E il «buio» nella simbologia giovannea rinvia a ciò che si oppone alla luce (GV 1,5; 3,19), designa la situazione problematica dei discepoli nell’assenza di Gesù (GV 6,17), è la condizione di incertezza e sbandamento in cui si trova a vagare chi non segue Gesù (GV 8,12), chi non crede in lui (GV 12,46). Zusamenfassend, siamo al «primo giorno della settimana» (GV 20,1), ma non è ancora spuntata l’alba, siamo ancora nel buio.

In diesem Zusammenhang l’evangelista presenta le reazioni di tre discepoli di fronte alla tomba vuota e in particolare la fede incoativa del discepolo amato che, viste le bende per terra ed entrato nel sepolcro vuoto, «credette» (GV 20,8), oder besser, «cominciò a credere» (vgl.. l’aoristo ingressivo: epiesteuesen καὶ ἐπίστευσεν). Solo così si può infatti spiegare l’annotazione che l’evangelista pone a immediato commento: «Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura che egli doveva risuscitare dai morti» (GV 20,9). Sant’Agostino con l’acutezza che lo contraddistingue legge con onestà quello che queste parole dicono: «Era entrato e non l’aveva trovato. Er hätte glauben sollen, dass er auferstanden sei, non che era stato rubato» (vgl.. WHO). La fede pasquale non nasce dalla mera constatazione di una tomba vuota: questa può condurre anche a formulare l’ipotesi di un trafugamento del corpo. I fatti vanno accostati alle parole della Scrittura e da essa illuminati. Solo allora essi daranno vita alla fede pasquale. Fede che troverà la sua pienezza con il dono dello Spirito che illumina le menti aprendole all’intelligenza delle Scritture, come fu per i discepoli di Emmaus (vgl.. LC 24,45), Warum: «Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità” (GV 16, 13).

La resurrezione infatti è un evento inaudito, impensabile e sconcertante. Ne saprà qualcosa Paolo quando proverà ad annunciarla agli ateniesi (Bei 17, 32). È la novità assoluta di Dio e i discepoli sono totalmente impreparati all’evento. Solo il discepolo amato, proprio per quella sua conoscenza intima che lo lega a Gesù, comincia a intuire e a lasciar spazio nel proprio animo alla novità compiuta da Dio.

C’è tuttavia in questi tre discepoli l’aspetto emotivo che a suo tempo li aveva portati a lasciare tutto per seguire Gesù. In Maddalena che teme di non poter più vedere e toccare il suo Signore e per questo corre. Corre verso Pietro e il discepolo amato, i due punti di riferimento del gruppo dei discepoli. E a loro volta corrono anch’essi, stavolta al contrario, di nuovo verso il sepolcro. Nel momento in cui il piano emotivo viene lasciato andare a briglia sciolta ognuno esprime se stesso senza più far valere le regole del gruppo. Giunto tuttavia al sepolcro il discepolo amato attende Pietro e lascia che lui entri per primo, rispettando il primato stabilito dal Signore. Il piano emotivo e affettivo di Maria (che corre dai due discepoli) e del discepolo amato (che aspetta Pietro e lo fa entrare per primo nel sepolcro) restano ordinati e sottomessi all’oggettività comunitaria. Ma per guidare l’emotività e l’affettività alla fede piena occorreranno l’intelligenza della Scrittura e la fede in essa, che è fondamento ineliminabile e oggettivante della fede pasquale e della vita ecclesiale.

Noi oggi che ascoltiamo ancora una volta queste parole del Santo Vangelo proclamate esprimiamo gratitudine verso questi discepoli così importanti che hanno voluto conservare la loro titubanza di fronte ad un evento così inusitato. Li sentiamo vicini, grati per la loro testimonianza di fede che ci hanno tramandato proprio nelle Scritture. Ci hanno insegnato a cercare il Risorto non più nel sepolcro (mnemeîon in Griechenland: wurde. «memoriale»; GV 20 1.2.3.4.6) che è memoria cimiteriale, morta. Ma ormai vivente nella sua gloria e presente quando ci amiamo, quando lo testimoniamo nei luoghi della nostra esistenza, quando incontriamo la sofferenza o quando portiamo speranza. Nel nostro radunarci ogni domenica, Pasqua della settimana, senza la quale non possiamo più vivere. Perché lì confessiamo non solo i nostri peccati, ma ascoltiamo di nuovo la Scrittura che ci parla di Lui e di Lui ci nutriamo, nell’attesa che Egli venga.

Termino con queste parole del poeta fiorentino Mario Luzi (1914 – 2005). Il Papa Giovanni Paolo II gli chiese di commentare le stazioni della Kreuzweg al Colosseo nel giorno di Venerdì Santo del 1999. Ed egli finì così:

«Dal sepolcro la vita è deflagrata. / La morte ha perduto il duro agone. / Comincia un’era nuova: l’uomo riconciliato nella nuova alleanza sancita dal tuo sangue / ha dinanzi a sé la via. / Difficile tenersi in quel cammino. / La porta del tuo regno è stretta. / Ora sì, o Redentore, che abbiamo bisogno del tuo aiuto, / ora sì che invochiamo il tuo soccorso, / Sie, guida e presidio, non ce lo negare. / L’offesa del mondo è stata immane. / Infinitamente più grande è stato il tuo amore. / Noi con amore ti chiediamo amore. / Amen". (Mario Luzi, Kreuzweg al Colosseo, 1999)

Surrexit Christus SPEs MEA... Dominus vere, et Apparuit Simoni, alleluia!

Frohe Ostern euch allen.

