Contro la moderna idolatria ideologica della povertà: Gesù Cristo non era povero e mai da povero visse, mangiò e vestì, nè alla sua morte fu sepolto da povero
5 thoughts on “Contro la moderna idolatria ideologica della povertà: Gesù Cristo non era povero e mai da povero visse, mangiò e vestì, nè alla sua morte fu sepolto da povero”
Le beatitudini si specchiano l’una nell’altra, per cui i poveri rimandano agli afflitti, ai miti ecc. e viceversa. Se volessimo trovare un significato particolare e preciso – svincolato dalla sua stretta affinità col concetto di umiltà – al famoso passo di Matteo sui poveri in spirito in sintesi io direi questo, a corollario di quanto scritto da padre Ariel:
1) “Ricco” nel linguaggio del Vangelo è colui che è schiavo delle “ricchezze”, cioè dei beni di questo mondo elevati ad idolatria e fine ultimo della vita.
2) Il povero “nello spirito” è colui invece che non è schiavo delle “ricchezze”, cioè dei beni di questo mondo (pur buoni in se stessi) perché il suo tesoro (“il regno dei cieli è simile ad un tesoro nascosto… Mt, 13, 44) l’ha trovato nel Regno di Dio.
3) Per cui il passo potrebbe anche essere formulato prosaicamente così: beati coloro che non sono schiavi dei beni di questo mondo, ai quali non si abbassano e dei quali sentono tutta la vanità, perché troveranno quello che i figli di Dio obbedienti alla propria vera natura devono cercare: il Regno di Dio. Insomma: il regno dei cieli per il “povero in spirito” è – anche – la logica conclusione di un percorso coerente.
E quindi come il possessore di ricchezze materiali può essere “povero in spirito”, così l’indigente può essere “ricco” secondo il linguaggio evangelico. Infatti come scrive Sant’Agostino: “Cosa vuole dire il Signore con le parole: «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago anziché un ricco entri nel Regno di Dio»? In questo passo chiama ricco chi è avido di beni temporali e ne va superbo. All’opposto di questi ricchi ci sono i poveri in spirito, cui appartiene il Regno dei cieli. Che a questa categoria di ricchi, disapprovata dal Signore, appartengano tutti gli avidi di cose mondane, anche se ne sono privi, appare manifesto da quanto è detto dopo dagli uditori: «Chi potrà allora salvarsi?» È certo infatti che la quantità dei poveri è incomparabilmente superiore, per cui occorre comprendere che nel numero di costoro son computati anche quei tali che, pur non avendo ricchezze, sono tutti presi dal desiderio di averne.“ (Sant’Agostino, Questioni sui Vangeli, Libro II, 47).
premessa l’ovvietà che è sacrosanto assistere chi veramente ha bisogno, aiutare chi vive veramente nell’indigenza materiale e morale, penso serva quanto prima una vostra esegesi riguardo alle opere di misericordia corporali in materia di poveri, sono queste le parolone/alibi artatamente usate ed abusate da pastori e giornaloni … Una esegesi comparata in relazione al monito del Levitico: “amerai il prossimo tuo come te stesso”, confermato da Gesù (Mt 7,12) «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti.» e poi ancora esteso e perfezionato in Luca 6,27-38 e Giovanni 15,9-17.
E poi una seria catechesi che faccia chiarezza sulle implicazioni di carattere morale riguardo a certe azioni e comportamenti personali per la salvezza della propria anima.
Chi – furbescamente – non adempie le obbligazioni assunte, non paga l’affitto dei beni (ecclesiastici e non) come pure chi si dichiara falsamente povero, o chi predica e lucra sui poveri veri o presunti (ong, enti di soccorso, migranti stessi, etc. ), tutti costoro vengono meno ai principi evangelici, recano offesa alla giustizia e alla carità e “inaudito dictu”- compiono peccati gravi non solo perché violano, la proprietà altrui, depapuerandola di mezzi utili per fare il bene, ma perché nel contempo spesso disattendono altri precetti “ama il prossimo tuo come te stesso”, “non dire falsa testimonianza”, “non desiderare la roba d’altri”, etc..