 

Aus der Eremitage, 31 Marsch 2024

Santa Pasqua di Risurrezione

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Die Väter der Insel Patmos

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Es ist besser, dass ein einzelner Mann stirbt, als dass eine ganze Nation zugrunde geht

Homiletik der Väter der Insel Patmos

Es ist besser, einen Mann sterben zu lassen, als dass die ganze Nation zugrunde geht

Für Jesus ist der wahre Tod nicht der physische Tod, den Menschen geben können, aber es liegt in der Weigerung, sein Leben für andere zu geben, die sterile Abschottung von sich selbst; andererseits, Das wahre Leben ist der Höhepunkt eines Prozesses der Selbsthingabe.

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Missverstehen, das heißt, eine Sache für eine andere zu halten. Diese bis heute verbreitete Tätigkeit zeichnet sich durch den konsequenten Einsatz von aus Sozial, Für den Autor des Vierten Evangeliums wird es zu einem literarischen Mittel, mit dem, das momentane Missverständnis nutzen, Der Leser wird zu weiterem Wissen geführt, oft tiefer, der Realität, des Geheimnisses, das in Jesus lebt. Wir haben es bei der Begegnung zwischen ihm und der Samariterin und davor bei Nikodemus gesehen, im Evangelium vom letzten Sonntag. Wir finden ihn immer noch hier, im evangelischen Abschnitt dieses fünften Fastensonntags. Was könnte einfacher und natürlicher sein als der Wunsch, Jesus zu sehen?? Es wäre auch keine Bitte, die wir jeden Tag stellen würden? Doch der Evangelist sagt uns, dass Er scheint, offenbar, berücksichtige es nicht; abgelenkt bzw, besser gesagt, konzentrierte sich auf einen bevorstehenden Test, auf das, was ihn ablenken könnte, und deshalb auf eine Darstellung seiner selbst, die die bloße Neugier, ihn zu sehen, vielleicht nicht verstehen würde. Auf was oder wen sollten wir achten, wenn wir Jesus sehen möchten??

Zweiter Tempel von Jerusalem, Rekonstruktionsmodell, Museum des Staates Israel

„Zu dieser Zeit, Unter denen, die während des Festes zum Gottesdienst heraufgekommen waren, befanden sich auch einige Griechen. Sie wandten sich an Philip, der aus Bethsaida in Galiläa stammte, und sie fragten ihn: “Mann, wir wollen Jesus sehen”. Filippo ging, um es Andrea zu sagen, Und dann gingen Andreas und Philippus, um es Jesus zu sagen. Jesus antwortete ihnen: “Die Stunde der Verherrlichung des Menschensohnes ist gekommen. In Wahrheit, wahrlich, ich sage: wenn das Weizenkorn, fiel auf den Boden, stirbt nicht, bleibt allein; wenn es stattdessen stirbt, bringt viele Früchte hervor. Wer liebt sein Leben, Wer sein Leben in dieser Welt hasst, verliert es, er wird es für das ewige Leben behalten. Falls mir jemand dienen möchte, folgen Sie mir, und wo bin ich, mein Diener wird auch da sein. Sei einer, diene mir, der Vater wird ihn ehren. Jetzt ist meine Seele beunruhigt; was werde ich sagen? Vati, rette mich vor dieser Stunde? Aber genau deshalb bin ich zu dieser Stunde gekommen! Vati, verherrliche deinen Namen”. Dann kam eine Stimme vom Himmel: “Ich habe ihn verherrlicht und werde ihn noch einmal verherrlichen!”. Die Menge, der anwesend war und gehört hatte, Er sagte, es sei Donner gewesen. Andere sagten: “Ein Engel sprach zu ihm”. Jesus sagte: “Diese Stimme kam nicht zu mir, aber für dich. Jetzt ist das Gericht dieser Welt; Jetzt wird der Fürst dieser Welt hinausgeworfen. And I, wenn ich vom Boden erhoben werde, Ich werde alle zu mir ziehen”. Er sagte dies, um den Tod anzudeuten, den er sterben würde. (GV 12, 20-33).

Um die Perikope zu verstehen, lesen Sie einfach Es ist notwendig, auf die wachsende Feindseligkeit gegenüber Jesus hinzuweisen, die in den folgenden Worten deutlich wird, die der gerade zitierten Passage vorausgehen:

«„Wenn wir es so weitergehen lassen, Jeder wird an ihn glauben, Die Römer werden kommen und unseren Tempel und unsere Nation zerstören.“. Aber einer von ihnen, Kaiphas, der in diesem Jahr Hohepriester war, er hat ihnen gesagt: „Du verstehst nichts! Du bist dir nicht darüber im Klaren, dass es für dich bequem ist, dass ein Mann für das Volk stirbt, und die ganze Nation geht nicht zugrunde!”. Allerdings sagte er dies nicht von sich aus, ma, In diesem Jahr war er Hohepriester, prophezeite, dass Jesus für die Nation sterben müsse; und nicht nur für die Nation, sondern auch, um die zerstreuten Kinder Gottes zu sammeln. Von diesem Tag an beschlossen sie, ihn zu töten. (GV 11, 48-53).

In den Worten der Gegner Es gibt auch die Beobachtung, dass: "Die Welt (zum Kosmos) er ging ihm nach“ (GV 12,19). In diesem Zusammenhang, in dem die Entscheidungen der Gegner bereits gefallen sind, Manche Griechen wollen Jesus sehen. Es ist ein erster Schritt, noch nicht das vollkommene Sehen, das einen dazu bringt, mit einem vom Geist verwandelten Blick über die Bedeutung der Dinge nachzudenken, die ganze Tiefe der Realität, die er Jesus zum Ausdruck bringen wird: „Wer mich gesehen hat, hat den Vater gesehen“ (GV 14,9). Dieser Wunsch ist jedoch positiv, von völlig anderem Ton als das mörderische Streben der Gegner Jesu. Es gibt auch griechische, Geschenk zu Ostern in Jerusalem, vielleicht Sympathisanten des jüdischen Monotheismus oder sogar bereits beschnitten, Sie können den innersten Teil des Tempels, in dem sich Jesus wahrscheinlich befand, nicht betreten: das den Juden vorbehaltene Gehege. Tatsächlich gab es zur Markierung dieses Raums eine Balustrade, von der uns auch der Historiker Josephus Flavius ​​​​erzählt, auf der sich einige Schriften befanden, noch heute in Jerusalem und Istanbul erhalten, der auf Griechisch rezitierte, für Nichtjuden verständlich:

„Kein Fremder soll über die Balustrade und die Mauer, die sie umgibt, eindringen Hieron (der reservierte Tempelbereich, n.d.r.); Wer auf frischer Tat ertappt wird, wird die Ursache für den folgenden Tod sein.“.

Diese, die Jesus sehen wollen Sie wenden sich an den Schüler, der einen griechischen Namen trägt, Philipp, der aus einer Stadt stammte, in der auch viele Griechen lebten, und vielleicht sprach er selbst deren Sprache. Die Bitte muss einzigartig gewesen sein, wenn Philippus selbst von einem der ersten beiden Jünger Jesu unterstützt und begleitet wurde, auch mit einem griechischen Namen: Andreas.

Nachdem Jesus die Nachricht erhalten hat, nutzt er die Gelegenheit als weiteres Zeichen dafür, dass seine „Stunde“ gekommen ist (Komm schon), das seiner Verherrlichung in seinem Ostern (GV 17,1). In Kana in Galiläa, als es noch in der Anfangsphase war, Jesus erwähnt es seiner Mutter gegenüber, jetzt hier, stattdessen, Es wird ausdrücklich gesagt, dass die Zeit: "Es ist angekommen". Und wie dann verschwinden die Eheleute bei der Hochzeit zu Kana von der Bildfläche, Auch hier scheinen die Griechen unsanft beiseitegeschoben zu werden, sodass eine Offenbarung über Jesus entsteht. Diesmal kein Zeichen, aber seine eigenen Worte offenbaren es. Sein Tod wird fruchtbar sein, wie es mit dem Weizenkorn geschieht, das auf die Erde fallen und verrotten muss, um sich zu vermehren und Frucht zu bringen., sterben, sonst bleibt er unfruchtbar und allein. Akzeptieren, zu verrotten und zu sterben, Das Korn vervielfacht sein Leben und geht daher durch den Tod und gelangt zur Auferstehung.

Das Paradoxon der Gleichnisse kehrt zurück dass Jesus das Bedürfnis verspürt, es klarzustellen:

„Wer sein Leben liebt, verliert es, und diejenigen, die ihr Leben in dieser Welt hassen, hütet es für das ewige Leben“.

Für Jesus ist der wahre Tod kein physischer Tod dass Männer geben können, aber es liegt in der Weigerung, sein Leben für andere zu geben, die sterile Abschottung von sich selbst; andererseits, Das wahre Leben ist der Höhepunkt eines Prozesses der Selbsthingabe. Die Geschichte vom Weizenkorn ist die Geschichte Jesu, aber auch die jedes seiner Diener, WHO, Nachfolge Jesu, er wird Leidenschaft und Tod kennen wie sein Herr, sondern auch Auferstehung und ewiges Leben. Nicht nur Jesus wird vom Vater verherrlicht, sondern auch der Jünger, der Diener, der, seinem Herrn folgen, werde sein Freund (GV 15,15).

Was, damit, Jesus verspricht zu sehen? Seine Leidenschaft, Tod und Auferstehung, seine Verherrlichung, das Kreuz als Offenbarung der bis zum Ende gelebten Liebe (vgl.. GV 13,1). An jeden Schüler, aus Israel oder aus den Heiden stammend, Es ist gegeben, in seinem schändlichen Tod die Herrlichkeit dessen zu betrachten, der sein Leben für die Liebe gibt. Der Evangelist ermöglicht uns auch einen Blick auf die intimsten Gefühle Jesu und seines kindlichen Gewissens. Wie die Synoptiker die Qual Jesu in Gethsemane erzählen werden (vgl.. MC 14,32-42 und par.), im Moment vor seiner Gefangennahme, Giovanni gibt sein Geständnis ab: «Jetzt ist meine Seele beunruhigt». Er ist beunruhigt über das, was passieren wird, da er bereits über den Tod seines Freundes Lazarus beunruhigt war und weinte (vgl.. GV 11,33-35). Aber diese sehr menschliche Qual wird nicht zu einem Stolperstein, der ihm in den Weg gelegt wird: Jesus wurde versucht, aber er überwindet die Versuchung radikal, indem er sich an den Willen des Vaters hält. Anders als die Synoptiker, aber ich stimme ihnen zu, denn Johannes Jesus wollte sich aus dieser Stunde nicht retten, noch davon ausgenommen sein, aber er bleibt seiner Mission treu, indem er den Willen des Vaters ausführt, in tiefer Verbundenheit mit Ihm, so sehr, dass der Ruhm zwischen ihnen geteilt wird: "Vati, verherrliche deinen Namen“. Dann kam eine Stimme vom Himmel: „Ich habe ihn verherrlicht und ich werde ihn wieder verherrlichen“. Mir kommen die Worte des Hebräerbriefes in den Sinn:

„In den Tagen seines irdischen Lebens brachte er Gebete und Bitten dar, mit lauten Schreien und Tränen, zu Gott, der ihn vor dem Tod retten konnte und, für ihre völlige Hingabe an ihn (seine Ehrfurcht), wurde zugesichert" (EB 5,7).

Aber Jesu Stunde entspricht auch dem Gericht über die Welt der die Liebe Christi nicht kennt und sich ihr widersetzt:

„Jetzt kommt das Gericht dieser Welt; Jetzt ist der Fürst dieser Welt vertrieben. And I, Wenn ich von der Erde erhöht werde, werde ich alle zu mir ziehen.

ein Hinweis auf die von Moses erweckte Schlange (vgl.. nm 21,4-9; GV 3,14) der die Israeliten rettete. Die messianische „Stunde“ Jesu vertreibt den Fürsten der Welt, der die Dunkelheit des Bösen bevorzugt, und lässt Platz für den wahren König, der, auch wenn er vom Kreuz aus regiert, Er zieht jeden aus Liebe an und auf den wir den Blick des Glaubens richten müssen. Hier ist die wahre Antwort für diejenigen, die es wollten, und sie wollen es auch heute noch, «Jesus sehen».