Caro don Ariel, mi permetta però una piccola obiezione: i soldati di guardia al sepolcro di Gesù erano romani o piuttosto erano giudei, della guardia del Tempio? Io li ho sempre pensati della seconda categoria. Altrimenti come poteva il Sinedrio dare loro ordini?
Passando invece al suo fianco, che pensa della trovata di tradurre “Mammona” con “ricchezza” tout court nella recente edizione italiana del Vangelo voluta dalla CEI e da Betori? […]
la condanna a morte di Cristo Signore fu eseguita da soldati romani, dopo che Egli fu consegnato al procuratore romano e accusato di sedizione contro Roma. I soldati lo oltraggiarono e lo percossero fisicamente oltre ogni misura, prima di condurlo nel luogo in cui fu crocifisso [Mt 27:27-36; Gv 18:3, 12; 19:32-34].
Il drappello che crocifisse Cristo Signore era formato da quattro soldati [Gv 19:23, 24]. Il comandante responsabile dell’esecuzione, sia per i fenomeni che si verificarono sia per le circostanze della morte stessa, affermò: «Certamente quest’uomo era il Figlio di Dio» [Mc 15:33-39].
Soldati romani furono poi messi di guardia alla tomba del Cristo [Mt 27:62-66]. Se infatti si fosse trattato di guardie giudee che prestavano servizio nel Tempio, gli ebrei non avrebbero avuto bisogno di rivolgersi a Pilato, né i Capi dei Sacerdoti avrebbero promesso di sistemare le cose col Procuratore se questi fosse venuto a sapere della scomparsa del corpo di Gesù [Mt 28:14].
Per quanto riguarda la traduzione del termine Mammona con ricchezza, è una traduzione pertinente.
Il termine deriva dall’aramaico ממון e la sua radice non è molto certa, probabilmente deriva a sua volta dal siriaco, come diversi lemmi dell’aramaico. Solitamente, gli studiosi dei testi originali vetero e novo testamentari, hanno sempre tradotto questo termine come “tesoro sotterrato“, dando a questo “sotterramento” un senso, non ultimo, di possesso/cupidigia. Il termine aramaico ממון è riportato nei testi greci dei Santi Vangeli come μαμωνάς.
Mammona è comunque un termine usato da sempre come “attaccamento alla ricchezza” con tutte le connotazioni sia della cupidigia, sia dell’egoismo sia anche dell’avarizia.
Credo quindi che la traduzione della frase: « Οὐδεὶς δύναται δυσὶ κυρίοις δουλεύειν ἢ γὰρ τὸν ἕνα μισήσει καὶ τὸν ἕτερον ἀγαπήσει ἢ ἕνος ἀνθέξεται καὶ τοῦ ἑτέρου καταφρονήσει. οὐ δύνασθε θεῷ δουλεύειν καὶ μαμωνᾷ » [cf. Mt 6,24] e «οὐδεὶς οἰκέτης δύναται δυσὶ κυρίοις δουλεύειν· ἢ γὰρ τὸν ἕνα μισήσει καὶ τὸν ἕτερον ἀγαπήσει, ἢ ἑνὸς ἀνθέξεται καὶ τοῦ ἑτέρου καταφρονήσει. οὐ δύνασθε θεῷ δουλεύειν καὶ μαμωνᾷ» Lc 16, 13] sia del tutto pertinente.
– Nessun dubbio sul fatto che la Sacra Famiglia non fosse povera; che fosse però benestante non mi convince molto: Giuseppe ” che era giusto” avrebbe forse offerto “in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore”?
– Ritengo che la traduzione più appropriata di “τέκτων” non sia tanto ebanista quanto carpentiere, cioè artigiano esperto nella costruzione di strutture lignee delle case, dei mobili e dei loro ornamenti, degli attrezzi agricoli, delle barche e della forgia di minuterie metalliche.
– Con i doni dei magi non vedo difficoltà per pagarsi la “fuga” in Egitto.
– Che la famiglia di Elisabetta fosse ricca si, che Maria fosse più ricca di Giuseppe non mi convince.
– La tunica poteva benissimo essere stata tessuta da Maria stessa o poteva essere un regalo di “Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode”.
– Il trattamento riservato a Gesù sulla croce dopo la sua morte poteva benissimo essere stato comandato da Pilato stesso a motivo delle parole sul sogno della moglie.