Die heutige Seite aus dem Evangelium Es ist eine gute Nachricht, insbesondere für all jene Jünger, die die Dynamik des Sturzes kennen, des „Verfaulens“ im Leiden, in Einsamkeit und Verstecken. In manchen Stunden des Lebens scheint es, als würde alles Folgen nur noch auf Leidenschaft und Trostlosigkeit reduziert, zu Verlassenheit und Verleugnung durch andere, Aber dann müssen wir mehr denn je auf das Bild des Weizenkorns achten, das uns Jesus gegeben hat; Mehr denn je müssen wir unseren Glaubensblick erneuern: „Sie werden auf den schauen, den sie durchbohrt haben“ (GV 19,37).

Nach einer alten Tradition Bischof Ignatius von Antiochia (35 ungefähr – Rom, 107 zirka) traf den Apostel Johannes. Es ist daher nicht überraschend, es in einem seiner Briefe an die Christen Roms zu finden, wo er das Märtyrertum finden wird, eine Übereinstimmung von Begriffen und Ansichten mit dem Evangelium, das wir heute lesen:

„Ich bin Gottes Weizen und werde von den Zähnen wilder Tiere zermahlen, um das reine Brot Christi zu werden ... Es ist besser für mich, für Jesus Christus zu sterben, als mein Reich bis an die Enden der Erde auszudehnen ... Der Fürst dieser Welt will mich wegnehmen und mein Streben nach Gott ersticken. Alle meine irdischen Wünsche sind gekreuzigt und es gibt in mir kein Streben nach materiellen Realitäten mehr, aber ein lebendiges Wasser murmelt in mir und sagt es mir: „Komm zum Vater“.

Aus der Eremitage, 17 Marsch 2024

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Sant'Angelo-Höhle in Ripe (Civitella del Tronto)

 

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Die Väter der Insel Patmos

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Wenn man nicht von oben geboren wird, er kann das Reich Gottes nicht sehen

Homiletik der Väter der Insel Patmos

SE UNO NON NASCE DALL’ALTO, NON PUÒ VEDERE IL REGNO DI DIO

La morale giovannea è una morale della verità: „Stattdessen kommt derjenige, der die Wahrheit tut, dem Licht entgegen.“, damit es deutlich erscheint, dass seine Werke in Gott getan wurden“. Im wachsenden Bewusstsein, dass „ohne mich nichts geht“, le conseguenze dell’essere cristiano, anche a livello morale, vengono collegate in Giovanni al tema del rimanere. Il rimanere con Gesù implica come dovere a livello di coerenza, ma prima e innanzitutto come conseguenza a livello dell’essere, vivere come Gesù: «Chi dice di rimanere in lui, deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato».

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.HTTPS://youtu.be/4fP7neCJapw.

 

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Poiché il Vangelo di Marco è più breve degli altri, alcuni brani del Vangelo di Giovanni concorrono a coprire tutte le domeniche dell’anno liturgico, vor allem während der Fastenzeit. Sono testi che aiutano a comprendere quel mistero pasquale che si celebrerà in particolare nei giorni del «Triduo». Essi anticipano temi importanti, come quello dell’innalzamento del «Figlio dell’uomo» a cui accenna il seguente brano evangelico che si proclama nella quarta domenica di Quaresima.

Henry Ossawa Tanner: Gesù e Nicodemo, Öl auf Leinwand, 1899, Pennsylvania Academy of the Fine Arts (Vereinigte Staaten von Amerika)

„Zu dieser Zeit, Gesù disse a Nicodèmo: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, so muss der Menschensohn auferweckt werden, damit jeder, der an ihn glaubt, ewiges Leben hat. Tatsächlich liebte Gott die Welt so sehr, dass er den einzigen Sohn gab, damit jeder, der an ihn glaubt, nicht verloren geht, sondern das ewige Leben haben. Es gab, in der Tat, schickte den Sohn nicht in die Welt, um die Welt zu verurteilen, aber damit die Welt durch ihn gerettet wird. Wer an ihn glaubt, wird nicht verurteilt; aber diejenigen, die nicht glauben, wurden bereits verurteilt, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, Er hasst das Licht, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”» (GV 3,14-21)

Nei Sinottici, Gesù predice che dovrà soffrire molto; annuncia che «sarà schernito, flagellato e crocifisso» (MT 20,19) e che il terzo giorno risorgerà. Johann, stattdessen, annunciando la passione di Gesù la presenta come una «esaltazione». Lo fa nei capitoli 3 (vv. 14-15), 8 (v. 28) e 12 (v. 32). L’ultimo è il brano più esplicito: «Quando io sarò innalzato [exaltatus] da terra attirerò tutti a me». Nel versetto precedente Gesù aveva detto: «Ora è il giudizio di questo mondo, ora il principe di questo mondo [Satan] sarà cacciato fuori». Jesus, innalzato da terra, prenderà il suo posto, divenendo re e attirando tutti a sé. Ma l’esaltazione di Gesù non avverrà in Paradiso, bensì sulla croce. Molti hanno interpretato, in der Tat, l’innalzamento di Gesù come un anticipo giovanneo della sua Ascensione, mentre qui si fa invece esplicito riferimento alla morte del Signore. Tutto questo potrebbe apparire sconcertante perché nel nostro brano, Der andere Bruder, siamo all’inizio del Vangelo e non alla fine, eppure Gesù già parla della sua morte. Del resto anche nel prologo avevamo letto che: «I suoi non l’anno accolto» (GV 1,11). E non dimentichiamo che questa è anche la Domenica «In Laetare» come proclama l’antifona d’ingresso della liturgia eucaristica. Dove trovare dunque i motivi per rallegrarsi? Evidentemente in questa verticalità evangelica che da vertigini.

Il primo ad essere sconcertato è Nicodemo, l’interlocutore di Gesù, al quale viene chiesta una rinascita dall’alto (desuper), cioè dallo Spirito effuso dall’alto. La reazione stupìta di Nicodemo ― «Come può accadere questo?» ― incontra una risposta da parte di Gesù che sconcerta anche noi:

«Se non credete quando vi ho parlato di cose della terra, come crederete se vi parlerò di cose del cielo?» (GV 3,12).

Stando al contesto le cose terrestri consistono proprio nella dinamica di rinascita spirituale che deve avvenire in vita, hier auf der Erde, nell’umanità della persona che, grazie alla fede, si apre all’azione dello Spirito. Mentre le cose celesti sono il paradosso di un innalzamento che coincide con una condanna a morte e una crocifissione che, secondo Giovanni, è esaltazione e glorificazione. Ritroviamo l’eco delle parole del profeta Isaia: «Chi crederà alla nostra rivelazione(53,1); le quali seguono l’annuncio che il «servo del Signore sarà innalzato» (Ist 52,13). Il verbo greco, in versione della Settanta (LXX), ypsóo, sarà usato anche da Giovanni nel nostro testo per indicare l’innalzamento del Figlio dell’uomo. Così al cuore della fede cristiana vi è qualcosa di sorprendente specificato subito dopo: l’innalzamento del Figlio dell’uomo è l’evento che adempie e realizza in pienezza il dono che il Padre ha fatto all’umanità: il dono del Figlio. L’innalzamento sulla croce che sembra apparire come il punto più infimo della vita di Gesù, per lo sguardo di fede è il momento nel quale si nasce dall’alto, come veniva chiesto a Nicodemo: „Truly, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio»; grazie al dono dello Spirito che il crocifisso effonde. È qui il motivo per rallegrarci, poiché se «nessuno mai è salito al cielo se non colui che è disceso dal cielo» (GV 3,13), l’evento che potremmo leggere come il più basso della vita di Gesù, la sua croce, diviene secondo Giovanni il momento più alto per lui e per noi: occasione di un dono che palesa tutto l’amore di Dio. Un amore che, so wie, non intende minimamente condannare, ma solo salvare. Un amore gratuito e incondizionato che si può diffondere e può manifestare le sue energie in chi vi fa spazio accogliendolo in sé attraverso la fede: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito». Un dono che è verticale e asimmetrico perché non cerca reciprocità: «Wie der Vater mich liebte, così io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (GV 15,9); «Come io ho amato voi, così voi amatevi gli uni gli altri» (GV 13,34).

Qui dobbiamo insistere sull’assoluta novità di una affermazione. Nelle altre religioni si parla per esempio della profondità del mistero di Dio, della sua grandezza, della sua eternità, della sua giustizia, usw.. Ma solo il cristianesi­mo ci insegna:

«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui […] abbia la vita eterna» (GV 3, 16).

Una tale rivelazione trasforma la morale cristiana. Gesù ci ha lasciato un solo comandamento, che è un comandamento nuovo, quello di amarci gli uni gli altri, come lui ha amato noi (GV 13, 34). Solo così si spiega il fatto, a prima vista paradossale, che tutta la morale giovannea è praticamente una morale della verità. Si compendia in due pre­cetti fondamentali: la fede che ci apre al Mistero e l’amore che ci fa vivere nel mistero della rivelazione. Per converso Giovanni sembra conoscere, nella sua essenzialità e semplicità ricchissime, solo due peccati: il rifiuto della fede in Gesù e l’odio del fratello.

Così la morale giovannea è una morale della verità: „Stattdessen kommt derjenige, der die Wahrheit tut, dem Licht entgegen.“, damit es deutlich erscheint, dass seine Werke in Gott getan wurden“. Im wachsenden Bewusstsein, dass „ohne mich nichts geht“, le conseguenze dell’essere cristiano, anche a livello morale, vengono collegate in Giovanni al tema del rimanere. Il rimanere con Gesù implica come dovere a livello di coerenza, ma prima e innanzitutto come conseguenza a livello dell’essere, vivere come Gesù: «Chi dice di rimanere in lui, deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato» (1 GV 2,6). «Chiunque rimane in Lui non pecca; chiunque pecca non lo ha visto né l’ha conosciuto» (1GV 3,6). Se il cristiano, wie Giovanni, rimane stupito a guardarlo, anzi se veramente rimane in Lui, allora non pecca più. In quanto chi rimane in quello stupore e in quella grazia non può peccare. È bellissimo, nella sua sinteticità, il commento di Agostino a questo versetto: «In quantum in ipso manet, in tantum non peccat». Una percezione comune soprattutto tra i padri della Chiesa orientale. Anche Ecumenio, un teologo della tradizione antiochena di Crisostomo, nel suo commento alla Prima lettera di Giovanni, schreibt:

«Quando colui che è nato da Dio si è completamente dato a Cristo che abita in lui mediante la filiazione, egli resta fuori della portata del peccato».

Diventiamo impeccabili in quanto ci abbandoniamo totalmente a Gesù Cristo, in quanto rimaniamo in Lui.

Per concludere e riassumere, se mai fosse possibile, temi di così grande densità teologica ricavabili dal brano evangelico di questa domenica, riporto un brano della costituzione dogmatica Das Licht:

"Christus, in der Tat, innalzato da terra, attirò tutti a sé; risorto dai morti, inviò sui discepoli il suo Spirito vivificante e per mezzo di lui costituì il suo corpo, die Kirche, quale universale sacramento di salvezza; assiso alla destra del Padre, opera incessantemente nel mondo per condurre gli uomini alla Chiesa e per mezzo di essa unirli più intimamente a sé e renderli partecipi della sua vita gloriosa nutrendoli con il suo corpo e il suo sangue».