A parte queste sfumature, trovo l’articolo molto istruttivo…
Le beatitudini si specchiano l’una nell’altra, per cui i poveri rimandano agli afflitti, ai miti ecc. e viceversa. Se volessimo trovare un significato particolare e preciso – svincolato dalla sua stretta affinità col concetto di umiltà – al famoso passo di Matteo sui poveri in spirito in sintesi io direi questo, a corollario di quanto scritto da padre Ariel:
1) “Ricco” nel linguaggio del Vangelo è colui che è schiavo delle “ricchezze”, cioè dei beni di questo mondo elevati ad idolatria e fine ultimo della vita.
2) Il povero “nello spirito” è colui invece che non è schiavo delle “ricchezze”, cioè dei beni di questo mondo (pur buoni in se stessi) perché il suo tesoro (“il regno dei cieli è simile ad un tesoro nascosto… Mt, 13, 44) l’ha trovato nel Regno di Dio.
3) Per cui il passo potrebbe anche essere formulato prosaicamente così: beati coloro che non sono schiavi dei beni di questo mondo, ai quali non si abbassano e dei quali sentono tutta la vanità, perché troveranno quello che i figli di Dio obbedienti alla propria vera natura devono cercare: il Regno di Dio. Insomma: il regno dei cieli per il “povero in spirito” è – anche – la logica conclusione di un percorso coerente.
E quindi come il possessore di ricchezze materiali può essere “povero in spirito”, così l’indigente può essere “ricco” secondo il linguaggio evangelico. Infatti come scrive Sant’Agostino: “Cosa vuole dire il Signore con le parole: «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago anziché un ricco entri nel Regno di Dio»? In questo passo chiama ricco chi è avido di beni temporali e ne va superbo. All’opposto di questi ricchi ci sono i poveri in spirito, cui appartiene il Regno dei cieli. Che a questa categoria di ricchi, disapprovata dal Signore, appartengano tutti gli avidi di cose mondane, anche se ne sono privi, appare manifesto da quanto è detto dopo dagli uditori: «Chi potrà allora salvarsi?» È certo infatti che la quantità dei poveri è incomparabilmente superiore, per cui occorre comprendere che nel numero di costoro son computati anche quei tali che, pur non avendo ricchezze, sono tutti presi dal desiderio di averne.“ (Sant’Agostino, Questioni sui Vangeli, Libro II, 47).
Padre Ariel,
premessa l’ovvietà che è sacrosanto assistere chi veramente ha bisogno, aiutare chi vive veramente nell’indigenza materiale e morale, penso serva quanto prima una vostra esegesi riguardo alle opere di misericordia corporali in materia di poveri, sono queste le parolone/alibi artatamente usate ed abusate da pastori e giornaloni … Una esegesi comparata in relazione al monito del Levitico: “amerai il prossimo tuo come te stesso”, confermato da Gesù (Mt 7,12) «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti.» e poi ancora esteso e perfezionato in Luca 6,27-38 e Giovanni 15,9-17.
E poi una seria catechesi che faccia chiarezza sulle implicazioni di carattere morale riguardo a certe azioni e comportamenti personali per la salvezza della propria anima.
Chi – furbescamente – non adempie le obbligazioni assunte, non paga l’affitto dei beni (ecclesiastici e non) come pure chi si dichiara falsamente povero, o chi predica e lucra sui poveri veri o presunti (ong, enti di soccorso, migranti stessi, etc. ), tutti costoro vengono meno ai principi evangelici, recano offesa alla giustizia e alla carità e “inaudito dictu”- compiono peccati gravi non solo perché violano, la proprietà altrui, depapuerandola di mezzi utili per fare il bene, ma perché nel contempo spesso disattendono altri precetti “ama il prossimo tuo come te stesso”, “non dire falsa testimonianza”, “non desiderare la roba d’altri”, etc..
O sbaglio?
Caro don Ariel, mi permetta però una piccola obiezione: i soldati di guardia al sepolcro di Gesù erano romani o piuttosto erano giudei, della guardia del Tempio? Io li ho sempre pensati della seconda categoria. Altrimenti come poteva il Sinedrio dare loro ordini?