Aus der Eremitage, 10 Marsch 2024

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Die Väter der Insel Patmos

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Reise mit Nikodemus in die Nacht

Homiletik der Väter der Insel Patmos

VIAGGIO NELLA NOTTE CON NICODEMO

„Dio, in der Tat, schickte den Sohn nicht in die Welt, um die Welt zu verurteilen, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui»

Autor:
Gabriele GiordanoM. Scardocci, o.p.

 

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Liebe Brüder und Schwestern,

nelle nostre vite abbiamo avuto momenti di grande notte e tenebra esistenziale e spirituale. In quei momenti il Signore ci è stato vicino con la sua Luce, anche se forse all’inizio non ce ne siamo accorti. In questo cammino di Quaresima possiamo ripensare a quei momenti e scoprire il senso della speranza come carità teologale. Nicodemo stesso era andato da Gesù di notte. I due hanno un lungo scambio di cui oggi effettivamente è riportata solo una parte. La sezione più importante:

Cristo e Nicodemo, opera di Pieter Crijnse Volmarijn, XVII sec.

„Zu dieser Zeit, Gesù disse a Nicodèmo: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, so muss der Menschensohn auferweckt werden, damit jeder, der an ihn glaubt, ewiges Leben hat. Tatsächlich liebte Gott die Welt so sehr, dass er den einzigen Sohn gab, damit jeder, der an ihn glaubt, nicht verloren geht, sondern das ewige Leben haben. Es gab, in der Tat, schickte den Sohn nicht in die Welt, um die Welt zu verurteilen, aber damit die Welt durch ihn gerettet wird. Wer an ihn glaubt, wird nicht verurteilt; aber diejenigen, die nicht glauben, wurden bereits verurteilt, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, Er hasst das Licht, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio”» (GV 3, 14-21).

Inizialmente Gesù fa riferimento al serpente nel deserto innalzato da Mosè (14-15), sostenendo con gran forza che Lui è il nuovo innalzato che donerà la vita eterna. Effektiv, il richiamo al serpente non era nuovo per Nicodemo. Denn hier, Jesus, fa riferimento all’episodio in cui Mosè aveva preso un serpente e postolo su di un’asta liberava dalla morte gli ebrei avvelenati (vgl.. nm 21,8 ss).

Ecco allora che Gesù è il Nuovo Innalzato: colui che se accolto con fede e amore libera da tutti i veleni della nostra vita. I peccati, i vizi e le fragilità. Accogliere la vita vera ed autentica è scoprire tutte le proprie potenzialità, i doni di Dio e offrirli nella carità al prossimo. Occorre dunque purificare lo sguardo della nostra fede per cercare di incontrare Gesù innalzato anche nei momenti di difficoltà e sofferenza. Anche quel momento, se vissuto con fede dona momenti di crescita: si entra nella vita nuova quando si è innalzati sulla propria croce in Lui, nei momenti cruciali della vita.

Questo fiorire nella vita nuova in Cristo spalanca la speranza per un mondo migliore già adesso, che costruisce il Bene Comune nella Carità, e anche la speranza escatologica. La speranza cioè di essere redenti e un giorno di andare in Paradiso. Gesù stesso lo promette a Nicodemo:

„Dio, in der Tat, schickte den Sohn nicht in die Welt, um die Welt zu verurteilen, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

La salvezza che Gesù ci offre avviene proprio sulla croce, in welchem, con un’opera supererogatoria ci ha riscattato dal dominio del peccato e del demonio; noi abbiamo attinto a questa salvezza direttamente nel nostro battesimo e l’abbiamo rinvigorita nella cresima.

In dieser Fastenzeit possiamo rinvigorire la fede e la speranza della vita eterna, sempre con degli atti di carità, ma anche con uno sguardo di speranza e di bene sulla storia che viviamo. In der Tat, la micro-storia personale che viviamo nella nostra quotidianità è un grande dono di grazia: Dio ci ha donato vita, libertà e vocazione personale, deshalb, le nostre scelte personali influiscono nella costruzione del nostro quotidiano. Il nostro quotidiano se vissuto con fede e carità ci permette di sperare di costruire una macro-storia del mondo in cui viviamo, che spalanca la strada della speranza per la vita eterna. Damit, nel nostro piccolo percorso quotidiano amiamo, crediamo e operiamo nel Bene al contempo fondiamo la speranza di una vita che sarà eternamente bella perché al cospetto di Dio. La vita eterna che sarà inaugurata dalla mattina di Pasqua in cui con Cristo saremo chiamati a nascere per non morire mai più.

La Quaresima ci purifica per imparare a sperare nell’Eterno e non più solo sulle realtà temporanee. Chiediamo al Signore di crescere sempre più nella speranza e generare sempre più un cuore effuso dal suo Santo Spirito e dall’amore mariano.

So sei es!

Novelle Santa Maria in Florenz, 10 Marsch 2024

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Die Väter der Insel Patmos

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Vom Herzen Gottes geprüft werden

Homiletik der Väter der Insel Patmos

ESSERE SCRUTATI DAL CUORE DI DIO

Gesù scruta il cuore degli uomini testimoni dei suoi miracoli e si accorge che la loro non è una vera fede ma solo emozione. Es ist ein Glaube, der nur Sensationslust anstrebt, was wir heute als „Fideismus“ definieren würden. Gesù cerca invece di donare loro una fede che sia autentica e forte.

Autor:
Gabriele GiordanoM. Scardocci, o.p.

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Liebe Leserinnen und Leser der Insel Patmos,

In questa terza tappa verso la Pasqua osserviamo un momento molto forte della vita di Gesù. L’unico episodio in cui il Signore sembra quasi utilizzare delle azioni violente in cui combatte la mentalità del suo tempo. In effetti ogni scena di combattimento è sempre forte agli occhi. Pensiamo alle scene di guerra descritte nelle grandi opere classiche come l’Iliade o la Jerusalem befreit. Il combattimento di Gesù, Aber, non è finalizzato alla guerra, ma finché nel cuore dell’uomo e in ciascuno di noi sgorghi un sentimento di fede e di conversione continua.

In questa III domenica di quaresima Leggiamo il celeberrimo passo della cacciata dei mercanti dal tempio nel (testo del Vangelo QUI). Una scena davvero forte. Una modalità da parte del Signore per purificare il Tempio, cioè la casa di Dio, dalle impurità che le vendite non sempre giuste venivano qui operate. aber, il Tempio, è spazio sacro in cui i mercanti davvero non potevano entrare per finalità di compravendita.

Diese Folge si applica generalmente al nostro tempo come condanna del mercato e delle speculazioni finanziarie disumane e che non rispettano la dignità e la sacralità dell’uomo. Ma questo è anche segno che Gesù non è attento alla singola materialità economica in sé stessa ma come mezzo per il fine. Il denaro, damit, per quanto mezzo necessario, non può mai diventare un sostituto di Dio.

Il dialogo successivo è scusa che Gesù usa per annunciare la sua Passione. Per affermare il suo atto d’amore finale. Questo atto d’amore è Redenzione e liberazione dal peccato. Ed è anche il Grande Segno di Gesù, più grande di tutti gli altri segni, che dobbiamo riscoprire anche noi in questa Quaresima. Se infatti leggiamo con attenzione questa pericope:

«Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, viele, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Jesus, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo».

Comprendiamo in che modo Gesù, tramite la sua conoscenza divina per via eternitatis, scruta il cuore degli uomini che erano testimoni dei suoi miracoli. E si accorge che la loro non è una vera fede ma solo emozione. Es ist ein Glaube, der nur Sensationslust anstrebt, o quello che oggi definiremmo “fideismo”. Gesù cerca invece di donare loro una fede che sia autentica e forte.

Questo è il nostro cammino quotidiano che in questo periodo forte possiamo intraprendere con coraggio. Facciamoci aiutare con la preghiera, i Sacramenti e l’affidamento al Signore a liberarci da una fede poco matura, emotiva e fragile. Questo percorso può anche aiutarci a comprendere quali sono le nostre difficoltà e distrazioni nella preghiera e nella pratica delle opere di misericordia.

Il tutto ci porterà a crescere nell’essere conosciuti per divenire gradualmente sempre più intimi col Signore. E questa intimità sarà fonte di gioia e soddisfazione.

Wir bitten den Herrn di avere sempre un cuore aperto alle sue ispirazioni d’amore e di verità per diventare uomini nuovi in Lui.

So sei es!

Novelle Santa Maria in Florenz, 3 Marsch 2024

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Die Väter der Insel Patmos

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Auf dem Berg Tabor empfangen die Jünger die Offenbarung des Menschensohnes in einer durch göttliches Licht verklärten Form

Homiletik der Väter der Insel Patmos

SUL MONTE TABOR I DISCEPOLI RICEVONO LA RIVELAZIONE DEL FIGLIO DELL’UOMO IN UNA FORMA TRASFIGURATA DALLA LUCE DIVINA

Nella narrazione evangelica e nel cammino quaresimale viene così aggiunto un altro quadro che aiuta a rispondere alla domanda che ponevamo all’inizio: Wer ist er? Ora è il Padre stesso che rivela l’identità profonda di Gesù non solo a chi assiste sul monte della Trasfigurazione, ma anche ai lettori e ai credenti in Cristo: Egli è il Figlio. Una teologia molto presente nei Vangeli che ci fa tornare alla mente quanto è scritto nel Primo Vangelo, quando Gesù dice: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre»

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Intraprendere il percorso quaresimale significa porsi di nuovo la domanda fondamentale su Gesù: Wer ist er? Allo stesso modo dei discepoli seduti sulla barca sballottata dalle onde, figura della Chiesa nel periodo post pasquale, che svegliato il Signore dormiente a poppa e a tempesta sedata si chiedevano: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?» (MC 4, 41). Il racconto marciano della Trasfigurazione che si legge in questa seconda Domenica di Quaresima desidera rispondere a questa domanda.

La trasfigurazione di Cristo, opera di Giovanni Bellini, 1478. Musei Capodimonte, Naples.

„Zu dieser Zeit, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, an den Seitenlinien, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: “Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, eine für dich, una per Mosè e una per Elia”. Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: “Questi è il Figlio mio, die Geliebte: Hör ihm zu!”. E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, mit ihnen. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti». (MC 9,2-10)

Tutti e tre i Vangeli sinottici inseriscono la Trasfigurazione nello stesso contesto, ossia dopo l’annuncio di Gesù della sua passione. Per il lettore si crea così un ponte fra il ministero pubblico di Gesù e la morte che avverrà in Gerusalemme. Ma anche un collegamento fra la odierna proclamazione di Gesù «Figlio di Dio», che si ode dalla nube, e altre due analoghe. Quella del Battesimo, Wann: «Si sentì una voce dal cielo» che diceva «Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto» (MC 1,11); und der andere, che si trova solo in Marco, all’inizio del Vangelo, nel primo versetto del primo capitolo: „Der Anfang des Evangeliums von Jesus Christus, Sohn Gottes ".