Passando invece al suo fianco, che pensa della trovata di tradurre “Mammona” con “ricchezza” tout court nella recente edizione italiana del Vangelo voluta dalla CEI e da Betori? […]
Caro Iginio,
la condanna a morte di Cristo Signore fu eseguita da soldati romani, dopo che Egli fu consegnato al procuratore romano e accusato di sedizione contro Roma. I soldati lo oltraggiarono e lo percossero fisicamente oltre ogni misura, prima di condurlo nel luogo in cui fu crocifisso [Mt 27:27-36; Gv 18:3, 12; 19:32-34].
Il drappello che crocifisse Cristo Signore era formato da quattro soldati [Gv 19:23, 24]. Il comandante responsabile dell’esecuzione, sia per i fenomeni che si verificarono sia per le circostanze della morte stessa, affermò: «Certamente quest’uomo era il Figlio di Dio» [Mc 15:33-39].
Soldati romani furono poi messi di guardia alla tomba del Cristo [Mt 27:62-66]. Se infatti si fosse trattato di guardie giudee che prestavano servizio nel Tempio, gli ebrei non avrebbero avuto bisogno di rivolgersi a Pilato, né i Capi dei Sacerdoti avrebbero promesso di sistemare le cose col Procuratore se questi fosse venuto a sapere della scomparsa del corpo di Gesù [Mt 28:14].
Per quanto riguarda la traduzione del termine Mammona con ricchezza, è una traduzione pertinente.
Il termine deriva dall’aramaico ממון e la sua radice non è molto certa, probabilmente deriva a sua volta dal siriaco, come diversi lemmi dell’aramaico. Solitamente, gli studiosi dei testi originali vetero e novo testamentari, hanno sempre tradotto questo termine come “tesoro sotterrato“, dando a questo “sotterramento” un senso, non ultimo, di possesso/cupidigia. Il termine aramaico ממון è riportato nei testi greci dei Santi Vangeli come μαμωνάς.
Mammona è comunque un termine usato da sempre come “attaccamento alla ricchezza” con tutte le connotazioni sia della cupidigia, sia dell’egoismo sia anche dell’avarizia.
Credo quindi che la traduzione della frase: « Οὐδεὶς δύναται δυσὶ κυρίοις δουλεύειν ἢ γὰρ τὸν ἕνα μισήσει καὶ τὸν ἕτερον ἀγαπήσει ἢ ἕνος ἀνθέξεται καὶ τοῦ ἑτέρου καταφρονήσει. οὐ δύνασθε θεῷ δουλεύειν καὶ μαμωνᾷ » [cf. Mt 6,24] e «οὐδεὶς οἰκέτης δύναται δυσὶ κυρίοις δουλεύειν· ἢ γὰρ τὸν ἕνα μισήσει καὶ τὸν ἕτερον ἀγαπήσει, ἢ ἑνὸς ἀνθέξεται καὶ τοῦ ἑτέρου καταφρονήσει. οὐ δύνασθε θεῷ δουλεύειν καὶ μαμωνᾷ» Lc 16, 13] sia del tutto pertinente.
– Nessun dubbio sul fatto che la Sacra Famiglia non fosse povera; che fosse però benestante non mi convince molto: Giuseppe ” che era giusto” avrebbe forse offerto “in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore”?
– Ritengo che la traduzione più appropriata di “τέκτων” non sia tanto ebanista quanto carpentiere, cioè artigiano esperto nella costruzione di strutture lignee delle case, dei mobili e dei loro ornamenti, degli attrezzi agricoli, delle barche e della forgia di minuterie metalliche.
– Con i doni dei magi non vedo difficoltà per pagarsi la “fuga” in Egitto.
– Che la famiglia di Elisabetta fosse ricca si, che Maria fosse più ricca di Giuseppe non mi convince.
– La tunica poteva benissimo essere stata tessuta da Maria stessa o poteva essere un regalo di “Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode”.
– Il trattamento riservato a Gesù sulla croce dopo la sua morte poteva benissimo essere stato comandato da Pilato stesso a motivo delle parole sul sogno della moglie.
A parte queste sfumature, trovo l’articolo molto istruttivo…