È molto probabile che l’episodio narrato, in origine, fosse un racconto di apparizione del Risorto, che Marco, il quale ha escluso dalla sua narrazione siffatti racconti, avrebbe inserito al centro del Vangelo, subito dopo la confessione messianica di Pietro, per bilanciare l’annuncio del destino di morte del Figlio dell’uomo (MC 8, 31) con la visione prolettica della sua glorificazione (MC 9, 2-13). Una scelta che ne avrebbe determinato la collocazione anche in Matteo e Luca. A supporto di questa ipotesi sta il fatto che nel prosieguo dei tre racconti l’incomprensione dei discepoli nei riguardi di Gesù resta intatta, malgrado alcuni fossero stati testimoni di un evento tanto eclatante. Während, collocato dopo la sua morte, il racconto assume un significato cruciale. È il punto di svolta. I tre discepoli ricevono la rivelazione del Figlio dell’uomo in una forma trasfigurata dalla luce divina. Dopo la sua morte, hanno la visione di Gesù collocato allo stesso livello di Mosè ed Elia, cioè di due figure bibliche già innalzate alla gloria celeste, e ascoltano la proclamazione della sua elezione divina, la stessa che risuona al momento del battesimo. Finalmente i discepoli «sanno» chi è Gesù, ed è alla luce di tale comprensione che l’episodio storico e iniziale del battesimo assume il suo «vero» significato di investitura divina.

Nel versetto che precede la scena della Trasfigurazione che oggi leggiamo nella Liturgia Gesù dice ai suoi discepoli: "Wahrlich, ich sage: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza» (MC 9,1). Sei giorni dopo questo annuncio Gesù porta Pietro, Giacomo e Giovanni con sé sopra un monte alto, in un luogo appartato, e si trasfigura davanti a loro. L’episodio non solo è descritto da tutti e tre i Vangeli sinottici, ma anche dalla Seconda Lettera di Pietro. Lì l’Apostolo ricorda e scrive di essere stato testimone oculare della grandezza di Gesù:

«Egli ricevette infatti onore e gloria da Dio Padre quando dalla maestosa gloria gli fu rivolta questa voce: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”. Questa voce noi l’abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte» (2Pkt 1,16-18).

A differenza del Battesimo, dove la voce che proclama Gesù «Figlio» sembra sia stata udita solo da Lui, nella Trasfigurazione le parole sono indirizzate ai discepoli, che non possono ignorarle: «Ascoltatelo». È infatti importante che nel momento in cui Gesù annuncia la sua passione venga ribadita l’idea che Dio non abbandonerà il suo Figlio, anche se verrà consegnato per la crocifissione. Questa non offuscherà la fedeltà del Padre, cosicché anche il duro annuncio della passione e morte sono dentro il Vangelo, sono la buona notizia di cui il lettore deve essere consapevole, allo stesso modo dei discepoli che fecero quella esperienza.

Pietro, insieme ai compagni, è colui che più di tutti ha bisogno di ascoltare Gesù. Dopo la confessione di Cesarea di Filippo, ha preteso di mettersi davanti a lui per evitargli il pellegrinaggio a Gerusalemme. Gesù per questo chiama Pietro «Satana» (MC 8,33), ma poi lo invita a salire sul monte con lui. In altre parole qui siamo di fronte alla reazione von Gott all’incredulità di Pietro. Nicht nur. Se i discepoli devono prepararsi alla passione del loro maestro, anche Gesù ha bisogno di istruzioni per intraprendere il «suo esodo», come specificherà Luca in 9,31: Mosè aveva condotto gli ebrei fuori dall’Egitto, Elia aveva ripercorso i suoi passi, e ora il Messia, aiutato da coloro che hanno vissuto un’esperienza analoga di sofferenza e liberazione, potrà andare deciso verso Gerusalemme.

L’interpretazione tradizionale della presenza di Mosè ed Elia sul monte dice, in der Tat, che essi rappresenterebbero la Torà e i Profeti, ovvero tutta la Scrittura prima di Gesù. Ma oggi si pensa piuttosto che il significato della loro presenza sia importante se riferita a quanto Gesù sta vivendo nel momento in cui sale su quella montagna. Mosè ed Elia hanno vissuto eventi paragonabili alla reazione di Pietro all’annuncio della passione di Gesù di cui sopra. L’analogia tra gli eventi è data dal modo in cui Gesù interpreta il rifiuto di Pietro: come una nuova tentazione, analoga a quelle dell’inizio del suo ministero; così Mosè provò l’esperienza del vitello d’oro ed Elia quella della fuga verso l’Oreb. Questi due fatti ebbero luogo proprio su un monte, dopo un fallimento del popolo di Israele che aveva, im ersten Fall, costruito un idolo e, in der zweiten, sostenuto i sacerdoti di Baal contro cui Elia doveva lottare. A fronte di queste due delusioni, sia Mosè che Elia chiedono a Dio di morire (vgl.. Ist 32,32; 1Betreff 19,4), ma, in risposta, a tutti e due è concessa invece la visione di Dio. Moses, spaventato, Aber, si nasconde nella rupe (Ist 33,21-22), ed Elia si copre il volto (1Betreff 19,13). Mentre allora non videro Dio, ora finalmente stanno davanti a Gesù, nella sua gloria e non si velano più il volto; non hanno più paura di lui, perché «Gesù, il «Figlio amato» del Padre (MC 9,7), «l’eletto» (LC 9,35), è egli stesso la visibilità del Padre: «Chi ha visto me, ha visto il Padre» (GV 14,9). In lui Mosè ed Elia si incontrano, vedono Gesù nella gloria, e gli portano il loro conforto. Am Ende, il Padre conferma ai tre discepoli, Pietro incluso, la strada che Gesù dovrà intraprendere» (m. Gilbert).

Nella narrazione evangelica e nel cammino quaresimale viene così aggiunto un altro quadro che aiuta a rispondere alla domanda che ponevamo all’inizio: Wer ist er? Ora è il Padre stesso che rivela l’identità profonda di Gesù non solo a chi assiste sul monte della Trasfigurazione, ma anche ai lettori e ai credenti in Cristo: Egli è il Figlio. Una teologia molto presente nei Vangeli che ci fa tornare alla mente quanto è scritto nel Primo Vangelo, quando Gesù dice: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre» (MT 11,27).

Aus der Eremitage, 24 Februar 2024

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Sant'Angelo-Höhle in Ripe (Civitella del Tronto)

 

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